La redenzione della Task Force 45

tf45

“Acquisizione di uno stato di libertà fisica o morale attraverso la liberazione da colpe e motivi d’infelicità.”
Passa attraverso la sguardo fascinoso dell’ormai brizzolato Raoul Bova, già spesosi in Nassiriya – Per non dimenticare, e la pretty face di Megan Montaner, che interpreta la giovane afghana con la quale scatterà la scintilla dell’amore.
I due sono i protagonisti di Task Force 45 – fuoco amico, miniserie televisiva di cui sono attualmente in corso le riprese e che dovrebbe andare in onda a gennaio 2016.
E’ utile a ripulire la coscienza di un Paese e dei suoi vertici politico-militari, dall’operato di quella “unità antiterrorismo” impiegata in Afghanistan circa la quale l’amico Giancarlo Chetoni scrisse diffusamente su questo blog (Una guerra sporca, senza onore; Complicità politiche ed istituzionali per la Task Force 45; Omicidi mirati per la Task Force 45).
Chi la spedì in Afghanistan – notava Chetoni – ne conosceva l’addestramento e l’aggressività, e sapeva di poter contare su una struttura di comando di assoluta fedeltà atlantica, una censura militare a prova di bomba e una informazione fatta di marchette.
Federico Roberti

Cinepanettone di Stato

Le contradditorie dichiarazioni del ministro della “Difesa” Ignazio La Russa relativamente alla morte di Matteo Miotto squalificano le istituzioni, la politica e le forze armate.

“Non ho mai visto in tv un Ministro della Difesa mimare come fa un attore in un film di ultima categoria“. Insomma, un La Russa che recita la parte del comico in un cinepanettone in programmazione tra San Silvestro e la Festa della Befana.
”Camporini ha detto la verità, è stato il titolare di Palazzo Baracchini a cambiare versione, le accuse che ha lanciato hanno un effetto negativo anche sulla situazione interna del Paese. Squalificano le istituzioni, la politica e le forze armate.
Si sta scardinando [intenzionalmente? – nda] il tessuto connettivo del Paese. Dopodiché non resta nulla.
I nostri sabotatori, gli incursori non dipendono dall’Esercito ma dalla NATO. Prendono ordini direttamente dal Comando Generale di Bruxelles. Scendono dagli elicotteri ed eliminano tutto quello che incontrano addentrandosi, anche di notte, in territorio “ostile“. Questa è guerra. Eliminare significa uccidere“.
Sono dichiarazioni rilasciate da Fabio Mini in questi giorni alle agenzie di stampa, che le hanno totalmente ignorate. Quello che ha detto il generale lo sapevamo e lo abbiamo scritto in più occasioni, dal 2009 in poi.
Sei parlamentari di Montecitorio hanno ripreso i contenuti dei nostri articoli sulla famigerata “Task Force 45“ per presentare delle interrogazioni a risposta scritta direttamente al Presidente del Consiglio piuttosto che rivolgersi al Ministro della Difesa od ai Sottosegretari Giuseppe Cossiga (!), figlio di Francesco, e Guido Crosetto, con l’intenzione di metterci allo scoperto piuttosto che di far sapere qualcosa in più agli italiani.
Ma c’è di peggio di un “malinteso“ o di una versione discordante sulla morte di Matteo Miotto tra il D’Annunzio del XXI° secolo ed il Capo di Stato Maggiore delle FF. AA..
Camporini andrà in pensione anticipata tra pochi giorni dopo aver accennato, ai margini della recente polemica sulla morte dell’Alpino del 7° Reggimento di Belluno della Brigata Julia, per la prima volta, a responsabilità esclusivamente politiche per la strage di… Ustica che si tirerà dietro quella di… Bologna.
Torniamo al titolare di Palazzo Baracchini.
La Russa racconta flagranti menzogne anche sui cacciabombardieri per l’attacco al suolo AMX-Acol in dotazione al PRT di Herat.
Ce li fa apparire come velivoli esclusivamente da ricognizione quando invece sono armatissimi e fanno decine di morti ammazzati a “strike“.
Se il Ministro mente e l’Aeronautica Militare dal canto suo nasconde il “lavoro“ tra le righe, salta immediatamente agli occhi la piena responsabilità politica dei Presidenti Napolitano e Berlusconi, del Sottosegretario Letta e dell’intero Esecutivo nella faccenda.
I vertici delle istituzioni e della politica sanno perfettamente quello che succede sul terreno nelle 4 province sotto (formale) controllo del contingente italiano in Afghanistan.
La Russa firma gli ordini esecutivi ma le decisioni collegiali vengono prese al Quirinale quando si riunisce il Consiglio Supremo di Difesa (CSD).
Entriamo nel merito.
Nel portale del Ministero della Difesa, Missioni Estere, Aeronautica Militare Italiana, si legge:
“… il personale navigante e specialista della Task Force “Black Cats“ proviene dai Gruppi di volo dell’A.M.I che hanno in dotazione il caccia AM-X: il 103° ed il 132° Gruppo del 51° stormo di Istrana, il 13° ed il 101° Gruppo del 32° stormo di Amendola”. Lo stesso, aggiungiamo noi, che effettuò per ordine dell’allora presidente del Consiglio D’Alema, consigliere militare Tricarico, ripetuti lanci di missili antiradiazione Harm sugli impianti radar del Montenegro nel 1999, in missione SEAD (Suppression of Enemy Air Defence), senza autorizzazione dell’ONU.
Abbiamo pubblicato a suo tempo anche i numeri degli oggettini indirizzati verso i targets in prossimità di alloggiamenti dei militari serbi.
Continuiamo a leggere quello che ci dice il portale.
“… Sabato 4 Dicembre ad Herat si è svolta la cerimonia del passaggio di consegne tra il magg. Nadir Ruzzon, comandante uscente e il magg. Michele Grassi, subentrante.
Nel periodo di comando del maggiore Ruzzon i 4 AM-X Acol (acronimo di Aggiornamento capacità operativa e logistica) hanno portato a termine con successo numerose missioni operative. Negli ultimi mesi sono state effettuate più di 300 ore di volo in 140 sortite [attenzione qui – nda] tra attività di supporto aereo ravvicinato, appoggio tattico alle truppe in operazioni di Close Air Support e ricognizione aerea per esigenze di intelligence, sorveglianza e ricognizione ISR“. In realtà le ore effettive di volo degli AMX dal 9 Novembre 2009, giorno del loro primo impiego in Afghanistan, ad oggi sono 2300. L’A.M.I azzera le ore di volo a fine anno per ricominciare la conta. Il perché è semplice: nasconde intenzionalmente l’entità del suo “impegno” aria-terra nelle province ovest di Herat, Farah, Bagdis e Ghor contro nuclei di combattenti pashtun.
Per non dare interpretazioni errate o di parte abbiamo usato Wikipedia. Ecco cosa riporta.
Close Air Support (CAS) è un termine utilizzato in gergo militare per indicare appoggio tattico fornito da velivoli ad ala fissa contro obbiettivi nemici in prossimità di forze amiche.
Il ruolo Close Air Support viene effettuato da aerei da attacco al suolo.
Per essere meno criptici, in soldoni, il Comando del PRT di Herat usa gli AMX che mitragliano e bombardano con armi a guida laser ed i Tornado IDS con missili e spezzoniere, per proteggere – si sostiene – il contingente italiano anche quando la minaccia sul terreno è pressoché inesistente o nulla.
La filosofia di impiego è fare terra bruciata, preventiva, per decine di chilometri di ampiezza intorno ai (nostri) capisaldi, controllando dall’aria ogni obbiettivo che si muova in maniera sospetta a piedi od in auto, fuoristrada e camion su percorsi asfaltati o strade di montagna, sia in prossimità di villaggi che di insediamenti agricoli od abitazioni isolate nelle vallate.
Il tutto a discrezione visiva (interpretativa) degli operatori alla consolle degli UAV Predator di Camp Arena.
Sentire in voce, in un filmato, un militare USA che… segnala ad un A-10 in volo due sospetti (terroristi) in prossimità di un argine che hanno in mano qualcosa che somiglia ad un lanciarazzi (pale, picconi?) ed autorizza il pilota a fare fuoco sui bersagli con i cannoni a tiro rapido da 30 mm, fa semplicemente rabbrividire.
Il portale dell’Aeronautica Militare non può dire esplicitamente quello che la Russa nega in pubblico ma si lascia una via di uscita per non caricarsi di responsabilità nell’ammazzare pashtun in quantità industriali, per decisioni di esclusiva responsabilità del Ministro della Difesa e del CSD.
La Russa, abbagliato da veline e gossip, che privatizza le FF. AA., che aliena per un tozzo di pane proprietà dello Stato, fari ed isole comprese, per reperire fondi per la Roma di Alemanno ed il sostegno armato al governo Karzai; capacissimo di licenziare, per sforamenti di bilancio, graduati e sottoufficiali, precari, ed ufficiali a ferma breve, in combutta con Brunetta e Tremonti, non può continuare a rappresentare lo strumento militare del Paese.
Abituato a mentire spudoratamente, può continuare meravigliosamente bene a fare il “politico” ma non certo il Ministro della Difesa. Non ne ha le capacità intellettuali né comportamentali. E’ una vajassa ed un debito elettorale per il PdL. Anche se non ce ne può fregare di meno. Fatti loro.
Il generale Mini ha detto in modo esplicito quello che si pensa unanimemente, tra gli organici di basso e medio livello delle forze armate e tra la gente perbene, dell’on. Ignazio La Russa.
Più buia la notte più luminosi i fuochi.
Giancarlo Chetoni

