In memoria di Mohsen

Il Martire Mohsen Hojaji apparteneva ai Guardiani della Rivoluzione Islamica iraniana e, al pari di molti altri musulmani, si era volonariamente recato in Siria per combattere contro i terroristi di DAESH (ISIS) e di altri gruppi takfiri che – sostenuti da Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e altri Paesi europei e arabi – si sono resi autori di efferati e inumani crimini contro la popolazione siriana e irachena (a prescindere da quale fosse la loro confessione religiosa), di barbare distruzioni e della dissacrazione di numerosi luoghi santi.
Il venticinquenne combattente iraniano è stato catturato dai terroristi dell’ISIS il 7 settembre scorso al confine tra Siria e Iraq e il 9 settembre è stato decapitato. La foto e il video della sua cattura, nei quali il giovane appare con un volto calmo, sereno e risoluto, sono diventati l’emblema dell’amore puro, della fede sincera, del coraggio, della fedeltà, del sacrificio e del martirio, tanto in Iran quanto in molti altri Paesi islamici. Il martirio di Mohsen Hojaji ha letteralmente scosso la sua patria, suscitando un’ondata di emozione, rispetto e ammirazione di rara estensione e profondità. Poche ore prima di essere catturato dai terroristi il Martire ha inviato due messaggi audio a sua moglie, uno rivolto al figlio Ali di 2 anni e uno proprio alla sua consorte. Quella che segue è la traduzione integrale del messaggio rivolto al piccolo Ali.

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Col Nome d’Iddio Clemente e Misericordioso

Salam alaykum Ali Agha, Salam mio caro, salam figlio mio, vorrei rivolgerti qualche parola.
Perdonami se ti ho lasciato mentre eri molto piccolo. Se non ci fossimo recati in Siria, il Mausoleo della Nobile Zaynab (1) sarebbe stato dissacrato. Che Dio non voglia…nuovamente sarebbe stato distrutto il mausoleo della Nobile Ruqayya (2). Caro Ali, è mio desiderio diventare con il volto illuminato lungo questo sentiero e diventare martire su questa strada. Desidero diventare martire una volta prima della manifestazione dell’Imam del Tempo (l’Imam Mahdi) e una volta dopo la sua manifestazione. Questo, dal mio punto di vista, è essere furbi: diventare due volte martiri per l’Islam. Dio possa esaudirmi per il Suo compiacimento. Se diventerò martire, alhamdulillah; ma qualora ciò non fosse, o sarà perché non lo merito o perché il bene di Dio è in altro.
Caro Ali, il mondo diventa ogni giorno più insidioso. Il peccato si annida in ogni suo angolo. Rimanere puri in questa società è sempre più arduo. Più ci avviciniamo alla manifestazione dell’Imam del Tempo, più aumentano le sedizioni, i peccati, i pericoli e Satana diventa più potente. Devi aver cura non solo di te ma anche di tua madre e delle persone a te vicine.
Ti ho chiamato Ali affinché il tuo Mawla sia Ali, la tua Guida sia Ali e il tuo esempio e modello divenga Ali. Prendi sempre il Comandante dei Credenti (l’Imam Ali) come esempio e modello. Vorrei che vivessi come (l’Imam) Ali affinché tu possa godere del privilegio di diventare un soldato dell’Imam del Tempo (l’Imam Mahdi). Cerca di operare per questo sin da ora. Nello studio, nel lavoro, nelle scelte della vita, nei campi che vuoi scegliere, nella selezione degli amici, nella scelta del futuro che desideri, insomma devi lavorare molto su te stesso.
Sei sempre nei miei ricordi. Ti guarderò sempre. Se, a Dio piacendo, diventerò martire, verrò e sarò presente in ogni fase della tua vita. Non lascerò che tu patisca l’assenza di tuo padre.
Ho inciso queste parole affinché, se un giorno sentissi il bisogno di ascoltare la mia voce, tu possa avere almeno questo audio.
Devi sapere che ti amo molto, sia te che tua madre. Abbi cura di te stesso.
Alcune volte, separarsi dalle cose buone ti fa ottenere cose ancor migliori. Mi sono separato da te e da tua madre per poter diventare un servo della Nobile Zaynab (as). Spero che Dio in questo viaggio getti il Suo sguardo su di me. Ti amo molto, abbi molta cura di te.
Cerca di vivere così che Dio si innamori di te. Se Dio si innamora di te, ti comprerà per un prezzo alto. Abbi cura di te. Prega che il mio volto divenga illuminato (nel Giorno del Giudizio). Che Dio ti protegga.

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NOTE
1) Zaynab è la figlia dell’Imam Ali e di Fatima Zahra, nipote del Profeta dell’Islam e sorella dell’Imam Hasan e dell’Imam Husayn. La sua vita e grandezza è profondamente legata alla tragedia di Karbala, nella quale suo fratello Husayn, numerosi suoi parenti e diversi loro compagni vennero martirizzati dall’esercito del califfo usurpatore del tempo, Yazid. Portata insieme alle donne del campo dell’Imam Husayn come prigioniera dall’Iraq alla Siria dall’esercito di Yazid, dapprima nel corso del tragitto e poi alla corte del califfo illegittimo, la nobile Zaynab (as) con grande coraggio tenne vivo il messaggio dell’Imam Husayn (as) e infiammo’ i cuori dei presenti con i suoi sermoni e le sue parole. Il mausoleo che ospita la sua tomba si trova, secondo la maggior parte degli studiosi, a Damasco, in Siria, ed è stato ripetutamente minacciato dai gruppi takfiri, che hanno più volte provato ad attaccarlo e distruggerlo.
2) Secondo diversi storici e studiosi Ruqaya è la figlia dell’Imam Husayn. Dopo la battaglia di Karbala, le donne della famiglia dell’Imam Husayn insieme a suo figlio Zaynul al-Abidin (as), vennero fatti prigionieri e condotti dall’Iraq in Siria, a Damasco, dove risiedeva il califfo usurpatore Yazid. La piccola Ruqaya, che allora aveva quattro anni, mori’ nelle prigioni del califfo illegittimo. Al pari del mausoleo della nobile Zaynab, anche quello di Ruqaya è stato più volte minacciato e oggetto di attacchi terroristici da parte dei gruppi takfiri.

