Segui i soldi: come la Russia aggirerà la guerra economica occidentale

Gli Stati Uniti e l’UE stanno esagerando con le sanzioni russe. Il risultato finale potrebbe essere la de-dollarizzazione dell’economia globale e la massiccia carenza di materie prime in tutto il mondo.

Di Pepe Escobar per The Cradle

Quindi una congregazione di pezzi grossi della NATO nascosti nelle loro casse di risonanza mediatiche prende di mira la Banca Centrale russa con sanzioni e si aspetta cosa? Biscottini?

Quello che invece hanno ottenuto sono state le forze di deterrenza russe portate a “uno speciale regime di servizio” – il ché comporta che le flotte del Nord e del Pacifico, il comando dell’aviazione a lungo raggio, i bombardieri strategici e l’intero apparato nucleare russo siano tutti quanti in stato massima allerta.

Un generale del Pentagono ha fatto molto rapidamente i calcoli di base su ciò appena avvenuto, e solo pochi minuti dopo, una delegazione ucraina è stata inviata a condurre negoziati con la Russia in una località segreta a Gomel, in Bielorussia.

Nel frattempo, nei regni vassalli, il governo tedesco era impegnato a “porre limiti ai guerrafondai come Putin” – un impegno piuttosto grande considerando che Berlino non ha mai posto tali limiti per i guerrafondai occidentali che hanno bombardato la Jugoslavia, invaso l’Irak o distrutto la Libia in completa violazione della legge internazionale.

Pur proclamando apertamente il loro desiderio di “fermare lo sviluppo dell’industria russa”, danneggiare la sua economia e “rovinare la Russia” – facendo eco agli editti americani su Irak, Iran, Siria, Libia, Cuba, Venezuela e altri nel Sud del mondo – i tedeschi possibilmente potrebbero non riconoscere un nuovo imperativo categorico.

Finalmente sono stati liberati dal loro complesso di responsabilità della Seconda Guerra Mondiale nientemeno che dal presidente russo Vladimir Putin. La Germania è finalmente libera di sostenere e armare di nuovo i neonazisti – ora nella varietà del battaglione ucraino Azov.

Per capire in che modo queste sanzioni della NATO “rovineranno la Russia”, ho chiesto la succinta analisi di una delle menti economiche più competenti del pianeta, Michael Hudson, autore, tra gli altri, di un’edizione rivista dell’imperdibile Super-imperialismo: la strategia economica dell’impero americano .

Hudson ha osservato come sia “semplicemente agghiacciato dall’escalation quasi atomica degli Stati Uniti”. Sulla confisca delle riserve estere russe e sulla chiusura per la Russia dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, il punto principale è che “ci vorrà del tempo prima che la Russia introduca un nuovo sistema con la Cina. Il risultato porrà fine alla dollarizzazione per sempre, poiché i Paesi minacciati di “democrazia” o che mostrano indipendenza diplomatica avranno paura a usare le banche statunitensi”.

Questo, secondo Hudson, ci porta alla “grande domanda: se l’Europa e il gruppo dei Paesi del dollaro potranno ancora acquistare materie prime russe – cobalto, palladio, ecc. e se la Cina si unirà alla Russia nell’embargo di questi minerali”.

Hudson è fermamente convinto che “la Banca Centrale russa, ovviamente, ha attività bancarie estere per intervenire sui mercati valutari per difendere la sua valuta dalle fluttuazioni. Il rublo è precipitato. Ci saranno nuovi tassi di cambio. Eppure spetta alla Russia decidere se vendere il proprio grano all’Asia occidentale, che ne ha bisogno; o smettere di vendere gas all’Europa attraverso l’Ucraina, ora che gli Stati Uniti possono prenderlo”.

Sulla possibile introduzione di un nuovo sistema di pagamento Russia-Cina aggirando il sistema SWIFT e combinando il sistema russo SPFS (System for Transfer of Financial Messages) con il  sistema cinese CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), Hudson non ha dubbi “il sistema russo-cinese sarà implementato. Il Sud del mondo cercherà di unirsi e allo stesso tempo manterrà il sistema SWIFT, spostando le proprie riserve nel nuovo sistema”.