Matteo Miotto, una morte al di sotto di ogni sospetto

Le flagranti e pagliaccesche contraddizioni della versione ufficiale

Non ci stupisce che ad appena 24 ore dai funerali a S. Maria degli Angeli il Presidentissimo, influenzato e febbricitante – ci aveva fatto sapere – tanto da non poter essere presente alla cerimonia funebre di Matteo Miotto dopo aver disertato anche quella all’aeroporto di Ciampino, abbia avuto tutto il tempo per rimettersi in perfetta salute e raggiungere Napoli ancora sommersa dalla spazzatura, per farsi ciceronare insieme alla Sign.ra Clio in un evento culturale di grande richiamo come può esserlo una mostra del Caravaggio.
La morte dell’Alpino il 31 Dicembre ha avuto come effetto di disturbargli, oltre che il soggiorno a Villa Roseberry, anche il calendario degli appuntamenti familiari nei primi tre giorni dell’anno.
Il tutto mentre il suo Ministro della Difesa, visto che l’inquilino del Quirinale è anche Capo Supremo delle Forze Armate (almeno così dice), volava a rotta di collo a Herat per portare – questa la motivazione ufficiale del viaggio – il suo saluto al contingente italiano.
Un “corpo di spedizione“ ormai con il morale sotto i tacchi non solo per la morte dell’Alpino ma soprattutto per la nuova tattica, pretesa ed imposta dal generale Petraeus, di stare sul “terreno“ in Afghanistan.
L’allargamento delle “bolle di sicurezza“, che ci ricordano quelle di sapone, e la trasformazione dei reparti ISAF Italia in Task Force, sul famigerato modello 45, più l’approntamento di capisaldi fissi, in zone totalmente fuori controllo con necessità di rifornimenti logistici via aria e terra, non potevano non portare ad un incremento da capogiro delle nostre perdite.
Nel 2010 sono morti 10 militari italiani contro i 25 complessivamente caduti dal 2002, da Kost con la Folgore (base Salerno, confine Af/Pak) fino al 2009, portando il conto, per ora, a 35 morti ammazzati per una “missione di pace“ che fa sabbia da tutte le parti al di là dei costi stratosferici che impone ad uno sfiatatissimo erario pubblico.
Per capire il livello di autentica follìa raggiunto dal Governo basterà ricordare l’ultimo regalo da 6 milioni di euro a Dicembre dell’anno appena concluso, fatto dalla Cooperazione gestita dal Ministro degli Esteri Frattini per lo sviluppo dei progetti agricoli di Kabul, nello stesso giorno in cui Polizia e Carabinieri bastonavano nel porto di Civitavecchia il capo del Movimento Pastori Sardi Piras e la sua delegazione, in rappresentanza di 15.000 produttori ridotti alla fame, intenzionata a raggiungere Roma e protestare sotto Palazzo Chigi.
La visita di La Russa a Herat non ci ha affatto sorpreso. A dire il vero ce lo aspettavamo.
Con il Presidente della Camera in vacanza nell’Oceano Indiano, dopo la visita di Schifani al PRT di Herat non poteva mancare quella del D’Annunzio del XXI° secolo.
E poi la morte di Miotto necessitava di qualche urgente aggiustamento sul posto, vista la brutta piega che stava prendendo la faccenda in Italia quando sono cominciate a filtrare le prime indiscrezioni che smentivano la versione preparata a tavolino a Palazzo Baracchini: il rinvenimento di un proiettile in calibro 7.62 nella mimetica di Matteo Miotto in corrispondenza di un foro di uscita nella schiena.
Ed è così che si tenterà di fare e di impiastricciare.
Quando l’Ansa ha battuto il dispaccio del 31 Dicembre ha scritto inequivocabilmente “cecchino“. Un cecchino isolato, un terrorista che ha sparato un unico colpo all’indirizzo dell’Alpino e quella notizia è sicuramente partita dal Ministero della Difesa.
Versione poi confermata ufficialmente da La Russa. Letta quella dichiarazione siamo andati a cliccare “Dragunov“. Lo avevamo visto in Iraq nelle mani della guerriglia baathista.
Ne sapevamo qualcosa e abbiamo voluto rinfrescarci la memoria. Il primo filmato su Youtube che ne è uscito ci mostrava dei rangers USA che si addestravano al tiro con quel “fucile di precisione“ in Afghanistan con l’immancabile accompagnamento di caciara yankee.
In più eravamo certi di non averlo visto, nemmeno una volta, nella disponibilità di qualche formazione pashtun. Le decine di fotografie che via, via nel tempo abbiamo esaminato lo escludevano.
Il generale Marcello Bellacicco, attuale comandante del PRT di Herat, ha definito il Dragunov una “new entry“. Un linguaggio da Grande Fratello. Ma così è… se vi pare.
Un’arma che non ha mai destato allarme nelle forze della coalizione ISAF tanto da poter essere venduto come residuato di guerra nei suk delle principali città del Paese delle Montagne.
Il perché è semplice. I modelli in mostra non hanno ottica né diurna anni ’60 a ingrandimento 4, né notturna che necessita di una pila di alimentazione. Inoltre non è maneggevole, è impreciso nel tiro a media-lunga distanza, non dispone di bipiede di appoggio, ha limitate capacità di fuoco, il serbatoio contiene 10 colpi, e necessita di proiettili in calibro 7.62×54 che sono diversi nelle dimensioni dai 7.62×33 degli AK-47.
Ed in più i pashtun, per “ancestrale arretratezza culturale“, disprezzano il tiratore scelto e camuffato dell’Occidente che colpisce di nascosto.
L’ipotesi del cecchino isolato che aveva colpito Miotto, prima alla spalla, poi al fianco, e poi tra collo e spalla non riusciva a convincerci.
Anche perché il caposaldo Buji o Snow sta in una posizione sopraelevata di 250 mt sul terreno desertico, circostante, non ha torrette come Fort Alamo, ma piazzole, camminamenti ed alloggi approntati con materiale di fortuna ed una protezione passiva fatta di “ecobastian“ addossati l’uno all’altro a formare un cerchio su un area di 3-400 mq, trasportati sul posto con elicotteri CH-47.
Per quanto ne sappiamo, Buji è un avamposto in zona desertica privo di rampa di accesso per mezzi ruotati, rifornibile esclusivamente per via aerea anche per l’avvicendamento del personale, tenuto da un mezzo plotone scarso di militari che vivono in una costante condizione di isolamento psicologico e materiale dal Comando Centrale di Herat.
In alcuni capisaldi, dove il terreno lo consentiva, un quarto dei militari italiani sono stati costretti a scavare trincee con pala e piccone ed a mettere su alloggiamenti con travi, prefabbricati ed ondulati, tenendo le posizioni con temperature oscillanti tra il giorno e la notte tra i +40 ed i -5/-7 in estate ed i –15/-20 in inverno.
Ritenevamo invece che fosse indispensabile trovare il proiettile che aveva attinto Matteo Miotto perché poteva contenere un’enormità di informazioni utili: fattura, calibro, composizione delle leghe, rigature lasciate dalla canna e così via per poter essere certi che non fosse magari un proiettile 308W sparato da “fuoco amico“, molto ma molto simile al 7.62×54 sparato da un Dragunov.
Appena 3 millimetri di differenza in meno nella lunghezza del bossolo.
La ritenzione o meno del proiettile nel corpo di Miotto era un altro problema che avrebbe dovuto uscire dall’autopsia ma così non è stato. Dal momento che le pensiamo tutte ma proprio tutte ci è parso strano che il procuratore aggiunto Saviotti sia stato chiamato il giorno successivo a rapporto dal Copasir. Può essere che D’Alema voglia sentirlo per Calipari, come è stato annunciato, ma… qualche dubbio, di indebita pressione “altra“ non può non rimanere in piedi.
Dal leggìo delle grandi occasioni del PRT di Herat, dall’hangar alla presenza delle truppe schierate, un La Russa in tuta mimetica ha voluto farci sapere quale dovrebbe essere l’ultima versione della morte dell’Alpino del 7° reggimento della Julia.
Lo riportiamo per intero per far capire ai lettori la sfrontatezza con cui si dichiara il falso e le enormi difficoltà che incontra nel dare una spiegazione razionale, logica all’uccisione di Matteo Miotto e le flagranti, pagliaccesce contraddizioni in cui cade.
Le conclusioni le tireremo alla fine, anche se non siamo esperti balistici sappiamo leggere e capire.
“E’ stato ucciso da un cecchino, solo che questo non ha sparato un solo colpo ma diversi colpi. Si può pensare che non fosse solo, anzi è probabile che ci fossero altri 4-5 uomini di copertura ma è possibile che a sparare sia stato soltanto lui. E’ stato un vero e proprio scontro a fuoco. Gli insurgents che hanno attaccato la base, difficile dire quanti fossero, hanno cominciato a sparare con armi leggere [di pesanti non ne hanno mai avute – nda]. I militari italiani hanno risposto. Miotto che faceva parte di una forza di pronto impiego è andato alla garitta a dare manforte al soldato che c’era. Sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. E proprio mentre si stava abbassando che Matteo è stato colpito al collo. Dall’esame del proiettile è stato possibile risalire all’arma che ha fatto fuoco. E’ un Dragunov degli anni ’50 di fabbricazione sovietica. Si trova anche al mercato nero di Farah“.
Dal canto suo il generale Bellacicco, nel tentare di dare due mani e due piedi al suo superiore, senza pensare di poterlo inguaiare ancora di più ha dichiarato con candore quanto segue:
“La battaglia alla base Snow si è conclusa dopo diverse decine di minuti anche in seguito all’intervento di un aereo americano che ha contribuito a bonificare l’area. Secondo indiscrezioni ci sarebbero state 4 vittime tra gli insorti. Non è chiaro se tra di loro ci fosse anche il cecchino“.
Un’ultima annotazione prima di chiudere. La Russa si è portato ad Herat 4 ragazzi sotto i diciotti anni di età che hanno già sperimentato la sua “mini-naja“, due maschi e due femmine che sono stati invitati ad indossare il cappello alpino. Il loro desiderio – ha detto La Russa – è di poter fare i militari ma ancora c’è tempo. Se non quì ad Herat altrove.
Il proiettile che ha ucciso Miotto La Russa dice di averlo trovato. Lo porti in Italia e lo consegni ai pm titolari dell’inchiesta. Il resto si vedrà. Relazioni dei ROS e dichiarazioni a verbale degli altri alpini del 7° Reggimento che erano con Miotto al momento del suo decesso nella base Snow comprese. Ci apettiamo che la Procura di Roma faccia per intero il suo dovere, senza guardare in faccia nessuno, dedicando grande attenzione anche al contenuto del suo testamento per valutare la concreta possibilità di “fuoco amico“.
Giancarlo Chetoni

Omicidi mirati per la Task Force 45

Abbandonare Kabul – la dichiarazione è arrivata da Rasmussen, il Segretario Generale della NATO al summit dei 28 ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica che si è tenuto a Bratislava il 22 Ottobre 2009 – avrebbe, a suo dire, costi altissimi e catastrofiche conseguenze per l’Europa.
“A quelli che ci chiedono se il costo del nostro impegno non sia troppo elevato, io rispondo – ha continuato – che il costo della mancata azione sarebbe molto più grande ed il Paese (l’Afghanistan – ndr) ridiventerebbe terreno di addestramento di Al Qaeda”.
Mentre salta immediatamente agli occhi la colossale menzogna di queste affermazioni e la pagliaccesca strumentalità delle motivazioni, traspare tra le righe una paura folle: la necessità di tenere ancora aggregata la partecipazione militare dei Paesi del vecchio e del nuovo Continente (per dirla alla Rumsfeld) al traballante apparato militare degli USA, a corto anche di elicotteri da trasporto medi e pesanti, nonostante un’immissione di 100 nuovi CH-47 per posizionare e rifornire sul campo il contingente aggiuntivo di 39.000 marines e rangers arrivati a scaglioni dall’Iraq nell’arco degli ultimi sei mesi.
Ad ISAF NATO aderisce anche personale militare appartenente a Stati falliti (Polonia, Estonia, Lituania) e Stati falliti e criminali (Georgia e Kosovo). Rasmussen dai singoli governi dell’Europa ha preteso ed ottenuto nel corso del 2009 complessivamente 7.000 unità aggiuntive.
USA e NATO hanno chiesto aiuto alla Russia per poter disporre entro il 2011 di altri 56 elicotteri da trasporto MI-8 dopo i 16 già arrivati a Kabul.
Mosca ha risposto affermativamente alla richiesta avanzata dal Pentagono, mettendo inoltre a disposizione di Washington nuovi corridoi aerei e le tratte ferrate della Russia per il trasporto del materiale militare. Esamineremo i perché in altra occasione.
Da Bratislava ad oggi per bocca di Frattini e La Russa, su decisione di Napolitano e dei soci del Consiglio Supremo (!) di Difesa, l’Italia senza badare a spese ha contribuito alle nuove necessità operative della “missione di pace” con l’invio in Afghanistan di altri 1.450 militari, con larga dotazione di mezzi blindati e rifornimenti logistici. L’impegno assunto dalla Repubblica delle Banane sfiora da solo il 20% della richiesta fatta all’intera Europa.
Altri 200 “istruttori” dell’Arma dei Carabinieri destinati ad affiancare formazioni dell’esercito afghano raggiungeranno Herat entro Dicembre.
Decisione resa nota da Ignazio La Russa a distanza di ventiquattro ore dalla visita mattutina di Rasmussen al Quirinale, alla presenza del ministro degli Esteri Frattini, ed a Palazzo Chigi nel primo pomeriggio del 17 Settembre. Visita che ha come al solito fatto registrare sorrisi larghi e convinte strette di mano, e messo in risalto il clima di solida, perdurante amicizia esistente tra le parti.
Sul nuovo oneroso impegno dei 200 Carabinieri da sbattere nella regione Ovest, l'”opposizione” ha pensato bene di fare, ancora una volta, l’usuale scena muta. Continua a leggere

Condoni militari

In queste ore sui media di tutto il mondo girano le immagini del video dell’interrogatorio dei giovanissimi componenti del Kill Team , un gruppo di soldati americani ventenni che plagiati dal loro sergente ammazzavano e collezionavano dite di civili afgani innocenti per puro divertimento. Se la Corte marziale li riterrà colpevoli il rischio per loro è la morte o il carcere a vita.
Ma… in Italia quali sono le misure che impediscano che si commettano abusi nelle operazioni militari all’estero?
Riteniamo opportuno aprire uno squarcio sul velo plumbeo della legislazione di “emergenza” che da pochi mesi permette la totale impunità sui reati che i militari possono fare durante le operazioni all’Estero.
Un’impunità che non siamo noi a definirla tale, ma, bensì, esperti civili e militari di diritto penale che ha approfondito questo argomento sulla rivista più prestigiosa delle nostre Forze Armate, Informazioni della Difesa, periodico a firma dello Stato Maggiore della Difesa, nel numero 3/2010, giunto un mese fa agli abbonati.
Esso è una conferma autorevole a quanto denunciato da troppo tempo da associazioni pacifiste e antimilitariste, come noi dell’Osservatorio sui Balcani di Brindisi: siamo arrivati ad un punto di deriva democratica tale che, in nome dell’unanime consenso patriottico, le quotidiane polemiche politiche tra poli son state messe da parte per approvare una legge, quella che è entrata in vigore il 1 gennaio 2010, la 197/2009, che praticamente rende non punibili i militari che usassero le armi o altro mezzo coercitivo contro tutti coloro che gli si oppongano, in qualunque modo, impedendo l’esecuzione di ordini e direttive impartite e/o nel rispetto delle Regole d’Ingaggio, ROE.
I due esperti , autori dell’articolo (Paolo Maria Ortolani e Francesco Zamponi) nel loro particolareggiato studio, si dichiarano perlomeno sconcertati (se non addirittura scandalizzati) su come provvedimenti amministrativi (redatti da Generali e sotto la pressione di Paesi – gli USA – o Alleanze – la NATO – NdR) possano diventare norme di rilevanza penale tali da ledere il principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.
(…)
Nel solito documento multiproroghe, salva missioni di fine anno, il n. 152 del 4 novembre 2009 (disposizioni urgenti proroga missioni internazionali ed altro…) veniva fatta una legge di modifica che, esplicitando la non punibilità degli atti fatti sotto ordine superiore, derubrica a colposo qualunque tipo di violazione nell’uso eccessivo della forza”.
Praticamente una vera e propria licenza di ammazzare o infliggere danni a tutti coloro che anche inconsapevolmente si trovassero a traversare la strada di un nostro gruppo di armati all’estero.
Prendiamo per esempio l’ultima operazione di una nostra Task force andata a male, quella dove il tenente Romani ha perso la vita, quando ha avuto la sfortuna di imbattersi in un gruppo di prede talebane decise a non farsi “terminare”.
(…)
Questo non significa che, prima del gennaio 2010, atti di violenza inutile o di stupidità nell’osservanza degli ordini siano stati censurati con condanne!!! Assolutamente no!
Son passati i tempi in cui lo scandalo torture in Somalia, fece oscurare il mito del Buono Soldato Italiano portandolo nell’aula di tribunale. Dal 2001 tutto ciò che è avvenuto di “sporco” all’estero è stato di fatto assolto con motivazioni incredibili in nome della lotta al terrorismo internazionale.
Ve la ricordate la famosa battaglia dei ponti a Nassirya in Iraq? Lì vi fu una vera e propria strage di miliziani e civili che contesero al nostro contingente l’accesso ai ponti della città.
Le vittime furono tutte classificate insorti e quindi non degne neanche di uno sputo di condoglianza, ma scioccò tutti l’ambulanza mitragliata, nonostante che portasse i contrassegni della Mezzaluna rossa. In quel caso i nostri soldati ammazzarono 4 occupanti dell’ambulanza, compresa una donna partoriente: ebbene, con sentenza n. 33 del 7 maggio 2007 il Gup del tribunale militare di Roma ha mandato assolti i nostri militari (ex art. 44 cpmp).
Così è stato, in un’altra occasione, per un civile, un manifestante iracheno freddato dai nostri militari.
La vicenda è di una crudeltà rivoltante: lui, l’iracheno che protestava, fu reso “reso inoffensivo” ovvero pestato e gettato, svenuto, per terra. Nonostante ciò, veniva freddato, da un altro soldato italiano che lo colpiva con la canna del fucile dal quale, “inavvertitamente”, gli partiva un colpo. Non ci dilunghiamo sui particolari macabri dell’effetto del proiettile da guerra sulla sua testa… Ebbene, la Corte militare di Appello con sentenza n. 27 del 5 maggio 2006 ha assolto il militare per aver agito in stato di necessità militare (ex artt. 44 e 59 cpmp) ponendo a suo fondamento l’interesse militare che aveva come obbiettivo la sicurezza del posto dove i manifestanti si erano radunati.
Su tutto ciò aleggia un silenzio, complice trasversale e chi lo viola, come noi, è additato come sabotatore, antipatriottico e alleato ai terroristi che un giorno potrebbero anche colpire il nostro Paese.
(…)

Da Assassini in divisa. Il caso del Kill Team, di Antonio Camuso.