Fonte

Dal jihadismo all’ISIS: incontro-dibattito a Bologna

Il problema della questione jihadista nel mondo contemporaneo è connesso alle sfide più cruciali della nostra epoca. Interessa i conflitti fra grandi potenze non meno dei rapporti di queste con le specificità della civiltà islamica, si muove lungo il fiume in piena delle immigrazioni di massa che coinvolgono il continente eurasiatico e vampirizza le esistenze di quelle “vite di scarto” che l’Occidente ingoia e moltiplica nel suo vortice di disintegrazione dei tessuti sociali.
Il jihadismo in qualche modo precede questi fenomeni, ma si palesa con pienezza in sincronia con gli eventi degli ultimi anni. Sarebbe assai difficile comprendere questo senza riflettere sulla storia musulmana, su come i popoli del Vicino Oriente abbiano subito un’aggressione coloniale (e culturale) incessante da ben due secoli da parte dell’imperialismo occidentale. Fondamentalismo, reazione al colonialismo, lotte fratricide, settarismi socioculturali: l’eterodirezione della lotta armata è alla base di quello che oggi chiamiamo “il fenomeno jihadista”, che con la guerra in Siria e l’avvento dell’ISIS compie un “barbarico” salto in avanti.

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L’assassinio dello scrittore Nahed Attar: terroristi islamici, i loro padrini e la battaglia di Aleppo

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Partiamo da una notizia che non ha suscitato grande eco sulla stampa internazionale.
Qualche giorno fa lo scrittore giordano Nahed Attar è stato assassinato sulla porta del tribunale di Amman da un terrorista islamico. La sua colpa era quella di essere un laico, ateo, e sostenitore del governo siriano guidato dal Presidente Bashar al-Assad nella sua lotta contro le bande degli integralisti islamici finanziate ed armate dagli USA e da altri Paesi della NATO, e dai loro alleati mediorientali (Arabia Saudita, Qatar, Turchia).
Attar aveva condiviso su Facebook una vignetta in cui veniva presa in giro la pretesa dei terroristi dell’ISIS (o Daesh in arabo) di andare in paradiso come martiri della fede. Il primo ministro della Giordania (un Paese vassallo degli USA, UK ed Arabia Saudita), Hani Mulki, simpatizzante della Fratellanza Musulmana, invece di proteggerlo, lo aveva fatto arrestare e processare per “oltraggio alla religione, settarismo e razzismo”, additandolo in pratica alla vendetta dei terroristi.
Tutto questo non è casuale: il “civile” e “liberale” Occidente, ed i loro alleati mediorientali, si servono normalmente dei terroristi fanatici islamici per colpire chi si oppone al loro sogno di dominio mondiale.
Negli anni ’70 il governo laico comunista dell’Afghanistan fu messo in ginocchio dai mercenari islamici fanatici, accorsi da decine di Paesi, armati e protetti dagli USA e dall’Arabia Saudita, guidati da gente come Bin Laden, creatore di Al Qaeda con la complicità dei servizi segreti americani, sauditi e pakistani.
Negli anni ’90, mentre gli USA davano il primo colpo (Prima Guerra del Golfo) all’Iraq laico guidato dal partito socialista Baath, i nuovi eroi dell’Occidente erano una banda di integralisti islamici che voleva istituire un regime islamico in Bosnia, con il solito codazzo di jihadisti di Al Qaeda affluiti da tutto il mondo islamico. Naturalmente i musulmani furono fatti passare per povere vittime dei cattivissimi Serbi-Jugoslavi scatenando la solita alluvione di false notizie, come il presunto massacro di Srebrenica (un episodio ancora tutto da chiarire, come emerge da vari accurati lavori (1)). Il cosiddetto “assedio di Sarajevo” (in realtà la città era divisa tra i quartieri centrali a maggioranza musulmana ed i quartieri periferici serbi, da cui i miliziani si sparavano addosso a vicenda) divenne il simbolo gettonatissimo della cattiveria dei Serbi. Oggi un interessante libro di Toschi Marazzani (ed. Zambon(2)) denuncia la crescita dell’integralismo in Bosnia, da cui partono legioni di jihadisti verso la Siria e l’Iraq per ingrossare le fila di Daesh.
Poi è stata la volta della Seconda Guerra del Golfo del 2003, che ha fatto a pezzi l’Iraq, anche per mezzo della mobilitazione di gruppi dirigenti tribali della comunità curda, con la prospettiva di uno staterello fantoccio protetto da USA, Turchia ed Israele. Poi è stata la volta della Libia laica di Gheddafi dove i bombardamenti della NATO hanno aperto la strada agli integralisti di Alba Libica ed alle feroci milizie di Misurata, organizzate dai Fratelli Musulmani, fino allo sfacelo attuale. Infine è stata aggredita la Siria, dove combattono una serie impressionante di gruppi jihadisti terroristi (Daesh, Fateh al-Sham ex al-Nusra, Jaish al-Islam, Ahrar al-Sham, ecc.).
Gli USA, come in Iraq, usano spregiudicatamente anche i contrasti etnici in un Paese come la Siria, dove tutte le religioni, il libero pensiero laico ed ateo, le varie etnie, hanno avuto sempre pari diritti.
E’ in corso nella sinistra italiana un dibattito sul ruolo dei Curdi (dei cui diritti chi scrive è stato in passato un aperto sostenitore) ma che ora sembra abbiano anteposto (forse con molte illusioni) i loro interessi etnici a quelli della generale battaglia antimperialista, alleandosi con gli USA: essi hanno illegalmente concesso basi militari agli USA in territorio siriano, di cui l’esercito americano si serve per minacciare ed attaccare l’esercito nazionale siriano che difende l’indipendenza e la sovranità del Paese.
Infatti la distruzione della Siria – il Paese più laico e secolare del Medio Oriente, dove le donne godono di tutti i diritti e possono passeggiare sole con le gonne sopra il ginocchio per le vie di Damasco senza essere disturbate (sono di ciò testimone oculare), dove esiste un servizio sanitario nazionale ed un sistema di istruzione laico pubblico e gratuito fino all’università – rimane lo scopo principale dell’imperialismo USA, dei suoi alleati, e di Israele. Il piano, già illustrato da molti anni nei documenti dei “neocons”, consiste nella “distruzione creativa” di tutti gli Stati sovrani che si pongono di traverso sul cammino imperiale. Ma da oltre cinque anni l’esercito ed il popolo siriano, guidati dal Presidente Assad, resistono, ed ora sono passati alla controffensiva con l’aiuto dell’aviazione russa e delle eroiche milizie libanesi di Hezbollah, che già sconfissero l’esercito israeliano nel 2006.
Ecco allora che i soliti scribacchini alla Bernard Levy, e tutti gli imitatori italiani ed occidentali, comprese le Botteri e le Goracci, lanciano la nuova campagna mediatica. Una volta c’erano i cattivi Serbi che assediavano Sarajevo. Oggi sono i Russi e i Siriani fedeli al proprio governo che “assediano” e bombardano Aleppo, la più importante città della Siria insieme a Damasco. Non viene detto che in realtà sono stati i terroristi che hanno assediato Aleppo per quattro anni, bombardandola, tagliandole l’acqua e l’elettricità ed occupando solo alcuni quartieri, dove si sono fatti scudo dei civili, cui non viene permesso di mettersi in salvo attraverso i quattro corridoi umanitari predisposti dal governo.
Ma nonostante tutto la Siria è ancora in piedi, con l’aiuto di Russia, Iran, Cina, Hezbollah, e tutti i democratici laici arabi. Cresce l’isteria di USA, UE, Arabia Saudita (che a sua volta bombarda e distrugge lo Yemen), ma i combattenti patriottici siriani non si lasciano impressionare.
Vincenzo Brandi

