USAID aumenta i finanziamenti alle ONG e ai media dei Paesi della CSI per ridurre l’influenza russa

È improbabile che Washington riesca a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se falsamente descriverà alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo.

Di Ahmed Adel, ricercatore di geopolitica ed economia politica che fa base a Il Cairo, per South Front, 5 dicembre 2022

L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha finanziato nella seconda metà del 2022 il cosiddetto “sostegno alla democrazia” per un importo di 248 milioni di dollari nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). In confronto, i “falchi umanitari”, come l’amministratore dell’USAID Samantha Power descrive l’agenzia, investirono solo 243 milioni di dollari nell’intero 2021.
La CSI, che comprende gli ex Stati sovietici quali Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan, è un blocco di Paesi per il quale gli Stati Uniti si sono a lungo sforzati per espandere al loro interno la propria influenza e il proprio soft power. Per questa ragione, l’USAID ha significativamente aumentato i suoi investimenti nella regione, con Armenia, Georgia e Moldavia, Stati periferici della CSI, che risultano essere i più grandi beneficiari delle nuove sovvenzioni, specialmente per quelle riguardanti le Ong e i media.
L’USAID ha stanziato 15 milioni di dollari a scopi educativi per la sola Georgia nella seconda metà di quest’anno, con un’enfasi particolare posta sulla necessità di abolire la presunta discriminazione di genere. Gli Americani intendono plasmare l’istruzione georgiana secondo il loro stampo, riqualificando gli insegnanti; per questo motivo fu assegnata una sovvenzione di 250.000 dollari a professori di giornalismo provenienti dalle università locali che soddisfano i loro criteri. Nel 2021, l’USAID lanciò un programma quinquennale in Georgia del costo di 330 milioni di dollari.
Nella seconda metà del 2022, l’USAID ha concesso due sostanziose sovvenzioni – rispettivamente del valore di 120 e 4 milioni di dollari – per lo “sviluppo della democrazia” e l'”indipendenza dei media” in Armenia. Questo aiuto è stato criticato perché non fornisce l’assistenza umanitaria necessaria per assistere 100.000 Armeni sfollati a causa della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.
Il fatto stesso che nella seconda metà del 2022 siano stati concessi 124 milioni di dollari di aiuti, un importo considerevole per un Paese che nel 2021 aveva un PIL di 13,86 miliardi di dollari, per influenzare i media e la società civile invece di assistere gli sfollati armeni, dimostra la volontà di mantenere quella situazione, o in effetti che l’amplificazione del necessario grado di retorica antirussa nei mass media locali è uno degli obiettivi principali del lavoro dell’USAID nei Paesi post-sovietici.
Comunque, in Moldavia e nei Paesi dell’Asia centrale, l’agenzia americana pone particolare enfasi sul finanziamento dell’economia. Ovvero, stanno cercando di indebolire i legami economici che questi Paesi hanno con la Russia e di riorientare i flussi di merci e i flussi finanziari. Nell’ultimo semestre, l’USAID ha stanziato 50 milioni di dollari per la Moldavia, la maggior parte dei quali si presume saranno spesi per espandere il commercio con l’Unione Europea e creare un’adeguata infrastruttura di trasporti e logistica.
A ottobre USAID annunciò che intende investire 15,2 milioni di dollari nel commercio in Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, poiché Washington vuole “aiutare la regione ad abbandonare la dipendenza” da Mosca.
“Ridurre la dipendenza dell’Asia centrale dai mercati e dalle rotte di esportazione russe, fornendo alternative, era una priorità a lungo termine, ma ora è una necessità impellente e un’opportunità dato che cerchiamo di aiutare la regione ad allontanare la dipendenza dalla Russia”, diceva il documento di USAID
Secondo il documento dell’USAID, la guerra in Ucraina e le sanzioni anti-russe hanno un “enorme impatto” sull’economia dell’intera regione. Le sanzioni e il ritiro delle aziende occidentali dalla Russia “hanno portato a una contrazione dell’economia russa, che probabilmente continuerà a lungo termine”, ma da cui risulterà anche una diminuzione delle importazioni russe dall’Asia centrale.
“Le aziende della regione hanno urgentemente bisogno di trovare nuovi mercati per le loro esportazioni, sia di beni che di servizi”, aggiungeva il documento.
Il programma è pensato per “rispondere alle conseguenze economiche” causate dalla guerra in Ucraina, come il calo delle rimesse, il deflusso dei lavoratori immigrati dalla Russia, la svalutazione della moneta, l’inflazione e la perdita di rotte e mercati di esportazione. Si spera che ai Paesi della regione verrà fornito un “supporto tecnico” per incrementare il commercio sui mercati internazionali e per aiutare le imprese nelle questioni logistiche.
In precedenza, il vicedirettore dell’USAID, Anjali Kaur, affermava che l’obiettivo della politica statunitense dovesse essere la separazione delle economie dell’Asia centrale e della Russia. In questo modo, Washington non cerca nemmeno di nascondere le sue nefaste azioni anti-Russia in una regione che è forse una delle più lontane dal continente nordamericano, e non solo in termini geografici, ma anche per cultura, tradizioni e storia.
Incrementando i finanziamenti alle Ong e ai media in Moldavia, Georgia e Armenia, l’USAID cerca di trovare qualche successo. Tale successo sarebbe per la maggior parte da attribuire alla vicinanza di questi Paesi all’Europa occidentale e alla loro comune identità cristiana, rendendo così molto più facile la penetrazione dell’influenza liberale dell’Occidente.
Tuttavia, è estremamente improbabile che Washington riuscirà a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se rappresenterà falsamente alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo. Questo perché la Russia è una grande potenza economica e militare da cui l’Asia Centrale non ha alcun buon motivo per separarsi.