Ho intenzione di de-dollarizzare me stesso

Quindi, gli stessi Stati Uniti, con un altro enorme errore strategico, accelereranno la de-dollarizzazione. Come ha detto al Global Times l’amministratore delegato di Bocom International, Hong Hao, con la de-dollarizzazione del commercio energetico tra Europa e Russia “sarà l’inizio della disintegrazione dell’egemonia del dollaro”.

È un ritornello che l’amministrazione statunitense stava sentendo tranquillamente la scorsa settimana da alcune delle sue più grandi banche multinazionali, incluse banche degne di nota come JPMorgan e Citigroup.

Un articolo di Bloomberg riassume le loro paure collettive:

“L’allontanamento della Russia dal sistema globale critico – che gestisce 42 milioni di messaggi al giorno e che funge da ancora di salvezza per alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo – sarebbe controproducente, aumenterebbe l’inflazione, spingendo la Russia più vicino alla Cina, e metterebbe al riparo le transazioni finanziarie dal controllo dell’Occidente. Potrebbe anche incoraggiare lo sviluppo di un’alternativa allo SWIFT, che potrebbe, alla fine, danneggiare la supremazia del dollaro USA”.

Coloro che hanno un quoziente di intelligenza superiore a 50 nell’Unione Europea devono aver capito che la Russia semplicemente non può essere totalmente esclusa da SWIFT, ma forse solo alcune delle sue banche: dopotutto, i trader europei dipendono dall’energia russa.

Dal punto di vista di Mosca, questo è un problema minore. Diverse banche russe sono già collegate al sistema CIPS cinese. Ad esempio, se qualcuno vuole acquistare petrolio e gas russo con CIPS, il pagamento deve essere nella valuta cinese yuan. CIPS è indipendente dal sistema SWIFT.

Inoltre, Mosca ha già collegato il suo sistema di pagamento SPFS non solo alla Cina, ma anche all’India e ai Paesi membri dell’Unione Economica Eurasiatica. SPFS si collega già a circa 400 banche.

Con sempre più società russe che utilizzano i sistemi SPFS e CIPS, anche prima della loro fusione, ed altre manovre per aggirare il sistema SWIFT, come l’utilizzo del baratto – ampiamente utilizzato dal sanzionato Iran – e con le banche agenti, la Russia potrebbe compensare almeno il 50% delle perdite commerciali.

Il fatto chiave è che la fuga dal sistema finanziario occidentale dominato dagli Stati Uniti è ora irreversibile in tutta l’Eurasia e ciò procederà di pari passo con l’internazionalizzazione dello yuan.

La Russia ha la sua valigetta di trucchi

Nel frattempo, non stiamo neanche ancora parlando delle ritorsioni russe per queste sanzioni. L’ex presidente Dmitry Medvedev ha già dato un accenno: tutto, dall’abbandono di tutti gli accordi sulle armi nucleari con gli Stati Uniti al congelamento dei beni delle aziende occidentali in Russia, è sul tavolo.

Allora, cosa vuole “L’impero delle Menzogne”? (Termine putiniano, dalla riunione di lunedì 28 febbraio a Mosca per discutere la risposta alle sanzioni).

In un articolo pubblicato questa mattina, deliziosamente intitolato L’America sconfigge la Germania per la terza volta in un secolo: MIC, OGAM e FIRE conquistano la NATO, Michael Hudson tocca una serie di punti cruciali, a cominciare da come “la NATO è diventata l’entità che detta la politica estera dell’Europa, fino al punto di dominare gli interessi economici interni”.

Hudson delinea le tre oligarchie che controllano la politica estera degli Stati Uniti.

La prima di queste tre oligarchie è il complesso militare-industriale, che Ray McGovern coniò in modo memorabile come MICIMATT (Military Industrial Congressional Intelligence Media Academia Think Tank). Hudson definisce la sua base economica come “rendita monopolistica, ottenuta soprattutto dalla vendita di armi alla NATO, agli esportatori di petrolio dell’Asia occidentale e ad altri Paesi con un surplus di bilancia dei pagamenti”.