(1) Vedi ad es. Menzogne di Guerra del giornalista tedesco J. Elsasser, ed i due ottimi dossier della “Città del Sole” su Srebrenica
(2) Jean Toschi Marazzani Visconti, La Porta d’Ingresso dell’Islam, ed. Zambon

Lettera aperta ai ciarlatani della rivoluzione siriana

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Nel momento preciso in cui un dirigente storico della resistenza araba libanese, in Siria, è appena spirato sotto i colpi dell’esercito sionista [qui l’autore si riferisce alla morte di Mustafa Badreddine, avvenuta per mano delle milizie antigovernative, inizialmente attribuita ad una incursione aerea israeliana – ndr], indirizzo questa lettera aperta agli intellettuali e militanti di “sinistra” che hanno preso partito per la ribellione siriana e credono allo stesso tempo di difendere la causa palestinese, mentre sognano tutti presi la caduta di Damasco.
Ci dicevate nella primavera del 2011, che le rivoluzioni arabe rappresentavano una speranza senza precedenti per popoli che subivano il giogo di despoti sanguinari. In un eccesso di ottimismo, noi vi abbiamo ascoltato, sensibili ai vostri argomenti su questa democrazia che nasceva miracolosamente e a tutti i vostri proclami sui diritti umani. Siete riusciti quasi a persuaderci che questa protesta popolare che si è portata via i dittatori di Tunisia ed Egitto avrebbe spazzato via la tirannia ovunque e in ogni altra parte del mondo arabo, sia in Libia che in Siria, nello Yemen come nel Bahrain, e chi sa dove altro ancora.
Ma questo bello svolazzo lirico ha lasciato apparire rapidamente qualche falla. La prima, tanto grande da rimanere a bocca aperta, è apparsa riguardo la Libia. Quando, adottata dal Consiglio di Sicurezza per soccorrere le popolazioni civili minacciate, una risoluzione ONU si trasformò in un assegno in bianco per la destituzione manu militari di un capo di Stato divenuto ingombrante per i suoi partner occidentali. Degna dei peggiori momenti dell’era neo-conservatrice, questa operazione di “regime change” compiuta per conto degli USA da due potenze europee con mire di affermazione neo-imperiale è sfociata in un disastro di cui la sfortunata Libia continua oggi a pagare il caro prezzo. Infatti il collasso di questo giovane Stato unitario portò il Paese alla mercé delle ambizioni sfrenate delle sue tribù, sapientemente incoraggiate alle ostilità dalle bramosie petroliere dei carognoni occidentali.
C’erano anche anime belle comunque, tra di voi, tanto per accordare delle circostanze attenuanti a questa operazione, così come ce n’erano, inoltre, in primo piano per esigere che un trattamento analogo fosse inflitto al regime di Damasco. Questo perché il vento della rivolta che soffiava allora in Siria sembrava convalidare la vostra interpretazione degli eventi e sembrava dare una giustificazione a posteriori al bellicismo umanitario già scatenato contro il potentato di Tripoli. Eppure, lontano dai media di “mainstream”, alcuni analisti ci fecero osservare che il popolo siriano era lontano dall’essere unanime nella protesta e che le manifestazioni anti-governative avevano luogo soprattutto in alcune città, bastioni tradizionali dell’opposizione islamista, e che quel febbricitante ambito sociale, composto dalle classi impoverite dalla crisi, non avrebbe mai portato masse di persone alla causa per contribuire alla caduta del governo siriano.
Questi ammonimenti nostri sull’utilizzare il buon senso nella comprensione, voi li avete ignorati, così come i fatti che non corrispondevano alla vostra narrazione, voi li avete filtrati come vi è sembrato meglio. Li dove degli osservatori imparziali vedevano una divisione in poli della società siriana, voi avete voluto vedere un tiranno sanguinario che assassinava il suo popolo. Li dove uno sguardo spassionato permetteva di discernere le debolezze, ma anche i punti di forza dello Stato siriano, voi avete abusato di una retorica moralizzante per istruire a carico di un governo, che era molto distante dall’essere l’unico responsabile delle violenze, un processo sommario.
Voi avete visto le numerose manifestazioni contro Bashar Al Assad, ma non avete mai guardato i giganteschi raduni di sostegno al governo e alle riforme, che riempirono le vie di Damasco, di Aleppo e Tartous. Voi avete stilato la contabilità macabra delle vittime del governo, ma avete dimenticato quella delle vittime dell’opposizione armata. Ai vostri occhi c’erano vittime buone e vittime cattive, alcune che si meritavano di essere menzionate ed altre di cui non si vuole sentire neanche parlare. Deliberatamente voi avete visto le prime, bendandovi gli occhi per rendervi ciechi di fronte alle seconde.
