La NATO culturale

Di Federico Roberti

Nel pieno della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti destinò grandi risorse ad un programma segreto di propaganda culturale rivolto all’Europa occidentale, messo in atto con estrema riservatezza dalla CIA. L’atto fondamentale fu l’istituzione del Congress for Cultural Freedom (Congresso per la libertà della cultura), organizzato dall’agente Michael Josselson tra il 1950 ed il 1967. Al suo culmine, il Congresso aveva uffici in trentacinque Paesi (alcuni extraeuropei) ed a libro paga decine di intellettuali, pubblicava una ventina di prestigiose riviste, organizzava esposizioni artistiche, organizzava conferenze internazionali di alto livello e ricompensava musicisti ed altri artisti con premi e riconoscimenti vari. La sua missione consisteva nel distogliere gli intellettuali europei dall’abbraccio del marxismo, a favore di posizioni più compatibili con l’american way of life, facilitando il conseguimento degli interessi strategici della politica estera statunitense.

I libri di alcuni scrittori europei furono promossi nel mercato editoriale come parte di un esplicito programma anticomunista. Fra questi, in Italia, “Pane e Vino” di Ignazio Silone, il quale registrò così la prima di molte apparizioni sotto l’ala del governo statunitense. A dire il vero, durante il suo esilio svizzero in tempo di guerra, Silone era stato un contatto di Allen Dulles, allora capo dello spionaggio statunitense in Europa e nel dopoguerra ispiratore di Radio Free Europe, altra creazione CIA sotto la maschera del National Committee for a Free Europe; nell’ottobre 1944, Serafino Romualdi, un agente dell’OSS (Office of Strategic Services, il precursore della CIA), fu inviato sul confine franco-svizero con il compito di introdurre clandestinamente Silone in Italia.
Silone, insieme ad Altiero Spinelli e Guido Piovene, rappresentò l’Italia alla conferenza fondativa del Congresso tenutasi a Berlino nel 1950, per la quale Michael Josselson era riuscito ad ottenere un finanziamento di $ 50.000 dalle risorse del Piano Marshall. Essa fu sconfessata pubblicamente da Jean-Paul Sartre ed Albert Camus che, invitati, si rifiutarono di parteciparvi.

Inizialmente, fra i presidenti onorari del Congresso, tutti filosofi rappresentanti di un nascente pensiero euro-atlantico, accanto a Bertrand Russell troviamo Benedetto Croce. Egli, ad ottant’anni di età, era riverito in Italia come padre nobile dell’antifascismo avendo sfidato apertamente Mussolini. Sicuramente, all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia, era stato un utile contatto per William Donovan, allora il massimo responsabile dell’intelligence statunitense.

La sezione italiana del Congresso, denominata Associazione italiana per la libertà della cultura, fu istituita da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro propulsivo, anche e soprattutto sotto il profilo logistico ed economico, di una federazione di circa cento gruppi culturali quali l’Unione goliardica nelle università, il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, i Centri di Azione democratica, il movimento Comunità di Adriano Olivetti e vari altri.
Essa pubblicò la prestigiosa rivista “Tempo Presente” diretta dallo stesso Silone e da Nicola Chiaromonte, ed altre non meno conosciute come “Il Mondo”, “Il Ponte”, “Il Mulino” e, più tardi, “Nuovi Argomenti”. Nel suo gruppo dirigente, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio, figurava anche Ferruccio Parri, il padre della sinistra indipendente. Poi, in posizione più defilata, uomini politici di estrazione azionista e liberaldemocratica come Ugo La Malfa.
Uno degli uffici del Congresso era stato aperto a Roma nel palazzo Pecci-Blunt, dove Mimì, la padrona di casa, animava uno dei salotti più esclusivi e meglio frequentati della capitale. A due passi dalla storica dimora di palazzo Caetani che, prima di divenire tragicamente celebre per avere visto, sotto le sue finestre, l’ultimo atto del rapimento Moro, vedeva regnare un’altra regina dei salotti, la mecenate statunitense legata agli ambienti del Congresso Marguerite Chapin Caetani. Ella, con la sua rivista “Botteghe oscure”, promosse non pochi grandi nomi della letteratura e poesia italiana del Novecento. Suo genero era, guarda caso, Sir Hubert Howard, ex ufficiale dei servizi segreti alleati specializzato nella guerra psicologica ed in rapporti di fraterna amicizia con il nipote del presidente Roosevelt, quel Kermit Roosevelt che dapprima nell’OSS e poi, reclutato dalla CIA, fu tra i più convinti fautori del programma di guerra psicologica.
Una delle più strette collaboratrici della Caetani era Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, il cui marito Raimondo Craveri, agente dei servizi segreti partigiani, dopo la Liberazione indicava all’ambasciata statunitense i politici di cui fidarsi. Elena invece selezionava gli uomini di cultura con cui valeva la pena parlare. Nella loro casa si potevano intrecciare le relazioni più cosmopolite, incontrandovi Henry Kissinger così come il futuro presidente FIAT Gianni Agnelli, ma su tutti dominava il magnate della finanza laica italiana, fondatore di Mediobanca, (don) Raffaele Mattioli. Gli Americani si fidavano a tal punto del commendator Mattioli che nel 1944, a guerra evidentemente ancora in corso, avevano già discusso con lui i programmi per la ricostruzione. Oltre a finanziare abbondantemente la cultura, don Raffaele prestò le sue non disinteressate, pur se discrete, attenzioni anche al PCI, con il quale aveva canali aperti già durante il Ventennio.
Ecco, dunque, che in Italia, oltre alla P2 e Gladio, esisteva anche un anticomunismo altrettanto tenace ma illuminato, progressista e persino di sinistra. La rete del Congresso ne costituiva la facciata pubblica o, se si preferisce, presentabile.

Le risorse per la propaganda culturale euro-atlantica furono reperite in modo davvero geniale. Nei primi tempi del Piano Marshall, ciascun Paese beneficiario dei fondi doveva contribuire depositando nella propria banca centrale una somma equivalente al contributo americano. Poi un accordo bilaterale tra il Paese in questione e gli Stati Uniti permetteva che il 5% di tale somma diventasse proprietà statunitense: era proprio questa parte dei “fondi di contropartita” (circa 10 milioni di dollari all’anno su un totale di 200) che furono messi a disposizione della CIA per i suoi progetti speciali.
Così circa $ 200.000 di tali fondi, che già avevano giocato un ruolo cruciale nelle elezioni italiane del 1948, furono destinati a finanziare i costi amministrativi del Congresso nel 1951. La filiale italiana, ad esempio, riceveva mille dollari mensili che venivano versati sul conto di Tristano Codignola, dirigente della casa editrice La Nuova Italia.

La libertà culturale non venne a buon mercato. Nei diciassette anni successivi alla fondazione, la CIA avrebbe pompato nel Congresso ed in progetti collegati ben dieci milioni di dollari. Una caratteristica della strategia di propaganda culturale fu la sistematica organizzazione di una rete di gruppi privati “amici” in un consorzio ufficioso: si trattava di una coalizione di fondazioni filantropiche, imprese e privati che lavorava in stretto collegamento con la CIA per dare a quest’ultima copertura e canali finanziari al fine di sviluppare i suoi programmi segreti in territorio europeo. Nello stesso tempo, l’impressione era che questi “amici” agissero unicamente di propria iniziativa. Mantenendo il loro status di privati, essi apportavano il capitale di rischio per la Guerra Fredda, un po’ quello che fanno da un certo tempo a questa parte le ONG sostenute dall’Occidente in giro per il mondo.

L’ispiratore di questo consorzio fu Allen Dulles, che già nel maggio 1949 aveva diretto appunto la formazione del National Committee for a Free Europe, apparentemente iniziativa di un gruppo di privati cittadini americani, in realtà uno dei più ambiziosi progetti della CIA. “Il Dipartimento di Stato è molto lieto di assistere alla formazione di questo gruppo” annunciò il segretario di Stato Dean Acheson. Questa pubblica benedizione serviva ad occultare le vere origini del Comitato e che operasse sotto il controllo assoluto della CIA, che lo finanziava al 90%. Ironia della sorte, lo scopo specifico per il quale era stato creato, cioè fare propaganda politica, era categoricamente escluso da una clausola dell’atto costitutivo.
Dulles era ben cosciente che il successo del Comitato sarebbe dipeso dalla sua capacità “di apparire come indipendente dal governo e rappresentativo delle spontanee convinzioni di cittadini amanti della libertà”.

Il National Committee poteva vantare un insieme di iscritti di grandissimo rilievo pubblico, uomini d’affari ed avvocati, diplomatici ed amministratori del Piano Marshall, magnati della stampa e registi: da Henry Ford II, presidente della General Motors, alla signora Culp Hobby, direttrice del Moma; da C.D. Jackson della direzione di “Time-Life” a John Hughes, ambasciatore presso la NATO; da Cecil De Mille a Dwight Eisenhower. Tutti costoro erano “al corrente”, ossia appartenevano consapevolmente al club. Il suo organico, già al primo anno, contava più di 400 addetti, il suo bilancio ammontava a quasi due milioni di dollari.
Un bilancio separato di 10 milioni fu riservato alla sola Radio Free Europe, che nel giro di pochi anni avrebbe avuto 29 stazioni di radiodiffusione e trasmesso in 16 lingue diverse, fungendo anche da canale per l’invio di ordini alla rete di informatori presente al di là della Cortina di Ferro.