La seconda è il settore petrolifero e del gas, affiancato da quello minerario (OGAM: Oil Gas Mineral). Il suo scopo è “massimizzare il prezzo dell’energia e delle materie prime in modo da massimizzare la rendita delle risorse naturali. Il monopolio del mercato petrolifero dell’area del dollaro e l’isolamento dal petrolio e dal gas russi è stata una delle principali priorità degli Stati Uniti da oltre un anno, poiché l’oleodotto Nord Stream 2 dalla Russia alla Germania minacciava di collegare insieme l’economia dell’Europa occidentale e quella russa”.

La terza ed ultima oligarchia è il settore “simbiotico” finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE: Finance, Insurance Real Estate), che Hudson definisce “la controparte della vecchia aristocrazia fondiaria post-feudale europea che vive di rendite fondiarie”.

Mentre descrive questi tre settori di portatori di rendite che dominano completamente il capitalismo finanziario postindustriale nel cuore del sistema occidentale, Hudson osserva che “Wall Street è sempre stata strettamente fusa con l’industria del petrolio e del gas (ovvero conglomerati bancari quali ad esempio Citigroup e Chase Manhattan).”

Hudson mostra come “l’obiettivo strategico più urgente degli Stati Uniti nel confronto della NATO con la Russia è l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas. Oltre a creare profitti e guadagni sul mercato azionario per le società statunitensi, l’aumento dei prezzi dell’energia sottrarrà gran parte del vigore all’economia tedesca”.

Egli avverte come i prezzi dei generi alimentari aumenteranno “guidati dal grano”. (La Russia e l’Ucraina rappresentano il 25% delle esportazioni mondiali di grano.) Dal punto di vista del Sud del mondo, è un disastro: “Questo metterà in difficoltà molti Paesi dell’Asia occidentale e del Sud del mondo carenti di cibo, peggiorando la loro bilancia dei pagamenti e minacciando l’insolvenza del debito estero.”

Per quanto riguarda il blocco delle esportazioni di materie prime russe, “esso minaccia di causare interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali chiave, inclusi cobalto, palladio, nichel, alluminio”.

E questo ci porta, ancora una volta, al cuore della questione: “Il sogno a lungo termine dei nuovi guerrieri statunitensi della nuova Guerra Fredda è quello di smantellare la Russia, o almeno ripristinare la sua cleptocrazia manageriale cercando di incassare le loro privatizzazioni nei mercati  azionari occidentali.

Ciò non succederà. Hudson vede chiaramente come “la più enorme conseguenza involontaria della politica estera statunitense sia stata quella di guidare insieme Russia e Cina, insieme a Iran, l’Asia centrale e i Paesi lungo la Nuova Via della Seta”.

Confischiamo un po’ di tecnologia

Ora confrontate quanto sopra con la prospettiva di un magnate degli affari dell’Europa centrale con vasti interessi, ad est ed ovest, e che fa tesoro della sua discrezione.

In uno scambio di e-mail, il magnate degli affari ha espresso seri dubbi sul possibile sostegno della Banca Centrale russa alla propria valuta nazionale, il rublo, “che secondo la pianificazione statunitense viene ad essere distrutta dall’Occidente attraverso sanzioni e branchi di lupi nel settore delle valute che si stanno esponendo vendendo rubli allo scoperto. Non c’è davvero quasi nessuna somma di denaro che possa battere i manipolatori del dollaro contro il rublo. Un tasso di interesse del 20 per cento ucciderebbe inutilmente l’economia russa”.

L’uomo d’affari sostiene che l’effetto principale dell’aumento dei tassi “sarebbe quello di disincentivare le importazioni non necessarie. La caduta del rublo è quindi favorevole alla Russia in termini di autosufficienza. Con l’aumento dei prezzi all’importazione, questi beni dovrebbero iniziare ad essere prodotti a livello nazionale. [Fossi al loro posto] lascerei semplicemente cadere il rublo, fino a fargli raggiungere il proprio livello, che sarà per un po’ più basso di quanto le forze naturali consentirebbero, poiché, in questa guerra economica contro la Russia, gli Stati Uniti lo porteranno al ribasso attraverso le sanzioni e la manipolazione delle vendite allo scoperto”.