E allo stesso tempo, questo governo francese, del quale criticate volentieri la politica interna per mantenere l’illusione della vostra indipendenza intellettuale, vi ha dato ragione su tutta la linea. Curiosamente, la narrazione del dramma siriano che era la vostra, coincideva con la politica estera del signor Laurent Fabius, un capolavoro di servilismo che mescolava l’appoggio incondizionato alla guerra israeliana contro i Palestinesi, l’allineamento pavloviano con la leadership americana e la solita minestra riscaldata di ostilità nei confronti della resistenza araba. Ma il vostro apparente matrimonio con la Quai d’Orsay non è mai sembrato darvi troppo fastidio. Voi difendevate i Palestinesi nel cortile mentre cenavate con i loro assassini in giardino. Vi capitava anche di accompagnare i dirigenti francesi in visita di Stato a Israele. Eccovi quindi intruppati e complici, assistere allo spettacolo di un presidente che dichiara pubblicamente che a lui “piaceranno sempre i dirigenti israeliani”. Ma ci voleva molto di più per scandalizzarvi e quindi vi siete imbarcati una nuova volta con il Presidente, come tutti d’altronde.
Avete a giusto titolo condannato l’intervento militare americano in Iraq nel 2003. La virtù rigenerante dei bombardamenti per la democrazia non vi scalfiva, e dubitavate delle virtù pedagogiche delle operazioni belliche chirurgiche. Ma la vostra indignazione nei confronti di questa politica della cannoniera in versione “high tech” si dimostrò stranamente selettiva. Poiché reclamavate a tutti i costi contro Damasco, nel 2013, ciò che giudicavate intollerabile dieci anni prima contro Baghdad.
Un solo decennio è bastato per rendervi così malleabili, tanto da vedere ormai la salvezza del popolo siriano in una pioggia incrociata di missili su questo Paese che non vi ha fatto nulla di male. Rinnegando le vostre convinzioni anti-imperialiste, voi avete sposato con entusiasmo l’agenda di Washington. Mentre senza vergogna non soltanto applaudivate in anticipo i B 52, ma riprendevate la propaganda più becera e grottesca degli Stati Uniti, da cui il precedente iracheno e le sue menzogne memorabili dell’era Bush avrebbero dovuto immunizzarvi.
Mentre inondavate la stampa esagonale delle vostre assurdità, fu proprio un giornalista americano d’investigazione d’eccezione, che sbriciolò la patetica “false flag” destinata a rendere Bashar Al Assad il responsabile di un attacco chimico di cui nessun organismo internazionale l’ha accusato, ma che gli esperti del Massachusetts Institute of Technology e l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, tuttavia, hanno attribuito alla parte avversa. Ignorando i fatti, travestendovi da qualcos’altro alla bisogna, voi avete recitato in questa occasione la vostra parte miserabile in questo melodramma cacofonico di menzogne. E quello che è ancora peggio, è che continuate a farlo. Anche quando lo stesso Obama lascia intendere che lui stesso non ci ha creduto, voi vi ostinate a reiterare queste stupidaggini, come dei cani da guardia che continuano ad abbaiare anche dopo il dileguarsi dell’intruso. E per quale motivo? Per giustificare il bombardamento, da parte del vostro governo, di un piccolo Stato sovrano, il cui torto maggiore è il suo rifiutare di sottostare all’ordine imperiale. E per cosa? Per venire in aiuto di una ribellione siriana di cui voi avete sapientemente mascherato il vero volto, accreditando il mito di un’opposizione democratica e laica che esiste soltanto nelle halls dei Grand Hotel di Doha, di Parigi o di Ankara.
Questa “rivoluzione siriana”, l’avete dunque esaltata, ma avete pudicamente voltato lo sguardo altrove quando si trattava invece di notare le sue pratiche mafiose, la sua ideologia settaria e i suoi finanziamenti dubbi e carichi di problematiche da porsi. Voi avete accuratamente occultato l’odio interconfessionale che la ispira, questa avversione morbida per gli altri credo direttamente ispirata al wahhabismo che ne è il pilastro ideologico. Voi sapevate bene che il regime baathista, in quanto laico e non settario in senso confessionale, costituiva un’assicurazione a vita per le minoranze religiose, ma non ve ne siete dati pena, arrivando addirittura a classificare come “cretini”, coloro che prendevano la difesa dei cristiani perseguitati. Ma non è tutto purtroppo. Arrivati alla resa dei conti, vi resterà appiccicata addosso anche questa ultima ignominia: voi avete fatto da garanti alla politica di un Laurent Fabius per il quale Al Nusra, ramo siriano di Al Qaida, “ fa un buon lavoro in Siria”. E chi se ne frega! Tanto peggio per i passanti sbrindellati nelle vie di Homs o per gli alauiti di Zahra assassinati dai ribelli, tanto, per i vostri occhi questi sono le ultime ruote del carro.
Tra il 2011 e il 2016 le maschere sono cadute. Fate appello al diritto internazionale mentre applaudite alla violazione dello stesso contro uno Stato sovrano. Pretendete di promuovere la democrazia per i Siriani diventando gli araldi del terrorismo che subiscono. Dite di difendere i Palestinesi, ma siete dalla stessa parte della barricata di Israele. Allora state tranquilli, perché quando un missile israeliano si abbatte sulla Siria non sarà mai che colpirà i vostri beniamini. Perché grazie a Israele e alla CIA, ma anche grazie a voi miei cari, questi coraggiosi ribelli continueranno a predisporre il futuro radioso della Siria sotto l’egida del takfirismo. Perché quel missile sionista, che si abbatterà sulla Siria, ucciderà sicuramente e solo uno dei leader di questa resistenza araba di cui cianciate, ma che voi avete tradito.
Bruno Guigue