Afghanistan: le manfrine di Frattini, La Russa & soci

Il “Freccia“ è il 5° blindato, in questo caso di produzione FIAT Iveco-Oto Melara, utilizzato dal “nostro“ contingente in Afghanistan ed il 3° progettato ed uscito dalle catene di montaggio nazionali per dotare i militari “tricolori“ di “un mezzo idoneo ad affrontare le minacce di formazioni ostili in Paesi in cui si imponga la necessità di operazioni di polizia internazionale per ristabilire l’ordine e sicurezza“ (dichiarazione di La Russa Ignazio). Insomma, peace-keeping e peace-enforcing sotto l’egida dell’ONU ed occasione utile per soddisfare al tempo stesso le esigenze dell’ Esercito Italiano (E.I.) per dotare i suoi reparti di un numero adeguato di VBL/VCM/VCE/IFV che soddisfi l’esigenza di dotazioni della Forza Armata.
Un esigenza che coincide con l’acquisto da parte del Ministero della Difesa di un numero di blindati tale da generare, in ogni caso, un lauto profitto alle società costruttrici che si accollano, bontà loro, i costi di progetto, produzione, modifica, manutenzione a tempo e le scorte ricambi all’ E.I..
La conseguenza più immediata di una tale procedura è il volatilizzarsi del rischio di impresa e l’acquisizione da parte dell’E.I. di quantità “regolarmente eccedenti di esemplari prodotti, rispetto alle necessità operative“ essendo ben noti i benefici economici che ricava il personale di alto grado della Forza Armata, Marina ed Aviazione comprese, alla quiescenza, dall’’inserimento a livello dirigenziale nell’industria militare pubblica e privata.
Lobbies che opacizzano, nel migliore dei casi, i bilanci di settore ed inquinano, ormai a partire dagli anni Settanta, le destinazioni di spesa di Via XX Settembre.
Il “Freccia“ pesa in ordine di combattimento 26+2 tonnellate, ha un cannone a tiro rapido da 25 mm KBA, una mitragliatrice MG-42 da 7,62 mm ed una trasmissione su quattro assi. L’arma più temibile nelle mani di un coraggiosissimo ed eternamente appiedato straccione pashtun è un RPG-7 che a 150 metri perde i tre quarti della sua precisione di tiro od un AK-47 che a 130 mt la dimezza.
Nella versione controcarro il “Freccia” aggiungerà, grazie al professore, una dotazione di missili antitank “made in Israel“ Spike con un raggio d’azione dai 4 ai 6 km. Continua a leggere

Hanno sfidato una tempesta di sabbia

Herat, 17 settembre – Hanno sfidato una tempesta di sabbia per consegnare le schede elettorali in una delle zone più remote dell’Afghanistan, Por Chaman. Gli elicotteri italiani hanno compiuto la missione questa mattina ed hanno consegnato alle autorità afghane gli scatoloni sigillati contenenti le schede elettorali per le votazioni che si svolgeranno domani in tutto l’Afghanistan. Una missione durata due ore e che ha visto impegnati un CH47, elicottero da trasporto, e due Mangusta che hanno scortato le schede elettorali.
Nel corso della settimana molte volte l’operazione era fallita proprio a causa della tempesta di sabbia che ha colpito la regione. “Negli ultimi giorni – spiega il maggiore Bruno Pagnanelli abbiamo messo a punto un piano dettagliato per portare le scatole sigillate con all’interno le schede elettorali nei vari distretti. Una tempesta di sabbia però ha impedito che l’operazione giungesse a buon fine. Fino a questa mattina quando il maltempo ha concesso una tregua di due ore e così gli elicotteri sono partiti da Farah, nella provincia di Herat, affrontando una missione al limite, sorvolando la zona montuosa e desertica di quella provincia. Nessun atto ostile da parte degli insorti è stato registrato contro le forze dell’aviazione leggera dell’Esercito e dunque sabato gli abitanti di quella zona potranno recarsi alle urne”.
(AGI)

Peccato però che…

Kabul, 17 settembre – Alla vigilia del voto afghano, sequestrate migliaia di schede false e badge per l’accredito degli osservatori. Lo hanno annunciato le autorità in Afghanistan, dove crescono i timori di brogli elettorali, in un voto che i talebani hanno invitato a boicottare e minacciato di insanguinare con attentati.
(AGI)

Roma, 17 settembre – In Afghanistan si corre il rischio di brogli elettorali: lo ha detto il ministro della difesa Ignazio La Russa. “Qualche volta sentiamo parlare di rischio brogli elettorali nei Paesi europei – ha dichiarato La Russa – e qualche volta anche in casa nostra. Potete immaginare come sia più facile sentirne il pericolo in una terra così devastata come l’Afghanistan“. La riflessione del responsabile della Difesa a margine dell’incontro che ha avuto con il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen.
(AGI)

Ma come, signor Ministro, non ci ha sempre detto che in Afghanistan siamo sulla buona strada?!?
Intanto, i “nostri ragazzi” continuano a giocare alla guerra:

Roma, 17 settembre – Due incursori italiani, un ufficiale e un militare di truppa della Task Force 45, costituita dalle forze speciali italiane, sono rimasti feriti oggi nel distretto di Bakwah, provincia di Farah, a sud di Herat. I due, colpiti da proiettili di arma da fuoco alla spalla, non sono in pericolo di vita. In particolare, riferisce il Regional Command West di ISAF, i militari sono rimasti feriti nel corso di un’operazione mirata alla cattura di quattro insorti che erano stati avvistati da un velivolo senza pilota dell’Aeronautica militare mentre posizionavano un ordigno lungo la strada che collega Farah a Delaram.
Gli insorti si erano spostati in un’abitazione verso la quale si stavano dirigendo un elicottero da trasporto CH47 con a bordo gli elementi delle forze speciali, scortato da due elicotteri Mangusta. I due feriti sono stati subito evacuati presso l’ospedale da campo USA di Farah. La dinamica dell’evento è in fase di ricostruzione, mentre le famiglie dei due militari sono state avvisate.
(ASCA)

Un elicottero da trasporto CH47 e due Mangusta in entrambi gli episodi, ma che curiose coincidenze!

Altri addirittura, pur di sparare a qualche animale di grossa taglia, da cacciatori accaniti arrivano a firmare contratti annuali o pluriennali con le nostre Forze Armate che organizzano safari a proprie spese.
Il ragionamento è semplice: se, tra acquisto di mimetica, scarponi, fucile, munizioni, costo di viaggio di spostamento all’estero ecc, se ne vanno più di mille euro, e io posso risparmiare, anzi mi pagano lautamente per la trasferta internazionale, perché non farlo?
Qualche rischio c’è, ma a vedere i dati che ogni anno ci arrivano dagli enti preposti, ma anche dalla stessa televisione, decine di morti e feriti per ogni stagione faunistica, c’è da ammettere che c’è più rischio di essere impallinati dai cacciatori della domenica o morti precipitati in dirupi a causa di un terreno che frana in tutta Italia, piuttosto che percorrere le lande desolate afgane o irachene a caccia di qualche bella preda.
Qualche volta dallo schermo tv, ci arrivano delle notizie curiose che ci parlano del cinghiale che inferocito ha fatto cadere un cacciatore, al quale partendo un colpo ha ammazzato accidentalmente l’amico o di qualche volpe che fintasi morta ha poi staccato il naso o la mano al cacciatore imprudente, ma sono cose che non fanno paura, anzi danno una bella scossa di adrenalina a ogni impenitente cacciatore.
Oggi, l’incidente di caccia è avvenuto non nei boschi della Garfagnana, bensì tra le pietraie del distretto di Herat, dove un gruppo di cacciatori italiani in trasferta, che in Afghanistan sono inquadrati dalla agenzia di Safari “Incursori Taskforce45”, addestrata ad eliminare a colpi di silenziatore dei fastidiosi esemplari di una specie che si chiama talebana, dopo aver avuto le indicazioni da parte di un cane-volante robot (chiamato Predator) ove si trovasse la tana di alcuni esemplari di questa razza, è incautamente incappata in un branco di cuccioli talebani con mamme al seguito.
La reazione di questi animali che, notoriamente, appena vedono un cane-robot Predator a stelle e strisce, si fanno immediatamente annichilire a colpi di missile, è stata inconsulta, rabbiosa provocando la morte di un cacciatore ed il ferimento di un altro.
L’ennesimo incidente di caccia scatenerà nuove polemiche tra coloro che sono sfavorevoli alle attività di caccia grossa all’estero sotto il patrocinio del Ministero della Difesa e coloro che invece richiederanno l’impiego di cani-robot armati, capaci di ammazzare prima la preda a distanza, onde far fare ai cacciatori incalliti un safari teleguidato senza rischi.
Si prevede che i missili da installare su questi nuovi cani da caccia saranno acquistati con i risparmi sulle pensioni di invalidità, sulla scuola, sulla sanità e con tariffe più alte sui servizi pubblici.

“La caccia grossa è garantita dai principi delle libertà costituzionali, corrobora lo spirito italico e fa tenere alto il nome della nostra Nazione all’Estero!“.
Con queste parole, il nostro ministro della Difesa richiederà la mozione di fiducia sulla prossima manovra relativa all’acquisto della ”nuova attrezzatura” per un’attività venatoria che quest’anno si presenta molto interessante.

Da Incidenti di caccia: morto un incursore italiano che andava a caccia di talebani, di Antonio Camuso.
[grassetto nostro]

Missione di pace
Roma, 20 settembre – “Il tenente Romani era un valoroso combattente”, ha detto Franco Frattini, ricordando la figura del militare ucciso. Il ministro degli Esteri ha aggiunto che gli uomini della Task Force 45, di cui faceva parte Romani, sono militari “addestratissimi”, in Afghanistan da volontari, che “devono andare a snidare quei talebani con cui non potremo fare mai un accordo”.
(AGI)

“Fiaccola per la nostra Patria, lampada per i popoli martoriati”
Roma, 20 settembre – ”Alessandro in Afghanistan voleva che gli ordigni non spegnessero più i sogni dei bambini, che le donne non fossero più sfigurate e lapidate, che gli uomini non fossero più legati su pali in attesa della morte, dinanzi agli occhi dei figli”. Con queste parole mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, ha ricordato la figura del tenente Alessandro Romani, l’incursore del reggimento ‘Col Moschin’ ucciso il 17 settembre in uno scontro a fuoco con i talebani e del quale si sono celebrati i funerali oggi a Roma alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano.
”In questa basilica, diventiamo alunni dinanzi alla sua bara, cattedra non sempre condivisa e riconosciuta. Eppure è una cattedra da cui viene trasmesso un insegnamento che debella l’egoismo e fa trionfare la solidarietà. Una cattedra che non respinge i poveri e gli emarginati ma insegna ad accogliere i più deboli e li mette in cattedra”. ”Caro Alessandro, – ha detto mons. Pelvi rivolgendosi direttamente al militare caduto – con la partecipazione alle missioni internazionali di sicurezza e di sviluppo, sei diventato, senza cercarlo, fiaccola per la nostra Patria e l’intera umanità. Non ti sei preoccupato delle tue paure o delle tue ferite perché avevi a cuore di restituire dignità umana a ogni persona. Prima per il popolo iracheno e poi per quello afghano, sei stato luce di speranza, convinto che la vita di ogni uomo è un valore non negoziabile”.
Per mons. Pelvi la morte di Romani ”è un ammonimento circa la necessità di abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come fardello e come fastidiosi importuni. Eppure solo assieme a loro possiamo creare un mondo più giusto e per tutti più prospero. Se vogliamo la pace, la costruiremo assicurando a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le ingiustizie, prima o poi, presentano il conto a tutti. Il servizio dei nostri militari rivela un obiettivo di profonda solidarietà: mirare al bene di ognuno e di tutti”. Da qui l’impegno a ”non distogliere mai l’attenzione ai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più bisognosi di aiuto, promuovendo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale anche col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti. Lo sviluppo è dato dall’incremento di scelte buone che sono possibili quando esiste la nozione di un bene umano integrale”.
Il vescovo castrense ha concluso l’omelia ringraziando a nome dell’Italia ”i nostri militari, che, liberi dal proprio io, si espongono come lampada per i popoli martoriati dalla tirannia e dalla violenza con l’intento di rendere ospitale la casa dell’umanità. La guerra non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile. Anzi doverosa”.
(ASCA)

[La puntata precedente del “Monsignore atlantico”.
Le ingiustizie, prima o poi, presentano il conto a tutti…]