Molto, molto pericoloso

moscow-weather“L’intervento della Russia nel conflitto siriano, a partire da settembre 2015 (esattamente un anno dopo che gli Stati Uniti avevano iniziato a bombardare obiettivi ISIL nel paese), destinato a puntellare lo Stato siriano contro un’opposizione intessuta di ciò che gli Stati Uniti ritengono la “opposizione moderata”, è stato un cambio di gioco. L’entrata in campo, su richiesta del governo siriano (che, bisogna ripeterlo, è il governo di una repubblica laica, costituzionale riconosciuta diplomaticamente dalle Nazioni Unite e ha rapporti cordiali con la Russia, l’Iran, la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica, le Filippine, Argentina, Tanzania, Cuba, Egitto, Iraq, Algeria, Oman e molti altri Paesi, nonostante gli sforzi di Washington per isolarla e rovesciarla), questo intervento è legale, mentre quello degli Stati Uniti non lo è.
La stampa statunitense ha praticamente ignorato i successi russi nel favorire l’esercito siriano distruggendo i convogli di petrolio che si dirigevano dal territorio controllato dai terroristi in Turchia per la vendita illegale e per aver sottratto Palmira alla crudeltà dell’ISIL che aveva distrutto il Tempio di Bel. Invece, facendo eco al Dipartimento di Stato, semplicemente si accusava Mosca di sostenere il governo riconosciuto a livello internazionale contro i ribelli che gli Stati Uniti vogliono far vincere.
Le azioni russe, rafforzando ulteriormente la posizione del regime e indebolendo quelli ufficialmente considerati da Washington e Mosca come terroristi, costrinsero gli Stati Uniti a rispondere positivamente agli appelli russi per un’azione comune contro questi ultimi. Il 9 settembre Kerry e Lavrov concordarono un piano per un cessate il fuoco di una settimana (che il governo siriano ha accettato) tra le forze di Stato e l’opposizione “legittima” (appoggiata dagli Stati Uniti). Durante questo periodo, questi ultimi si sarebbero separati da al-Nusra per evitare di essere essi stessi bombardati.
Queste misure dovevano essere seguite da azioni russo-americane coordinate contro i terroristi, mentre i colloqui di pace riprendevano a Ginevra. Purtroppo gli Stati Uniti sono stati incapaci o riluttanti a convincere i suoi numerosi protetti nel conflitto a separarsi da al-Nusra. (Questo è ciò che veramente ha condannato la trattativa, l’incapacità degli Stati Uniti di riconoscere la propria fine.) Alcuni clienti con rabbia rifiutarono e si rivolsero ai loro consulenti statunitensi. Il 16 settembre (presumibilmente per errore) gli Stati Uniti e parecchi suoi alleati hanno bombardato una base dell’esercito siriano uccidendo 62 soldati impegnati in combattimenti con l’ISIL. Infuriata, la Siria ha ripreso il bombardamento di Aleppo est, che è controllata da al-Nusra (Fatah al-Sham). Gli americani hanno accusato la Siria o la Russia per il bombardamento, ancora inspiegabile, di un convoglio di aiuti delle Nazioni Unite, facendo 20 morti tre giorni dopo, e ha sospeso i negoziati con la Russia.