Fonte

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La missione dell’ISIS

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“Nel breve termine – come dichiarato all’indomani dell’eccidio di Charlie Hebdo, dall’organo officiale di ISIS, la rivista online Dabiq, “i musulmani in Occidente si troveranno presto di fronte ad un bivio” visto che l’effetto dell’attacco è stato quello di polarizzare le reazioni della società, eliminando la “zona grigia” rappresentata da coloro che professano la pacifica coesistenza di culture e religioni diverse.
In sostanza l’organizzazione ha inteso dichiaratamente estremizzare le posizioni dei fedeli, mirando a far sì che la reazione della popolazione cristiana faccia sentire i musulmani non più benvenuti nei Paesi che li ospitano. Insomma il califfato vuole spingere i musulmani che vivono nei Paesi occidentali o a rinnegare l’Islam o “a emigrare verso lo Stato Islamico per sfuggire alla persecuzione dei governi crociati e dei propri concittadini”. Con il secondo attacco di Parigi – peraltro già anticipato da Dabiq – si è in sostanza inteso manifestamente suscitare una sempre crescente ostilità tra i musulmani e le popolazioni di altre confessioni religiose all’interno dei Paesi occidentali in cui vivono.
Nulla di nuovo in questo, è una strategia che già aveva usato Al-Qaeda nell’Iraq post-invasione, favorendo lo scoppio della guerra civile.
In una lettera a Osama Bin Laden, Abu Musa’b al Zarqawi espressamente propose di provocare tale conflittualità, con un attacco alla maggioranza scita da parte della minoranza sunnita. “Se riusciremo a trascinarli – scriveva Zarkawi – nell’arena della guerra di sette sarà possibile risvegliare i sunniti visto che si sentiranno in pericolo imminente di annientamento e morte.”
La strategia sembra in parte funzionare, viste le reazioni di parte della cosiddetta società civile che ha iniziato a inneggiare all’espulsione o al non accoglimento dei profughi o alla demonizzazione dei musulmani in generale, nonostante la maggior parte di questi ultimi non nutra simpatia alcuna per le posizioni del Califfato.
Appare pertanto evidente come il cosiddetto ‘scontro di civiltà’ venga attivamente perseguito non soltanto dalle élite occidentali ma anche dalla strategia dello Stato Islamico.
Ciò conferma l’ipotesi di una convergenza d’interessi di coloro che stanno pianificando lo scontro tra l’Occidente materialista e l’Oriente dell’idealismo capovolto.
(…)
L’unico possibile intervento efficace – come alcuni sagaci commentatori politici sostengono – sarebbe quello di realizzare un efficace embargo intorno alle aree occupate dal califfato, privando i militanti di approvvigionamenti, armi ed energia.
Ma un tale embargo, come sappiamo, sarà di difficile realizzazione per un motivo ben preciso.
Vale a dire per il fatto che l’ISIS è in realtà una creatura dell’Occidente, creata, organizzata e finanziata con lo scopo di mantenere alto il livello di paura e di insicurezza di interi popoli, pronti a rinunciare a porzioni sempre maggiori di libertà ed autonomia.
Attraverso la manipolazione mediatica si vuole palesemente ottenere determinati effetti, si vuole alimentare l’odio e la paura e, al tempo stesso, far ingrassare sempre più le corporation delle armi che oggi dispongono di budget stratosferici, che altrimenti, senza un nemico da combattere, sarebbero palesemente ingiustificabili di fronte all’opinione pubblica mondiale.
(…)
Gli USA sono il vero e proprio ‘cervello’ di tutta questa operazione. Dopo aver causato, con l’invasione dell’Iraq del 2003, ma soprattutto con l’eliminazione – dalla sera alla mattina – di tutti i quadri dell’esercito iracheno, che sono passati armi e bagagli alle schiere dei ribelli, ha consentito l’uso delle proprie basi militari in Turchia, Giordania, Qatar, Iraq e Arabia Saudita. Arma i cosiddetti ‘ribelli siriani’ che poi passano all’ISIS. Senza parlare di testimonianze di ufficiali iracheni che sostengono che l’aeronautica USA rifornisca l’ISIS con lanci di materiali ed armi dal cielo.
Le azioni di questi Paesi, affiancati dalla manipolazione mediatica e dai servizi segreti collusi ha reso possibile ai cittadini dell’Occidente la percezione di una nuova contrapposizione tra due blocchi avversari, procedendo nel percorso verso un Nuovo Ordine Mondiale nel quale una sempre maggiore egemonia dei superstati sostituirà le autonomie delle nazioni e i margini di libertà dei popoli.
E l’ISIS è un prezioso alleato in questo percorso.
Perché dovrebbero privarsene?”

Da Nel nome dell’ISIS, di Piero Cammerinesi.

La fitna che oggi divampa nel mondo musulmano

beheadings-300x229“Ora, mentre la maggior parte degli Arabi, dei Turchi, dei Pakistani è sunnita, come sunnita è pure l’Indonesia, che è il più popoloso dei paesi musulmani, il nucleo più compatto e numericamente consistente dell’Islam sciita è rappresentato dal popolo iraniano. Questa stretta relazione dell’Iran con la Scia viene oggi utilizzata in un quadro strategico ispirato alla teoria dello “scontro di civiltà”: i regimi del mondo musulmano alleati degli Stati Uniti e di Israele fanno un ricorso strumentale al dualismo “Sunna-Scia” al fine di eccitare lo spirito settario e dirigere le passioni delle masse contro la Repubblica Islamica dell’Iran, dipinta come irriducibile nemica dei sunniti e presentata come nucleo statuale dell’egemonia regionale “neosafavide” (fu sotto la dinastia safavide che nella Persia del XVI secolo la Scia diventò religione di Stato).
L’alimento ideologico del settarismo antisciita è costituito soprattutto, anche se non unicamente, dalle correnti wahhabite e salafite, le quali fin dal loro apparire sono state oggetto di riprovazione e di condanna da parte dell’ortodossia sunnita. Circa lo storico rapporto di solidarietà che collega tali manifestazioni di eterodossia all’imperialismo britannico e statunitense, ci siamo già dilungati altrove. Qui sarà opportuno osservare che il più recente e virulento prodotto delle suddette correnti, ossia il sedicente “Stato Islamico” (Daesh, Isis, Isil ecc.), palesemente sostenuto da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, è lo strumento di una strategia americana finalizzata ad assicurare al regime sionista l’egemonia sul Vicino Oriente e quindi ad impedire il formarsi di un blocco regionale che dall’Iran si estenda fino al Mediterraneo.
Occorre inoltre notare la significativa somiglianza che intercorre tra il caricaturale e parodistico “Califfato” di al-Baghdadi e la petromonarchia saudita. Gli efferati e bestiali atti di sadismo compiuti dagli scherani del cosiddetto “Stato Islamico”, la devastazione sacrilega dei luoghi di culto tradizionali e la vandalica distruzione dei siti della memoria storica in Siria e in Irak, infatti, costituiscono altrettante repliche di analoghi atti di barbarie commessi dai wahhabiti nella penisola arabica. Il cosiddetto “Stato Islamico”, come è stato ampiamente mostrato sulle pagine di questa rivista, non è se non una forma radicale e parossistica di quella particolare eterodossia che ha il proprio eponimo in Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab. D’altronde, sia l’entità saudiana sia la sua replica denominata “Stato Islamico” devono entrambe la loro nascita e il loro sviluppo agl’interessi angloamericani ed alle scelte operative della geopolitica atlantica.
La “guerra civile” islamica, la fitna che oggi divampa nel mondo musulmano, trae dunque origine dall’azione combinata di un’ideologia settaria e di una strategia che i suoi stessi ideatori hanno chiamata “strategia del caos”.”