Ma questo sembra raccontare solo una parte della storia. Probabilmente, l’arma letale nell’arsenale di risposte della Russia è stata individuata dal capo del Centro per le Ricerche Economiche dell’Istituto di Globalizzazione e Movimenti Sociali (IGSO), Vasily Koltashov: la chiave è confiscare la tecnologia – come può accadere se la Russia cessa di riconoscere i diritti statunitensi sui brevetti.

In quella che definisce “proprietà intellettuale americana liberatrice”, Koltashov chiede l’approvazione di una legge russa sugli “Stati amici e ostili” [cosa già avvenuta – n.d.c.]. Se un Paese risulta essere nella lista ostile, allora possiamo iniziare a copiare le sue tecnologie nei settori farmaceutico, industriale, manifatturiero, elettronico, medico. Può essere qualsiasi cosa, dai semplici dettagli alle composizioni chimiche”. Ciò richiederebbe emendamenti alla Costituzione russa.

Koltashov sostiene che “una delle basi del successo dell’industria americana è stata la copia di brevetti stranieri per invenzioni”. Ora, la Russia potrebbe utilizzare “l’ampio know-how della Cina con i suoi ultimi processi produttivi tecnologici per copiare i prodotti occidentali: il rilascio della proprietà intellettuale americana causerà un danno agli Stati Uniti per un importo di 10 trilioni di dollari, solo nella prima fase. Sarà un disastro per loro”.

Allo stato attuale, si stenta a credere alla stupidità strategica dell’UE. La Cina è pronta ad accaparrarsi tutte le risorse naturali russe, con l’Europa ridotta a pietoso relitto, preda di speculatori selvaggi. Sembra che ci sia una divisione totale tra UE e Russia, con pochi scambi rimasti e zero diplomazia.

Ora ascoltate il rumore delle bottiglie di champagne che vengono stappate in tutto il MICIMATT.

(Traduzione a cura della redazione)

Il bipolarismo tecnologico


“Quando il 6 dicembre 2018 la direttrice finanziaria del gigante cinese Huawei, Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei, venne arrestata a Vancouver, in Canada, in base a un mandato di arresto emesso dagli Stati Uniti per una presunta violazione delle misure di embargo economico all’Iran, il genio uscì definitivamente dalla lampada. La guerra commerciale decretata dall’amministrazione Trump è stata l’utile foglia di fico con cui gli Stati Uniti hanno coperto un ben più cogente obiettivo geopolitico: isolare gradualmente la Cina, frenare l’ascesa tecnologica dell’Impero di Mezzo, ritardarne la scalata in terreni dalle applicazioni decisive per i futuri assetti di potere del pianeta. Vistasi indietro nella gara, Washington ha sdoganato le armi a disposizione: sanzioni commerciali, moniti agli alleati, non a caso divenuti sempre più espliciti poco prima dell’arresto di Meng, a non utilizzare tecnologie cinesi , sfruttamento delle armi del geodiritto, richiamo alla sbandierata “comunità di destino” contro la minaccia posta dalla Cina comunista.
Lo spartiacque del caso Huawei è decisivo, perché da un lato rappresenta il momento in cui lo scontro USA-Cina si fa realmente nuovo bipolarismo e dall’altro rende palese la valenza geopolitica dello scontro al resto del mondo, costringendo, d’altro canto, Washington a rendere palese ciò che negli apparati di potere era già noto, a far cadere la presunta immaterialità e neutralità dei colossi digitali della Silicon Valley, in realtà da sempre intrinseci alle logiche del potere globale statunitense. I campioni nazionali statunitensi sono stati rapidamente arruolati nella guerra a Huawei e al resto dei rivali cinesi. Il mondo della tecnologia, abdicando alla mitologia del paradiso libertario californiano, non può negare il suo sostegno ai programmi governativi, che rappresentano una fetta considerevole dei suoi introiti. La Casa Bianca, per irreggimentare i campioni nazionali statunitensi in una fase di confronto con la Cina, ribadisce la logica della scelta di campo, rilanciando con decisione la matrice statunitense della rete supposta come globale. Invitando i grandi del digitale a una nuova collaborazione con solidi argomenti economici, sotto forma di appalti dal valore di decine di miliardi di dollari e sconti fiscali a tutto campo, il governo federale aggiunge solidi argomenti alla focalizzazione sulla sicurezza nazionale.
(…) Nella tecnologia stiamo dunque parlando di un vero e proprio scenario di matrice bellica, di un conflitto sotterraneo ma continuo che amplifica gradualmente la faglia tra Stati Uniti e Cina, provocando da un lato la costruzione di paradigmi tecnologici paralleli a mano a mano che l’innovazione avanza in forma divergente sulle due sponde del Pacifico; e, dall’altro, producendo un contesto caotico che vede Washington estrarre su scala globale rendite di posizione dall’attuale egemonia dei suoi colossi digitali (Google, Amazon, Facebook e Apple gestiscono ancora l’80% dei dati su scala globale) e Pechino creare, gradualmente, i più efficaci standard del futuro.”

