“Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire con la strage che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. Un posto di comparsa, di aiutante. Ci hanno fatto sapere col sangue che il nostro Paese non può pensare di muoversi da solo nel Mediterraneo. Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni. E noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvertimenti. I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così li hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perché non debbono difenderla. Sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità. Altro che strage fascista: è accaduto qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che pone il problema della nostra autonomia internazionale”.
Rino Formica è capogruppo dei deputati del PSI, il partito del Presidente del Consiglio. E’ stato commissario nell’indagine parlamentare sulla P2. Sa quello che il Parlamento conosce dell’ attività dei nostri servizi segreti. Sa quello che il governo davvero temeva prima della strage e soprattutto quello che il governo teme oggi. Ragiona sul macello del treno 904 e arriva a una conclusione che gli appare ferrea: “La strage è un avvertimento venuto da fuori ma questo non assolve nessuno. Anzi, evidenzia drammaticamente la debolezza del nostro Stato, la precarietà della nostra democrazia, la pigrizia mentale delle nostre forze politiche. Ci hanno avvertito e facciamo finta di non capire”.
Un momento, onorevole, chi ci ha avvertito?
“Da due anni abbiamo una presenza internazionale più autonoma. Con un atto di guerra ci hanno detto di smetterla”.
E’ solo una mezza risposta la sua. Le chiedo: anche lei parla di pista internazionale. Si riferisce alle minacce di vendetta degli estremisti islamici, a Paesi spesso tirati in ballo per atti di terrorismo come la Libia?
“Per carità, le vendette internazionali si consumano in modo mirato. Se qualcuno vuole che l’ Italia liberi i Libanesi che ha messo in carcere sequestra degli Italiani. Se qualcuno volesse punirci per fatti specifici fa presto a far fuori tecnici o diplomatici italiani. La pista internazionale di cui parlo io non è il folklore sui cattivi nel mondo. E’ purtroppo una cosa più seria”.
E allora ci dica dove porta questa pista.
“Voglio partire da quanto ho visto l’altro giorno in Parlamento, mentre si discuteva della strage: uno spettacolo desolante, un’assemblea stordita. Tutti contenti nel dire fascismo contro antifascismo, rifacciamo l’unità e stiamo a posto. Che pochezza emiliana. E allora io provo a ragionare. Abbiamo avuto due fenomeni terroristici: uno rosso che nasce dalla costola dell’ estremismo marxista e cattolico e che è stato qualcosa di carattere sostanzialmente nazionale, un terrorismo che mirava ai simboli, un terrorismo logico. L’altro crea paura di massa. Ma ci domandiamo cosa vuol dire: significa che non dobbiamo compiere passi azzardati, non dobbiamo andare oltre certi confini. Questo è il senso delle stragi. La strage è una decimazione indiscriminata. Può venire dall’interno se si è in presenza di una guerra civile. Altrimenti appartiene a una logica esterna, anche se può trovare pali, manovalanza e supporti in sede locale”.
Questa, onorevole, è la premessa di un ragionamento. Dove sta la conclusione?
“Ci arrivo, ci arrivo. Ma ancora qualche considerazione: la strage di Natale è così perfettamente copiata su quella dell’Italicus da avere dentro di sé le caratteristiche del depistaggio. Ce la prendiamo col fascista assassino così come abbiamo fatto per le altre stragi. E non a caso non abbiamo mai trovato nessun colpevole. Tranne in un caso: il 17 maggio del 1973 in via Fatebenefratelli Gianfranco Bertoli, ex informatore del SIFAR, lancia una bomba contro il presidente del Consiglio Rumor. Quattro morti, decine di feriti. Sedicente anarchico veniva da un kibbutz israeliano. Se lo sono dimenticato tutti, eppure è l’unico filo, l’ unico nome che abbiamo in materia di stragi”.
E allora?
“Allora vuol dire che non sappiamo o non vogliamo indagare e ragionare sulle stragi. Le voglio ricordare un’altra cosa: il 5 novembre del 1972 Forlani, il cauto Forlani, parlava della Rosa dei venti come del tentativo più pericoloso della destra italiana dal dopoguerra e aggiungeva: un tentativo ancora in corso. Un tentativo con collegamenti internazionali. Da allora Forlani non ne ha parlato più. Di Bertoli nessuno ha parlato più”.