Da La guerra civile islamica, di Claudio Mutti, editoriale di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, n. 3/2015.

Siria: Putin mette a nudo la NATO

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Gli atti criminali dell’organizzazione terrorista e fondamentalista ISIS hanno suscitato ovunque la collera profonda dell’umanità. Monumenti storici (da ultimo l’arco trionfo di Palmira) distrutti, migliaia di donne violentate e ridotte in schiavitù, barbare decapitazioni di ostaggi, minacce a tutto il resto del mondo. Costruita sulle frustrazioni dei sunniti iracheni e siriani, con i soldi, le armi e gli appoggi di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, questa organizzazione ha costituito la risorsa strategica dell’Occidente dopo che gli Stati uniti si sono dovuti ritirare dalla zona. Esiste infatti solo apparentemente una contraddizione tra i disegni dei settori dominanti (anche al di là di Obama) dell’amministrazione statunitense e quelli del Califfo. L’azione criminale di quest’ultimo, infatti, punta alla disgregazione degli Stati storici della regione (innanzitutto Iraq e Siria, in prospettiva anche Libano), attuando un modello, all’opera anche in Libia, di fallimento forzato degli Stati per aprire le porte al caos nel quale meglio possono operare le multinazionali e i poteri occulti al servizio degli interessi dell’Occidente.
Fino a pochi giorni fa, questa tesi poteva sembrare la fanfaluca di qualche complottista, perlomeno agli occhi disattenti e miopi del lettore occidentale medio, che non brilla certo né per intelligenza né per informazione e si accontenta delle panzane ammannite dalla stampa mainstream. La coraggiosa decisione di Putin di intervenire direttamente in Siria contro l’ISIS ha lacerato questo velo d’ignoranza e solo i più stolidi fra gli stolidi continueranno a credere a tali panzane. In pochi giorni l’aviazione militare russa ha inflitto ai terroristi danni ben maggiori di quelli arrecati in tutti questi mesi dall’instabile e fiacca “alleanza” che Obama ha invano tentato di mettere in piedi, coinvolgendo governi a tutti gli effetti riluttanti e doppiogiochisti.
Una notizia fra tante. Un bombardamento russo ha colpito una colonna di autocisterne che portavano il petrolio dell’ISIS verso la Turchia, a ennesima conferma dei fortissimi legami esistenti tra Erdogan e l’organizzazione terroristica. Non a caso Erdogan starnazza indispettito, se non disperato, di fronte a una mossa strategica che impedisce il suo progetto di balcanizzazione della Siria e contenimento, anche attraverso misure apertamente genocide, della spinta kurda, specie in vista delle ormai prossime elezioni politiche turche del 1° novembre.
Erdogan invoca la NATO e da Washington, come da Parigi e Londra, i governi finora incapaci di dare una risposta seria ed effettiva al terrorismo, rispondono, esprimendo la propria “preoccupazione” e la solidarietà all’alleato turco, immerso fino al collo nel sangue dei Kurdi e delle altre vittime dell’ISIS.
L’intervento russo in Siria non ha solo messo a nudo in modo spietato le contraddizioni e le ipocrisie della NATO e dell’Occidente, ma ha anche delineato una possibile soluzione politica basata su un nuovo governo in Siria, nei confronti del quale lo stesso Assad ha dichiarato la propria disponibilità mettendo sul piatto l’ipotesi delle sue dimissioni. Esso poi costituisce, ben più di molti altri, un esempio emblematico di intervento unilaterale a realizzazione di interessi generali dell’umanità, tenendo presente che, come sostenuto da Paolo Picone, “l’unilateralismo può … costituire, in certi casi e a certe condizioni (che andrebbero approfonditi assai meglio dalla dottrina) una forza costruttiva e trainante del diritto internazionale generale”.
Certamente, tuttavia, tale unilateralismo andrebbe quanto prima ricondotto nel quadro di un’iniziativa concordata e attuata nel contesto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sgominati i terroristi con un’azione congiunta si potrebbe giungere a un accordo di pace basato su di un’apertura di una nuova fase costituente per l’intera regione basata sul principio del confederalismo democratico. Ma pare che non via sia, nonostante la disponibilità russa al riguardo, alcuna volontà in tal senso delle Potenze occidentali, il che conferma l’ambiguità della posizione della NATO. Ennesima conferma, su di un piano più generale, di come la NATO costituisca un’alleanza priva di senso e densa di pericoli nell’attuale difficile momento internazionale, che va abbandonata al più presto, per dare all’Italia e all’Europa un’effettiva prospettiva di pace e cooperazione internazionale a trecentosessanta gradi per affrontare i problemi che oggi l’umanità ha di fronte.
Fabio Marcelli