L’Italia che frana, alla bancarotta

Nel fiume straboccante dei finanziamenti per centinaia di milioni di euro a fondo perduto per la “ricostruzione“ dell’Afghanistan, abbiamo trovato sulle entrate dichiarate dall’Ufficio ONUPA del Palazzo di Vetro 1.8 milioni di euro destinati dall’Italia (sentite, sentite) alla prevenzione ambientale.
Un primo stanziamento, si preciserà, finalizzato a localizzare le sedi che ospiteranno centri di osservazione contro il dissesto geologico nella provincia di Farah.
Non potevano non tornarci in mente i comuni di Scaletta Marina, Giampilieri, Briga e Scaletta Zanclea nel messinese, i quali il 25 ottobre del 2007 vennero coinvolti da un vasto movimento franoso durante un nubifragio particolarmente intenso che in quell’occasione non fece vittime ma solo ingenti danni materiali.
Questo territorio della Sicilia Orientale, al pari di altri 1.503, distribuiti a macchia di leopardo dall’arco alpino alle dorsali appenniniche, era stato censito nel 2004 da ricercatori e tecnici, locali e nazionali, ad elevato rischio idrogeologico.
Nonostante i ripetuti allarmi lanciati dai sindaci e dal prefetto di Messina, i ministri dell’Ambiente, Pecoraro Scanio e Prestigiacomo, non hanno mai destinato un solo euro di finanziamento per la messa in sicurezza della zona.
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Guido Bertolaso che, insieme al suo staff, ha raccolto dalla magistratura avvisi di garanzia come coriandoli per la gestione dell’emergenza spazzatura a Napoli, da queste parti la gente lo ricorda per lo slogan beffardo “meno salsicce (in riferimento alle sagre delle proloco – nda), più risorse al territorio“ con cui investì gli amministratori locali che sollecitavano un piano di opere di contenimento per fermare gli smottamenti.
Il 3 ottobre 2009, milioni di metri cubi di terra trasformati in fango da un altro violento temporale si staccano da un costone della collina che sovrasta Giampilieri Alta e precipitano a valle travolgendo Giampilieri Marittima.
Le strade delle due frazioni saranno invase da un fiume di terra ed acqua che spazzerà via decine di abitazioni e interi nuclei familiari.
Il bilancio finale sarà di 37 morti e di 3 dispersi seppelliti sotto metri di fango i cui corpi non verranno più ritrovati.
Il responsabile della Protezione Civile senza arrossire nemmeno un po’ dichiarerà: “Eravamo in allerta meteo, di più non potevamo fare“.
A catastrofe annunciata e poi consumata, due cadaveri verranno rinvenuti dai Vigili del Fuoco in mare, ci sarà un gran spolverio di vip ed una montagna di immagini trasmesse dai TG, con l’immancabile seguito di funerali di Stato e bare avvolte dal tricolore.
Anche Giampilieri Marina avrà il suo eroe travolto dal fango per salvare 3 compaesani.
La famiglia, statene certi, riceverà a riflettori accesi ed a cineprese ronzanti una bella medaglia d’oro al valor civile dalle mani di Giorgio Napolitano.
Il TG3 serale di martedì 22 u.s. intervisterà un residente domandandogli cosa è cambiato in paese a distanza di due mesi e come sarà il suo Natale. L’inviato della Berlinguer si sentirà rispondere con un secco “qui da noi è tutto come dopo la tragedia“.
Il blocco totale delle attività agricole ed artigianali continua. Il 25 dicembre sarà per Vito Abbate un giorno segnato dalla sofferenza.
Ecco perché troviamo allucinante la destinazione di quel 1.8 milioni per la provincia di Farah dove continuiamo a portare morte e distruzione con la Task Force 45, con i Predator, i Tornado e gli AMX di Napolitano e La Russa. Il marcio che corrode l’Italietta esce prepotente in superficie.
Appena 24 ore prima che Vito Abbate dicesse cosa succede, o meglio non succede, a Giampilieri il Presidente della Repubblica, rivendicando le sue funzioni di Capo delle Forze Armate, a margine della teleconferenza dall’Afghanistan con il generale Alessandro Veltri della Brigata Sassari – che ha sostituito la Folgore al Comando del West RC di Herat – si è detto particolarmente soddisfatto per il rifinanziamento (miliardario in euro) delle “missioni di pace“. “E’ motivo di profondo conforto – ha continuato – che a Camera e Senato ci sia stata compattezza ed unanime sostegno dalle forze politiche“.
Per Napolitano, il suo è un compito di guida e di stimolo che si esplica nel presiedere il Consiglio Supremo di Difesa. “Sento – affermerà – come un grande onore la responsabilità di ricoprire questo incarico al servizio del popolo italiano“.
Quanto al ruolo dei (nostri) militari, il Capo dello Stato ha voluto sottolineare come “ovunque all’estero ho raccolto grandissima testimonianza ed apprezzamento per l’operato delle nostre forze armate in Afghanistan che proseguiranno negli impegni assunti dall’Italia con gli USA e gli alleati della NATO per quanto serie siano le difficoltà finanziarie che il Paese sta incontrando nell’attuale fase di recessione internazionale“.
E ora una pessima notizia per i nostri portafogli, uscita dal Ministero della Difesa il 18 dicembre.
“ … esiste un forte ritardo nel processo di formazione delle forze afghane e di sicurezza che dovranno sostituire via, via il continente internazionale, ci sono difficoltà nel reperire i luoghi dove formare quadri dell’esercito e della polizia afghana. L’obbiettivo di un larghissimo rientro (di ISAF/NATO – nda) nel 2013  è basato sulla capacità di stare sul territorio degli effettivi locali e per farlo abbiamo bisogno di infrastrutture adeguate per l’addestramento“.
Insomma, non si riesce a trovare aree adatte per la formazione militare del personale locale.
La dichiarazione, pagliaccesca, è uscita da Palazzo Baracchini, dalla bocca di La Russa.
Prepariamoci a pagare altre spese miliardarie per la “missione di pace“ in Afghanistan per almeno altri 4 anni, senza avere muri di contenimento a Scaletta Marina, Giampilieri, Briga e Scaletta Zanclea ed in altre 1.503 aree, a elevato rischio ambientale, di questo Paese alla bancarotta.
Disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in nero, precari, pensionati, famiglie con un solo reddito potranno nel frattempo continuare tranquillamente a fare la fila davanti ad un Banco Alimentare.
Fino a quando?
Giancarlo Chetoni

[Buon Natale!]

Il “signorsì” del generale Del Vecchio

Il 15 settembre 2009, nella sua ultima visita negli Stati Uniti intervistato da Defence News, Ignazio La Russa annuncerà la sostituzione di due dei quattro Tornado in Afghanistan con quattro AMX e l’impiego di smart bombs contro pashtun e mujaheddin, le stesse che D’Alema aveva fatto generosamente distribuire dai Ghibli su Montenegro e Kosovo.
Dopo la Serbia, gli esecutivi Berlusconi e Prodi sono passati, sempre a braccetto di USA e NATO, a dare un altro aiutino agli alleati in Afghanistan.
Da gennaio 2010 ci sarà un nuovo salto di qualità nella “missione di pace”.
Annaffiare dall’alto formazioni ribelli e terroristi con proiettili da 20 e 27 millimetri degli elicotteri d’attacco A-129 e cacciabombardieri Tornado IDS e con missili anticarro Hellfire sparati dagli UAV Predator e prossimamente dai Reaper non basta più, è arrivata l’ora di passare ai bombardamenti con gli AMX armati di mitragliatrici a sei canne rotanti da 20 mm e GBU12.
Nel 1976, una Paveway da cinquecento libbre su corpo mk83 della Raytheon costava 19.000 dollari al netto del trasporto dai depositi.
L’addestramento di 34 piloti dell’Aereonautica Militare a Nellis nel deserto del Nevada nell’agosto 2009 durante le esercitazioni Green e Red Flag, l’impiego di 10 AMX, con 300 (!) missioni di volo e lo sgancio — testate inerti e simulazioni – di 330 (!) bombe a guida laser Paveway hanno preparato il terreno a quella “revisione di teatro” che il titolare di Palazzo Baracchini confermerà alla rivista militare USA.
Analisi Difesa per l’occasione parlerà di una nuova dottrina di bombardamento.
L’ipocrisia di nascondersi dietro ad un linguaggio fumoso consentirà a La Russa di annunciare a New York (e dove sennò per fare un figurone?) una strategia di annientamento preventivo dall’aria del nemico.
La complicità ed il silenzio della stampa “tricolore” gli eviteranno di dover dare imbarazzanti spiegazioni ad un’opinione pubblica nazionale fortemente ostile alla guerra in Afghanistan.
Per avere una stima delle uscite, in milioni di euro, sostenuti dai contribuenti per Green e Red Flag, in ambienti U-Cas e Cas, abbiamo mandato un e-mail al senatore Mauro Del Vecchio (PD), componente della Commissione Difesa del Senato, pregandolo di dettagliarci sugli oneri di spesa affrontati dal Ministero della Difesa per la trasferta di Aeronautica Militare ed Esercito negli USA.
Il generale della “sinistra” alla Calearo ed alla Colannino ha omesso di risponderci.
Una “dimenticanza” di cui non siamo rimasti affatto sorpresi.
Del Vecchio ci tiene a tenere la bocca rigorosamente chiusa in omaggio alla regola dell’ambiente di provenienza: “Chi non sa parla, chi sa tace”.
Il semplice dovere di informare la gente lo impaccia, lo infastidisce.
In compenso, il generale trova tutto il tempo che gli serve per infilare le dita della mano nel lettore d’impronte e pigiare il bottone del “si” per dare il via libera con tutto il suo gruppo parlamentare al rifinanziamento della “missione di pace” in Afghanistan, anche se a Palazzo Chigi c’è quel brutto ceffo del Cavalier di Arcore.
Del Vecchio risponderà prima delle elezioni 2008 all’appello del Partito Democratico con un “signorsì”.
Il suo pedigree NATO si rivelerà particolarmente adatto a procurargli le simpatie di Veltroni prima e di Franceschini poi. La scelta di lasciar fuori Mini e di cooptare Del Vecchio la dice lunga.
La vasta esperienza militare su cui può contare nei ranghi dell’Alleanza Atlantica gli procurerà tra i big del loft l’elezione a senatore nelle file della “sinistra”.
Lavorerà in coppia con Roberta Pinotti, la parlamentare ligure responsabile del settore Difesa di Bersani, che durante il governo Prodi fu promossa per la sua totale e manifesta incompetenza a presidente della IV° Commissione della Camera nella XV° legislatura per lanciare un segnale di disponibilità e di collaborazione della maggioranza PD-Ulivo al PdL, dove si distinse per un rapporto di lavoro particolarmente intenso ed amichevole con il sulfureo presidente dell’ISTRID on. Giuseppe Cossiga di Forza Italia, figlio di Francesco, per poi passare nel corso della XVI° a fare altrettanto con La Russa, questa volta da rappresentante a Palazzo Madama. Sarà lo stesso Ministro della Difesa a dichiarare la sua riconoscenza alla Pinotti a Montecitorio ed a ribadirlo nel salotto di Bruno Vespa.
Ecco cosa ha scritto su ComedonChisciotte una sua ex collaboratrice: “La conobbi la prima volta nella sede della FLM di Largo della Zecca negli anni ’80 durante una riunione sindacale (io ero delegata della RSU dove lavoravo). Caspiterina! Da sostenitrice delle lavoratrici me la ritrovo guerrafondaia. Ripeto, se lo avessi saputo che ci saremmo ridotte così mi sarei iscritta ad un corso di cucina o di taglio e cucito.”
Il declino ormai inarrestabile, organizzativo, politico, etico del Partito Democratico nasce anche da queste prese d’atto.
Facciamo ora un breve identikit di Del Vecchio.
Bosnia Erzegovina 1997, operativo a Sarajevo, Goradze e Pale; in Macedonia da marzo a giugno ’99 per l’assistenza ai “profughi” albanesi che simpatizzavano per l’UCK; in Kosovo (Pec, Djakovica, Decani, Klina) da giugno a settembre dello stesso anno.
Promosso generale di corpo d’armata nel 2004, comanda la Forza di Reazione Rapida italiana della NATO; dal 2005 al 2006 è comandante ISAF in Afghanistan, pataccato dal Comando Generale della NATO di Bruxelles con la Meritorius Medal.
Vediamo ora di fare le pulci a La Russa, passando dal PD al PdL.
Alcuni giorni fa, scrivemmo di un impegno di spesa per 480 milioni – da ricavare dal gettito dello scudo fiscale previsto al ribasso da 5 a 3.3 miliardi di euro, nella bozza della finanziaria di Tremonti- a parziale copertura aggiuntiva delle missioni militari nel 2010. Il conto è lievitato a 750 milioni di euro, 270 in più nell’attesa di versarne a gennaio con Frattini nelle casse dell’ONU altri 250, al vertice di Londra per la “ricostruzione” dell’Afghanistan. Degli 8.884 milioni di euro della “manovra” di fine anno che si prevede sarà blindata dalla fiducia, 3.253 saranno prelevati dai TFR dei lavoratori italiani, attualmente giacenti nelle casse dell’INPS, per la “spesa corrente”.
Confermiamo a 3.691 il numero dei militari italiani di Esercito, Aeronautica, Carabinieri e GdF attualmente presenti in Afghanistan, compresa la compagnia NTM-A. L’ organico della Task Force 45 è fuori contabilità.
Quando arriveranno a Roma i 400 scarponi in uscita prevista prima di Natale, li toglieremo dal mazzo.
La prossima volta, vedremo di affrontare in dettaglio le verità nascoste della nuova infornata da “1000 per l’Afghanistan”, più vicina ai 1.500 anche se “rimarremo un po’ sotto” – come ha detto La Russa senza arrossire nemmeno un po’. Nel mucchio ci saranno dai 200 ai 220 “istruttori-consiglieri” del Tuscania per l’addestramento-combattimento a sostegno della polizia e dell’esercito “afghano”. Per la NATO, un istruttore ISAF “pesa” quanto cinque militari che combattono sul terreno.
Giancarlo Chetoni

“Un nuovo esercito europeo per le aree di crisi”