E quale sarebbe la verità che nessuno in fondo vuol conoscere?
“Quella per cui le stragi servono per introdurre avvertimenti a fini interni e quella per cui il nostro Paese è troppo debole per difendersi”.
Torniamo alla domanda originaria. Difendersi da chi?
“Non puoi crescere in democrazia, non puoi accettare sfide mondiali, stare al centro di un’area di guerra come il Mediterraneo e avere dei servizi di sicurezza funzionali, nati e cresciuti per la subalternità internazionale. Non puoi essere fino in fondo autonomo all’interno delle alleanze se i nostri servizi di sicurezza nemmeno hanno la parità dei flussi d’informazione con quelli alleati”.
Insomma, qualcuno ci ha avvertito, dall’estero e col sangue, che stavamo diventando troppo autonomi. E i nostri servizi di sicurezza non sono serviti a nulla. E’ così?
“E’ così e io credo che vada rinegoziata l’integrazione dei sistemi di sicurezza con i servizi analoghi dei Paesi alleati”.
Onorevole Formica, l’avvertimento di cui lei parla, la richiesta che i nostri servizi di sicurezza siano messi su un piano di parità con quelli alleati, vogliono dire che quella bomba sul treno è stata messa per iniziativa di qualche servizio segreto straniero. Qualcosa che i nostri avrebbero potuto sapere e non hanno saputo.
“E’ plausibile che sia andata così”.
E quale servizio è plausibile che sia l’ organizzatore dell’ avvertimento?
“Forse l’ uno, forse l’ altro. A certi livelli si scambiano favori. Io questo non lo so ma so che i nostri non funzionano”.
Già, se non sanno quello che fa il KGB o la CIA o altri che ci stanno a fare?
“Le racconterò tra un attimo dei servizi. Ma prima voglio spiegare meglio perché ci mandano questi avvertimenti. A metà e alla fine degli anni Settanta ci dissero che non potevamo procedere speditamente ad un’evoluzione democratica perché questo metteva in circolo forze politiche di cui era discutibile la fedeltà internazionale”.
Si riferisce a quello che fu il tentativo di Moro?
“Anche. Quello che di Moro all’estero non potevano accettare era la sua disponibilità a stare con i comunisti. Potevano accettare dei comunisti al governo, come poi accadrà in Francia. Non potevano accettare una sorta di democrazia popolare in Occidente”.
E anche la morte di Moro fu un avvertimento?
“Questo non posso dirlo. Non posso stabilire rapporti di causa ed effetto. Posso dire che quel tentativo in parte ambiguo di autonomia nazionale fu osteggiato. Oggi però il problema è diverso”.
Oggi per che cosa ci hanno avvertiti?
“Perché stavamo diventando un Paese che cominciava a dire la sua. In campo economico, sullo scacchiere del Mediterraneo. Perché stavamo diventando nazione all’interno delle alleanze. E invece ci ricordano che al massimo possiamo mandare qualche corvetta da qualche parte. Oggi non è problema di questa o quella forza politica al governo. Chiunque comandi in Italia deve ricordarsi di stare al suo posto”.
E deve smettere di far girare ministri degli Esteri e presidenti del Consiglio nel Mediterraneo?
“Deve ricordarsi delle nostre dipendenze internazionali. Questo è l’avvertimento. In quest’area un’Italia protagonista dà fastidio sia ad Est che ad Ovest”.
Dicevamo dei nostri servizi segreti…
“Il giorno 20 dicembre viene Scalfaro in Parlamento. Dice: l’ Italia è un Paese senza frontiere, entra ed esce chi vuole, il libanese ammazzato a Roma non sappiamo come si chiama, come è venuto. Promette: metterò ordine negli stranieri all’Università di Perugia. Gli dico: bravo, ma ricordati che perfino i finti studenti di Perugia sono stati contrattati internazionalmente. Voglio dire che nei nostri servizi la devianza è certamente rilevante ma peggio è la loro inefficienza. Inefficienza voluta al loro atto di nascita sancita negli accordi. E nel buco nero dell’inefficienza nasce la devianza: Non potendo, non dovendo difendere il Paese, s’industriano a spiare i politici, a stendere dossier”.
Che vuol dire inefficienza?