In altre parole, avendo temporaneamente ammesso la necessità di cooperare con la Russia alleata della Siria per risolvere un conflitto che gli Stati Uniti avevano deliberatamente aggravato, con risultati terribili, gli Stati Uniti hanno sabotato i colloqui. E dopo averlo fatto, improvvisamente sono scivolati in una condotta al vetriolo senza precedenti; osservate le prestazioni dell’ambasciatrice alle Nazioni Unite Samantha Power il 18 settembre, dove lei con rabbia ha respinto la morte dei soldati siriani come un dettaglio minore in una guerra, e rimproverò l’ambasciatore russo per aver chiamato una riunione del Consiglio di Sicurezza per discutere sulla Siria una “bravata”. ( Lei, ovviamente, era stanca dell’ostinato rifiuto della Russia di concedere alla “nazione eccezionale” il futuro del suo alleato.)
Intanto Hillary Clinton di recente, il 9 ottobre, ha ribadito nel “dibattito” con Trump che (ancora) sostiene una no-fly zone. Anche se i suoi pezzi grossi le hanno detto che questo significherebbe lo spiegamento di decine di migliaia di soldati degli Stati Uniti in una guerra con la Siria e la Russia. Lei è tenuta a galla da quel molto insolito promemoria di dissenso firmato lo scorso giugno da 51 attuali funzionari del Dipartimento di Stato che non considerano l’ISIL l’epicentro ed esigono un cambio immediato di regime in Siria. Lei sa che il Dipartimento di Stato è più aggressivo rispetto al Pentagono, ma che il Pentagono è anche sospettoso di ogni cooperazione con la Russia, dovunque, come ad esempio Lavrov ha più volte proposto. Lei sa che i mezzi di informazione in questo Paese hanno fatto credere che la Russia, attraverso il suo sostegno a un brutale dittatore, è responsabile per il genocidio in Aleppo est, mentre gli Stati Uniti si siedono in disparte e non fanno nulla!
Lei è ansiosa di nominare Michèle Flournoy (precedentemente il civile situato al terzo livello del Pentagono sotto Obama) come suo Segretario della Difesa. Flournoy ha anche chiesto una “no-fly zone” sulla Siria e “una coercizione militare limitata” per rimuovere Assad dal potere. Lei ha effettivamente proposto il dispiegamento di truppe di terra statunitensi contro l’esercito arabo siriano.
L’8 ottobre la Francia ha proposto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che vieta il bombardamento siriano o russo di Aleppo est controllato da al-Nusra, mentre tace sul bombardamento illegale della Siria condotto dagli USA e dai suoi alleati. Una barzelletta assurda, contrastata da Cina e Russia, che hanno posto subito il veto. Lo scopo era diffamare ulteriormente il governo siriano e la Russia.
Non è ovvio? L’opinione pubblica si sta preparando per un’altra guerra per il cambio di un regime. La più alta posta in gioco questa fino ad oggi, perché potrebbe portare alla terza guerra mondiale.
Ed è appena anche un argomento di conversazione in questa elezione truccata, che sembra progettato per non solo presentare un guerrafondaio, ma per sfruttare al massimo la rozza russofobia in corso. Il punto per Hillary non è solo salire al potere, a qualunque costo, ma preparare il popolo per altri Afghanistan, Iraq e Libia. Il punto è quello di cullare il popolo nell’amnesia storica, impedirgli di vedere il primato di Hillary nel militarismo spericolato alla maniera di Goldwater, sfruttare la mentalità da Guerra Fredda persistente tra i più arretrati e ignoranti, e assicurare che l’elettorato il quale, mentre in genere deplora il risultato delle elezioni truccate nel mese di novembre, si radunerà ben presto dietro la corrotta Hillary non appena lei troverà un pretesto per fare la guerra.
Molto, molto pericoloso.”

