James & Douglas

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James Stavridis, il nuovo comandante militare della NATO, entrato in carica lo scorso luglio in coincidenza con l’inizio dell’offensiva statunitense in Afghanistan, precedentemente ha ricoperto l’incarico di capo del Comando Meridionale del Pentagono (SOUTHCOM).
In questo ruolo, Stavridis aveva la responsabilità delle operazioni militari USA nei Caraibi e nell’America centrale e meridionale, inclusa l’attività di controguerriglia in corso in Colombia. In un’intervista rilasciata ad un quotidiano statunitense, egli diceva fra l’altro: “Le operazioni sulle quali mi sono maggiormente impegnato in Sud America sono state quelle contro la guerriglia in Colombia. La mia esperienza sul campo si trasferirà bene al mio ruolo di comandante della NATO in Afghanistan… Le mie esperienze nel capire ed apprendere la controguerriglia credo saranno utili per il nuovo compito.
Sono molto contento per la nomina del generale Stanley McChrystal quale comandante di ISAF… il comando NATO nel Paese. Penso che egli rappresenti una scelta perfetta”.
Un profilo di James Stavridis pubblicato nell’edizione dello scorso 29 giugno del New York Times – in realtà una tirata celebrativa intitolata “Per un posto in Europa, un Ammiraglio della Rinascita” recitava: “Nella sua nuova posizione alla NATO, egli collaborerà con il generale Stanley McChrystal, che recentemente è diventato il nuovo comandante delle forze americane e NATO in Afghanistan, dove deve portare avanti una nuova strategia che è la prima iniziativa di sicurezza nazionale dell’amministrazione Obama.
Riflettendo sulla sua esperienza quale ufficiale capo del Comando Meridionale, l’ammiraglio Stavridis ha detto di essere orgoglioso per l’assistenza fornita alla Colombia in tema di controguerriglia e lotta al narcotraffico…”.
Il suo predecessore come Supremo Comandante Alleato della NATO e capo del Comando Europeo del Pentagono (EUCOM) – i due incarichi sono sempre contestuali – è stato il generale John Bantz Craddock, anch’egli all’epoca trasferito ai due comandi da quello di capo di SOUTHCOM e responsabile del Piano Colombia, teoricamente un’operazione contro la coltivazione ed il traffico di droga ma nei fatti diretta a combattere la guerriglia.

Il sostituto di Stavridis nel ruolo di comandante di SOUTHCOM è il generale Douglas Fraser, il quale alla fine dello scorso giugno non ha esitato ad identificare il futuro casus belli affermando che “la crescente influenza dell’Iran in America Latina rappresenta un potenziale rischio per la regione” e che “sono preoccupato per il concentramento di truppe in Venezuela perché non capisco quale minaccia essi percepiscano”.
Fraser ha anche aggiunto: “SOUTHCOM dovrebbe continuare ad aiutare la Colombia nel combattere i guerriglieri di sinistra come le FARC” perché “le FARC non sono sconfitte e noi abbiamo bisogno di mantenere quell’impegno…”.
Dopo pochi giorni, il presidente venezuelano Hugo Chavez ha replicato che “il governo [del Venezuela] sta rafforzando il suo apparato militare perché gli Stati Uniti rappresentano una minaccia per Caracas” ed ha consigliato a Fraser di procurarsi uno specchio sul quale sia scritto “Guardati, generale, la minaccia sei tu!”.
Un mese più tardi, dopo l’annuncio da parte statunitense di stare insediando altre cinque basi militari in Colombia, Chavez ha rinnovato la sua preoccupazione, affermando che la Colombia sta agendo da base per “quelli che ci attaccano costantemente e si stanno già preparando per nuovi attacchi contro di noi”.

Come dice Eduardo Galeano, pare proprio che il Pentagono si sia messo all’opera per insultare la dignità e l’intelligenza dell’America Latina per molto tempo a venire.

[SOUTHCOM, EUCOM e le altre “aree di responsabilità” del Pentagono]

Mal d’Africa

mary carlin yates

L’ingerenza negli affari interni di Stati sovrani secondo la consolidata prassi statunitense.