“Vuol dire che quando gli Americani hanno deciso tempo fa di sospendere il flusso delle informazioni in loro possesso, siamo rimasti ad aspettare che cambiassero idea. Vuol dire che i sistemi di reclutamento sono incredibili. Poiché i servizi sono segreti, una delle garanzie di riservatezza è che ognuno tira dentro un parente. Vuol dire che riciclano le informazioni delle Questure. Vuol dire, un esempio: dieci anni fa segnalano Freda in Grecia. Si discute come andarlo a prendere. Si decide: lo rapiamo. Si appalta l’ operazione al camorrista Zaza in cambio di denaro e impunità. Zaza subappalta il rapimento. Il rapimento fallisce. Freda resta libero. Zaza vola via con i soldi. Ecco i nostri servizi”.
Ma non sono gli stessi servizi che avevano detto a Craxi che “signori con la valigia giravano per l’ Italia”?
“Ma quelle sono soffiate che arrivano a centinaia. Col senno di poi ci si ripensa. Ma se volessimo ascoltarle i treni bisognerebbe fermarli tutti ogni giorno. Quando ero ministro dei Trasporti il direttore generale mi diceva: fermiamo solo quando la telefonata arriva ai Carabinieri perché i Carabinieri si presentano in stazione, altrimenti potremmo chiudere tutte le linee per sempre”.
Craxi, perché non è andato a Bologna?
“Sbaglia chi critica la sua assenza. Non ha potuto, ma sarebbe stata una risposta vecchia. Altre sono le risposte: non smettere una politica di pace nel Mediterraneo…”.
Ignorare l’avvertimento?
“Possiamo fare solo due cose: o rientrare nei ranghi o dotare il Paese di sistemi di difesa e di sicurezza adeguati alle nostri ambizioni. Ci sarebbe una terza cosa da fare: diventare una democrazia compiuta, ma altri ci hanno messo secoli, noi ci proviamo da appena due generazioni. E purtroppo, nel dopoguerra si è scelta una democrazia del compromesso, una democrazia lenta”.
Onorevole, che vuol dire non smettere una politica di pace nel Mediterraneo?
“Vuol dire che una volta si sta con Israele e una volta no”.
E che vuol dire capire l’avvertimento senza subirlo?
“Vuol dire sofferenza per tutti i partiti. Perché significa imparare a discriminare il bene e il male sullo schieramento internazionale senza garanzie e certezze. Vuol dire diventare nazione. L’unità antifascista, purtroppo, non basta più né per capire né per fermare le stragi. E’ questo il dramma della pista internazionale, quella vera”.
strage di bologna
Bologna chiama Ustica
La strage di Bologna? L’ex terrorista Vinciguerra: “Nata per ‘spegnere’ quella di Ustica”
La strage di Bologna è stata ideata per ‘spegnere’ quella di Ustica. Rispondendo alle domande della Procura, lo dice oggi [16/10/2019 – n.d.r.] al processo Cavallini in corso in Corte d’Assise a Bologna Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista di destra membro all’epoca di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo.
Incalza in aula rivolto al teste il pm Antonello Gustapane, chiedendo di spiegare meglio: “Lei dice ‘la strage di Bologna non nasce dalla crisi della destra’, di fronte al giudice istruttore Grassi, nell’interrogatorio del 30 aprile ’94”. Risponde Vinciguerra: “L’obiettivo del periodo ’69-’74 era fallito, perché non c’erano stati abbastanza morti nelle stragi precedenti. La strage di Bologna nasce per un motivo specifico, e questa è una mia opinione: collego la strage di Bologna alla strage di Ustica, per la necessità imperiosa di spegnere i riflettori sulla strage di Ustica. Dopo la strage di Bologna- puntualizza Vinciguerra- Ustica scompare dai tg e dai giornali”.
“Se non si fosse speso mezzo secolo a trovare terroristi neri che attaccavano lo Stato, ma si fosse passato mezzo secolo a chiedere conto ai vertici dei ministri di Interni, Difesa e dello stato maggiore della Difesa, forse oggi la verità ci sarebbe”. È un altro passaggio dell’audizione dell’ex terrorista Vincenzo Vinciguerra, sentito oggi come testimone al processo Cavallini in Corte d’Assise a Bologna.