Siamo in attesa di conferme, ma a quanto ci fanno sapere dall’Iraq è in arrivo una “chicca”.
La Repubblica delle Banane starebbe investendo da quelle parti 200 milioni di dollari per l’approntamento di una base militare, questa volta tutta “tricolore”, apparentemente slegata da necessità di sicurezza per il personale dell’ENI nei campi estrazione di Zubair e Nassiriya.
Ma passiamo ad altro, saltiamo dei parallelismi, e torniamo al Qurinale. Al Consiglio Supremo di Difesa dell’11 Novembre.
Le “novità“ scaturite dal summit (si fa per dire) organizzato e presieduto da Giorgio Napolitano con Silvio Berlusconi nella veste di “vicepresidente“, hanno preso forma e sostanza nella settimana successiva, a partire dal 17, un giorno che porta ancora più sfiga del mese dei morti.
Tagli agli organici e “privatizzazione“ delle FF.AA., esclusi provvedimenti che peraltro stanno clamorosamente venendo alla luce in queste ore.
“Novità“ apparentemente slegate ma che fanno parte, di fatto, di un unico indirizzo politico e militare di respiro “strategico“ accuratamente nascosto tra le righe del comunicato ufficiale della Segreteria Generale del Quirinale già dal giorno 9.
Il 17 Novembre, La Russa Ignazio è in “Israele“ a rendere omaggio (ancora una volta a spese degli italiani) allo Yad Vashem, accompagnato dall’ambasciatore Mattiolo e dal suo consigliere personale per gli “affari internazionali“ on. Ruben (!), del PdL.
Incontrerà Il Primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Barak, sottolineando l’importanza della visita per… “ampliare i rapporti di collaborazione tra due Paesi amici e far acquisire all’Italia la tecnologia anti-Ied per evitare altri lutti alle forze armate italiane in Afghanistan“. Una dichiarazioncina che la dice tutta sulla calibrata perfidia dell’azzeccagarbugli atlantista.
Lo stesso giorno atterra all’aereoporto Ben Gurion, proveniente dal Comando Generale della NATO di Bruxelles, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, di cui ci siamo già occupati per la Task Force 45, per una visita di due giorni su invito del Capo di Stato Maggiore Ashkenazy e successivo incontro con il Ministro della Difesa Barak e alti ufficiali dello S.M. per… “esaminare le forme di un ulteriore approfondimento nella cooperazione militare e di difesa tra Israele e la NATO”. L’ammiraglio visiterà la base aerea di Palmachin e l’Unità Yahalom.
Su Ria Novosti, il 18, il corrispondente Ylia Kramnik dà conto dell’intervista rilasciata 24 ore prima a Londra da Franco Frattini al “Times” dove il (nostro?) Ministro degli Esteri dice, papale papale, quanto segue: “La NATO sta discutendo attivamente la possibilità di istituire un esercito comune europeo per lungo tempo “(!) .
Il Titolare della Farnesina andrà un po’ più in là sostenendo che “la nuova Europa che uscirà il 19 Novembre dal Trattato di Lisbona al vertice UE sarà sostenuta dal forte appoggio dell’Italia che spinge per la creazione di un nuovo esercito europeo come centro di un potere globale di intervento nelle aree di crisi “.
Dichiarazioni che trovano una collimazione perfetta con l’’odg discusso nel Consiglio Supremo di Difesa l’11 Novembre al Quirinale.
(…)

Da Banderuole, complottardi e lacché NATO: tutti uniti appassionatamente, di Giancarlo Chetoni
[grassetto nostro]

Complicità politiche ed istituzionali per la Task Force 45

sarissa

Dei “professionisti” tricolori della Task Force 45 si conoscono i reparti di provenienza e la forza approssimativa, 180-200 uomini. Non si sa niente invece delle dotazioni militari, niente degli ufficiali e sottoufficiali, niente della effettiva catena di comando locale, niente sugli avvicendamenti e sui cicli di “operazione”, niente sulla sorte riservata ai feriti mujaeddin e pashtun catturati sul terreno né esiste agli atti del Ministero della Difesa un solo comunicato che riguardi l’attività operativa dell’unità speciale che la Repubblica delle Banane mette ad esclusiva disposizione dei super killer di Enduring Freedom.
Alla faccia della trasparenza e della libertà di “informazione”. Su questa banda di “bucanieri della montagna” il silenzio di giornali e televisione è totale.
Si sa solo, per notizie che rimbalzano in Italia dalla agenzie di stampa afghane nelle provincie di Herat e Farah, che, ad oggi, si contano a centinaia gli insorti “neutralizzati” ed a decine i morti ammazzati tra i residenti per “effetti collaterali” di rastrellamenti, cecchinaggio, tiri di mortaio e “bonifiche” dall’aria.
Ora che la Folgore sta per essere avvicendata la Task Force 45 torna, ad orologeria, alla pratica del rambismo, per alzare il livello dello scontro e per preparare come si deve il “terreno” alla Brigata Sassari.
Tutte le Grandi Unità devono lasciare un “minimum” di caduti nel Paese delle Montagne, sufficiente a cementare solidarietà tra i partner dell’Alleanza Atlantica, a rilanciare sul piano nazionale la necessità della guerra al “terrorismo”, ad instillare nelle Forze Armate del Bel Paese l’odio per un “nemico” che predica e pratica l’Islam, a preparare a livello politico una componente militare di “elite” che offra le esperienze e le specializzazioni necessarie per essere utilizzata, quando sarà “necessario”, sul piano interno come garante dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Una struttura in formazione che sottrae, via via, risorse destinate all’attività di addestramento ed utilizzo del personale delle Forze Armate, acquisizioni logistiche e sistemi d’arma.
Forze Armate che a partire dal Nuovo Modello di Difesa sono state giudicate un peso di cui doversi liberare, elefantiache, obsolete e totalmente inadatte a gestire “operazioni di polizia internazionale” sia dagli esecutivi di centro-sinistra che di centro-destra, con l’esplicito appoggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del CSD e dei titolari dei Ministeri della Difesa.
Una campagna normativa “acquisti-dismissioni” che parte in sordina dal 1999 e ha preso un’accelerazione da capogiro a partire dall’estate 2006.
Le riforme nella Pubblica Amministrazione annunciate da Brunetta ed approvate in settimana in CdM vanno in questa direzione, al di là dei settori “civetta” sotto tiro.
Per capire cosa si stia muovendo dietro la Task Force 45, dopo mesi di impenetrabile silenzio su questa “unità antiterrorismo”, basterà leggere il seguente comunicato AGI dello scorso 9 ottobre:
“Un capo talebano Ghoam Yahya [un nome con tutta probabilità inventato di sana pianta, ndr] e 25 suoi affiliati [!] sono stati neutralizzati oggi nel corso di un operazione congiunta di militari italiani e statunitensi. L’episodio è avvenuto a 20 km da Herat. Secondo quanto si apprende la Task Force 45 che seguiva il gruppo di insorti già da ieri, è entrata in azione. Appresa la notizia il Ministro della Difesa si è subito complimentato con il CSM gen. Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane di Herat generale Rosario Castellano.”
Ecco come il titolare di Palazzo Baracchini ha cercato fraudolentemente di coinvolgere le Forze Armate nazionali in questo nuovo massacro che porta una firma esclusiva: quella della NATO.
Una manovra vergognosa per scaricare sui vertici militari del Paese i malumori di un’opinione pubblica fortemente contraria all’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane, una responsabilità che è soprattutto “politica” ed “istituzionale”. Quel “nessun ritiro dall’Afghanistan” pronunciato dal marito della signora Clio da Tokio, all’indomani della morte dei sei parà del 186° Rgt. Folgore, la dice chiara.
Non siamo mai stati teneri con i sostenitori della “missione di pace” dell’Italietta in Afghanistan ma che Camporini sia al corrente del “lavoro” che fa la Task Force 45 “tricolore” è largamente improbabile. Sparare nel mucchio non serve, anzi, è fuorviante e dannoso.
Si sa che La Russa non va per il sottile quando c’è da compiacere il Presidente del Presidente. Lo stiamo attentamente monitorando dal G8 delle “donne” alla Farnesina alla presenza della bocca ad uso poliedrico della Carfagna e di Frattini, a partire dalle mete estere, Corea del Sud e Giappone e dalle frenetiche, ormai quotidiane, convocazioni al Quirinale dei “pezzi da novanta” del Bel Paese nel tentativo di ritardarne l’implosione.
Il conflitto tra Napolitano e Berlusconi non è sulla costruzione a passi da gigante di una Repubblica Presidenziale, che va benone ad entrambi, ma su chi dovrà occupare il seggiolone del Colle con pieni poteri. L’ex fascista “O ‘Sicco” lo vuole destinare alle chiappe di Fini, “papi” vuole metterci le sue. Il resto sono chiacchiere e depistaggi.
Una struttura coperta quella della Task Force 45 che si avvale, sarà bene dirlo, di grosse complicità al Comando Operativo Interforze di Centocelle.
Il curriculum di Camporini, caso pressoché unico, è esente da qualsiasi frequentazione “imbarazzante” a Bruxelles od a Washington.
Frequentazioni che aprono la strada da sessant’anni esatti alle più alte responsabilità nelle Forze Armate dell’Italietta e dischiudono, dopo la quiescenza, le stanze nelle società di Finmeccanica od abilitano ad altri prestigiosi incarichi nelle “istituzioni”, in istituti pubblici o privati, in Italia ed in Europa. Incarichi sempre lautamente retribuiti.
Possibile invece che ne sia stato informato, a cose fatte, il comandante del West Rc di Herat, Prt 11, che non batte da tempo per il verso giusto in attesa di incassare una promozione.
La Task Force 45 non dipende né da Castellano né dal suo diretto superiore gen. Bertolini ma dall’ammiraglio G. Di Paola, un ringhioso cane da guardia con un formidabile pedigree NATO, eletto il 13 febbraio del 2008 Segretario Generale del Comitato che riunisce i vertici militari dei 28 Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, quando era ancora C.S.M delle Forze Armate per decisione del CdM del governo Berlusconi.
Un ammiraglio pataccato da Bush con la Legion of Merit che condivide con Will C. Rogers III, l’ex Capitano di Vascello dell’incrociatore USS CG-49 Vincennes, responsabile dell’abbattimento con due missili antiaerei RIM-66 Standard di un Airbus dell’Iran Air (volo 655) e della morte di 290 passeggeri sul Golfo Persico durante il volo Bandar Abbas-Dubai, il 3 luglio 1988.
Giancarlo Chetoni

Una guerra sporca, senza onore

sarissa

L’esordio in Afghanistan.
L’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane continua ad irrobustirsi ed a costare alla gente perbene altri miliardi di euro
,
di Giancarlo Chetoni

La pianificazione del coinvolgimento bellico dell’Italietta in Afghanistan nasce nella Sede del Comando Generale Alleato per il Sud Europa nei mesi successivi al Novembre 2001.
Se la campagna aerea USA ha spazzato via le posizioni tenute dalle forze pashtun a est a sud ed a nord del Paese e disperso sul terreno le sue formazioni combattenti con il sostegno dei Signori della Guerra dell’Alleanza del Nord del calibro di Daud, a libro paga della CIA, accusato recentemente di efferati crimini di guerra, per la Coalizione il lavoro che resta da fare nel Paese delle Montagne è semplicemente enorme.
Il nemico non mollerà facilmente la presa. La morfologia del territorio, la sua estensione, una viabilità primitiva che si inerpica su tornanti di montagna, la totale mancanza di una decente rete stradale di altopiano, l’assenza di risorse minerali ed energetiche da depredare, una struttura sociale e religiosa reiteratamente refrattaria, ostile, a modelli di civiltà estranei ed una struttura statale inesistente fanno dell’Afghanistan, per bene che vada, un grosso buco nero.
I comandanti locali taliban, anche se danno l’ordine di smobilitazione, inviteranno i militanti a mimetizzarsi alle periferie delle città lasciando nei centri urbani i combattenti più determinati per avere occhi, orecchie e braccia alle spalle degli aggressori.
I nuclei pashtun che non saranno sciolti o distrutti esfiltrano un po’ alla volta dalle aree sottoposte a rastrellamenti e bombardamenti per trovare riparo nei fondovalle, nelle aree rurali e nei villaggi di montagna.
Anche se la vittoria è stata facile, quasi senza perdite, gli analisti militari USA e NATO sanno che tenere sotto stretto controllo militare l’intero Afghanistan non sarà né semplice né facile. Occorrerà chiedere ed ottenere, ancora una volta, il sostegno politico, economico e militare alla cosiddetta Comunità Internazionale, a quella nuova e vecchia Europa dell’Est e dell’Ovest, all’Inghilterra, al Canada, a Stati Criminali e Repubbliche delle Banane.
La nostra (!?) avventura militare prende così ufficialmente avvio sulle montagne di Kost, dopo un anno di preparazione logistica e di acclimatamento, nel Luglio 2003 con un distaccamento di paracadutisti della Folgore coinvolto in un primo conflitto a fuoco con presunte formazioni terroriste che, quella volta, si sganciano nell’oscurità. Continua a leggere

Missione di Pace

mangusta

Italiani attaccano basi miliziani afghani
Un’operazione congiunta dei militari italiani con tutte le componenti della sicurezza afghana è stata condotta contro postazioni nemiche a Bala Morghab, nel nordovest del Paese.
Nell’azione, riferiscono fonti militari, sono stati impiegati elicotteri italiani che hanno bombardato e neutralizzato le postazioni degli insorti.
Mentre tra i miliziani attaccati vi sarebbero vittime, nessun militare italiano o afghano ha riportato ferite.
Televideo, 4 giugno 2009, ore 18:04:32

Herat, 10 giugno 2009- Scontro a fuoco intenso e prolungato oggi nella valle di Bala Murgab (in provincia di Badghis, 200 chilometri a nord di Herat) tra talebani e forze di sicurezza afghane, che con il supporto dei paracadutisti della Folgore hanno guadagnato il controllo di diverse aree strategicamente fondamentali per la sicurezza e la stabilità dell’area.
L’azione ha comportato l’intervento di quattro elicotteri Mangusta italiani, due dei quali sono stati raggiunti da colpi d’armi leggere. Nessun militare italiano è rimasto ferito, mentre sono stati uccisi due importanti capi talebani.
(Adnkronos)