Fonte

Lo stupro di una Nazione: gli Iracheni resistono su più fronti

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Hadani Ditmars per rt.com

Perché la narrativa dominante dei media continua a rappresentare gli Iracheni sia come terroristi che come vittime che l’Occidente dovrebbe combattere o salvare? Ancora una volta l’oppressione della dialettica binaria alza la sua brutta testa, mentre l’ISIS, dopo una lunga pausa, riporta sull’Irak l’attenzione dei media.
Quando per la prima volta ho viaggiato in Irak nel 1997, per scrivere per il NY Times del disastro umanitario causato dal regime delle sanzioni, i sapientoni di destra, a causa del mio impegno, mi definirono una cattiva saddamista.
Per quanto cercassi con fatica di trasmettere la complessità della situazione – un regime clientelare dove le sanzioni andavano a colpire ogni giorno gli Iracheni e a rafforzare il potere di Saddam; una scena teatrale fiorente con la possibilità di criticare la classe dirigente con sottili doppi sensi; uno status per le donne più elevato di quello di gran parte del mondo arabo, pian piano eroso dagli eccessi dell’embargo – potevo sentire gli occhi della gente sorvolare e qualunque possibile argomentazione veniva spazzata via da una risposta impassibile: “Ma Saddam è malvagio, no?” Era come se l’intera Nazione fosse ridotta all’unica immagine archetipica di un dittatore arabo.
L’altro giorno, a un ricevimento, un’accademica americana mi ha domandato dei miei progetti per l’autunno. Quando ho detto che sarei andata in Irak a fare ricerche per il mio prossimo libro – un diario di viaggio politico in antichi siti che sovverte la tradizionale narrativa turistica con storie di vedove, orfani e sfollati – ho sentito lo stesso sguardo vuoto. “Oh, fantastico! Così hai intenzione di finire come schiava sessuale dell’ISIS?” ha risposto impassibile – come se l’ISIS fosse la sola narrazione possibile – e il solo male – in un Paese di 33 milioni di anime.
Un decennio fa, la riduzione caricaturale di 33 milioni di persone a mini-Saddam che una volta caratterizzava i ritratti degli Iracheni offerti dai principali media prima dell’invasione fu sostituita da una nuova terribile caricatura: gli Iracheni come folli attentatori suicidi magicamente trasformati da secolari a settari in pochi anni di occupazione. Le vittime del nuovo terrore venivano etichettate come i suoi autori. Per anni gli Iracheni hanno dovuto convivere con questa bizzarra fusione e l’ISIS offre ora una nuova opportunità. Continua a leggere

La criminalizzazione della democrazia in uno Stato vassallo saudita

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Catherine Shakdam per rt.com

Il 16 giugno, lo sceicco Ali Salman, un esponente di primo piano dell’opposizione alla monarchia del Bahrein dominata dai Sauditi, è stato condannato a quattro anni di carcere. La sua condanna rischia di trasformare la rivoluzione “silenziosa” del Bahrein in un’ondata torrentizia, rimodellando la regione per sempre.
Fidel Castro ha detto una volta, “Una rivoluzione è una lotta all’ultimo sangue tra il futuro e il passato.” Queste parole non potevano suonare più vere in Bahrein, dove dal 2011 un intero popolo sta lottando contro il bisecolare dominio della monarchia degli Al Khalifa, deciso a reclamare ciò che percepisce come i suoi più elementari diritti, inalienabili e caratteristici – l’autodeterminazione politica.
Messi nel tritacarne mediatico dalle potenze occidentali per il bene della correttezza politica e degli interessi geopolitici, gli eventi in Bahrein sono raramente stati tra i titoli dei media mainstream. Questo ha permesso al regime di reprimere l’opposizione a suo piacimento. Ha tenuto ferma la convinzione che le sue azioni, per quanto riprovevoli ed illegali, sarebbero rimaste velate, protetto il suo sistema e la sua eredità conservata.
E mentre è apparso, per un momento almeno, che il “piccolo uomo” non avesse speranza davanti alla forza dei poteri che siano, l’arresto e la successiva condanna di un uomo, lo sceicco Ali Salman, il capo della Società Islamica Nazionale Al Wefaq, potrebbe presto rivelarsi una offesa di troppo. Continua a leggere

“Essere chiamati terroristi dagli USA è un onore”