Anche Vinciguerra, dunque, non svela in udienza i collegamenti tra Ordine Nuovo e i NAR. Interrogato dal pm Antonello Gustapane, che lo incalza sulla base dei vecchi interrogatori degli anni ’80 e ’90 sulla strage alla stazione del 2 agosto 1980 (85 morti e oltre 200 feriti), Vinciguerra, esponente all’epoca di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, non ha risposto e per questo è stato richiamato dal presidente della Corte, il giudice Michele Leoni.
“Insiste- si rivolge Gustapane a Vinciguerra in aula- nel non voler dire da chi aveva saputo che Fioravanti e Cavallini fungevano da collegamento tra Signorelli, Calore e Fachini?”. Dopo che il teste risponde in sostanza che “sono passati tanti anni” e che “forse è meglio lasciarli tranquilli”, prende la parola Leoni ricordando che “i familiari delle vittime non saranno mai tranquilli“.
Quindi continua Vinciguerra sui responsabili della strage: “E’ sbagliato circoscrivere la verità solo ai portatori di valigie. Le responsabilità politiche non sono state mai nemmeno sfiorate, esaminate. I familiari delle vittime hanno avuto una sola ricompensa, che sono stati trovati i portatori di valigie”. Ma allora, procede Gustapane rivolto a Vinciguerra, “perché non dà un contributo” alla verità? Risponde il testimone: “Il mio contributo lo do da anni con una ricostruzione storica, sulla base di una serie di elementi. Si è fatto un errore per mezzo secolo. Dal 1946, dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano, l’estrema destra ha scelto di stare dalla parte dello Stato e quindi ha scelto di stare dalla parte dei suoi apparati”.
“Mi disse chiaramente ‘sono stati loro’. Me lo disse Johann Hirsch in carcere“. Così Vincenzo Vinciguerra oggi in aula riporta quello che gli riferì in carcere a Volterra un malavitoso austriaco, in cella all’epoca per traffico di droga: ossia, che i responsabili della strage erano effettivamente i giovani dei NAR.
Vinciguerra è stato incalzato dal pm Antonello Gustapane, che ha ripescato i vecchi verbali a tema. Sentito per la prima volta sulla strage di Bologna il 29 giugno 1984, “disse- si rivolge il pm in aula al testimone- che nulla sapeva per conoscenza diretta sulla strage di Bologna. Successivamente, però, il 10 agosto ’84, il 21 dicembre ’84 e nell’interrogatorio dell’11 gennaio 1986, al giudice istruttore Zincani, disse che aveva avuto notizie sulla strage che in quel momento non voleva rivelare, in particolare da tre persone che non voleva indicare”.
Vinciguerra si concentra proprio sul detenuto austriaco: “Era un delinquente comune, mi ha detto chiaramente ‘sono stati loro’. Era malavitoso, uno spacciatore di droga”. La difesa di Cavallini, per iniziativa dell’avvocato Gabriele Bordoni, chiede però come mai Vinciguerra non reagì all’affermazione del ‘collega’ chiedendo di più. “Non ho cominciato a fare domande io. Farle in carcere non è salutare”, risponde Vinciguerra.
“Non ho mai conosciuto né mai incontrato Cavallini, non ho mai parlato con lui. E neanche con Fioravanti e Mambro”, dice Vincenzo Vinciguerra in aula durante il processo che vede imputato per concorso alla strage della stazione l’ex NAR Gilberto Cavallini. Dunque Vinciguerra, membro all’epoca di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, dice di non aver conosciuto né Cavallini né Valerio Fioravanti né Francesca Mambro, questi ultimi due condannati in via definitiva come esecutori della strage alla stazione, ma pure Paolo Bellini, l’ex ‘primula nera’ di Avangardia Nazionale, Vinciguerra dice di non conoscerlo: “Era in Avanguardia Nazionale? Non so, non conosco il personaggio Bellini”, risponde il teste.
