Sara Reginella, una voce per il Donbass

“Start Up a War – psicologia di un conflitto”, quarto lavoro sulla guerra nel Donbass della documentarista italiana Sara Reginella, distribuito da Premiere Film, sta seguendo un percorso festivaliero iniziato all’European Film Festival di San Pietroburgo, dove è arrivato in finale, e proseguito, tra gli altri festival, al Virgin Spring Cinefest di Calcutta, premiato come Gold Award Documentary del mese di luglio.
Saker Italia ha seguito Sara nel percorso di maturazione tecnica ed artistica che ha intrapreso, guidata dalla convinzione che, nel mondo contemporaneo, i conflitti si combattono sul piano comunicativo prima che sul campo di battaglia (e che, quindi, la scia di morte e distruzione che ogni guerra guerreggiata porta con sé, possa essere provocata, ma anche scongiurata, dall’esito della guerra informativa che si combatte a monte).
All’origine dell’impegno di Sara la sua formazione di psicologa e psicoterapeuta e la constatazione del fatto che, come nei rapporti fra persone, anche in quelli fra stati e fazioni del conflitto la radice del problema risieda spesso nella rimozione e nella negazione delle ragioni e degli interessi di una delle parti coinvolte.
È questo il “filo rosso” che lega le prime opere del 2015 (“I’m italian” e “Voci”), quella del 2016 (“Le stagioni del Donbass”, arricchita anche dalla maggiore conoscenza della situazione sul campo, maturata lavorando in loco) e l’ultimo documentario appena uscito nel circuito dei festival.
Saker Italia ha chiesto a Sara di fare il punto della situazione. Potete leggere le sue risposte qui.

Il silenzio degli indecenti – il video

La video documentazione dell’incontro-dibattito sulla guerra nel Donbass e la catastrofe umanitaria dimenticata, svoltosi a Bologna lo scorso 18 maggio, con la proiezione del docufilm Stagioni del Donbass e l’intervento di Sara Reginella, psicoterapeuta, regista, impegnata in progetti di sensibilizzazione sul conflitto nel Donbass, ed Ennio Bordato, presidente dalla Onlus Aiutateci a salvare i bambini.
Buona visione!

Il silenzio degli indecenti: incontro-dibattito a Bologna

La guerra nel Donbass e la catastrofe umanitaria dimenticata

Secondo l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la guerra del sud-est Ucraina ha provocato almeno 9.940 morti e 23.455 feriti. Probabilmente queste cifre prudenziali devono essere riviste al rialzo: nel febbraio del 2015 Frankfurter Allgemeine Zeitung, citando fonti dell’intelligence tedesca, stimò che il numero effettivo delle vittime del conflitto potesse essere di 5 volte superiore a quello indicato nelle statistiche ufficiali. Secondo il Centro Internazionale per il Monitoraggio dei Profughi Interni, 1,6 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le zone colpite dalla guerra per trasferirsi in altre regioni dell’ Ucraina. Il Servizio Federale di Migrazione della Federazione Russa riferisce che 1,1 milioni di cittadini ucraini provenienti dal sud-est del Paese vivono in Russia, nella grande maggioranza dei casi in fuga dal conflitto.
L’enormità di questa tragedia, geograficamente tanto vicina a noi, risalta in maniera netta con il disinteresse dei governi e dei media occidentali. Scandalo nello scandalo: l’informazione non è solo poca, ma anche a senso unico. Nelle nostre TV e sui nostri giornali le ragioni degli uomini e delle donne del Donbass spariscono, mentre la versione dei fatti fornita del governo ucraino viene rilanciata spesso senza il minimo vaglio critico. Questo tipo di informazione non consente all’opinione pubblica di rappresentarsi correttamente quanto avviene, con la conseguenza che il campo politico è occupato da chi non ha nessun interesse a risolvere il conflitto. Spetta quindi alle iniziative spontanee provenienti dalla società civile il compito di supplire alle carenze dell’informazione. L’evento proporrà al pubblico un docufilm, “Stagioni del Donbass”, che verrà commentato da personalità attive nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica italiana, Ennio Bordato e Sara Reginella.