È il traffico di stupefacenti il nuovo nemico di AFRICOM, il neo costituito comando per le operazioni delle forze armate USA nel continente africano. Dopo aver dichiarato guerra alla pirateria nel Golfo di Aden, Washington è intenzionato ad estendere all’Africa l’intervento militare contro la produzione e il traffico di stupefacenti, implementato – con scarso successo – in America Latina. “Il traffico illegale di narcotici rappresenta una minaccia significativa alla stabilità della regione”, ha dichiarato il generale William E. Ward, comandante supremo di Africom, nel corso della sua audizione davanti alla Commissione difesa del Senato, il 17 marzo scorso.
“Secondo l’International Narcotics Control Strategy Report del 2008, l’Africa occidentale è divenuta un punto critico per il transito marittimo della cocaina sudamericana destinata principalmente ai mercati europei”, ha aggiunto Ward. “La presenza di organizzazioni di trafficanti in Africa occidentale, così come l’uso locale di stupefacenti creano seri problemi alla sicurezza. UNODOCS, l’Ufficio contro la droga e il crimine delle Nazioni Unite, stima che il 27% di tutta la cocaina consumata annualmente in Europa transita dall’Africa occidentale, e il trend sta crescendo significativamente. Il valore della droga inviata in Africa dall’America Latina è raddoppiato dal 2005, ed ha sfiorato i due miliardi di dollari nel 2008”.
Per il comando USA è divenuto “significativo” pure il traffico di stupefacenti sulla rotta Asia sud-occidentale – Africa orientale e meridionale. Così, in vista del contrasto dei traffici di droga nel continente africano, il Pentagono ha istituito nel quartier generale Africom di Stoccarda (Germania), un team composto da militari di esercito, marina, aeronautica, corpo dei marines e guardiacoste USA, e da funzionari della Drugs Enforcement Agency (DEA), l’agenzia anti-droga USA, dell’FBI e del Dipartimento di Stato. Alla sua direzione è stata chiamata Mary Carlin Yates, ex ambasciatrice USA in Ghana ed odierna vice-comandante per le attività civili-militari di Africom (l’“assistenza sanitaria ed umanitaria, le azioni di sminamento, l’intervento in caso di disastri naturali, le operazioni di peacekeeping”).
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Il programma preso come modello da Africom è il famigerato Plan Colombia (oggi denominato “Plan Patriota”), miliardi di dollari in armi, apparecchiature radar, diserbanti altamente tossici distribuiti ai partner più fedeli delle regioni andine ed amazzoniche per contrastare la produzione di coca. Anche per questo il comando USA per le operazioni nel continente africano ha avviato una serie di contatti con il suo omologo di Miami che sovrintende all’intervento militare in Centroamerica, America del Sud e Caraibi. “L’US Southern Command ed Africom vogliono lavorare insieme”, ha spiegato l’ambasciatrice Yates. “I narcotrafficanti arrivano in Africa dall’America Latina, così noi dobbiamo lavorare sia in funzione del rafforzamento delle autorità nazionali sia in quello della partnership tra i due comandi e i nostri partner in Africa e Sud America. Ho visitato di recente i reparti di US Southern in Florida, apprezzandone le modalità di coordinamento delle relazioni militari statunitensi con l’America Latina e gli stretti contatti con le autorità internazionali impegnate contro il traffico di droga in centro e sud America”.
Nella proposta di bilancio per l’anno fiscale 2010, il Dipartimento della Difesa ha chiesto di destinare in Africa 52 milioni e 125 mila dollari nell’ambito dell’International Narcotics Control and Law Enforcement, il programma di Washington per combattere il narcotraffico. Si tratta del doppio di quanto è stato previsto per l’anno in corso (29 milioni e 600 mila dollari). Per il Pentagono, i soldi dovranno servire a “combattere il crimine transnazionale e le minacce ad esso collegato e sostenere lo sforzo contro le reti terroristiche che operano nel settore del traffico di droga e in altri affari illeciti”.
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“L’impegno degli Stati Uniti nell’addestramento delle forze navali africane per individuare e sequestrare i carichi di droga è cresciuto negli ultimi anni principalmente grazie all’iniziativa denominata African Partnership Station (APS)”, ha aggiunto l’ambasciatrice Yetes. “L’APS è parte di un piano a lungo termine che vede protagonisti nazioni ed organizzazioni di Africa, Stati Uniti, Europa e Sud America. Una grande attività di cooperazione militare e civile che contribuisce alla crescita della sicurezza nelle coste dell’Africa occidentale e della professionalità dei militari, delle guardia coste e dei marines africani. Il programma è portato avanti attraverso le visite di unità navali, aerei, team di addestramento e progetti d’ingegneria e costruzione navale”.