Farah, 11 giugno 2009 – Tre militari italiani sono rimasti feriti, due in modo lieve e uno gravemente, in uno scontro a fuoco avvenuto poco fa a Farah, nell’ovest dell’Afghanistan. Il ferito grave è stato colpito sotto l’ascella, uno al piede e l’altro alla mano. I tre paracadutisti, della brigata Folgore, erano impegnati in un pattugliamento congiunto con i militari dell’esercito afgano.
E’ il secondo conflitto a fuoco che ha visto impegnati i soldati italiani nella zona da questa notte. Nella stessa zona di Farah, durante la notte, si è avuto un altro attacco ad una pattuglia di militari italiani, che hanno risposto al fuoco, senza riportare alcuna conseguenza.
La provincia di Farah si trova nella parte meridionale della Regione ovest, a comando italiano. E’ una zona tradizionalmente calda, così come lo è anche quella della provincia di Bala Morgab, che si trova invece nella parte nord dell’area di responsabilità italiana: proprio qui, ieri, si è verificata una dura battaglia durante la quale sono stati colpiti due elicotteri Mangusta, ma non ci sono stati feriti tra gli italiani. Ingenti, invece, le perdite tra gli insorti.
(La Repubblica)

folgore

Herat, 24 giugno 2009 – Questa mattina nella valle di Bala Murgab (provincia di Badghis 200 Km nord di Herat), nel corso di un’importante operazione congiunta, delle forze di sicurezza afgane e ISAF, volta ad eliminare ulteriori sacche di resistenza presenti nell’area, le nostre unità hanno subito un attacco. Nello scontro condotto con armi portatili e razzi contro carri RPG, è rimasto lievemente ferito uno dei Paracadutisti del 183esimo reggimento “Nembo”. Il militare italiano, non ha riportato conseguenze, è stato medicato sul posto e ha potuto proseguire l’attività. E’ invece deceduto un militare afgano e altri 4 sono rimasti feriti. Sono rimasti leggermente danneggiati 4 “lince” Italiani che comunque hanno potuto proseguire l’attività.
La manovra per ottenere il controllo di questa zona fondamentale è stata complessa e articolata, condotta con azioni tattiche di truppe sul terreno e con il fuoco combinato e coordinato, di armi a tiro teso, una coppia di elicotteri Mangusta e mortai, sia dei Paracadutisti italiani che dell’Esercito Afghano. Anche ieri a Sud, nell’area di Farah, i Paracadutisti del 187esimo reggimento Folgore erano intervenuti a supporto dell’esercito afghano a seguito di un attacco che era stato condotto contro una loro base e nel corso del quale erano rimasti uccisi due militari. Nel corso di un successivo controllo in un villaggio in quell’area, i militari italiani hanno rinvenuto un ingente quantitativo di esplosivo (più di 100 fra bombe e razzi ed oltre 80 spolette). Il materiale, perfettamente funzionante, era pronto per essere impiegato per la preparazione di attacchi con ordigni esplosivi.
(AGI)

tornado

Non c’è alcuna richiesta specifica, ma…
Roma, 8 luglio 2009 – Le altre nazioni impegnate militarmente in Afghanistan hanno ”un minimo di perplessità” per il fatto che i cacciabombardieri italiani non sono autorizzati a fornire un supporto di copertura alle truppe.
Lo ha fatto sapere il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nel corso di un’audizione davanti alla commissioni Esteri e Difesa riunite di Camera e Senato. ”I nostri soldati, in questa fase particolarmente delicata, hanno richiesto un supporto aereo di copertura”, ma i cacciabombardieri italiani, così come quelli tedeschi, ”sono autorizzati solo per il monitoraggio”, a differenza dei velivoli di Paesi come Stati Uniti o Olanda, ha detto La Russa, spiegando che il comando militare italiano ha segnalato che ”da parte delle altre nazioni c’è un minimo di perplessità su questa diversità”. ”Vi ho voluto segnalare che non c’è alcuna richiesta specifica, ma il comando militare mi ha riferito di questa argomentazione ripetuta e insistita fatta al contigente italiano”, ha aggiunto.
(ASCA)

Pace unica via di uscita? Allora aspettiamo un pezzo
Roma, 16 luglio 2009 – Il sacrificio del parà Alessandro Di Lisio in Afghanistan “non è stato invano”. Lo ha assicurato, in una lettera al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri, Franco Frattini secondo cui la “via di uscita” è una sola: la pace nel Paese che deve arrivare ad “autogovernarsi”.
Frattini nella lettera torna sulle ragioni dell’intervento in Afghanistan: “Difendere la sicurezza nazionale e la sicurezza dell’Occidente di fronte alla minaccia del terrorismo globale”. “Il terrorismo – ha detto Frattini – crea i propri santuari negli stati deboli dove le istituzioni locali non sono in grado di controllarne le azioni”. “Nessuno dei Paesi alleati – ha spiegato il ministro – intende rimanere in Afghanistan sine die”. Stiamo cercando, ha aggiunto il ministro “di rafforzare la responsabilità di autogoverno da parte delle autorità afghane. A partire dalla sicurezza attraverso la formazione dell’esercito e della polizia afghana dove i nostri Carabinieri stanno offrendo un contributo altamente apprezzato da tutti”.
(AGI)

la-russa

Le “novità” di Ignazio
Herat, 21 luglio 2009 – Più Predator, gli aerei da ricognizione senza pilota, più elicotteri per il controllo dello spazio aereo, aerei Tornado attrezzati anche con cannoncini sempre per garantire la sicurezza del contingente italiano. Sono queste le novità che il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, annuncia al contingente italiano impegnato in Afghanistan nella missione ISAF. Inoltre, il ministro ha dato mandato per studiare come proteggere gli uomini che sono nella torretta del Lince, i più esposti agli attacchi.
La Russa ha incontrato una parte del contingente a Herat e ha parlato della “profonda consapevolezza degli italiani sull’importanza vitale del compito che i militari italiani stanno assolvendo”. Il ministro della Difesa ha ricordato il recente attacco contro una pattuglia della Folgore in cui ha perso la vita Alessandro Di Lisio ed ha voluto portare la solidarietà del popolo italiano a tutti i militari impegnati nella missione ISAF davanti ai quali il mondo ha più speranze di essere pacifico. Il ministro della Difesa ha inoltre assistito ad un briefing del generale Rosario Castellano, comandante del contingente italiano nella regione di Herat, il quale ha spiegato che l’obiettivo principale della missione è quello di rompere il rapporto tra la popolazione afghana e gli insorti.
(AGI)

castellano

La strategia “pagante” del generale Castellano
Farah, 25 luglio 2009 – Cinque militari italiani sono rimasti feriti, tutti in modo non grave, in due diversi attacchi avvenuti oggi a Herat e nell’area di Farah, in Afghanistan. Quattro soldati sono stati colpiti durante un attacco suicida contro una pattuglia di nostri militari, ad opera di un motociclista che si è fatto esplodere al passaggio di un mezzo blindato Lince vicino ad Herat, nell’ovest del Paese.
Mentre un altro militare, un bersagliere, è rimasto lievemente ferito in uno scontro a fuoco durato cinque ore, (tra le 9 e le 14 ora locale, tra le 6.30 e le 12.30 ora italiana). Lo hanno spiegato all’Adnkronos fonti militari del comando italiano di Herat. Il militare è stato immediatamente soccorso e trasferito in elicottero nell’ospedale militare di Farah.
Un’unità “complessa”, composta da personale del 187° Reggimento Folgore e del 1° Reggimento Bersaglieri, è stata attaccata nei pressi del villaggio di Bala Boluk, a circa 50 chilometri a nord di Farah, mentre svolgeva un’operazione congiunta con le forze di sicurezza afghane per il controllo del territorio.
La reazione dei nostri militari, spiegano dal comando di Herat, è stata immediata e nell’area sono stati anche inviati sia degli aerei della coalizione per il supporto ravvicinato che gli elicotteri italiani A 129 Mangusta. Data la tipologia dell’area, l’intervento degli aerei è stato evitato e si è preferito far intervenire gli elicotteri che hanno potuto supportare con le armi in dotazione l’azione dei nostri militari sul terreno, favorendo dopo circa cinque ore di scontri lo sganciamento delle nostre truppe, che hanno poi proseguito l’azione già pianificata con le forze afghane.
(Adnkronos/Ign)

Herat, 25 luglio 2009 – Gli attacchi di questi ultimi giorni in Afghanistan “possono essere interpretati come un segno di debolezza perché gli insorti si vedono negare aree che prima dominavano e che attualmente sono sotto il controllo del legittimo governo afghano: è lecito immaginarsi una escalation di tensione anche in vista delle prossime elezioni che rappresentano un passo determinante per la stabilità del Paese”. Lo ha dichiarato in una nota il generale Rosario Castellano, comandante del contingente italiano, dopo gli ultimi agguati in cui sono rimasti coinvolti militari italiani. “Gli attacchi contro la NATO”, si legge in una nota, “dimostrano come la strategia messa in atto dalla Coalizione Internazionale sia pagante”.
(AGI)

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Frattini il guerriero ed un sussulto di buonsenso “padano”
26 luglio 2009 – Dopo che tre soldati italiani sono rimasti feriti, anche se non in modo grave, in nuovi attacchi ieri in Afghanistan, il ministro degli Esteri Franco Frattini parla di una visibile escalation di violenza, e annuncia un impiego dei Tornado non solo in funzione di ricognizione ma anche in azioni di combattimento.
“C’è visibilmente un’escalation, lo dimostrano gli attacchi di queste ore”, ha detto Frattini in un’intervista al Corriere della Sera. “Aumenteremo i Predator e la copertura dei Tornado, in funzione non solo di ricognizione, ma anche di vera e propria copertura. Rafforzeremo la blindatura dei Lince e poi aggiungeremo mezzi blindati di ultima generazione”.
Ieri, in una sola giornata, tre militari italiani sono rimasti feriti, anche se in modo lieve, in due attacchi avvenuti tutti nella zona ovest dell’Afghanistan, area assegnata dalla NATO alla responsabilità italiana.
(…)
Dopo la notizia degli attacchi, il ministro leghista delle Riforme Umberto Bossi ha commentato: “Io li porterei a casa tutti. La missione costa un sacco di soldi: visti i risultati e i costi ci penserei un po’”.
(Reuters)

calderoli

Slega la Lega!?!
Roma, 27 luglio 2009 – ”Prima o poi il mondo occidentale dovrà fare autocritica, perché la democrazia non si esporta e non si impone”. Ad affermarlo, a proposito della situazione in Afghanistan, è il leghista Roberto Calderoli. In un’intervista a ‘La Repubblica’, il ministro per la Semplificazione normativa torna poi sulle parole del suo leader (che ha lanciato l’ipotesi di un ritiro del nostro contingente), e dice:  ”Ci sono state polemiche strumentali. Sull’Afghanistan la stragrande maggioranza degli Italiani la pensa come Umberto Bossi”. Nell’aggiungere che, sulla missione, la Lega è stata sempre ”in linea con il Governo”, Calderoli si chiede tuttavia: ”Dovremo o no valutare ciò che è accaduto in questi anni? E’ possibile fare un bilancio dei risultati raggiunti?”.
(ASCA)

27 luglio 2009 – ”Il Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sull’Afghanistan ragioniamo. E’ sbagliato lasciare prima delle elezioni. Ma la testa alla gente non la cambi con il voto. E poi è la strada giusta? E’ una riflessione di pancia che il Paese fa”. Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione legislativa, rilancia: ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan, come ha chiesto Umberto Bossi, ma anche da Beirut e dall’ex Jugoslavia: ”Io li riporterei tutti a casa”.
In un’intervista a Repubblica, il ministro della Lega Nord dice sulle parole di Bossi sono state fatte ”polemiche strumentali”, perché ”sull’Afghanistan la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Umberto Bossi. Prima o poi il mondo occidentale dovrà fare autocritica perché la democrazia non si esporta e non si impone”. Calderoli invita l’esecutivo a un ripensamento: ”Anch’io un tempo ero interventista. Poi ho fatto il mea culpa. Interroghiamoci: è migliorata la situazione in Afghanistan? Io sono arrivato alla conclusione che c’è una sfasatura temporale”. Ovvero: ”I tempi dell’emancipazione sono diversi. Non ce la fai a costruire la democrazia, il contesto culturale e storico è diverso dal nostro”. Insomma, ribadisce il ministro: ”L’Europa e l’occidente ripensino la strategia perché non credo che otterremo risultati. Andiamo avanti, fino alla fine. Non illudiamoci, però, che l’intervento sarà risolutivo”. E ancora: ”Mi arrabbio quando penso ai tanti casini che abbiamo creato in passato. E all’ipocrisia dell’occidente. Che guerre farebbero senza le nostre armi?”.
(…)
Parlando ieri sera a una festa leghista nel Cremonese, il leader del Carroccio [Umberto Bossi] è tornato sulla questione Afghanistan: ”Abbiamo un sacco di missioni all’estero dei nostri militari che ci costano troppo e i morti non piacciono a nessuno – ha detto – Faccio parte di una coalizione di governo e non posso decidere da solo. Ma dobbiamo incominciare a parlarne, a ragionarci sopra. Siamo in crisi economica e dobbiamo anche far quadrare i conti”.
(ANSA)

abecedario

Un nuovo codice militare, “né di pace né di guerra”, per l’Italietta con le pezze al sedere
10 agosto 2009 – In Afghanistan il codice penale militare di pace applicato ai nostri contingenti non basta più, vista la pericolosità della situazione, e per questo il governo sta predisponendo un apposito codice penale militare per le missioni all’estero.
Lo ha annunciato oggi il ministro della Difesa Ignazio La Russa in un’intervista, in cui chiede ai magistrati di togliere i sigilli ai blindati Lince danneggiati negli attentati contro gli italiani in Afghanistan.
“Io non me la sentivo di appoggiare un ritorno al codice militare di guerra… Nelle commissioni Difesa del Parlamento è possibilissima un’intesa con l’opposizione per un codice militare specifico per le missioni internazionali. Né di pace né di guerra”, ha detto La Russa in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera.
“Stiamo predisponendo il nuovo codice”, ha aggiunto La Russa, precisando che l’applicazione del codice militare penale di pace comporta che in caso di morti e feriti la magistratura metta i sigilli per tempi lunghi ai mezzi coinvolti.
E’ quello che è successo ad alcuni Lince, mezzi blindati che finora in Afghanistan hanno salvato la vita a molti militari in occasione degli attentati dei ribelli, sempre più frequenti anche in vista delle elezioni del 20 agosto.
“Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei Lince sia ridotto al minimo. Per la specificità della missione, e perché anche i blindati rotti ci servono” per i pezzi di ricambio, ha spiegato La Russa.
Attualmente sarebbero undici i Lince sotto sequestro perché coinvolti in attentati ai nostri militari.
Per l’Afghanistan – dove l’Italia partecipa alla missione di peacekeeping ISAF della NATO – il Parlamento ha optato per l’applicazione del codice penale militare di pace anziché per quello di guerra, impiegato invece in Iraq.
La Russa ha poi annunciato l’invio in Afghanistan di altri due Predator, aerei da perlustrazione con pilota a terra che nel Paese asiatico si stanno dimostrando molto utili, unitamente ad altri elicotteri.
“Per ora li raddoppiamo: altri due. Sarebbe bene averne di più, ma al momento abbiamo questi. Li manderemo insieme con altri elicotteri”.
Per quanto riguarda invece i cacciabombardieri Tornado, La Russa ha confermato che hanno già cominciato a dare copertura ai militari italiani sparando, quando necessario, coi cannoncini.
(Reuters)