Peggio di così non potrà andare

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“E’ inutile, completamente, assolutamente, inutile, perdere ore a spiegare alchimie istituzionali nel tentativo di dimostrare il (discutibile) assunto secondo cui il Sì al referendum del 4 dicembre porterebbe uno Stato più efficiente. Efficiente per far cosa? Per far piovere sulle nostre teste senza scomodi intralci democratici i diktat della Trojka prossima ventura? Per consentire la continuazione del sacco delle ricchezze pubbliche ad opera dei mammasantissima di Davos? Per consolidare alla nostra guida una classe dirigente che ci disprezza e ci governa con piglio proconsolare attraverso un sistema elettorale truccato? Per trascinarci nell’ ennesima guerra imperiale in obbedienza agli “obblighi internazionali” (art. 55 Cost. riformulato) trovandoci grigliati dalle bombe prima di aver avuto il tempo di chiedere spiegazioni?
Lo sanno tutti che la finalità è questa, che di questo si tratta. Le lusinghe non servono più. E la cosa peggiore per chi fabbrica le lanterne colorate della informazione mainstream è che anche le minacce e le storie di streghe ormai fanno cilecca (vedi la Brexit e le presidenziali USA). L’unica arma rimasta in mano allo 0,1% è la paura dell’ignoto e dell’incognito. Cosa ci succederà dopo? Che ne sarà di noi, dei nostri cari, dopo che avremo compiuto l’ultimo passo nel “precipizio populista”, che avremo avuto il coraggio di dire No a chi ci vuole togliere anche il poco che resta per rendere definitiva la nostra servitù?
E’ il momento culminante di ogni trasformazione. Quello in cui il passato ormai è inaccettabile, ma il futuro ancora ci spaventa. Ma è solo un attimo. Sappiamo che le poche certezze che ci restano sono finte come la minaccia russa, finte come l’ economia inglese in pezzi post Brexit o come il mondo in rovina post Trump, che i mostri là fuori sono fantasie dipinte sui muri. E che il processo senza fine di riforme, la nostra casetta a cui da 25 anni siamo legati, è fondato su un macigno che, come quelli del coyote nei cartoni animati, sta precipitando nell’abisso, trascinandoci giù senza che nemmeno ce ne accorgiamo, mentre aspettiamo che torni la crescita miracolosa che è sempre dietro la riforma che non abbiamo ancora approvato.
Nel 1867 la Baviera “fece le riforme”, tagliò i costi della sua politica, per farsi fagocitare nel secondo Reich e lanciarsi con il resto della Germania nell’avventura militare, l’”inutile strage”. Dieci anni prima, nel 1857, gli Inglesi semplificarono la struttura istituzionale dell’India, e la riforma funzionò egregiamente: li mise in condizione di dominare il Paese ancora per un secolo, e impegnando la metà degli uomini che servivano prima. Prima di decidere se la briglia è utile è bene verificare di essere il cavaliere e non il cavallo.
Il 4 dicembre Saker Italia invita i suoi lettori a dire No. Peggio di così non potrà andare. Tutto quello che oggi la Russia può fare per noi è darci l’esempio, insegnarci che anche noi Italiani, come i Russi “abbiamo ali che ci impediscono di strisciare” (Maria Zakharova). Spicchiamo il volo.”

Da Saker Italia: appello per il No, di Marco Bordoni.

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Russofobia – il video

In quattro parti, la documentazione dell’incontro-dibattito svoltosi a Bologna lo scorso 19 novembre, in occasione della pubblicazione del libro Russofobia. Mille anni di diffidenza dello storico svizzero Guy Mettan, presso Sandro Teti editore.
Con gli interventi di Maurizio Carta, giornalista, curatore e co-autore di Attacco all’Ucraina (Sandro Teti editore), Marco Bordoni della redazione di sakeritalia.it e Paolo Borgognone, storico, autore di Capire la Russia (Zambon editore).

A cura di BelzeBO (per informazioni e contatti: belzebo@mail.com, facebook.com/BelzeBo)

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Anteprima dell’incontro-dibattito svoltosi a Bologna, il 19 novembre 2016, in occasione della pubblicazione del libro “Russofobia. Mille anni di diffidenza” dello storico svizzero Guy Mettan, presso Sandro Teti editore.
Con gli interventi di Maurizio Carta, giornalista, curatore e co-autore di “Attacco all’Ucraina” (Sandro Teti editore), Marco Bordoni, redazione sakeritalia.it e Paolo Borgognone, storico, autore di “Capire la Russia” (Zambon editore).