Da Un’informazione urgente sulla Siria, di Gary Leupp (docente di Storia presso la Tufts University).

Civiltà contro barbarie

14441033_10154583342271204_873995865094135930_n
“Ci sarà un crescendo di bugie ed accuse. E’ inevitabile, perché l’Esercito Arabo Siriano sta per liberare gli ultimi quartieri di Aleppo in mano ai tagliagole. E i tagliagole sono disperati e i loro sponsor sono furenti. Qualcuno ha fatto notare che se si contano tutti gli ospedali che l’aviazione siriana avrebbe distrutto, ne salta fuori il Paese col più alto numero in assoluto di nosocomi del mondo. E’ vero che la sanità pubblica è un diritto nella Siria laica e multiconfessionale, ma qui si esagera. Eppure vedrete se non ne verrà bombardato qualcun altro. Ne potete star certi.
Ma le denunce disperate, le richieste di aiuto dei medici, degli infermieri, dei civili, dei leader religiosi dell’Aleppo martoriata da anni dai tagliagole e difesa strenuamente dall’Esercito Arabo Siriano, no, quelle non contano. Sono anni che due milioni di persone gridano letteralmente nel deserto. Nelle menti desertificate dei nostri governanti, dei nostri media e della nostra sinistra.
Eppure, non so se avete notato, in mezzo all’infuriare di accuse e contro accuse, nonostante le ingiurie e le patenti bugie che i nostri media e i nostri governi vomitano sulla Russia, Lavrov e Kerry continuano a sentirsi e a incontrarsi. Perché? Ve lo siete mai chiesti?
Ho cercato di impostare una risposta qui.
Ogni crisi sistemica crea un caos sistemico. E il caos sistemico penetra anche nelle nazioni che lo generano, anche in quella più forte e potente. E il caos sta imperando a Washington.
Può quindi essere difficile da capire per chi pensa in bianco e nero, ma Lavrov continua a incontrare Kerry non perché spera ancora in una tregua. Entrambi hanno detto che non ci credono più. Si incontrano perché Putin cerca disperatamente di mantenere in sella Obama, l’Obama azzoppato, l’Obama a cui forse ubbidiscono solo i figli, non certo il Pentagono e non certo la CIA, che conducono le loro specifiche guerre, che hanno le loro peculiari strategie, una elaborata sulla riva destra del Potomac e un’altra a Langley, tutte contro il Foggy Bottom dove Kerry prende decisioni che vengono immediatamente, anzi preventivamente, boicottate su indicazione delle tre arpie statunitensi assetate di sangue: Hillary Clinton, Samantha Power e Susan Rice alle quali possiamo aggiungere una degnissima quarta arpia, Victoria Nuland (le donne al potere sono meglio degli uomini? Ne riparleremo).
Putin ha fatto abbondantemente capire che preferisce una cattiva pace a una buona guerra. Per quello cerca di aiutare Obama, passando sopra a insulti ormai fuori misura e a provocazioni, anch’esse fuori misura. I Russi conoscono perfettamente la debolezza interna di Obama e non ne gongolano, ma la temono. Dopo il bombardamento di Der Ezzor che ha rotto la tregua non hanno puntato il dito su Obama, ma da un’altra parte. Di Obama e Kerry hanno detto una cosa molto precisa: Non hanno la capacità di onorare gli impegni presi. Non hanno affermato che li hanno traditi, ma che è al di fuori delle loro possibilità farli onorare.
Paradossale eh? Putin sta cercando di difendere Obama da uno strisciante pronunciamento militar-securitario contro di lui.
I Russi hanno diviso gli States in una parte sana (anche se non santa) e in una parte malata (e satanica) e, in vista anche delle prossime elezioni, stanno dando tutto l’aiuto che è loro possibile alla parte sana, seppur non santa, con cui potrebbero negoziare l’adattamento al nuovo mondo multipolare (che sia questa alla fin fine l’interferenza di cui parlano i collaboratori della Clinton?).
Non sarebbe la prima volta che la Madre Russia salva un Occidente sull’orlo del suicidio.”