Dall’omonimo articolo a firma di Andrea Muratore, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici n. 4/2020, pp. 123-125.

Bambini di troppo

In questa prima metà di settembre, alla mobilitazione contro l’Operazione Coronavirus e a quella contro il 5G e la digitalizzazione pervasiva universale, si è aggiunto con forza il tema dei bambini e ragazzi, nelle scuole e fuori.
Si delinea chiaramente un assalto delle forze del Nuovo Ordine Mondiale ai settori più vulnerabili e deboli della società umana. Pesantemente colpiti gli anziani attraverso la negazione di cure fondamentali e anche salvavita con l’arma della detenzione in casa, creato un esercito milionario di nuovi disoccupati soprattutto nelle fasce di età matura e senza prospettive alternative, ora questi necrofori si concentrano sui bambini e ragazzi. Ne pervertono e demoliscono lo spazio fondamentale dello sviluppo, della maturazione e della socializzazione con gli strumenti sociocidi del distanziamento e dell’occultamento mascherato, preteso per preservarli da un pericolo immaginario, ma onnipresente.
I responsabili e profittatori di questa operazione di annichilimento transumano si tirano appresso un’armata di utili idioti del “progresso attraverso l’innovazione tecnologica”. E su questo settore della società che tocca agire per riconquistare il terreno perduto e passare alla controffensiva.
Il video qui sotto vuol dare un piccolissimo contributo.
Fulvio Grimaldi

In dialogo con Giancarlo Paciello

Proponiamo ai nostri lettori le risposte fornite dall’amico Giancarlo Paciello a quattro domande che gli abbiamo sottoposto a seguito della pubblicazione del suo No alla globalizzazione dell’indifferenza, presso l’editrice Petite Plaisance.
Buona lettura!