“Basta ipocrisie!”
Roma, 11 agosto 2009 – ”Adattare le regole del codice militare di pace alla partecipazione del contingente italiano in Afghanistan è sbagliato, perché pace non c’è”. E’ quanto afferma il ministro degli Esteri, Franco Frattini, dopo che ieri il suo collega della Difesa, Ignazio La Russa, ha sottolineato che occorre individuare una via di mezzo fra l’applicazione del codice militare di guerra e quello di pace, un nuovo ”codice per le missioni internazionali sul quale è possibilissima un’intesa con l’opposizione”. ”Basta ipocrisie, qui non si tratta di esercitazioni”, osserva il responsabile della Farnesina in un’intervista con il Corriere della Sera, riconoscendo che per alcuni luoghi nei quali l’Italia manda soldati ”parlare di una situazione di pace è come nascondersi dietro un dito”.
Per quanto riguarda l’aumento degli attacchi ai militari italiani in Afghanistan, Frattini fa notare che le pattuglie italiane ”subiscono delle perdite, ma i talebani ne subiscono di più”. Frattini è insomma favorevole a varare, così come proposto da La Russa, un codice militare specifico per le missioni internazionali dei soldati italiani, adesso sottoposti al codice militare di pace e non a quello di guerra.
(ASCA)

fuochi

A Ferragosto… “voglia di scherzare”!
Kabul, 15 agosto 2009 – Lanciati alcuni razzi vicino la base di Camp Arena, a Herat in Afghanistan, dove si trova il contingente multinazionale con comando italiano. Per la base è il secondo attacco in meno di una settimana, anche stavolta senza danni. ”Ieri 4 razzi sono esplosi vicino la pista, senza colpire alcunché”, dice il maggiore Amoriello. Nella base ci sono anche militari spagnoli, albanesi e di altri paesi NATO che hanno la missione di bonificare la zona dai talebani, ritenuti autori dell’attacco.
(ANSA)

Kabul, 15 agosto 2009 – Un militare italiano dell’ISAF è rimasto leggermente ferito nell’attentato suicida avvenuto oggi a Kabul. ‘Si tratta di ferite veramente molto leggere – ha detto all’ANSA il capitano Vincenzo Lipari della Folgore – e diciamo che è come se fosse caduto dalla bicicletta’. L’identità del militare, forse un carabiniere, non è nota. ‘La famiglia è stata avvertita – ha aggiunto Lipari – è in camera sereno, in piedi e con voglia di scherzare’.
(ANSA)

Libere e pacifiche elezioni
Herat, 20 agosto 2009 – Nelle ultime ore almeno 22 attacchi e scontri a fuoco di varia entità si sono registrati nella zona del Regional Command West, nella parte occidentale dell’Afghanistan, dove sono dispiegati circa 2.500 soldati italiani.
Nella notte prima del voto odierno per le presidenziali e le provinciali si sono registrati almeno sette attacchi, che si aggiungono ai 15 di oggi.
(Adnkronos/Aki)

pettine

Lisciata di pelo
Herat, 22 agosto 2009 – “Il ruolo dei soldati italiani in Afghanistan è meraviglioso”. Parola dell’inviato speciale americano per l’Afghanistan ed il Pakistan, Richard Holbrooke.
Parlando con i giornalisti italiani al termine della sua visita a Camp Arena, sede del Regional Command West di Herat, nell’Afghanistan occidentale, Holbrooke sottolinea che gli Stati Uniti sono grati all’Italia per aver assunto la responsabilità del Comando Ovest”, guidato dal generale Rosario Castellano, comandante della Brigata Folgore e di RC-West.

A10

Herat, 24 settembre 2009 – Questa mattina, nel distretto di Shindad, militari italiani sono stati attaccati da insorti, mentre stavano effettuando una attività mirata alla distribuzione di aiuti umanitari e di assistenza medica alla popolazione, richiesta dagli stessi anziani dei villaggi dell’area. L’attacco è stato condotto dagli insorti con armi portatili e contro carri. I Paracadutisti – spiega una nota del contingente italiano – hanno immediatamente risposto al fuoco neutralizzando una consistente parte della minaccia.
Nell’area, a supporto delle truppe sul terreno è intervenuta anche una coppia di cacciabombardieri A10, che ha garantito la copertura aerea. Nello scontro sono rimasti lievemente feriti due militari italiani, di cui uno alla mano, ed un altro al collo. Entrambi i miliari non sono in pericolo di vita ed in questo momento sono ricoverati presso l’ospedale militare di Herat.
Nell’area di Shindand – si legge nella nota del maggiore Marco Amoriello -, gli insorti ancora presenti, grazie all’aumento dell’attività delle forze di sicurezza afghane, stanno perdendo il controllo di gran parte del territorio, e, cosa ancora più importante, stanno rimanendo privi dell’auspicato supporto e consenso da parte della popolazione locale che è ormai nettamente schierata a favore delle Forze Afghane e di ISAF.
(AGI)
Maggiore Amoriello, avete per caso svolto un sondaggio d’opinione?
Sarebbe il primo caso al mondo di popolazione locale felice di subire gli effetti collaterali derivanti dall'”intervento di supporto” dei cacciabombardieri A10.

sarissa

Roma, 9 ottobre 2009 – Un capo talebano, Ghoam Yahya, e 25 suoi affiliati sono stati neutralizzati oggi nel corso di un’operazione congiunta tra militari italiani e militari degli Stati Uniti. L’episodio è avvenuto 20 km a sud-est di Herat nella zona sotto il controllo dei militari italiani. Secondo quanto si apprende la Task Force 45, tutta italiana, seguiva il gruppo di insorti già da ieri ed oggi è entrata in azione.
Appresa la notizia dell’operazione il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è subito complimentato con il capo di stato maggiore della Difesa Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane nella provincia di Herat, generale Rosario Castellano.
(AGI)

larussa

Ignazio, cambia spacciatore! (e studia la storia)
Roma, 5 novembre 2009 – C’è un ”parallelismo” tra le missioni di pace che vedono oggi impegnati i militari italiani in Afghanistan, Libano e Balcani e la spedizione in Crimea di metà Ottocento voluta da uno dei ”principali padri della Patria” come Camillo Benso conte di Cavour.
A sottolinearlo è stato stamane il ministro della Difesa, Ignazio La Russa nel corso del suo intervento nell’ambito dei lavori del Convegno della Commissione italiana di storia militare che si svolge nella sede del CASD (Centro Alti Studi Difesa) a Roma. Ricordando la figura di Cavour, il ministro ha detto che ”la qualità del grande uomo politico si misura dalla sua visione lungimirante, ma anche dalla capacità realizzativa. Questo – ha spiegato – è un concetto valido in ogni tempo, e per ogni nazione; è un principio che anche oggi dovremmo tenere a mente”. E questi pregi politici furono propri dell’allora premier che seppe ”cogliere l’essenza del proprio tempo, e interpretare correttamente quanto stava accadendo, sapendo dirigere verso un obiettivo alto quei cambiamenti sociali e politici che sarebbero comunque occorsi, ma che avrebbero probabilmente assunto una forma caotica e inconcludente”.
(ASCA)

Se il ministro sapesse interpretare correttamente quanto sta accadendo, coglierebbe che l’essenza del nostro tempo consiste nel declino progressivo ma inarrestabile di quella Potenza a cui egli ed i suoi sodali atlantici, di qualsiasi colore ed indirizzo politico, restano cocciutamente al traino.
Finendo probabilmente per esserne delle vittime sacrificali, con i popoli tutti da essi indegnamente rappresentati.

MAROOFI

Aspetta e spera
Roma, 12 novembre 2009 – Con i talebani l’unica opzione possibile è quella di “una vittoria militare”. Lo ha affermato l’ambasciatore afghano a Roma, Musa Maroofi ospite oggi alla Farnesina per partecipare ad un dibattito, coordinato dal portavoce del ministero Maurizio Massari, insieme all’inviato speciale per l’Afghanistan ed il Pakistan, Massimo Iannucci.
“I talebani – ha spiegato l’ambasciatore – sono il principale problema dell’Afghanistan. Se eliminiamo quel problema eliminiamo il 75% dei problemi del Paese”. “Alla vittoria militare – ha aggiunto – non c’è quindi alternativa”.
(AGI)

Alleati
Roma, 29 dicembre 2009 – Due militari italiani sono stati lievemente feriti a Bala Morghab, in Afghanistan, da colpi che sarebbero stati esplosi da un militare afghano. Nello stesso episodio, verificatosi durante lo scarico di materiali da un elicottero e le cui modalità sono ancora da chiarire, sarebbe anche rimasto ucciso un militare statunitense. I due militari italiani sono già stati medicati nell’infermeria della base.
(Adnkronos)

Ossimori 2010:
“Mirate incursioni aeree… con il completo sostegno della popolazione civile; il pieno appoggio all’intervento militare… per portare sviluppo, assistenza e speranza”

Roma, 2 gennaio 2010 – Settandadue ore di scontri, per i militari italiani e di ISAF, in Afghanistan. E’ quanto si apprende dal comando di Herat, secondo cui ”nei giorni scorsi”, nel corso di un’operazione congiunta per il controllo di alcuni avamposti strategici nei pressi di Bala Morghab, nell’ovest del Paese, ”militari delle forze di sicurezza afghane e di ISAF, tra i quali i soldati del contingente italiano, sono stati fatti oggetto di ripetuti attacchi con colpi d’arma da fuoco e di razzi controcarro da parte di oltre 60 insorti”.
Dal comando di Herat, dove non si parla di feriti tra gli italiani, sottolineano che ”l’efficacia della reazione, frutto del coordinamento tra le forze in campo, ha consentito di rispondere al fuoco degli insorti e, grazie a mirate incursioni aeree alleate ed al fuoco delle armi a tiro curvo, garantire in tempi successivi la totale libertà di movimento per le truppe ed il pieno controllo dell’area”.
Gli scontri, ”protrattisi con brevi intervalli per più di 72 ore, si sono verificati a Bala Morghab”, localita’ in cui sorge la base operativa avanzata che ospita, insieme ad unità dell’esercito afghano e statunitense, i militari italiani della Task Force North su base 151/o reggimento della Brigata Sassari. La stessa base dove l’altro giorno un militare afgano ha sparato, uccidendo un soldato USA e ferendo due italiani.
L’intervento delle forze NATO a Bala Morghab, secondo il comando del contingente italiano, si è concluso con ”la neutralizzazione della minaccia ed il completo sostegno della popolazione civile”: gli stessi responsabili delle forze di sicurezza del distretto ”hanno assistito dal posto comando ad ogni istante dell’operazione coadiuvandola molto attivamente”. Nel corso delle ‘shure’ che si sono tenute nei giorni delle operazioni militari – cui hanno preso parte, come di consueto, anche i comandanti italiani e americani – gli anziani del villaggio hanno manifestato il loro ”pieno appoggio all’intervento militare” ed hanno ringraziato i responsabili dei contingenti di ISAF impegnati nell’ovest dell’Afghanistan, ”a portare – ha detto il mullah più anziano del villaggio – sviluppo, assistenza e speranza”.
La situazione, dicono dal comando di Herat, ”è tuttora in bilico per il perdurare di pur minime reazioni da parte degli insorti ancora presenti nell’area”: quando si sarà stabilizzata del tutto, i militari di ISAF ”riprenderanno l’opera di ricostruzione e sviluppo garantendo, fra l’altro, la distribuzione di aiuti umanitari, l’assistenza medica alla popolazione e tutte quelle iniziative già intraprese, con successo, a novembre e dicembre”.
(ANSA*)

* in acerrima competizione con Rainews24 per la conquista del premio “Velina governativa”

Base operativa avanzata
Herat, 21 aprile 2010 – Razzi contro la base operativa avanzata di Bala Murghab, a nord di Herat. Sette in 48 ore, a cui ha fatto seguito la risposta dei militari italiani che, alle 12 ora locale, hanno sparato sei colpi di mortaio da 120mm contro il punto di lancio dei razzi, neutralizzando la minaccia.
Ne dà notizia il generale Claudio Berto, comandante della Brigata Taurinense e del Regional Command West di ISAF, la Regione Ovest dell’Afghanistan, posta sotto la responsabilità italiana. Nella base di Bala Murghab, sede della Task Force North, oltre alle forze italiane risiedono anche unità dell’esercito afghano e USA.
(Adnkronos)