Da Perché Putin vuole salvare il cane che affoga (cioè Obama), di Piero Pagliani.

14440716316_e044f3e40f_h

Amnesty per l’occupazione?

Ashley Smith spiega cosa c’è dietro le contorsioni politiche di Amnesty International

La maggior parte delle persone associa Amnesty International con la lotta alla tortura, la protesta contro la pena di morte e l’impegno per la liberazione dei prigionieri politici. Conosciuta per queste importanti campagne, nell’ultimo decennio Amnesty si è opposta alla guerra in Iraq e ha chiesto la chiusura del campo di reclusione americano presso la Baia di Guantanamo, a Cuba.
Pertanto, gli attivisti contro la guerra presenti a Chigago durante il vertice della NATO dello scorso Maggio sono stati scioccati dal vedere che Amnesty International USA ha ricoperto le fermate degli autobus cittadine con manifesti che recitavano: “Diritti Umani per le donne e le ragazze in Afghanistan: NATO, sostieni il progresso!”.
Ancora peggio, Amnesty USA ha organizzato di sua iniziativa un “vertice ombra” in contemporanea con quello della NATO, ospitando Madeleine Albright, il famigerato Segretario di Stato di Bill Clinton, che sarà sempre ricordata per la sua cinica risposta alla domanda – postale durante la trasmissione 60 Minutes – circa le sanzioni contro l’Iraq degli anni novanta. Il corrispondente Lesley Stahl chiese, “Abbiamo sentito che mezzo milione di bambini sono morti. Sono ancora di più di quelli morti a Hiroshima. Ne valeva la pena?”, la Albright rispose “Penso sia stata una scelta molto difficile, ma crediamo ne valesse la pena”.
Con una vera e propria criminale di guerra quale sua relatrice speciale, il vertice ombra di Amnesty USA ha lanciato una campagna come se auspicasse una estensione dei “buoni lavori” della NATO in Afghanistan. I suoi relatori e i materiali promozionali riciclavano la giustificazione “femminista” dell’invasione e dell’occupazione militare tipica di George Bush – che la NATO avrebbe liberato le donne dall’oppressione dei Talebani.
Amnesty USA dice in una “Lettera aperta ai presidenti Obama e Karzai”: “Oggi, tre milioni di ragazze vanno a scuola, in confronto praticamente a nessuna sotto i Talebani. Le donne costituiscono il 20% dei laureati. La mortalità materna e quella infantile sono diminuite. Il 10% di giudici e procuratori sono donne, rispetto a nessuna durante il regime dei Talebani. Questo è ciò che intendiamo per progresso: i miglioramenti per i quali le donne hanno lottato durante l’ultimo decennio”.
Si faccia un confronto con la propaganda della NATO: “In dieci anni di collaborazione, le vite di uomini, donne e bambini afghani sono migliorate significativamente per quanto riguarda la sicurezza, l’educazione, la cura della salute, il benessere economico e il rispetto di diritti e libertà. C’è da fare di più, ma siamo determinati a lavorare insieme per assicurare il sostanziale progresso che abbiamo realizzato nel passato decennio”.
Semplicemente non c’è alcuna differenza.