Luca Donigaglia
(Fonte)
Matteo Renzi e il suo consigliere per la politica estera
“Da Ledeen a Renzi e ritorno a Tel Aviv. Le stragi non vanno mai in prescrizione anche sotto governi telecomandati dall’estero. Quei 20 chilogrammi di esplosivo che il 2 agosto 1980 fecero saltare in aria la stazione di Bologna provocando 85 morti e 200 feriti non c’entrano niente con il terrorismo palestinese, né tanto meno con il terrorista Carlos. Il giudice per le indagini preliminari di Bologna Bruno Giangiacomo ha recentemente archiviato in via definitiva le indagini a carico dei terroristi tedeschi, Thomas Kram e Margot Christha Frohlich che erano finiti indagati dalla Procura nel filone della pista palestinese soffiata dal Mossad. Dopo 35 anni, tuttavia, la magistratura italiana non ha ancora individuato i mandanti e gli esecutori materiali.
Si trattò di un eccidio anomalo, perché avvenne in una situazione politica stabilizzata; perciò la strage assume la caratteristica di un tentativo di cancellare dalla città, dall’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica, dal dibattito politico, dall’indagine dei magistrati la precedente strage di Ustica.
Il Dc-9 Itavia ammarato il 27 giugno 1980 al largo di Ustica, mentre volava da Bologna a Palermo con 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, non esplose in volo e nelle vicinanze c’era almeno un altro aereo che lo attaccò, quasi certamente con un missile, lasciando una traccia radar che per anni era stata scambiata per i rottami del Dc-9 stesso. Lo afferma uno studio del Dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’Università di Napoli consegnato ai legali dei familiari di alcune vittime. Gli ingegneri dell’Università Federico II, a distanza di anni dalle ultime indagini tecniche promosse dalla magistratura, sono giunti alla fine del 2014, a queste conclusioni rielaborando con nuove tecnologie gli stessi dati che erano stati acquisiti subito dopo il disastro.”
La strage di Bologna per occultare quella di Ustica, di Gianni Lannes continua qui.
Segreto di Stato: la strage di Bologna
Di Giancarlo Chetoni
L’anniversario della strage alla Stazione di Bologna anche quest’anno è stata la fotocopia di una manifestazione ormai collaudata da 27 anni, da quando il grande orologio esterno della stazione si fermò alle 10.25 del 2 agosto ‘80 per segnare l’ora del più grave attentato registrato nella storia della Repubblica con un bilancio di 85 morti ed oltre 200 feriti.
A distanza di 48 ore da quel massacro, con una tempistica più che sospetta, la stessa che adotterà l’Amministrazione Bush l’11 settembre 2001, il presidente del Consiglio Francesco Cossiga dichiarerà a Montecitorio e a Palazzo Madama che gli autori della carneficina andavano cercati nell’area neo-fascista, dando il via a una gigantesca campagna mediatica che avrà, di fatto, nei mesi successivi il potere di influenzare gli atti istruttori della magistratura locale e qualche anno più tardi il dibattimento nel primo e nel secondo grado di giudizio in Corte di Assise, rispettivamente l’11 luglio 1988 e il 12 luglio 1990.
Una pressione finalizzata ad indirizzare, a furor di popolo, le indagini della magistratura in una direzione “precostituita”. Continua a leggere
Carlos non molla
“Voglio raccontare la mia verità in Italia. Sono pronto a dire tutto ciò che so sull’attentato alla stazione di Bologna davanti a un magistrato italiano”. Firmato, Ilich Ramirez Sanchez, ossia ‘Carlos lo sciacallo’, il più famoso terrorista del mondo. Carlos, 61 anni, venezuelano, sta scontando l’ergastolo in Francia (per vicende francesi) ma ora chiede di parlare davanti a un tribunale italiano per dire ciò che sa sulla bomba che il 2 agosto 1980 uccise 85 persone e ne ferì più di 200.
(…)
Dopo aver letto un articolo del Resto del Carlino che lo riguardava, inviatogli dal suo avvocato milanese Sandro Clementi, ha deciso di scrivere una lettera che, tramite il collega bolognese Gabriele Bordoni, è stata recapitata al nostro giornale. La missiva, scritta nel carcere di Poissy, reca la data del 15 agosto.
“Egregio signore — scrive Carlos a Clementi — ho letto l’articolo… Io riconfermo tutte le mie dichiarazioni che riguardano l’attentato alla stazione di Bologna di 30 anni fa. Ho lottato contro i veri terroristi, i terroristi di Stato, fin da quando avevo 14 anni”.