Il nome della sezione incaricata di reperire fondi per il National Committee era Crusade for Freedom e ne era portavoce un giovane attore di nome Ronald Reagan…

L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA, senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine. Nel 1976, una commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966, delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164 fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA. Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo stesso periodo nel campo delle attività internazionali.
Si riteneva che le fondazioni prestigiose, quali Ford, Rockfeller e Carnegie, assicurassero “la migliore e più credibile forma di finanziamento occulto. Questa tecnica risultava particolarmente opportuna per le organizzazioni gestite in modo democratico, dato che devono poter rassicurare i propri membri e collaboratori ignari, come pure i critici ostili, di essere in grado di contare su forme di finanziamento privato, autentico e rispettabile – sottolineava uno studio interno della stessa CIA risalente al 1966.
Addirittura, all’interno della Fondazione Ford venne istituita un’unità amministrativa specificamente addetta a curare i rapporti con la CIA, che avrebbe dovuto essere consultata ogni volta che l’agenzia avesse voluto usare la fondazione come copertura o canale finanziario per qualche operazione. Essa era formata da due funzionari e dal presidente della fondazione stessa, John McCloy il quale era già stato segretario alla Difesa e presidente, nell’ordine, della Banca Mondiale, della Chase Manhattan Bank di proprietà della famiglia Rockfeller e del Council on Foreign Relations, nonché legale di fiducia delle Sette Sorelle. Un bel curriculum, non c’è che dire.

Uno dei primi dirigenti della CIA ad appoggiare il Congresso per la libertà della cultura fu Frank Lindsay, veterano dell’OSS che nel 1947 aveva scritto uno dei primi rapporti interni in cui si raccomandava agli Stati Uniti di creare una forza segreta per la Guerra Fredda. Negli anni fra il 1949 ed il 1951, come vicedirettore dell’Office of Policy Coordination (OPC), dipartimento speciale creato all’interno della CIA per le operazioni segrete, Lindsay divenne responsabile dell’allestimento dei gruppi Stay Behind in Europa, meglio conosciuti in Italia come Gladio. Nel 1953 passò alla Fondazione Ford, senza per ciò perdere i suoi stretti contatti con gli ex colleghi dell’intelligence.

Quando, nel 1953, Cecil DeMille accettò di diventare consigliere speciale del governo statunitense per il cinema al Motion Picture Service (MPS), si recò all’ufficio di C.D. Douglas, il quale avrebbe poi scritto di lui: “ E’ completamente dalla nostra parte ed (…) è ben consapevole del potere che i film americani hanno all’estero. Ha una teoria, che condivido pienamente, secondo cui l’uso più efficace dei film americani si ottiene non con il progetto di un’intera pellicola che affronti un determinato problema, ma piuttosto con l’introduzione in un’opera “normale” di un certo dialogo appropriato, di una battuta, un’inflessione della voce, un movimento degli occhi. Mi ha detto che ogni volta che gli darò un tema semplice per un certo Paese o una certa regione, troverà il modo di trattarlo e di introdurlo in un film”.
Il Motion Picture Service, sommerso dai finanziamenti governativi tanto da diventare una vera e propria impresa di produzione cinematografica, dava lavoro a registi-produttori che venivano preventivamente esaminati ed assegnati al lavoro su film che promuovevano gli obiettivi degli Stati Uniti e che avrebbero dovuto raggiungere un pubblico sul quale bisognava agire attraverso il cinema. L’MPS forniva consulenze ad organismi segreti sulle pellicole appropriate per una distribuzione sul mercato internazionale; si occupava, inoltre, della partecipazione statunitense ai vari festival che si svolgevano all’estero e lavorava alacremente per escludere i produttori statunitensi ed i film che non sostenevano la politica estera del Paese.

Il principale gruppo di pressione per sostenere l’idea di un’Europa unita strettamente alleata agli Stati Uniti era il Movimento Europeo, cui facevano capo molte organizzazioni, e che copriva una serie di attività dirette all’integrazione politica, militare, economica e culturale. Guidato da Winston Churchill in Gran Bretagna, Paul Henri Spaak in Belgio ed Altiero Spinelli in Italia, il movimento era attentamente sorvegliato dall’intelligence statunitense e finanziato quasi interamente dalla CIA attraverso una copertura che si chiamava American Committee on United Europe. Braccio culturale del Movimento Europeo era il Centre Européen de la Culture, diretto dallo scrittore Denis de Rougemont. Fu attuato un vasto programma di borse di studio ad associazioni studentesche e giovanili, tra cui la European Youth Campaign, punta di diamante di una propaganda pensata per neutralizzare i movimenti politici di sinistra.
Per quanto poi riguarda quei liberali internazionalisti fautori di un’Europa unita intorno ai propri principi interni, e non conforme agli interessi strategici statunitensi, a Washington essi non erano considerati migliori dei neutralisti, anzi portatori di un’eresia da distruggere.

Nel 1962, la notorietà del Congresso per la libertà della cultura calamitò anche attenzioni tutt’altro che desiderate dai suoi ispiratori.
Durante un programma televisivo della “BBC”, That Was The Week That Was, il Congresso fu oggetto di una penetrante e brillante parodia ideata da Kenneth Tynan. Essa iniziava con la battuta: “E’ ora, le novità della Guerra Fredda nella cultura”. Poi continuava mostrando una mappa rappresentante il blocco culturale sovietico, dove ogni cerchietto indicava una postazione culturale strategica: basi teatrali, centri di produzione cinematografica, compagnie di danza per la produzione di missili “ballettistici” intercontinentali, case editrici che lanciano enormi tirature di classici a milioni di lettori schiavizzati, insomma dovunque si guardasse un massiccio indottrinamento nel suo pieno sviluppo. E si chiedeva: noi, qua in Occidente, abbiamo un’effettiva capacità di risposta?
Sì, era la risposta, c’è il buon vecchio Congresso per la libertà della cultura sostenuto dal denaro americano che ha allestito un certo numero di basi avanzate, in Europa e nel mondo, funzionanti come teste di ponte per rappresaglie culturali. Basi mascherate con nomi in codice, come “Encounter” – la più conosciuta delle riviste patrocinate dal Congresso – che è l’abbreviazione, si ironizzava, di Encounterforce Strategy.
Entrava allora in scena un portavoce del Congresso, con un mazzo di riviste che rappresentavano a suo dire una sorta di NATO culturale, il cui obiettivo era il contenimento culturale, cioè mettere un recinto intorno ai rossi. Con missione storica quella di raggiungere la leadership mondiale dei lettori, succeda quel che succeda, “noi del Congresso sentiamo come nostro dovere tenere le nostre basi in allarme rosso, ventiquattro ore su ventiquattro”.
Una satira mordace ed impeccabilmente documentata, che provocò notti insonni a Michael Josselson, organizzatore del Congresso.

Durante l’estate del 1964, sorse una questione assai preoccupante.
Nel corso di un’inchiesta parlamentare sulle esenzioni fiscali alle fondazioni private, diretta da Wright Patman, si verificò una fuga di notizie che identificava otto di queste come coperture della CIA. Esse sarebbero state nient’altro che buche per lettere cui corrispondeva solo un indirizzo, approntate dalla CIA per ricevere denaro dalla stessa, in modo apparentemente legale. Una volta che i soldi arrivavano, le fondazioni facevano una donazione ad un’altra fondazione largamente conosciuta per le sue legittime attività. Contributi, questi ultimi, che venivano debitamente registrati secondo la normativa fiscale vigente nel settore no profit, sui moduli denominati 990-A. L’operazione si concludeva infine con il versamento del denaro all’organizzazione che la CIA aveva previsto dovesse riceverlo.
Le notizie filtrate dalla commissione Patman aprirono, seppure solo per un breve momento, uno squarcio sulla sala macchine dei finanziamenti segreti. Alcuni giornalisti particolarmente curiosi, ad esempio quelli del settimanale “The Nation”, riuscirono a mettere insieme i pezzi del puzzle, chiedendosi se fosse legittimo che la CIA finanziasse, con questi metodi indiretti, vari congressi e conferenze dedicate alla “libertà culturale” o che qualche importante organo di stampa, sostenuto dall’agenzia, offrisse lauti compensi a scrittori dissidenti dell’Europa orientale.
Sorprendentemente (sorprendentemente?), non un solo giornalista pensò di indagare ulteriormente. La CIA eseguì una severa revisione delle sue tecniche di finanziamento, ma non ritenne opportuno riconsiderare l’uso delle fondazioni private come veicoli per il finanziamento delle operazioni clandestine. Anzi, secondo l’agenzia, la vera lezione da apprendere in seguito allo scandalo suscitato dalla commissione Patman era che la copertura delle fondazioni per erogare i finanziamenti doveva essere usata in maniera più estesa e professionale, innanzitutto sborsando fondi anche per i progetti realizzati sul suolo degli Stati Uniti.
Michael Josselson, dalla fine di quel anno, tentò di proteggere la sua creatura dalle rivelazioni, considerando pure di mutarne il nome, e cercò persino di recidere i legami economici con la CIA sostituendoli in toto con un finanziamento della Fondazione Ford.
Tutto ciò non valse a nulla se non a posticipare un esito ormai segnato. Il 13 maggio 1967 si tenne a Parigi l’assemblea generale del Congresso per la libertà della cultura che ne sancì la sostanziale fine, pur se le attività si trascinarono, stancamente ed in tono assai minore, fino alla fine degli anni settanta.