La verità sulle donne durante l’occupazione della NATO
Queste affermazioni sono ridicole. L’occupazione NATO dell’Afghanistan ha sviluppato un regno del terrore nei confronti di tutta la popolazione del Paese, infliggendo repressione, attaccando le feste di matrimonio e appoggiando il Presidente burattino Hamid Karzai e il suo corrotto regime di signori della guerra.
Anche il New York Times ammette che non c’è stato praticamente alcun sviluppo. Un suo editoriale riporta: “Secondo la Banca Mondiale, circa il 97% del PIL dell’Afghanistan, pari a 15,7 miliardi di dollari, viene dall’aiuto internazionale militare e allo sviluppo e dalle spese effettuate nel Paese dalle truppe straniere.”
Ogni affermazione di funzionari statunitensi o della NATO circa il miglioramento delle condizioni degli afghani dovrebbe essere valutata con profondo sospetto. Nella più recente esposizione delle loro bugie circa lo sviluppo, un’ìnchiesta del Congresso ha rivelato che l’ospedale Dawood, finanziato dagli USA, ha imprigionato i suoi pazienti in “condizioni stile-Auschwitz”. Come ha riferito Democracy Now!: “Fonti anonime dell’Esercito hanno diffuso fotografie scattate nel 2010 che mostrano pazienti severamente trascurati, affamati all’ospedale Dawood, considerato il gioiello della corona del sistema sanitario afghano, dove è trattato il personale militare del Paese. Le foto mostrano pazienti molto emaciati, alcuni sofferenti di cancrena e ferite infestate da vermi”.
Le condizioni delle donne in Afghanistan non costituiscono un’eccezione a questo quadro generale. Né la NATO né il regime di Karzai hanno migliorato i diritti delle donne – Karzai ha firmato una normativa che conferisce ai mariti il potere di costringere a far sesso e privare di cibo le proprie mogli. Come Sonali Kolhatkar, fondatrice della Missione delle Donne Afghane, e Mariam Rawi, dell’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan, hanno scritto: “Sotto i Talebani, le donne erano confinate nelle proprie case. Non veniva loro permesso di lavorare o frequentare la scuola. Erano povere e senza diritti. Non avevano accesso all’acqua pulita o alle cure mediche, ed erano costrette ai matrimoni, spesso ancora bambine. Oggi, nella maggior parte dell’Afghanistan le donne vivono nelle stesse precise condizioni, ma con una notevole differenza: sono circondate dalla guerra.”
Dopo più di un decennio di occupazione militare, l’aspettativa media di vita per le donne afghane è pari a 51 anni. Il Paese è ultimo al mondo nella classifica della mortalità sia materna che infantile. L’UNICEF riferisce che il 68% dei bambini con meno di cinque anni soffre di malnutrizione.
Con l’inizio delle operazioni di controguerriglia volute da Obama, le condizioni per le donne sono drammaticamente peggiorate, non migliorate. “Il conflitto alle soglie di casa” scrivono Kolhatkar e Rawi “mette in pericolo le loro vite e quelle delle loro famiglie. Non porta loro diritti nell’ambito domestico o nella vita pubblica, e le rinchiude ulteriormente nella prigione costituita dalle loro stesse abitazioni”.
Ecco perché Malalai Joya, ex membro del Parlamento afghano, presume che l’unica buona cosa che USA e NATO possano fare è andarsene dal suo Paese. In una dichiarazione durante la dimostrazione contro il vertice NATO, ella ha detto: “In Afghanistan abbiamo molti problemi – il fondamentalismo, i signori della guerra, i Talebani. Ma avremmo una migliore probabilità di risolverli se avessimo la nostra auto-determinazione, la nostra libertà, la nostra indipendenza. Le bombe della NATO non daranno mai democrazia e giustizia all’Afghanistan o a nessun altro Paese”.

Per chi conosce l’inglese, la lettura può continuare qui.
Scoprirà, fra le altre cose, che lo scorso mese di Gennaio è stata designata quale nuovo direttore esecutivo di Amnesty International USA la signora Suzanne Nossel, fresca da un incarico al Dipartimento di Stato di Hillary Clinton, paladina dell'”interventismo umanitario” insieme a Samantha Power, Susan Rice e la stessa Clinton.
Non prima di essere stata assistente dell’ambasciatore USA presso l’ONU Richard Holbrooke ai tempi dei bombardamenti della NATO sull’ex Jugoslavia e direttore operativo di Human Rights Watch (HRW), nonché di aver inventato il termine “smart power”, assunto da Hillary Clinton quale parola d’ordine della politica estera a stelle e strisce durante l’amministrazione Obama.