“Bolla” di sicurezza
Roma, 26 maggio 2010 – Controffensiva italiana dalla base operativa avanzata di Bala Murghab. Nella mattinata di oggi, infatti, i mortai da 120 mm del 2° reggimento alpini inquadrati nella Task-Force North hanno sparato undici volte contro posizioni tenute da gruppi di insorti che avevano attaccato un avamposto delle forze afgane e del Regional Command West schierate a sud della base.
Al termine di scontri durati per diversi giorni, che hanno visto anche l’intervento ravvicinato da parte di velivoli ISAF, la minaccia sul versante meridionale di Bala Murghab, sostiene il Comando italiano, è stata neutralizzata e le forze di sicurezza afgane hanno consolidato la propria posizione avanzata, insieme ai militari alleati.
La zona è attualmente interessata dall’operazione denominata ‘Buongiorno’, che mira ad espandere la ‘bolla’ di sicurezza creata nelle precedenti settimane intorno alla base avanzata grazie all’avanzata del 2° kandak (battaglione) del 207° corpo dell’esercito afgano, sostenuto dagli alpini del 2° reggimento della Task Force North e dalla Task Force Fury statunitense.
(Adnkronos)

Roma, 22 giugno 2010 – L’elicottero ”Mangusta” supera quota 4000 ore di volo nei cieli dell’Afghanistan e riceve una ‘livrea’ speciale per l’occasione, festeggiata all’aeroporto di Herat dal colonnello Paolo Riccò e da tutti i militari dell’Aviation Battalion inquadrati nella Task-Force ‘Fenice’.
Queste le cifre che raccontano il Mangusta in azione nei cieli dell’Afghanistan dalla primavera del 2007 a oggi, in condizioni ambientali e climatiche molto severe per equipaggi e macchine: 3363 sortite di volo effettuate in più di 1336 missioni operative distinte, 40.000 ore di lavoro di manutenzione. L’A129 C, ha dato buona prova di sè in questi tre anni grazie anche a una manovrabilità fuori dal comune, una velocità massima di 156 nodi e una tecnologia che gli permette di sfruttare apparati di visione standard e all’infrarosso, entrambi collegati a un video registratore.
(ASCA)

“La dinamica degli eventi è al momento in via di chiarimento”
Roma, 16 luglio 2010 – Tre militari italiani sono stati feriti in uno scontro a fuoco in Afghanistan, nella regione a sud di Bala Morghab.
Il più grave dei tre, un ufficiale, “non versa in imminente pericolo di vita anche se la prognosi rimane riservata”, ha spiegato il ministro della Difesa Ignazio La Russa in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei ministri.
Il militare è stato ferito “al torace, in particolare ai polmoni. Ora è ricoverato a Herat”, ha aggiunto La Russa.
Un altro militare ha riportato una lesione all’inguine e le sue condizioni sono considerate serie, mentre quelle del terzo non destano preoccupazioni.
Lo scontro a fuoco tra militari italiani e ribelli, in cui è rimasto lievemente danneggiato un elicottero, ha avuto luogo intorno alle 11 (le 8.30 in Italia) a sud di Bala Morghab.
“La dinamica degli eventi è al momento in via di chiarimento”, si legge in una nota del comando di Herat.
(Reuters)

La guerra nascosta degli italiani in Afghanistan secondo i rapporti di Wikileaks.
Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi per L’espresso del 21 ottobre 2010, pp. 36-46.

Facce di bronzo
Roma, 4 novembre 2010 – Il 4 Novembre, ‘Giorno dell’Unità nazionale’ e ‘Giornata delle Forze Armate’ è stata l’occasione per le più alte autorità dello Stato per riaffermare la validità delle missioni di pace.
Napolitano, che ha aperto le celebrazioni con la deposizione di una corona d’alloro all’Altare della Patria, si è soffermato sul dovere delle autorità politiche e militari di proteggere i contingenti militari e le popolazioni civili coinvolte nelle missioni di pace. Ha poi ribadito che ”l’intervento italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi della nostra Costituzione”.
Anche il presidente del Senato Schifani, parlando alla cerimonia al Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari, ha insistito sul fatto che ”le missioni devono continuare” e ha aggiunto: ”In giornata come queste, il paese non può che essere unito nel ricordare con commozione il prezzo che i nostri eroi militari caduti per la pace, in missione per assicurare la pace nel mondo, hanno tributato”.
Il presidente della Camera, Fini, ha deposto una corona d’alloro sulla tomba del Duca d’Aosta, nel sacrario di Redipuglia a ricordo dei Caduti di tutte le guerre.
”Nonostante i continui mutamenti strategici globali – ha detto invece il ministro della Difesa La Russa, nel suo intervento al Quirinale, durante la cerimonia di consegna delle decorazioni – alle nostre forze armate rimane comunque affidata la sicurezza del Paese. Una sicurezza che richiede la capacità di proiezione per assolvere compiti di stabilità internazionale, ovvero di operare in concorso alla comunità nazionale in caso di calamità naturali”.
(ANSA)

Roma, 13 dicembre 2010 – Un convoglio militare italiano è stato attaccato in Afghanistan a colpi di arma da fuoco: nessun ferito. Lo si apprende da fonti qualificate. Gli ‘insorti’ si sono allontanati anche per l’intervento di elicotteri Mangusta.
L’attacco, con armi leggere, è avvenuto a 6-7 km da Bala Murghab. I militari italiani, che hanno risposto al fuoco, sono stati supportati da due elicotteri italiani e da un aereo B1 USA. L’attacco mentre si cercava di allargare la ‘bolla di sicurezza’ attorno al villaggio.
(ANSA)

“Elementi ostili”
Roma, 18 dicembre 2010 – Scontri a fuoco oggi nell’area di Bala Murghab. Da settimane i militari italiani con i colleghi afghani stanno operando al fine di incrementare l’area sotto il controllo delle forze di sicurezza. L’azione congiunta degli alpini dell’ottavo e del 2* kandak dell’ANA si sta concentrando nell’area a nord della bolla di sicurezza che, nella provincia di Murghab, vede ormai migliaia di famiglie rientrare nelle proprie case.
In mattinata elementi ostili operanti in prossimità del margine settentrionale della bolla hanno cercato di contrastare l’azione delle forze della coalizione. Ne è nato uno scontro a fuoco che ha visto intervenire gli alpini, i militari afghani, ed elicotteri d’attacco. L’azione durata alcune ore, ha visto il ritiro degli elementi ostili.
L’operazione ”Bazar Arad” che da alcune settimane ha preso avvio in quell’area, prosegue in maniera congiunta, con diverse attività volte ad allargare verso nord la zona sicura per i civili.
(ASCA)

[E non finisce]

Numer(ett)i e fatt(acc)i dell’Italia in Afghanistan

italfor-afgh

A febbraio 2008, PdL e PD hanno dato il via libera a Camera e Senato al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. Le uscite ufficiali sono state di 365 milioni di euro, quelle reali – con tranches aggiuntive del Ministero degli Esteri – superano i 513, di cui 57 destinati al… riordino dei Tribunali e delle strutture centrali e periferiche del Ministero della Giustizia afghano.
CESVI ed INTERSOS, piene zeppe di volontari di occhio buono e lingua lunga, se ne accappareranno una fetta più che consistente. Ai nuclei CIMIC non resteranno che le briciole e la sfiga di dover fare da bersaglio per le prodezze dei 180 italianissimi Rambo della Task Force 45 – Sarissa.
I 4 Tornado IDS, insieme ad un team previsto di 170 militari tra piloti, motoristi, specialisti elettronici e di armi ed un aliquota di “avieri dell’aria” per la sicurezza, richiederanno uscite per altri 51 milioni di euro nell’esercizio 2009-2010 e 6 se ne andranno per l’approntamento degli shelter corazzati già in costruzione per la protezione passiva contro razzi e colpi di mortaio sull’aeroporto di Herat. Una città squassata in un solo giorno, lo scorso 20 novembre, da tre gigantesche esplosioni a meno di cinquecento metri dalla base italiana di Camp Vianini.
Una guerra, quella organizzata a partire dal 2001 dagli USA in Afghanistan e successivamente corroborata dalla NATO, che è costata ad oggi, ai contribuenti della Repubblica delle Banane, tra morti, feriti, sequestrati con riscatti per entità non precisate, per retribuzioni, diarie di indennità al personale, trasporto, “aiuti” a Ong, uso di blindati, elicotteri, aerei, logistica, impiego, sostituzione e perdite di materiali, la sommetta di 3,2 miliardi di euro.
La campagna contro l’Afghanistan, cominciata sotto grandinate di bombe da 250-500 kg sganciate a caduta libera, e quindi con larga imprecisione, sugli “obiettivi sensibili” da B52 e B1 statunitensi, è tutt’ora in corso e durerà – si sostiene al Pentagono – ancora una ventina di anni.
Gli esportatori di pace e democrazia USA/NATO sono arrivati in Afghanistan, con la complicità dell’ONU, a fare di tutto e di ben peggio del peacekeeping con tanto di promessi e faraonici (e mai mantenuti) piani di ricostruzione. Nel corso di sette anni di guerra hanno inoltre usato i C130 per annaffiare di bombe, oltre che i presunti rifugi dell’inafferrabile Bin Laden, anche il più modesto concentramento di guerriglieri pashtun, ponti, percorsi obbligati, abitazioni isolate e villaggi di montagna. Ad oggi sono almeno 250 le FAE, meglio conosciute come “tagliamargherite”, da 6 tonnellate dotate di paracadute frenante, lanciate dai portelloni posteriori di questi quadriturbina da trasporto oltre a 32 GBU 43B a guida laser da 7 tonnellate ciascuna, arrivate a bersaglio sul terreno.
Le FAE sono enormi contenitori di acciaio che contengono nitrato di ammonio, alluminio in polvere e polistirene che distruggono qualsiasi forma di vita nel raggio di cinquecento metri e sviluppano a terra una pressione di 500 kg ogni 24,5 millimetri quadrati.
Poi Enduring Freedom e ISAF hanno spazzato via dalla carta geografica dell’Afghanistan, quello che era rimasto in piedi delle infrastrutture di appoggio logistico del “nemico”, spesso posizionate in prossimità di centri abitati, con il bombardamento “chirurgico” di cacciabombardieri F117, F16, F18, Mirage 2000, Harrier, Tornado IDS e UAV Predator armati di razzi Hellfire.
Il 2007 si è chiuso con un bilancio ufficiale del governo Karzai, quindi largamente sottostimato, di 7.463 morti ammazzati. Per Human Rights Watch, i decessi registrati tra la popolazione afghana sono stati nello stesso periodo 748.
Nei primi otto mesi del 2008, i “costi collaterali” sono saliti a 1.552, con un incremento che supera di ben oltre il 50% le perdite di vite umane registrate nell’anno precedente. I dati questa volta sono arrivati dall’inviata sudafricana dell’ONU Navi Pillay, durante una conferenza stampa a Kabul nel mese di ottobre.

Dall’estate del 2006, durante il governo Prodi, è già operativa nell’ovest dell’Afghanistan – nelle province di Farah e di Herat – la forza di reazione rapida dei Bersaglieri e della Task Force 45 – Sarissa, composta da Comsubin di Varignano, Paracadutisti Carabinieri Tuscania e 185° Regt. Folgore che parteciperà a ripetute azioni di guerra contro i Taliban nel distretto di Gulistan.
Nel corso dei combattimenti la Task Force 45, appoggiata da 5 elicotteri d’attacco A129 Mangusta e blindati Dardo con cannoni a tiro rapido da 25 mm, si renderà responsabile insieme a Rangers USA e SAS britanniche dell’uccisione di decine di guerriglieri afghani e di un numero imprecisato di feriti.
Il primo impiego di militari italiani, inquadrati in ISAF, contro formazioni combattenti Taliban risale al 18 Settembre 2006. Seguiranno ulteriori “missioni di annientamento” l’1 Ottobre ed il 10 Dicembre dello stesso anno.
Il 2007 vedrà Alpini Paracadutisti, Bersaglieri e Truppe Speciali di ISAF ed Enduring Freedom, impegnati in azioni di rastrellamento e di fuoco da terra e dall’aria contro nuclei di Taliban il 21 Febbraio, 11 Marzo-10 Aprile, il 27 Aprile, il 10 ed il 22 Agosto, il 19 Settembre, il 5 Ottobre ed a chiusura dell’anno dall’1 al 21 Novembre. Sarà l’ultima grande e protratta operazione “attacca e distruggi” prima della pausa invernale.
Al vertice NATO di aprile a Bucarest, presente Frattini, gli Stati Uniti chiederanno perentoriamente all’Italia di ampliare il suo intervento militare in Afghanistan corredandolo di “ulteriori ed indispensabili mezzi di difesa per riallineare sul terreno lo sforzo comune di USA ed Alleati della NATO nella lotta contro il terrorismo”. L’azzimatissimo Ministro degli Esteri assicurerà in quella occasione a Jaap de Hoop Scheffer il ritiro dei caveat che limitavano l’impiego sul campo del personale militare italiano nelle province di Herat e Farah, dichiarate zone di guerra da Enduring Freedom.
Frattini confermerà inoltre al Segretario Generale della NATO che il rapporto di collaborazione dell’Italia con gli Stati Uniti sarà nel tempo ancora più stringente e politicamente affidabile rispetto al passato. Ed ecco che dopo le parole giungono i fatti: i Tornado Panavia IDS dell’Aeronautica Militare Italiana del generale Camporini arrivano a Mazar-e Sharif…
Ne riparleremo. Ne vale la pena.

[Versione rivista e corretta di “La guerra segreta dell’Italietta in Afghanistan”, di Giancarlo Chetoni.
Per gentile concessione dell’autore]