Era infatti successo che la rivista californiana “Ramparts”, nell’aprile 1967, aveva pubblicato un’inchiesta sulle operazioni segrete della CIA, nonostante una campagna di diffamazione lanciata a suo danno nel momento in cui l’agenzia era venuta a conoscenza del fatto che la rivista era sulle tracce delle sue organizzazioni di copertura. Le scoperte di “Ramparts” furono prontamente rilanciate dalla stampa nazionale e seguite da un’ondata di rivelazioni, facendo emergere le coperture anche al di fuori degli Stati Uniti, a cominciare dal Congresso e le sue riviste.
Già prima delle denunce di “Ramparts”, il senatore Mansfield aveva chiesto un’indagine parlamentare sui finanziamenti clandestini della CIA, alla quale il presidente Lyndon Johnson rispose istituendo una commissione di soli tre membri. La commissione Katzenbach, nella sua relazione conclusiva emessa il 29 marzo 1967, sanzionava ogni agenzia federale che avesse segretamente fornito assistenza o finanziamenti, in modo diretto od indiretto, a qualsiasi organizzazione culturale statale o privata, senza fini di lucro. Il rapporto fissava la data del 31 dicembre 1967 come limite per la conclusione di tutte le operazioni di finanziamento segreto della CIA, dandole così l’opportunità di concedere un certo numero di sostanziose assegnazioni finali (nel caso di Radio Free Europe, questo importo le avrebbe permesso di continuare a trasmettere per altri due anni).
In realtà, come si evince da una circolare interna poi emersa nel 1976, la CIA non vietava le operazioni segrete con organizzazioni commerciali statunitensi né i finanziamenti segreti di organizzazioni internazionali con sede in Paesi stranieri. Molte delle restrizioni adottate in risposta agli eventi del 1967, più che rappresentare un significativo ripensamento dei limiti alle attività segrete dell’intelligence, appaiono piuttosto misure di sicurezza volte ad impedire future rivelazioni pubbliche che potessero mettere a repentaglio delicate operazioni della stessa CIA.

Ne vogliamo riparlare?

N.B.: la fonte principale delle informazioni presentate in questo articolo è il libro “Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale” di Frances Stonor Saunders, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 ed in traduzione italiana da Fazi Editore nel 2004 nella collana “Le terre” e nel 2007 in quella “Tascabili saggi”.

L’omicidio di Olof Palme

Mentre in Svezia la stampa formula accuse circostanziate all’apparato di sicurezza nazionale, riproponiamo al riguardo il video dell’inchiesta datata 1990 dell’allora giornalista RAI Ennio Remondino (come riproposta da Maurizio Torrealta) e un recente articolo di remocontro.it, nella cui redazione figura lo stesso Remondino.

Svezia, nuova inchiesta omicidio Palme e ancora P2

La Svezia si prepara a riaprire l’inchiesta sull’assassinio irrisolto del carismatico premier Olof Palme, avvenuto 30 anni fa. Il procuratore capo di Stoccolma, Krister Petersson, sarà a capo della nuova indagine. Palme fu colpito nel 1986 da un ignoto sparatore mentre usciva da un cinema di Stoccolma con la moglie e morì dissanguato sul marciapiede. A seguito dell’assassinio del leader socialdemocratico furono interrogate 10mila persone. In 134 sostennero di aver ucciso Palme. Il compito di Petersson si preannuncia erculeo: il dossier Palme occupa 250 metri di scaffale. L’inchiesta sull’omicidio Palme riaprirà a febbraio [2017 – ndc] e Petersson ha dichiarato alla stampa svedese che tenterà di risolvere l’omicidio e che è ottimista. “Mi sento onorato e accetto la missione con grande energia” ha detto in una nota.

La pista italiana, 1990
“L’ ipotesi di un coinvolgimento di Licio Gelli nell’ omicidio di Olof Palme, il premier svedese assassinato a Stoccolma alcuni anni fa, è stata avanzata dal quotidiano Dagens Nyheter. Nell’ articolo, firmato da un giornalista molto noto in Svezia, Olle Alsén, si ricorda l’ esistenza di un telegramma che parrebbe compromettere il capo della P2. Alsen riferisce, inoltre, che l’ FBI starebbe indagando sull’ omicidio Palme e attribuisce l’ informazione ad una ex collaboratrice di Ronald Reagan, Barbara Honegger. Nel suo articolo, Alsen ricorda che la Honegger ha scritto, in un libro intitolato ‘October Surprise’, di avere saputo che Gelli il 28 febbraio 1986, tre giorni prima dell’ assassinio, aveva inviato un telegramma a un esponente dell’ amministrazione americana in cui si affermava: “Dite al vostro amico che l’ albero svedese sarà abbattuto”. Un portavoce della commissione d’inchiesta ha commentato che la pista italiana è di estrema rilevanza”.

Olof Palme, un caso ancora aperto
La ricostruzione su ‘Il Fatto’ del 27 febbraio 2013, di Enrico Fedrighini. «Washington, 25 febbraio 1986, martedì. Philip Guarino, esponente del Partito Repubblicano molto vicino a George Bush senior, rilegge il messaggio che gli è stato appena recapitato; un telegramma inviato da una località remota del Sud America, una sorta di codice cifrato: «Tell our friend the Swedish palm will be felled». La firma è di un italiano, Licio Gelli, vecchia conoscenza di Guarino; alcuni anni prima, avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona. “Informa i nostri amici che la palma svedese verrà abbattuta”. Curioso: in Svezia non crescono le palme». Il telegramma attribuito a Gelli sarebbe stato in realtà inviato dal Sud America da Umberto Ortolani anche al gran Maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli. Il testo parla di ‘palme’, che è una dizione popolare di ‘albero’, con un possibile doppio significato evidente.

‘L’albero svedese sarà abbattuto’
In quel 1986 l’ONU aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. Una guerra sanguinosa e sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte. l’Iran sta ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico/militare USA; i proventi servono anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua. Ma c’è qualcosa di più grave che sta emergendo, di più spaventoso: la rete che fornisce armi all’Iran sembra agire ed avere strutture operative ramificate all’interno di diversi Paesi dell’Europa Occidentale. Anche nella civilissima Scandinavia. Quella sera del 28 febbraio 1986, Palme è a Stoccolma, all’uscita dei cinema dove era andato con la moglie, quando un’ombra nel buio si avvicina alla coppia e spara due colpi alla schiena dell’ex primo ministro.

Il colpevole che non convince
Per l’omicidio Palme viene condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Petterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Il 15 settembre 2004, Petterson contatta Marten Palme, il figlio dell’ex premier ucciso: desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre. Il giorno dopo, Petterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza. Nell’aprile 1990 il quotidiano svedese Dagens Nyheter rivela la notizia del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Tante, troppe vicende oscure attorno a quel delitto che aveva colpito il mondo.

L’inchiesta CIA-P2 del TG1
Ancora Enrico Fedrighini. «Contattando i colleghi svedesi un giornalista del TG1, Ennio Remondino, rintraccia e intervista le fonti, due agenti della CIA che confermano la notizia del telegramma, rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi Paesi dell’Europa occidentale denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare” (la ‘strategia della tensione’ detta in linguaggio più elaborato). L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, viene trasmessa dal TG1 nell’estate 1990 e provoca la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del TG1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».

Quella dannata estate 1990
Fonte, Repubblica luglio 1990. «I carabinieri nella redazione del TG1 in via Teulada non c’erano mai stati. Sono arrivati alle 13,30 di ieri. Accompagnavano l’ inviato speciale del telegiornale Ennio Remondino. Il giornalista stringeva nelle mani un decreto di sequestro, appena firmato dal giudice istruttore Francesco Monastero, per la documentazione raccolta in un secondo viaggio negli Stati Uniti. Per tutto il pomeriggio il giornalista ha svuotato i suoi armadi, firmato uno ad uno, i fogli (circa un migliaio) che, secondo l’ ex-agente della Central Intelligence Agency Richard A. Brenneke, dovrebbero confermare quel che ha dichiarato proprio a Remondino in un’ inchiesta del TG1 sull’ omicidio di Olof Palme».

Cossiga – Andreotti
Sempre Repubblica. «Fin da venerdì, con una telefonata di un ufficiale dei carabinieri del Nucleo antiterrorismo, il magistrato aveva convocato a Palazzo di Giustizia il giornalista. Alle 10,30 in punto, Remondino era nell’ ufficio del giudice istruttore, dove, alla presenza del pubblico ministero Elisabetta Cesqui, è stato interrogato per tre ore. Ha spiegato tutti i passaggi, gli incontri, i contatti avuti negli Stati Uniti in un secondo viaggio che doveva ulteriormente confermare le conclusioni delle prime quattro puntate dell’ inchiesta del TG1 mandata in onda tra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio. Una inchiesta che è diventata arroventato terreno di una polemica politica che ha visto scendere in campo adirittura il presidente della Repubblica. Cossiga, in una lettera ad Andreotti, ha chiesto o l’accertamento di verità così clamorose o la punizione dei responsabili di un’informazione intemerata».

Fonte

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Il messaggio oscuro del nuovo Guerre Stellari: i super-ricchi contro tutti gli altri

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‘Guerre Stellari’ è una semplice storia del bene contro il male, la luce contro le tenebre, e la libertà contro la tirannia. In altre parole, è la storia della lotta dell’America per preservare la democrazia e la civiltà in un mondo afflitto dal male e dai ‘malfattori’.