Russofobia: incontro-dibattito a Bologna

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Nata in Francia sotto Luigi XV, la russofobia è stata utilizzata da Napoleone per giustificare un’animosità verso la Russia, che era un ostacolo alla politica espansionistica francese.
In Inghilterra, la russofobia apparve intorno al 1815, allorché, alleata con la Russia, sconfisse Napoleone. Una volta che il nemico comune fu sconfitto, l’Inghilterra invertì la rotta e fece della Russia il suo nemico, alimentando la russofobia. Dal 1820, Londra utilizzò un’ideologia anti-russa per mascherare le sue politiche espansionistiche, sia nel Mediterraneo sia in altre regioni – Egitto, India e Cina.
Il terzo tipo di russofobia è americano, ed è iniziato nel 1945. Non appena gli Stati Uniti hanno sconfitto la Germania attraverso iniziative comuni con l’URSS, a costo di milioni di vite sovietiche, hanno disseminato la stessa narrazione creata dopo la vittoria su Napoleone nel 1815. Essi hanno invertito la rotta e l’alleato del giorno prima è diventato il loro principale nemico. Così è iniziata la Guerra Fredda.
Gli Americani hanno usato gli stessi argomenti degli Inglesi nel 1815, sostenendo che essi “combattevano contro il comunismo, la tirannia, l’espansionismo”, e i loro argomenti erano ben poco diversi, fatta eccezione per la cosiddetta lotta contro il comunismo. Questa si è rivelata un trucco, perché al crollo dell’Unione Sovietica il confronto tra l’Occidente e la Russia non è terminato.
Oggi, a quasi trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, la russofobia resta una componente chiave della politica estera statunitense, portata avanti in modo fervido dai sostenitori del cosiddetto partito della guerra a Washington. Sembra che l’America sia incapace di venire a patti con il fatto che gli anni ‘90 sono finiti. Oggi, la Russia non è più in macerie, e gli USA non sono più così potenti ed egemonici come lo erano dopo la caduta del Muro di Berlino.
Con il pretesto di assistere l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno attivamente rafforzato la propria presenza militare nell’Europa dell’Est, schierando un gran numero di soldati e insediando centri avanzati di comando e controllo negli Stati che sono entrati nella NATO dopo il 1989. In modo analogo in Siria, il conflitto è causato dalla volontà di ridisegnare la mappa del Vicino Oriente, rovesciando i governi sgraditi nella regione, per consentire agli Stati Uniti di ottenere il controllo delle fonti energetiche e non solo. Quando la Russia, per richiesta del governo siriano, è stata coinvolta nelle crisi, Washington era furiosa.
Nel tentativo di compromettere la Russia e le sue posizioni nel mondo, Washington oggi adopera una vasta collezione di strumenti per spargere la russofobia, sfruttando i cosiddetti Panama Papers, il tragico incidente dell’aereo MH17 della Malaysian Airline abbattuto sul Donbass, il cosiddetto “scandalo del doping” nelle ultime Olimpiadi, la situazione in Siria e via di questo passo, il tutto accompagnato dal regime di sanzioni economico-commerciali imposte da Washington (e Bruxelles) contro la Russia a causa degli eventi in Ucraina.
Un sempre maggior numero di analisti e uomini politici, però, chiedono di sapere perché il partito delle guerra negli USA si oppone in modo così inflessibile a qualunque cooperazione con la Russia in qualsiasi parte nel mondo. La richiesta di fermare la demonizzazione della Russia diventa sempre più forte, perché sbarra la strada ad un’autentica e produttiva cooperazione bilaterale che consentirebbe alla comunità internazionale di risolvere i più pressanti problemi globali.
Perché altrimenti, affascinati dalle proprie idee paranoiche di russofobia, i più adamantini sostenitori di questo partito della guerra potrebbero incorrere nella triste sorte di James Forrestal, Segretario della Difesa degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, campione nel promuovere la russofobia e l’isteria anticomunista nella società americana, che il 22 maggio 1949 si gettò dalla finestra, e le ultime parole pronunciate dalla sua bocca furono: “Arrivano i Russi!”.