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Eisa Alì per rt.com

Diario irakeno 10° giorno

Il decimo e ultimo giorno in Irak, vado a parlare con il portavoce di Harakat Nujaba, Sayid Hashim Al Mousawi. Nujaba è guidato da Akram Al Kabi, che gli USA considerano un terrorista per il suo ruolo nella lotta contro le truppe statunitensi e britanniche durante otto anni di occupazione.
Vengo condotto in diversi luoghi e mi viene chiesto di cambiare automobile ogni volta, prima di raggiungere infine un complesso immobiliare a Baghdad, dopo vari posti di controllo presidiati da giovani combattenti, che non avranno più di 21 o 22 anni.
Entriamo e aspettiamo che arrivi Mousawi. Lui arriva dopo circa 10 minuti e si scusa perfino di averci fatto aspettare.
Mousawi è un giovane di circa trent’anni. I suoi occhi rivelano la sua giovinezza ed è gioviale e accogliente. Ѐ una delle persone più interessanti che ho incontrato durante il mio viaggio. Ѐ un uomo colto e istruito, che cita il primo leader sciita Imam Ali (“Le persone sono sia i tuoi fratelli in religione che i tuoi simili in umanità”), insieme a Gandhi (“Ho imparato da Hussain come raggiungere la vittoria pur essendo oppresso”) e anche, mentre si lamentava amaramente per i guai della sua squadra del cuore, il Real Madrid, José Mourinho (“Una squadra con Lionel Messi è inarrestabile”).
Mi dice anche della sua ammirazione per Che Guevara: “Mi piace perché era un ribelle. Mi piace la gente ribelle”.
Sollevo la questione degli USA che considerano il leader del suo gruppo un terrorista.
“Un onore! Se difendere il proprio Paese da un’occupazione è terrorismo, allora è un onore essere chiamati così. Non abbiamo alcun problema con il popolo americano, ma il loro governo non ha portato altro che miseria in Irak.”
Gli ho anche chiesto delle ripetute accuse secondo le quali i gruppi che combattono i militanti dello Stato Islamico (IS, ex ISIS/ISIL) sarebbero settari.
“Abu Bakr Baghdadi dice che dopo Ramadi arriverà a Baghdad e a Karbala. Avremo decine di migliaia di combattenti ad aspettare la sua banda. Abbiamo quattro divisioni di soli combattenti sunniti.”
Una di queste divisioni viene dalla tribù Albu Fahad, la cui opposizione allo Stato Islamico li ha fatti individuare come bersagli. Lo Stato Islamico si riferisce ad essi ed a tutti i sunniti che a loro si oppongono definendoli ‘murtadeen’ (apostati).
“Consegneremo la terra al popolo cui appartiene, i figli sunniti di Anbar,” conferma Mousawi.
Ѐ il mio ultimo giorno in Irak. Ho un’ultima possibilità di incontrare i combattenti Hashd Shabi che si stanno dirigendo verso Ramadi. Anche in questo caso sono giovani e desiderosi di unirsi alla lotta contro il cosiddetto Stato Islamico.
“Non stiamo facendo questo per il governo allo scopo di sedere sulle loro poltrone,” dice un giovane combattente che afferma di venire da Diyala. “Stiamo facendo questo per fermare DAESH (acronimo arabo per IS) prima che sia troppo tardi”.
Questo sentimento nei confronti del governo non è così raro. Possiamo individuare interi quartieri a Baghdad, che sono feudi dei diversi blocchi politici in parlamento e il fenomeno attraversa le divisioni etniche e settarie. Come si guida fuori della Zona Verde, dove hanno sede gli uffici del governo, si incontra una foto di Jalal Talabani (l’ex presidente curdo dell’Irak) da un lato e Ammar Al-Hakim (leader del blocco sciita ISCI) dall’altro. Ogni membro di partito possiede terreni, proprietà ed altri interessi economici.
Trattano anche i portafogli ministeriali del governo come loro proprietà personale. Questo spiega perché il governo iracheno è così diviso e incapace di funzionare in modo coerente.
Partiti diversi con programmi completamente diversi hanno il controllo di interi ministeri e danno lavoro ai loro sostenitori a discapito delle persone più capaci. Ѐ il sistema imposto all’Irak dalle autorità di occupazione con il pretesto di ‘condividere il potere’ ed è stato rafforzato ancor più lo scorso anno, quando il nuovo Primo Ministro Haidar Abadi è stato spinto ad essere più “inclusivo”.
Al mio ritorno a Londra, arriva la notizia di una bomba che ha sventrato alcuni alberghi di Baghdad. Dieci persone, che stavano solo cercando di godersi la serata con la famiglia e gli amici, con le loro speranze e i loro sogni, vengono spazzate via, le loro vite tragicamente stroncate.
Mentre lascio l’Irak, penso a tutti i personaggi che ho incontrato, a tutte le persone che lavorano per aiutare l’Irak a rimettersi in piedi e a tutte le speranze che esprimono. Alcune persone hanno rinunciato a questo bel Paese, dichiarandolo una causa persa, ma il popolo dell’Irak ha ancora una possibilità, nonostante tutti i gravi problemi che affliggono il Paese.
Chiudo con il desiderio di tornare un giorno per continuare a raccontare di questo luogo enigmatico, che viene chiamato ‘la culla della civiltà’.

Traduzione di M. Guidoni

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Le rivelazioni di un ufficiale turco in congedo su operazioni sovversive dell’agenzia turca di intelligence MIT contro la Siria

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Attualmente in fuga dal sistema carcerario turco, l’ex ufficiale Önder Sığırcıkoğlu sostiene di non essere motivato dal denaro: “Sto agendo per salvare la mia identità, il mio onore e la mia coscienza”.

“Ho sequestrato l’omicida di massa Colonnello Harmoush e l’ho riportato in Siria”.

Il Tenente Colonnello Hussein al-Harmoush era il disertore di più alto grado dell’Esercito Siriano all’inizio del conflitto. E’ scappato in Turchia nel giugno 2011 dove ha fondato un sedicente “Movimento degli Ufficiali Liberi” con lo scopo di rovesciare il governo siriano. Le sue ambizioni hanno avuto vita breve. E’ scomparso dal campo Altınözü di Hatay  il 29 agosto insieme a Mustafa Kassoum, un istruttore di palestra che si faceva passare per un Maggiore dell’Esercito. Due settimane dopo Harmoush appariva alla televisione siriana, confessando i suoi crimini e la complicità della Turchia.
Dopo una frenetica investigazione, i servizi di sicurezza turca hanno indagato diverse persone, e in sette sono stati accusati per il “crimine” di aver rimpatriato Harmoush in Siria. Il più esperto tra loro, Önder Sığırcıkoğlu, un veterano con 19 anni di servizio presso l’agenzia turca di intelligence MIT, è stato condannato a 20 anni di reclusione. Dopo 32 mesi di incarcerazione presso il carcere di Osmaniye, Sığırcıkoğlu è fuggito durante un trasferimento verso un’altra prigione ed è stato in grado di lasciare la Turchia clandestinamente. Quella che segue è la prima parte delle sue rivelazioni a Ömer Ödemiş per il primario sito turco di informazione OdaTV.

Önder Sığırcıkoğlu ha parole molto dure per la politica della Turchia nei confronti della Siria. Era stato incaricato dal MIT di filtrare e controllare gli arrivi durante la prima invasione di rifugiati.
“Ne ho intervistati a migliaia durante i primi giorni. Il primo gruppo era composto da circa 250 rifugiati che avevano attraversato il confine turco ad Altınözü. I loro responsabili erano lo studente di legge Seri Hammodi e il tassista Abdusselam Sadiq. Questi erano in costante contatto con i media internazionali, Al Jazeera e altri, propagandando il fatto che i rifugiati erano stati costretti a scappare dalla Siria a causa di una violenta oppressione. Le storie che raccontavano erano delle costruzioni, ma loro agivano per smuovere la pubblica opinione e assicurarsi fondi dalla Turchia, le Nazioni Unite, i Paesi del Golfo e le istituzioni internazionali.” Continua a leggere