Film e propaganda politica hanno a lungo camminato mano nella mano. Infatti, se mai un medium era adatto alla propaganda è il medium del cinema. E se mai ad un’industria potrebbe essere attribuita la creazione di una realtà alternativa in modo così pervasivo da riuscire a convincere generazioni di Americani e di altri in tutto il mondo che l’alto è basso, il nero è bianco e la sinistra è destra, quella industria è Hollywood.
George Lucas, il creatore della saga di Guerre Stellari, che, includendo questa ultima puntata, ha sfornato sette film da quando l’originale è apparso nel 1977, è (insieme a Steven Spielberg) un figlio della reazione alla contro-cultura americana degli anni Sessanta e Settanta.
Sebbene siano entrambe frutto degli anni Sessanta – un decennio in cui la cultura e le arti, in particolare il cinema, sono state nella prima linea di resistenza al complesso militare-industriale degli Stati Uniti – Lucas e Spielberg sono giunti alla ribalta a metà degli anni ’70 con film i quali piuttosto che mettere in discussione il ceto dirigente, invece abbracciavano il suo ruolo sia come protettore del popolo americano che come arbitro della morale della nazione. Continua a leggere

Matteo Renzi e il suo consigliere per la politica estera

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“Da Ledeen a Renzi e ritorno a Tel Aviv. Le stragi non vanno mai in prescrizione anche sotto governi telecomandati dall’estero. Quei 20 chilogrammi di esplosivo che il 2 agosto 1980 fecero saltare in aria la stazione di Bologna provocando 85 morti e 200 feriti non c’entrano niente con il terrorismo palestinese, né tanto meno con il terrorista Carlos. Il giudice per le indagini preliminari di Bologna Bruno Giangiacomo ha recentemente archiviato in via definitiva le indagini a carico dei terroristi tedeschi, Thomas Kram e Margot Christha Frohlich che erano finiti indagati dalla Procura nel filone della pista palestinese soffiata dal Mossad. Dopo 35 anni, tuttavia, la magistratura italiana non ha ancora individuato i mandanti e gli esecutori materiali.
Si trattò di un eccidio anomalo, perché avvenne in una situazione politica stabilizzata; perciò la strage assume la caratteristica di un tentativo di cancellare dalla città, dall’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica, dal dibattito politico, dall’indagine dei magistrati la precedente strage di Ustica.
Il Dc-9 Itavia ammarato il 27 giugno 1980 al largo di Ustica, mentre volava da Bologna a Palermo con 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, non esplose in volo e nelle vicinanze c’era almeno un altro aereo che lo attaccò, quasi certamente con un missile, lasciando una traccia radar che per anni era stata scambiata per i rottami del Dc-9 stesso. Lo afferma uno studio del Dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’Università di Napoli consegnato ai legali dei familiari di alcune vittime. Gli ingegneri dell’Università Federico II, a distanza di anni dalle ultime indagini tecniche promosse dalla magistratura, sono giunti alla fine del 2014, a queste conclusioni rielaborando con nuove tecnologie gli stessi dati che erano stati acquisiti subito dopo il disastro.”

La strage di Bologna per occultare quella di Ustica, di Gianni Lannes continua qui.

Quello che gli ipocriti vogliono far dimenticare a proposito di Mandela

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Nel primo anniversario della scomparsa di Nelson Mandela

“Erano ormai 17 mesi che Mandela viveva in clandestinità. Una notte, il 5 agosto del 1962, stava attraversando in auto Howick, una cittadina del Natal, quando venne fermato da una pattuglia della polizia. Fu arrestato e condannato a cinque anni di lavori forzati per incitamento alla dissidenza e per aver compiuto viaggi illegali all’estero. Due anni più tardi sarà accusato anche di sabotaggio e tradimento e condannato all’ergastolo.
Come fece la polizia a catturare Nelson Mandela? La vicenda rimase oscura per oltre venti anni. Solo nel luglio del 1986, tre giornali sudafricani, ripresi dalla stampa inglese e dalla CBS, spiegarono l’accaduto. Negli articoli veniva chiarito, con dovizia di particolari, che un agente della CIA, Donald C. Rickard, aveva fornito ai servizi segreti sudafricani tutti i dettagli per catturare Mandela, cosa avrebbe indossato, a che ora si sarebbe mosso, dove si sarebbe trovato. Fu così che lo presero.
Mandela rimase in prigione fino al 1990, quando venne liberato grazie a una grande mobilitazione internazionale.
Mandela per il regime razzista sudafricano era un terrorista. Ma era un terrorista anche per alcuni dei più importanti governi del mondo. Per l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher e per il presidente statunitense Ronald Reagan era qualcosa di peggio: un terrorista comunista. I governi di Londra e di Washington hanno a lungo considerato il regime di Pretoria un importante baluardo contro i movimenti di liberazione anticoloniale del continente africano e gli hanno fornito sempre il loro sostegno. Alle Nazioni Unite, questi due Paesi hanno sempre manifestato la propria opposizione alle risoluzioni dell’Assemblea Generale che miravano a contrastare l’apartheid, proprio la stessa politica che stanno a tutt’oggi attuando sulle azioni illegali di Israele nei confronti dei palestinesi. Mandela era ormai una delle più grandi personalità del Pianeta ma, fino al 2008, cioè dopo che gli era stato concesso il premio Nobel per la Pace e aveva già ricoperto la carica di Presidente della Repubblica Sudafricana, il suo nome e quello dell’African National Congress erano ancora nella lista delle organizzazioni terroristiche redatta dal governo statunitense.
nelson fidelNei lunghi anni della prigionia, pochi furono coloro che veramente lo sostennero, non solo verbalmente, ma materialmente, e fra essi ci furono alcuni leader che oggi la stampa addomesticata dell’Occidente, impegnata a riscrivere un’altra storia di Mandela, accuratamente occulta. Ma Mandela, che il sentimento di lealtà non perdette mai, non se ne dimenticò. «Ho tre amici nel mondo», soleva dire, «e sono Yasser Arafat, Muammar Gheddafi e Fidel Castro». Molto stretta e profonda fu, in particolare, l’amicizia con Muammar Gheddafi, che Mandela visitò in Libia soltanto tre mesi dopo la sua scarcerazione. Molti criticarono in quell’occasione la sua visita al leader libico, primo fra tutti Bill Clinton, il Presidente di quello stesso Paese i cui servizi segreti avevano contribuito a incarcerare Mandela ed a fornire il maggior sostegno politico, militare ed economico al regime razzista sudafricano. Ma Mandela, anche in quell’occasione, non mancò di rispondere: «Nessun Paese può arrogarsi il diritto di essere il poliziotto del mondo. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici hanno oggi la faccia tosta di venirmi a dire di non visitare il mio fratello Gheddafi. Essi ci stanno consigliando di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici del passato».
Stessa stima e amicizia mostrò nei confronti di Fidel Castro e del popolo cubano. Lo testimoniano le parole che pronunciò il 26 luglio del 1991, quando Mandela visitò il leader cubano in occasione della celebrazione del trentottesimo anniversario della presa della Moncada: «Fin dai suoi primi giorni la rivoluzione cubana è stata fonte di ispirazione per tutte le persone che amano la libertà. Noi ammiriamo i sacrifici del popolo cubano che cerca di mantenere la sua indipendenza e sovranità davanti alla feroce campagna orchestrata dagli imperialisti, che vogliono distruggere gli impressionanti risultati ottenuti grazie alla rivoluzione cubana».
nelson arafatLe parole di elogio pronunciate dal presidente statunitense Barack Obama il giorno della morte del leader sudafricano stridono fortemente col pensiero che Mandela aveva espresso in più occasioni sulla politica USA: «Se c’è un Paese che ha commesso atrocità inenarrabili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti. A loro non interessa nulla degli esseri umani». Sono parole che Madiba pronunciò al Forum Internazionale delle Donne a Johannesburg, quando gli USA si preparavano a invadere l’Iraq.
Chiare sono anche le parole riguardanti il conflitto israelo-palestinese, riferite da Suzanne Belling dell’agenzia Jewish Telegraph: «Israele deve ritirarsi da tutti i territori che ha preso dagli Arabi nel 1967 e, in particolare, Israele dovrebbe ritirarsi completamente dalle Alture del Golan, dal sud del Libano e dalla Cisgiordania».
Che fare di fronte alla realtà di parole così chiare? Ai media dell’Occidente libero e democratico non resta che un’unica via: quella della censura e della falsificazione della storia.”

Da La memoria nascosta di Nelson Mandela, di Marcella Guidoni.

Inside Job

Suddiviso in cinque capitoli, il documentario Inside Job esamina la crisi globale del 2008 di cui tutt’ora si pagano le conseguenze, di quello che qualcuno ha definito “tsunami” economico, contestualizzando con precisione la situazione, facendo un passo indietro, mostrando i come e i perché si sia arrivati impreparati a quei drammatici giorni, incapaci di porre rimedio a un meccanismo che, una volta inceppato, ha travolto in maniera inarrestabile l’economia mondiale, causando una recessione senza precedenti.
Avvalendosi di economisti, giornalisti, docenti, alternando interviste e dichiarazioni di banchieri, esponenti politici a materiali d’archivio, il film con un ritmo implacabile – risalendo fino agli anni Ottanta e individuando nella deregolamentazione finanziaria, voluta dall’amministrazione di Ronald Reagan, l’origine del tutto – formula il proprio j’accuse con grande maestria, conducendo lo spettatore in un viaggio all’interno del mondo finanziario statunitense. Ne emerge un ritratto allarmante, un’inquietante relazione tra esponenti del mondo economico e della sfera politica, sia a destra che a sinistra, di ieri e di oggi.
Inside Job – espressione inglese per indicare che chi ha commesso il crimine ha le mani in pasta –  mostrando e “spiegando” quel che è accaduto, rende facilmente comprensibili termini quali cartolarizzazione, strumenti derivati, prestiti predatori.
Charles Ferguson, autore del documentario, laureato a Berkeley in matematica, mostra di conoscere bene la materia di cui parla, costruendo un film teso come un thriller, dal ritmo impeccabile e dalla struttura classica.
Inside Job è risultato vincitore del premio Oscar 2011 per la categoria documentari.