Da Il Pentagono in guerra contro il narcotraffico africano, di Antonio Mazzeo.

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Il Rwanda è sicuramente uno dei paesi chiave nella nuova strategia di penetrazione politica e militare degli Stati Uniti nel continente africano. Tanto importante che recentemente è stato meta di una visita di tre giorni da parte del generale statunitense William E. Ward, comandante in capo di AFRICOM, il comando delle forze armate USA per l’Africa. Dopo aver assistito ad alcune esercitazioni congiunte USA-Rwanda nei campi-presidi di Gabiro e Gako, Ward ha incontrato i giornalisti preannunciando il “rafforzamento della cooperazione militare” tra i due paesi, specie nel settore della “lotta ai traffici di droga”, nelle acque del Lago Kivu, al confine con la Repubblica Democratica del Congo. AFRICOM rafforzerà la propria azione anche nel campo della “formazione” degli ufficiali locali. Il comando USA collabora già con l’Accademia militare di Nyakinama (istituita nel 2001); adesso, grazie ai fondi dell’International Military Education and Training Program (IMET), una quarantina di appartenenti alle forze armate ruandesi potranno specializzarsi nei principali college di guerra degli Stati Uniti. In aggiunta, Africom offrirà assistenza alla “Scuola Ufficiali” che entrerà in funzione in Rwanda entro il 2012.
È tuttavia l’ambigua operazione di “stabilizzazione del Darfur”, quella che ha assorbito il maggior numero di risorse umane e finanziarie della partnership Washington-Kigali. Attualmente 3,454 “peacekeepers” ruandesi sono impegnati nella regione occidentale del Sudan nell’ambito della missione internazionale voluta dall’ONU e dall’Unione Africana. L’aeronautica militare USA ha garantito tutte le operazioni di trasporto del personale, dei sistemi d’arma e dell’equipaggiamento pesante delle forze armate del Rwanda, sin dall’avvio della missione in Darfur (ottobre 2004). Di conseguenza è frequente la presenza nello scalo aereo di Kigali di aerei cargo C-130 “Hercules” e C-17 “Globemaster” del Comando USA per la Mobilità Aerea (AMC), e di team operativi dell’US Air Force provenienti dalle basi di Ramstein, Mildenhall (Gran Bretagna) e Charleston (South Carolina). L’ultimo grande ponte aereo Rwanda-Darfur è stato attivato da AFAFRICA tra il gennaio e il febbraio di quest’anno. Prima del loro trasferimento, i “peacekeepers” hanno partecipato ad un addestramento specifico a Gako, con l’immancabile presenza dei “consiglieri” di US Army Africa, giunti apposta da Vicenza.
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Nel suo report sui diritti umani del 2007, il Dipartimento di Stato ha infatti stigmatizzato il bilancio del governo del Rwanda in tema di difesa dei diritti dell’uomo. “Ci sono casi di abusi gravi”, segnalava Washington. “Si nota un aumento di esecuzioni extragiudiziarie, di arresti e di detenzioni arbitrarie da parte dei servizi di sicurezza (…) I crimini impuniti rimangono numerosi”. Ciononostante gli aiuti e i programmi di addestramento militare statunitensi sono cresciuti esponenzialmente: il loro valore è stato di 811 milioni di dollari nel biennio 2008-09, più i 500 milioni previsti per il 2010 con l’International Military Education and Training Program (IMET). Altri 200 milioni di dollari in “aiuti militari diretti” dovrebbero arrivare a Kigali il prossimo anno.
La fiducia del Pentagono per la tenuta “democratica” delle forze armate ruandesi non è stata turbata neanche dalle risultanze delle inchieste promosse dalle autorità giudiziarie spagnole e francesi sugli omicidi di cittadini dei due paesi commessi tra il 1990 e il 2002 in Rwanda e nella Repubblica Democratica del Congo. Il 6 febbraio 2008, il tribunale di Madrid ha emesso quaranta mandati di cattura nei confronti di altrettanti militari ruandesi, accusati di genocidio e terrorismo. Tra i principali indiziati, il generale Karake Karenzi, alla guida della forza multinazionale di “peacekeeping” in Darfur. Dopo la conquista Tutsi di Kigali, il generale Karake sarebbe stato tra i responsabili dei massacri scatenati nei campi profughi ai confini con il Congo dove si erano nascosti gli estremisti Hutu responsabili della prima fase del genocidio. Sempre secondo i magistrati spagnoli, nel 2000 l’alto ufficiale era al comando delle truppe che nel corso di uno scontro armato con reparti ugandesi a Kisangani in Congo, causarono la morte di 760 civili innocenti. Grazie alla protezione del presidente Kagame (altro “big” accusato di crimini contro l’umanità) e del grande alleato statunitense, Karake Karenzi è stato mantenuto al suo incarico di vice-comando della missione ONU-UA in Darfur sino al 3 maggio 2009.