(…)
Il magistrato italiano Enrico Cieri, titolare dell’indagine, l’ha sentito come persona informata sui fatti nell’aprile 2009 a Poissy. Carlos gli ha spiegato: “La bomba non l’hanno messa né i rivoluzionari né i fascisti. Quella è roba della Cia e del Mossad, i servizi italiani e tedeschi lo sanno bene. L’Italia è una colonia degli Stati Uniti”. Poi, però, al momento di fornire ulteriori dettagli, si è fermato: “Voglio parlare davanti a una Commissione parlamentare in Italia”. Stop.
Adesso, però, lo Sciacallo è pronto a fare di più. Scrive: “Voglio confermare tutte le mie dichiarazioni sull’argomento davanti a un tribunale italiano, in Italia”. Letto fra le righe, come spiegano i due avvocati, è pronto a fornire i dettagli mai detti finora. Ed è pronto a farlo non davanti a una commissione parlamentare (come pure preferirebbe), ma davanti ai magistrati. Non è finita, nel chiudere la lettera aggiunge un particolare nuovo e importante: “La mia ex moglie, Magdalena Cecilia Kopp, può confermare in un tribunale italiano le informazioni che mi ha fornito 30 anni fa su Thomas Kram e Bologna”. Dunque, l’ex moglie Kopp saprebbe molte cose. La Kopp, dopo aver tradito il terrorista, è in Germania e collabora da tempo con la giustizia tedesca, ma non con quella italiana. Cosa farà ora?
“Carlos è un inquinatore — dice l’avvocato Clementi — ma sui fatti di Bologna ha sempre avuto una posizione chiara e sono convinto che gli elementi li abbia”. Ora la parola passa ai magistrati italiani, che potrebbero chiedere l’estradizione (improbabile) o sentirlo per rogatoria, in Italia. Lo Sciacallo attende. Firmato: “Vostro nella Rivoluzione, Carlos”.
Da Strage di Bologna:Carlos rilancia la pista della CIA e del Mossad, di Gilberto Dondi.
Kossiga, Carlos ed i soliti ignoti
Una decina di giorni fa, Cossiga, sicuro di essere completamente coperto dal Governo Berlusconi, ha attribuito alla Francia anzichè ad una azione congiunta USA-Israele, l’abbattimento del DC 9 Itavia su Ustica, aggiungendo nelle dichiarazioni rilasciate ai media che l’aereo partito da Bologna fu abbattuto da un missile, anzichè ad impatto, ad influenza lanciato da Mirage. Dal 1980 ad oggi, Cossiga aveva sempre sostenuto la tesi della bomba a bordo.
Una mossa, nelle intenzioni dell’arcinoto agente della CIA, destinata a dare a Sarkozy l’opportunità di rovistare negli archivi della DGSE e magari procedere all’eliminazione di qualche struttura del Ministero della Difesa che non è d’accordo con le nuove impostazioni di politica estera e militare che prevedono il rientro della Francia nel comando integrato della NATO.
La risposta non si è fatta attendere ma non è quella prevista dall’ex Ministro degli Interni (guardacaso) durante il rapimento Moro e dai suoi ispiratori. Ed ecco che escono, dal carcere di Parigi, delle dichiarazioni di Carlos, capaci di mettere in difficoltà Kossiga ed il Partito Amerikano.
Carlos è andato più in là. Nelle note scritte rilasciate al suo avvocato italiano accusa USA ed Israele, con la complicita del SISMI “deviato-filosionista”, di aver portato a termine anche la strage alla stazione di Bologna. I fatti come li riporta l’Ansa sono stati accuratamente “trattati” per confondere il diavolo e l’acqua santa e far apparire le Brigate Rosse di Via Fani come espressione di un nucleo antimperialista con solidi agganci internazionali in Medio Oriente, quando è ormai storicamente accertato che Moretti e soci ricevevano “input” e coperture da CIA e Mossad.
Per lasciare questa certezza di collusione con OLP, FPLP e RAF, le Brigate Rosse organizzarono il sequestro del generale statunitense James Dozier, che si concluse con la previstissima liberazione dell’ostaggio da parte della Polizia. Questo cercato insuccesso determinò lo scioglimento delle BR e la fine della cosidetta “lotta armata al sistema”. Una lotta armata che prevedeva la completa militarizzazione degli apparati dello Stato, una radicale smobilitazione dei quadri del SISMI ostili alla NATO e la stabilizzazione politico-istituzionale della “Repubblica Italiana”.