Grenada, memoria di una invasione

G“Trent’anni fa, il 25 ottobre del 1983, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, con l’attiva partecipazione dei suoi alleati nella regione caraibica, la Repubblica Dominicana, Barbados e Giamaica, in particolare, decise l’invasione di Grenada (una piccola isola dei Caraibi) con più di 8.000 soldati di forze di terra, mare e aria.
Le truppe statunitensi martoriarono l’isola per diverse settimane, sorpresi da una durissima e inaspettata resistenza dell’esercito rivoluzionario del popolo grenadino e di 1.000 cubani che erano lì per costruire l’aeroporto internazionale dell’isola. L’assalto iniziale avvenne il 25 ottobre 1983, ed era costituito da circa 1.200 soldati, ma trovarono una dura e inaspettata resistenza da parte dell’esercito di Grenada. Pesanti combattimenti continuarono per diversi giorni, ma dopo che la forza di invasione crebbe a 8.000 militari, i difensori soccombettero o dovettero fuggire in montagna.
Gli ottomila marines e i 353 caraibici delle Forze Caraibiche di Pace (FCP), alleati degli USA, ebbero la perdita di 19 militari e 116 feriti; perirono 25 cubani, 59 furono feriti e 638 catturati. Le forze grenadine persero 45 soldati e 358 feriti; 24 civili morirono, molti dei quali nel bombardamento dell’ospedale psichiatrico di Grenada. Cosi, schiacciato nel sangue, finì il tentativo popolare rivoluzionario, guidato da Maurice Bishop, dirigente ancora oggi nel cuore e nella memoria dei grenadini, che era iniziato quattro anni prima; e dopo trent’anni il popolo di Grenada aspetta ancora molte risposte.”

Grenada: ottobre 1993-ottobre 2013, memoria di una invasione, di Enrico Vigna continua qui.

Ronald Reagan, 1986 vs Barack Obama, 2011

Da Reagan ad Obama: questa dettagliata rassegna a cura di Rick Rozoff dimostra l’ipocrisia della politica estera statunitense così come la continuità del progetto imperialista americano…

Ronald Reagan (RR), 14 aprile 1986
Barack Obama (BO), 28 marzo 2011

RR:
“Stamattina alle 7:00 ora locale forze aeree e navali degli Stati Uniti hanno sferrato una serie di colpi contro i quartier generali, le attrezzature terroristiche e le installazioni militari che sostengono le attività sovversive di Mu’ammar Gheddafi.”
BO:
“Posto di fronte ad una brutale repressione e ad un’incombente crisi umanitaria, ho mobilitato navi da guerra nel Mediterraneo… Non era nel nostro interesse nazionale lasciare che avvenisse. Io ho impedito di far sì che avvenisse. E così 9 giorni fa… ho autorizzato l’iniziativa militare.”

RR:
“Alcune settimane fa a New Orleans, avevo avvertito il Colonnello Gheddafi che avremmo considerato il suo regime responsabile…”
BO:
“10 giorni fa, avendo tentato di por fine alla violenza senza ricorrere alla forza, la comunità internazionale aveva offerto a Gheddafi l’ultima scelta fra concludere la sua campagna di uccisioni oppure affrontare le conseguenze.”

RR:
“Il Colonnello Gheddafi non è soltanto un nemico degli Stati Uniti. Il suo curriculum di destabilizzazioni e aggressioni a danno degli Stati confinanti in Africa è ben documentato e ben noto. Egli ha ordinato l’uccisione di cittadini libici in innumerevoli Paesi.”
BO:
“Per più di quattro decenni, il popolo libico è stato governato da un tiranno – Mo’ammar Gheddafi. Costui ha negato la libertà al suo popolo, sfruttato la sua ricchezza, ucciso oppositori in patria ed all’estero e terrorizzato persone innocenti in tutto il mondo – compresi americani che sono stati uccisi da agenti libici.”

RR:
“Oggi abbiamo fatto quel che dovevamo fare. Se necessario, lo rifaremo.”
BO:
“Dunque per coloro i quali avevano dubitato in merito alla nostra capacità di portare a termine quest’operazione, voglio essere chiaro: gli Stati Uniti d’America hanno fatto quel che avevano detto che avrebbero fatto.”

RR:
“Ai nostri amici ed alleati in Europa che hanno cooperato nella missione di oggi, io vorrei solo dire che avrete l’eterna gratitudine del popolo americano.”
BO:
“In quest’operazione, gli Stati Uniti non hanno agito da soli… La nostra alleanza più efficace, la NATO, ha preso il comando per imporre l’embargo delle armi e la No Fly Zone.”

RR:
“L’autodifesa è non solo un nostro diritto, è un nostro dovere. È la motivazione di fondo della missione intrapresa stasera.”
BO:
“Quando i nostri interessi e valori sono in gioco, noi abbiamo la responsabilità di agire. Questo è ciò che è successo in Libia nel corso di queste ultime sei settimane… Io avevo reso chiaro che non avrei mai esitato ad usare il nostro esercito rapidamente, incisivamente ed unilateralmente se necessario per difendere il nostro popolo, la nostra patria, i nostri alleati ed i nostri interessi principali.”

RR:
“Non m’illudo che l’azione di stasera farà calare il sipario sul regno di terrore di Gheddafi. Però questa missione, sebbene sia stata violenta, può avvicinarci ad un mondo più sicuro e più tranquillo per uomini e donne rispettabili. Noi persevereremo.”
BO:
“Ciò non significa che il nostro lavoro sia finito… Gheddafi non è stato ancora scalzato dal potere, e finché non accadrà, la Libia resterà pericolosa.”

RR:
“Stasera io celebro l’esperienza e la professionalità degli uomini e delle donne delle nostre Forze Armate che hanno portato a termine questa missione. È un onore essere il vostro comandante in capo.”
BO:
“Io voglio iniziare riconoscendo i meriti dei nostri uomini e donne in uniforme che, ancora una volta, hanno agito con coraggio, professionalità e patriottismo. Si sono mossi con incredibile rapidità ed efficacia.”

RR:
“Noi Americani ce ne mettiamo prima di arrabbiarci. Cerchiamo sempre vie pacifiche prima di ricorrere all’uso della forza – e lo abbiamo fatto. Noi abbiamo tentato con calma la diplomazia, la condanna pubblica, le sanzioni economiche e le dimostrazioni di forza militare. Non è accaduto nulla. Nonostante i nostri reiterati avvertimenti, Gheddafi ha continuato la sua sprezzante politica di intimidazione…”
BO:
“Per generazioni, gli Stati Uniti d’America hanno svolto un ruolo unico in qualità di appiglio per la sicurezza globale e di avvocato per la libertà umana. Tenendo ben presenti i rischi ed i costi dell’azione militare, noi siamo ovviamente riluttanti all’uso della forza per risolvere le molteplici sfide del mondo. Ma quando i nostri interessi e valori sono in ballo, noi abbiamo la responsabilità di agire.”

[Traduzione di L. Salimbeni]

CIA = Cocaine Import Agency

Il quotidiano Mercury News di San José, California, ha rivelato che durante gli anni del confllitto in Nicaragua agenti della CIA, per finanziare i Contras, avrebbero venduto negli USA almeno cento tonnellate di cocaina.
L’operazione sarebbe stata concertata a tavolino da un agente CIA e alcuni capi dei Contras.
La droga, trasportata con aerei militari fino agli aereoporti del Texas, venne prima distribuita nei ghetti neri di Los Angeles, e da lì, negli anni ’80 si diffuse in tutto il Paese. Il crack e la cocaina distrussero i cervelli, e la volontà di protestare e lottare. E da allora la CIA è diventata “agenzia di importazione di cocaina”.
(…)
Fino agli anni ’80, per via dei costi elevati, la cocaina era consumata soltanto da artisti e i privilegiati del jet set, ma giusto un anno dopo, Reagan autorizzò la costituzione di un esercito per destabilizzare il governo di Daniel Ortega in Nicaragua, divenuto poi noto come fronte democratico nicaraguense (FDN) o Contras. Era agli ordini del colonnello Bermudez, vecchio ufficiale della guardia nazionale.
I finanziamenti, però non erano sufficienti. Fu così che nel marzo del 1982, due esiliati nicaraguensi, Danilo Blandon e Juan Meneses, volarono in Honduras per riunirsi con il colonnello Bermudez, dovevano trattare il finanziamento dei Contras. Meneses era un narcotrafficante noto come “il re della droga”. Presero accordi; Meneses andò a San Francisco a curare limportazione di tonnellate di cocaina, mentre Blandon la distribuiva ai trafficanti. La CIA e il Pentagono, con il colonnello Oliver North, erano già implicati.
(…)
Il giornalista Gary Webb del Mercury News, nel 2002 denunciò il ruolo chiave della CIA nel traffico di armi e cocaina per finanziare la guerra sporca degli USA contro il Nicaragua, operazione resa possibile da una rete di trasporto creata proprio dalla CIA, in Costa Rica, Honduras e El Salvador. Gli aerei partivano da lì e portavano la cocaina agli aereoporti del Texas e della Florida eludendo i controlli della DEA e della dogana, poi tornavano carichi d’armi per i Contras.
La CIA autorizzò tutta l’operazione. All’inizio degli anni ’80 la cocaina negli USA era carissima, perchè non c’era modo di trasportarla in grandi quantità e in modo sicuro ma quando la rete pro Contras si collegò ai cartelli colombiani, Meneses riuscì a far entrare quasi 200 tonellate di cocaina all’anno, facendone abbassare il costo da 50 a 20 mila dollari al chilogrammo, fino ai 10 mila dollari per la grande distribuzione. Ma la cosa peggiore era che nei quartieri poveri era più diffusa sotto forma di crack, con un’impatto devastante, dovuto all’effetto 20 volte più forte di quello della cocaina unito al basso costo.
Mentre il governo statunitense a metà degli anni ’80 lanciava una grossa campagna per salvare la gioventù dai pericoli della droga, la DEA, la Dogana, il dipartimento degli Sceriffi e l’Ufficio Narcotici della California si lamentavano del fatto che le investigazioni sul traffico di droga erano sistematicamente intralciate dalla CIA, motivando le interferenze con interessi di “sicurezza nazionale”.
(…)

Da CIA: Agenzia di Importazione di Cocaina, di Raul Crespo.