Da US Army Vicenza, Africom e il Rwanda: una lezione di cinismo, di Antonio Mazzeo.

Aree di responsabilità

eucom logo

All’inizio del ventunesimo secolo, il Pentagono ha completato la divisione del pianeta in “aree di responsabilità” militari attribuite a Comandi Supremi. Niente chiarisce l’ambizione egemonica a stelle e strisce meglio dell’elencazione di queste cinque – poi diventate sei – zone, che coprono tutto il Pianeta e partecipano direttamente al controllo dell’Eurasia. Essendo quest’ultima la vera posta in palio, a partire dalla dottrina Brzezinski fino agli ideologi neoconservatori William Kristol e Lawrence Kaplan i quali affermano testualmente: “La nostra supremazia non può essere mantenuta a distanza. L’America deve al contrario considerarsi sia una potenza europea, sia una potenza asiatica, sia – beninteso – una potenza mediorientale”.
Ebbene, due di questi comandi supremi non sono rilevanti per il nostro discorso. Il primo, il Comando Nord (NORTHCOM), copre il continente nordamericano ed una zona fino a cinquecento miglia marine dalle coste. Il secondo, il Comando Sud (SOUTHCOM), continuazione della vecchia Dottrina Monroe, copre l’America centrale, i Caraibi e l’insieme dell’America meridionale; controlla inoltre il Golfo del Messico, le acque territoriali prospicienti alle coste ed una parte dell’Oceano Atlantico.
Gli altri comandi ci interessano più direttamente, in particolare il terzo, il Comando Europa (EUCOM), la cui area di responsabilità non si limita all’Unione Europea ma include la zona balcanica, Ucraina, Bielorussia, il Caucaso e la Russia fino a Vladivostock. L’EUCOM, rispetto agli altri Comandi, ha una peculiarità: i suoi legami con la NATO. Il comandante dell’esercito statunitense in Europa è infatti anche il comandante supremo delle forze inquadrate nella NATO. Questo doppio comando sempre attribuito ad un alto ufficiale statunitense integra la NATO nella struttura del Pentagono e quindi nella strategia egemonica globale degli USA. Un rapporto di dipendenza che viene ribadito in un documento ufficiale dell’EUCOM quando afferma che “la trasformazione dell’EUCOM sosterrà la trasformazione della NATO”.
Il quarto è il Comando di Centro (CENTCOM) che comprende l’Egitto, il Vicino e Medio Oriente sino al Pakistan e le repubbliche dell’Asia centrale. E’ il comando che conduce le operazioni attualmente in corso in Irak ed Afghanistan, in collaborazione con la NATO.
Il quinto è il Comando Pacifico (PACOM) che ingloba l’India, il Sud-est asiatico, la Cina, il Giappone e le isole del Pacifico. La sua zona marittima si estende dalla costa occidentale del continente americano alla costa orientale dell’Africa, dall’Artico all’Antartico. Può essere considerato la zona cruciale del dispiegamento, per lo spazio che copre, perché ospita il 60% della popolazione mondiale e le sei forze armate più consistenti per numero di effettivi: Cina, India, Russia, Stati Uniti e le due Coree.
Una sesta zona di comando è stata creata nel 2007 per l’Africa. L’AFRICOM dovrebbe diventare operativa entro il 2008, coprendo tutto il continente nero tranne l’Egitto. E’ l’evidente segnale che l’Africa, a causa soprattutto della penetrazione cinese, è oggi una vera posta strategica, non distinta però dall’area eurasiatica, e lo dimostra il fatto che la sede del suo comando si trova in Germania, a Stoccarda, sede anche dell’EUCOM.