La sovversione come professione

Nel 2006, il Cremlino ha denunciato il proliferare di associazioni straniere in Russia, alcuni dei quali presumibilmente coinvolte in un piano segreto per destabilizzare il paese, orchestrato dalla Fondazione Nazionale per la democrazia (National Endowment for Democracy- NED). Per evitare una “rivoluzione colorata”, Vladislav Surkov ha sviluppato una severa regolamentazione di queste “organizzazioni non governative” (ONG). In Occidente, questo provvedimento amministrativo è stato descritto come un nuovo attacco del “dittatore” Putin e del suo consigliere alla libertà di associazione.
Questa politica è stata seguita da altri Stati che, a loro volta, sono stati presentati dalla stampa internazionale come “dittature”.
Il governo degli Stati Uniti garantisce che lavora per “promuovere la democrazia in tutto il mondo.” Sostiene che il Congresso può sovvenzionare la NED e che può, a sua volta e in modo indipendente, direttamente o indirettamente portare assistenza a associazioni, partiti politici o sindacati, lavorando in tal senso in tutto il mondo. Le ONG essendo, come suggerisce il nome, “non governative” possono prendere iniziative politiche che le ambasciate non potrebbero prendere senza violare la sovranità degli stati che le ospitano. L’intera questione è dunque questa: la NED e la rete di ONG che finanzia, sono esse iniziative della società civile ingiustamente punite dal Cremlino o coperture dell’intelligence statunitense colte in piena interferenza?
Per rispondere a questa domanda, torniamo alle origini e dal funzionamento del National Endowment for Democracy. Ma soprattutto, dobbiamo analizzare cosa significa il progetto ufficiale degli Stati Uniti per “l’esportazione della democrazia”.
(…)
Nel suo famoso discorso dell’8 giugno 1982 davanti al Parlamento britannico, il presidente Reagan ha denunciato l’Unione Sovietica come “l’impero del male” e si offrì di aiutare i dissidenti lì e altrove. “Si tratta di contribuire a creare le infrastrutture necessarie per la democrazia: la libertà di stampa, di sindacato, di partiti politici e delle università, i popoli saranno liberi di scegliere la strada che gli converrà per sviluppare la loro cultura e risolvere le controversie con mezzi pacifici”, aveva detto.
Sulla base di questo consenso per la lotta contro la tirannia, una commissione di riflessione bipartisan auspicò l’istituzione a Washington della National Endowment for Democracy (NED). Fu fondata dal Congresso nel novembre del 1983 e immediatamente finanziata.
La Fondazione supporta quattro strutture indipendenti che ridistribuiscono denaro all’estero, mettendolo a disposizione di associazioni, sindacati e padronati, partiti di destra e di sinistra. Esse sono:
l’Istituto dei Sindacati Liberi (Free Trade Union Institute – FTUI), ora rinominato Centro Americano per la Solidarietà Internazionale dei Lavoratori (American Center for International Labor Solidarity – ACILS), gestita dal sindacato AFL-CIO;
il Centro Internazionale per le Imprese Private (Center for International Private Enterprise – CIPE), gestito dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti;
l’Istituto Repubblicano Internazionale (International Republican Institute – IRI), gestito dal Partito Repubblicano;
e l’Instituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (National Democratic Institute for International Affairs – NDI), gestito dal Partito Democratico.
Presentati in questo modo, la NED e i suoi quattro tentacoli appaiono basati sulla società civile, riflettendo la diversità sociale e il pluralismo politico. Finanziate dal popolo statunitense, attraverso il Congresso, avrebbero lavorato a un ideale universale. Esse sarebbero completamente indipendenti dall’amministrazione presidenziale. E l’azione trasparente non potrebbe nascondere operazioni segrete che servano a interessi nazionali inconfessati.
La realtà è completamente diversa.
(…)
Con il voto per la fondazione della NED, il 22 novembre 1983, i parlamentari non sapevano che già esistesse in segreto, con una direttiva presidenziale del 14 gennaio.
Questo documento, che è stato declassificato vent’anni dopo, organizza la “diplomazia pubblica”, termine politicamente corretto per indicare la propaganda. Esso crea alla Casa Bianca dei gruppi di lavoro interni al Consiglio di Sicurezza Nazionale, tra cui uno con la responsabilità di guidare la NED.
Henry Kissinger, direttore del NED. “Un rappresentante della società civile”? Di conseguenza, il consiglio d’amministrazione della Fondazione non è che una cinghia di trasmissione del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Per mantenere le apparenze, si decise che, in modo generale, agenti ed ex agenti della CIA non potessero essere nominati amministratori.
Le cose sono tuttavia trasparenti. La maggior parte dei funzionari che hanno giocato un ruolo centrale nel Consiglio di Sicurezza Nazionale, sono stati amministratori della NED. Questo è per esempio il caso di Henry Kissinger, Frank Carlucci, Zbigniew Brzezinski e Paul Wolfowitz; personalità che non passeranno alla storia come l’ideale della democrazia, ma della strategia cinica della violenza.
Il bilancio della Fondazione non può essere interpretato in modo isolato, ricevendo istruzioni dal Consiglio di Sicurezza Nazionale per intraprendere azioni all’interno di ampie operazioni inter-agenzie. I fondi soprattutto provengono dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e passano senza che figurino nel bilancio del NED, proprio per “non-governalizzarli”. Inoltre, la Fondazione riceve soldi indirettamente dalla CIA, dopo essere stata riciclata da intermediari privati, come la Smith Richardson Foundation, la John M. Olin Foundation o la Lynde and Harry Bradley Foundation.
Per valutare la portata di questo programma, dobbiamo combinare il bilancio della NED con le corrispondenti voci di bilancio del Dipartimento di Stato, dell’USAID, della CIA e del Dipartimento della Difesa. Tale stima è impossibile.
Tuttavia, alcuni elementi noti consente di avere un ordine di grandezza. Gli Stati Uniti hanno speso negli ultimi cinque anni, un miliardo di dollari per le associazioni e i partiti in Libano, un piccolo paese di 4 milioni di abitanti. Nel complesso, la metà di questa manna è stata pubblicamente rilasciato da Dipartimento di Stato, USAID e NED, e l’altra metà è stata versata segretamente dalla CIA e del Dipartimento della Difesa. Questo esempio viene utilizzato per estrapolare il bilancio generale della corruzione istituzionale da parte degli Stati Uniti, che è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, il programma equivalente dell’Unione europea, che è interamente pubblico e propone l’integrazione delle azioni degli Stati Uniti, è di 7 miliardi di euro all’anno.
In definitiva, la struttura giuridica della NED e il volume del suo bilancio ufficiale sono solo delle esche. In sostanza, non è un organismo indipendente per le azioni legali precedentemente assegnate alla CIA, ma è una vetrina a cui il Consiglio di Sicurezza Nazionale da l’incarico di eseguire gli elementi legali delle operazioni illegali.
(…)

Da NED vetrina legale della CIA, di Thierry Meyssan.

CIA, P2 e l’omicidio di Olof Palme

N.B.: il codice penale svedese prevede un limite di 25 anni per lo svolgimento dell’istruttoria processuale per omicidio, ovvero fino al 2011, dopodiché il caso dovrà essere archiviato.
L’arma del delitto non è mai stata trovata.

Manuel faccia d’ananas

Non aver obbedito agli USA gli è costato una condanna a quaranta anni di carcere, dopo essere stato deposto dal governo di Washington con un’invasione militare. Lo afferma, da un’aula di Tribunale a Parigi, dove è stato estradato per reati minori, l’ex Generale e Presidente panamense, Manuel Noriega, che degli USA è stato agente fedele prima e nemico giurato poi. L’ex uomo forte di Panama, che a Parigi ha subìto una nuova condanna a sette anni per riciclaggio di narcodollari, riapre così, a venticinque anni di distanza, una delle pagine più nere della storia dell’intelligence e della politica statunitense.
Va anche detto che Noriega non è stato l’unico – e non sarà probabilmente l’ultimo – a passare dalle stelle alle stalle nella considerazione statunitense: basti pensare sia a Saddam Hussein che, soprattutto, a Osama bin Ladin, oggi il numero uno dei ricercati USA, ma ieri collaboratore fedele della CIA e del Pentagono (che diede, tra l’altro, alla famiglia bin Ladin, una delle più importanti commesse militari).
Dall’organizzazione dei Mujaheddin afgani contro i sovietici, fino all’invio dei combattenti islamici in Bosnia contro i serbi, Osama bin Ladin ebbe un ruolo anche nello scandalo Iran-contras, lo scambio di armi, droga e denaro tra l’Amministrazione Reagan e l’Iran di Khomeini, attraverso il quale la CIA finanziò la guerra contro il legittimo governo sandinista in Nicaragua, costata 50.000 morti al piccolo Paese centroamericano.
Ma se lo sceicco ha preferito tacere sugli ambigui rapporti con l’intelligence militare statunitense, Manuel Noriega ha invece scelto di raccontare come divenne un nemico giurato degli USA dopo esserne stato un alleato.
Ma chi era Manuel Noriega? In patria lo soprannominavano cara de pina (faccia d’ananas). Per via del volto butterato, certo, ma anche a causa di una buona dose di cinismo e ipocrisia, doti che lo aiutarono non poco ad arrivare al vertice del Paese.
(…)
Arruolato dalla CIA nei primi anni ’70, come ammesso dall’ex direttore generale di Langley, l’Ammiraglio Stanfield Turner, Noriega – stipendiato con 100.000 dollari all’anno – rimase vincolato all’agenzia fino al febbraio del 1988, quando la DEA spiccò un mandato di cattura internazionale per traffico di droga.
E’ utile ricordare che nel 1981, l’allora Presidente panamense, Omar Torrijos, venne fatto saltare in aria mentre si trovava a bordo di un elicottero: la United Fruit Company non aveva certo gradito la riforma agraria del generale divenuto presidente. E che gli Stati Uniti abbiano avuto molto a che fare con l’attentato, é stato rivelato ampiamente da documenti declassificati.
E Noriega? Beh, guarda caso, subito dopo la morte di Torrijos, divenne Capo di Stato Maggiore delle Forze armate panamensi. Non più, quindi, un affiliato alla CIA tra i tanti, ma un interlocutore privilegiato importante per Langley. Ma che Noriega fosse implicato nel traffico di droga non vi sono dubbi, come non ve ne sono sul fatto che lo realizzasse in nome e per conto suo personale e della CIA.
Noriega divenne un uomo fondamentale per gli USA, perché straordinariamente importante era l’istmo di Panama, il cui omonimo canale era – ed è – l’unica via marittima di collegamento tra Oceano Pacifico e Oceano Atlantico ed è passaggio obbligato nel collegamento tra nord e sud del continente americano. Se si pensa a cosa questo significhi sotto il profilo del controllo commerciale e militare, si capisce come mai gli USA abbiano avuto nel controllo di Panama una delle loro (tante) ossessioni dominanti. E il generale panamense divenne l’uomo giusto al momento giusto.
Noriega diede un notevole aiuto alle operazioni più sporche dell’Amministrazione Reagan, ma “la madre di tutte le operazioni” era certamente quella che la Casa Bianca mise in piedi per finanziare i contras nicaraguensi, impegnati nell’aggressione al governo sandinista in Nicaragua.
(…)
Il denaro arrivava dal traffico di droga organizzato con i narcos colombiani e le armi venivano acquistate con i proventi della droga. Venne alla luce il ruolo dell’aviazione militare salvadoregna, vera e propria agenzia di viaggi della coca proveniente dalla Colombia.
Dalla base aerea di Ilopango, in El Salvador, fino in Texas, la coca viaggiava ben custodita e non sorvegliata. Destinazione Los Angeles, dove operava Freeway Rick, spacciatore nicaraguense che diffuse crack in tutti gli States. La Commissione Kerry del Senato americano, appurò poi che anche l’aereoporto militare della Florida era una delle destinazioni previste di questi viaggi a basso rischio ed alto profitto.
E che il traffico di droga, dentro e fuori gli States, servì per finanziare i contras, venne dimostrato dalle inchieste giornalistiche realizzate da Gary Webb, pubblicate dal San Jose Mercury News e successivamente raccolte nel libro “The dark alliance”. Gli articoli gli valsero per due volte il Premio Pulitzer di giornalismo, ma non gli salvarono la vita. Gary Webb venne “suicidato” nel 2005. Dissero che si era ucciso, ma i colpi sul volto erano due: strano modo, per non dire impossibile, di suicidarsi…
(…)
Succede perciò che le pressioni della CIA verso cara de pina aumentano. Non chiedono più solo un ruolo di logistica e di sostegno diplomatico, ma vogliono che Panama divenga la base fondamentale per la guerra contro il Nicaragua e contro l’FMLN in El Salvador. Ma Noriega non ci sta, non vuole coinvolgere Panama in un ruolo attivo contro il Nicaragua e Cuba.
Dapprima respinge le richieste dell’esponente della destra salvadoregna, Roberto D’Abuisson, capo degli squadroni della morte e mandante dell’assassinio di Monsignor Romero, di limitare i movimenti dei capi del FMLN a Panama; successivamente, cosa molto più determinante per la sua fine, respinge le richieste del tenente colonnello statunitense Oliver North, che chiede di fornire assistenza militare ai contras del Nicaragua.
Noriega insiste oggi – ma non da oggi – nel dire che il suo rifiuto di andare incontro alle richieste di North sta alla base della campagna statunitense per estrometterlo. E sostiene che siano proprio gli USA ad averlo incastrato. Il rifiuto di prestare Panama alla pianificazione dell’aggressione militare al Nicaragua divenne motivo di scontro aperto con i suoi vecchi capi. Noriega non era più né fedele, né fidato. Era di nuovo, soltanto, cara de pina.
(…)
Il rifiuto del generale darà così il via all’operazione mediatica, politica e infine militare destinata a destituirlo. Il 20 Dicembre del 1989, Washington invade l’isola con 27.000 marines e rangers. Dopo cinque giorni di combattimenti contro i “battaglioni della dignità nazionale”, gli USA prendono il controllo dell’istmo e Noriega, che si era rifugiato nella Nunziatura apostolica, si arrende il 3 Gennaio del 1990. Washington mette al suo posto Guillermo Endara, che presta giuramento – simbolicamente, si potrebbe dire – nella base militare USA a Panama.
(…)

Da CIA e droga: parla Noriega, di Fabrizio Casari.

“Bob” Seldon Lady

“Bob” Seldon Lady, l’ex capo della stazione della CIA a Milano, colui che comandava i 23 agenti della “super agenzia” yankee condannati in Italia per aver sequestrato, torturato e poi fatto “scomparire” l’iman egizio Abu Omar nella città italiana di Milano nel 2003, era una figura chiave nella rete che dall’Honduras ed El Salvador scambiò armi per cocaina a sostegno della contra nicaraguense negli anni ’80.
(…)
Lady, un nordamericano di 52 anni, è nato nell’Honduras e partecipò insieme a suo padre in operazioni dell’Agenzia Centrale d’Intelligence degli Stati Uniti nella guerra sporca contro i sandinisti nicaraguensi, prima di arruolarsi dopo il 2001 in una “Operazione Condor” in versione mediorientale.
Tra i 26 imputati della fase iniziale della causa in Italia, si trovava una donna – Betnie Medero – ora presuntamente residente in Messico che è stata a capo del comando così come una misteriosa funzionaria del Dipartimento di Stato, Mónica Courtney Adler.
(…)
Tra i membri del comando di sequestratori, è di particolare interesse il caso di Betnie Medero. Questa donna di 33 anni aveva l’incarico di seconda segretaria nell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma. E’ arrivata in Italia nell’agosto 2001 con credenziali diplomatiche e – secondo il Corriere della Sera – ha personalmente diretto il sequestro in situ, oltre ad avere poi assicurato il trasferimento dell”ostaggio fino alla base statunitense di Aviano, nel nord del paese. Ora si ritiene che sia in Messico, con legami con la locale ambasciata USA, secondo lo stesso quotidiano italiano.
Medero ebbe due complici principali in quest’azione, che sembra ripresa da un film di Hollywood: James Thomas Harbison, di 58 anni , e Vincent (o Vicent o Vicente) Faldo, di 57 anni. Comunque, le caratteristiche del capobanda, Robert “Bob” Lady, illustrano l’estensione delle operazioni dell’agenzia nordamericana in tutto il mondo. Figlio di William “Bill” Lady, un vecchio agente della CIA radicato in Honduras, “Bob” Lady diresse insieme a Manuchar Ghorbanifar – un sulfureo negoziante iraniano – la vendita segreta di armi all’Iran che, insieme alle operazioni di narcotraffico dirette da El Salvador da Félix Rodríguez Mendigutía e Luis Posada Carriles, hanno provocato il più grande scandalo che colpi l’amministrazione Reagan.
Lady portò avanti i suoi loschi collegamenti sotto gli ordini del tenente colonnello dei marines Oliver North, che ha anche comandato le operazioni ad Ilopango, anch’esse allo scopo di fornire illegalmente armi alla contra nicaraguense.
Queste operazioni si svilupparono anche in parallelo con la rete di contrabbando del multimilionario Gerard Latchinian, padrino dell’imprenditore Yehuda Leitner, attuale fornitore di armi ed di equipaggiamenti per reprimere della dittatura Micheletti.
“Bob” Lady continuava ad operare in America Centrale nel 1994, quando la spia Aldrich Ames “lo bruciò”, rivelando il suo nome all’intelligence sovietica, secondo quanto sostiene la stampa nordamericana. Il suo nome fu poi associato al “Nigergate”, quell’operazione di disinformazione che giustificò l’occupazione dell’Iraq con il pretesto – completamente inventato – che Saddam Hussein tentava di acquisire uranio in Niger.
Lady è fuggito precipitosamente dall’Italia nel giugno 2005, quando seppe che la magistratura di quel paese si interessava del sequestro di Abu Omar. Avvertita, sua moglie, cancellò tutti i files del suo computer, ma gli specialisti della polizia riuscirono a recuperarne una buona parte. Anzi, gli inquirenti trovano prove del soggiorno di due settimane di Lady in El Cairo, proprio quelle in cui cominciò l’interrogatorio dell’iman di Milano.
Alcune fonti assicurano che “Bob” Lady si trova ora di ritorno in America Centrale.
(…)

Da L’ex capo della CIA a Milano coinvolto nella rete terroristica di Posada Carriles, di Jean-Guy Allard.

Quando i Carabinieri circondarono le Delta Force

carabinieri a sigonella“La telefonata, allora non esistevano i cellulari, gli arrivò a casa, alle due di notte: «Dottore, deve venire. E’ atterrato un aereo…». Roberto Pennisi era il sostituto procuratore di turno, a Siracusa. Si vestì, aspettò l’auto dei carabinieri e si mise in viaggio. Un’ora per arrivare a Sigonella. Entrò nella base, vide l’aereo, i militari americani che circondavano il velivolo, i carabinieri che circondavano a loro volta i militari a stelle e strisce. E per ventiquattr’ore fu testimone e protagonista nello stesso tempo dell’epilogo della drammatica vicenda dell’Achille Lauro, con la consegna dei quattro terroristi palestinesi, autori del sequestro e dell’omicidio del cittadino americano Leon Klinghoffer, ebreo.
Va bene, sono passati ventiquattr’anni dal dirottamento della nave da crociera italiana. I quattro colpevoli hanno scontato la pena. Anche il capo del commando, Youssef Maged al Molky, ha lasciato l’Italia, il primo maggio scorso, destinazione Damasco (lui non voleva andarci, convinto che sarebbe stato eliminato). Ma ancora oggi, nell’immaginario collettivo, quella vicenda viene tramandata come l’esempio di un Paese che mostrò gli attributi, che, per la prima volta, non si piegò ai desiderata degli alleati americani. Ancora adesso, e l’ultimo in ordine di tempo è stato Walter Veltroni, si ricorda lo «statista» Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, che seppe dire no a Ronald Reagan. «Di cosa può andar fiera una nazione – si domanda oggi il magistrato – che prende per i fondelli se stessa?».
Un grande inganno. Roberto Pennisi e Alessandra Nardini hanno raccolto in un libro, che uscirà a settembre – «Il mistero di Sigonella» (Giuffrè editore) -, i fatti accaduti in quell’arco di tempo di ventiquattr’ore. La testimonianza di Pennisi propone un’altra storia, che sintetizza così: «In quelle ventiquattr’ore si consumò una doppia privazione della sovranità nazionale del nostro Paese, sia da parte degli alleati americani – la limitazione in quel caso la subimmo – che degli interlocutori arabo-palestinesi, e in quel caso l’accettammo. Sia chiaro, posso pure capirne le ragioni, ma non posso giustificarle».
Questa privazione di sovranità ha a che fare con l’autonomia e la competenza della magistratura penale per i fatti criminali, messe in discussione: «In quelle ventiquattr’ore – spiega Pennisi – il pm doveva applicare la legge. E solo parzialmente è riuscito a farlo. Doveva individuare i responsabili del reato e assicurarli alla giustizia. E ciò non è avvenuto, perché non è riuscito a impedire che qualcuno dei sospettati, munito di salvacondotto, lasciasse il nostro Paese». Non solo, Pennisi avrebbe dovuto perseguire anche gli alleati americani, protagonisti di un dirottamento aereo, il velivolo egiziano doveva raggiungere Tunisi, dell’ingresso di un manipolo di militari, la Delta Force, in armi sul suolo italiano. E anche di sequestro di persona, i passeggeri del velivolo egiziano. Ma evidentemente non lo fece per motivi di opportunità: «Del resto, senza l’intervento americano come avremmo potuto arrestare i sequestratori?».
(…)
La suggestione è forte, e Pennisi accenna a un parallelismo con le antiche vicende palermitane tornate d’attualità in queste ore: «A questo punto che differenza c’è tra la trattativa con gli americani e i palestinesi e la trattativa con Cosa Nostra? Perché non si trattava anche con la mafia di evitare altre stragi?».
Naturalmente, la sua è un’osservazione paradossale. E però affonda la lama, Pennisi: «Se l’Italia fosse stata davvero autonoma, nessun Paese straniero si sarebbe permesso di violare il nostro territorio in armi. Nessuno avrebbe mai neppure immaginato di fare ciò che è successo a Sigonella in Paesi quali la Francia, l’Inghilterra, persino la Spagna. E non è stata forse violazione la mancata possibilità di applicare la legge?».”

Da Il giallo di Sigonella, 24 ore per un inganno di Guido Ruotolo.
[grassetto nostro]

Sigonella, 11 ottobre 1985

NATO per restare ricchi (fra yankees)

 

PREMESSA:
scriveva John Kleeves, in “Vecchi trucchi”, un aureo libretto dedicato alle strategie ed alla prassi della politica estera statunitense pubblicato nell’ormai lontano 1991 ma ancora estremamente attuale:

La politica estera americana è determinata da due fattori: il modo in cui gli Stati Uniti sono organizzati politicamente all’interno, ed il carattere degli americani. Per quanto riguarda l’organizzazione politica interna c’è da dire che gli Stati Uniti sono un’oligarchia, e precisamente un’oligarchia basata sulla ricchezza. (…) Il secondo fattore… è il carattere degli americani. Ogni popolo ha nel carattere un elemento saliente, che domina su tutti gli altri e li condiziona. Questo elemento nel caso degli americani è chiarissimo: è l’ingordigia, l’avidità di cose materiali. Se fosse vero che l’uomo è un misto di materia e spirito, allora sarebbe giusto dire che gli americani sono fatti quasi esclusivamente della prima. Gli americani insomma adorano il denaro, che a loro non basta mai. Essi hanno come scopo nella vita quello di arricchire, uno scopo che in loro è del tutto fine a se stesso. (…)
Alla fine, visti l’organizzazione politica interna ed il carattere nazionale, gli Stati Uniti sono sinteticamente così descrivibili: un’oligarchia mercantile ossessivamente ed aggressivamente dedita ad aumentare la propria ricchezza. L’obiettivo della politica estera americana è così determinato: esso non può essere altro che quello di agevolare le attività economiche all’estero dei propri imprenditori in modo che siano le più proficue possibili. (…) Si comprende meglio la politica estera americana – la si capisce anzi perfettamente – se si pensa agli Stati Uniti non come ad un paese come un altro, ma come un’enorme impresa commerciale privata, con un bilancio aziendale pari ad un terzo del bilancio di tutti i paesi del mondo messi assieme, privata ma armata, dotata di un “esercito aziendale”…
Gli Stati Uniti dai loro rapporti col mondo vogliono dunque questo: esportarvi ed investirvi proficuamente, il più proficuamente possibile. Tali esigenze meramente economiche si trasformano rapidamente in precise esigenze politiche. (…)
Le esportazioni più proficue sono quelle che si rivolgono ad un paese ad economia di mercato, e dove il governo non pone tariffe o restrizioni di sorta alle importazioni. (…) Anche gli investimenti più proficui sono quelli fatti in un paese ad economia di mercato.

Estremista? Visionario?
Beh, portiamo un mattone a sostegno della tesi di Kleeves.
Il 24 aprile 1999, la NBC trasmise una puntata del programma di John McLaughlin, “One on One”, che vedeva la partecipazione di due ospiti: il generale William Odom ed il professor Harvey Sapolsky. Ci concentreremo su alcune affermazioni fatte dal generale Odom.
Egli fu presentato come un laureato di West Point con un dottorato conseguito alla Columbia University. Ha prestato servizio nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale del presidente Jimmy Carter e, durante l’amministrazione Reagan, nell’ufficio dei Capi di Stato Maggiore per l’intelligence ed al servizio del direttore dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale (la NSA, il servizio informazioni delle Forze Armate). All’epoca della trasmissione era direttore degli Studi sulla Sicurezza Internazionale all’Hudson Institute ed insegnava Organizzazione e Sistema Politico al dipartimento di Scienze Politiche del prestigioso MIT, dove dirigeva anche il Programma di Sicurezza. Il generale Odom ha al suo attivo anche numerosi libri.
Quello che fosse (sia) il vero scopo della NATO è stato svelato proprio all’inizio dell’intervista con il generale Odom, realizzata nel corso della trasmissione televisiva.

Odom: “La NATO fu creata non come molti credono per difendere contro la minaccia militare sovietica. I francesi nella discussione non menzionarono neppure l’Unione Sovietica. Volevano che la NATO si occupasse della questione tedesca. I britannici volevano che la NATO mantenesse gli Stati Uniti in Europa”.
McLaughlin: “Saremo noi a dirigere l’Europa?
Odom: “Paga. Sì.
McLaughlin: “Perché paga?
Odom: “Oggi siamo più ricchi per questo. Siamo stati un’eternità in Corea, in Giappone ed in Germania, e ha pagato… se guarda al passato e vede cosa è successo negli anni, ci siamo arricchiti sempre più.
McLaughlin: “ Gli Stati Uniti possono difendere i propri interessi in Europa senza la NATO?
Odom: “No , perché in Europa realizziamo i nostri interessi, che consistono nel preservare sistemi democratici liberali con prospere economie di mercato. Quando succede, ci arricchiamo.

Elementare, Watson.