***

Caro Federico, a tener conto dei punti interrogativi mi poni quattro domande. Le domande che mi fai sono decisamente di più. Ripercorrerò perciò il tuo testo e cercherò di rispondere, cercando di includere tutto, ove possibile, nel quadro della riflessione che mi ha spinto a scrivere No alla globalizzazione dell’indifferenza.
La genesi del libro, come si legge nella premessa, da te molto gentilmente pubblicata nel tuo blog, è la richiesta esplicita di mia figlia, che dopo aver letto le mie considerazioni sull’assassinio di Gheddafi nell’ottobre del 2011, mi sollecitava ad esporre le mie convinzioni universalistiche chiaramente inconciliabili con una teoria dei diritti umani del tutto prona agli interessi dell’imperialismo statunitense. Certo di poter contare sul sostegno del mio amico, ma soprattutto grande filosofo, Costanzo Preve, accettai la sfida.
Ma, l’uomo propone e … dio dispone!
Il 23 novembre del 2013, Costanzo, provato da tutta una serie di vicissitudini ospedaliere, ci ha lasciato e io mi sono trovato, da solo, di fronte al problema. Il compito restava dei più difficili, anche se la collaborazione con Costanzo, sulla base prevalente di una corrispondenza epistolare e qualche mia scappata a Torino, dove vive mia figlia, mi aveva però permesso di gettare le basi per un solido saggio di risposta alla sollecitazione filiale.
Ho riordinato le idee e pazientemente ho affrontato uno studio sull’universalismo, che faceva comunque parte del mio bagaglio culturale. Senza mai allontanarmi dalla storia, e recuperando i termini di una polemica filosofica di oltre duemila e cinquecento anni. L’intento dichiarato era quello di gettare un ponte fra la mia cultura, formatasi all’interno della Guerra Fredda e quella di mia figlia e dei suoi coetanei, che si era andata determinando all’interno della globalizzazione. Due cicli storici a dir poco antitetici, il secondo dei quali, quello che stiamo vivendo, caratterizzato da un individualismo sfrenato.
E il capitolo iniziale “Da un ciclo storico all’altro” costituisce la struttura portante di tutta l’argomentazione del libro, anticapitalistica e anticrematistica in senso assoluto, contro un capitalismo che ha raggiunto livelli di pericolosità per la specie umana che neanche la follia delle bombe di Hiroshima e Nagasaki potevano far ipotizzare. Continua a leggere

Per l’avvio di un programma di ricerca collettiva

dollar

L’élite mondialista è terrorista e “demoniaca”. Come e perché?

Juan Alberto Guerrero Della Malta, alias Emanuele Montagna, membro fondatore di Faremondo lancia una proposta minima per una comunità di ricerca, rivolta a coloro che hanno condiviso interesse verso le recenti iniziative pubbliche realizzate a Bologna.
I contenuti di questa proposta saranno sviluppati anche qui.

Premessa
Dopo i recenti fatti parigini credo non ci sia più bisogno di portare ulteriori argomenti a sostegno delle idee intorno alla natura criminale e “demoniaca” dell’élite mondialista che domina l’attuale Occidente e un pianeta ormai quasi completamente intossicato dai suoi nefasti maneggi.
Se ad un discreto numero di “attivisti” e “uomini di scienza” le innumerevoli, probanti conferme che al riguardo si sono accumulate dall’11 settembre ad oggi non sono ancora bastate a far sorgere una chiara consapevolezza di questa cosa, vuol dire, con tutta probabilità, che nelle loro teste operano alcuni potenti “sbarramenti” psicologici ed ideologici aventi quanto meno un’intima valenza omeostatica. Se è così, con queste persone non c’è niente da fare, almeno in questa fase: l’opera di una loro paziente “rieducazione” dovrà purtroppo aspettare tempi migliori.
Con questo scritto non intendo quindi rivolgermi a questo genere di persone. Mi rivolgo invece a quanti, a partire da una certa consapevolezza di base della natura specifica dell’élite mondialista, sono disposti a farsi ulteriori e più appropriate domande. Continua a leggere

Quando Olivetti inventò il PC

Documentario realizzato da Alessandro Bernardi e Paolo Ceretto sulla storia sconosciuta del primo Personal Computer, il “Programma 101”, prodotto a Torino nel 1965.
Un gruppo di giovani e visionari ricercatori dell’Olivetti di Ivrea, diretti dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto, aveva dato vita a un’invenzione straordinaria, una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo!

Cavie umane

L’America e l’energia nucleare, cronaca di un disastro annunciato.
Esperimenti atomici, incidenti nucleari e fughe radioattive: come il Governo USA ha ucciso i suoi stessi cittadini.

Di Harvey Wasserman e Norman Solomon,
con la collaborazione di Robert Alvarez e Eleanor Walters

Edizione italiana a cura di Raffaello Bisso e Andrea Lombardi.
Il libro è edito dall’Associazione Culturale “Italia Storica”.

Cavie umane, nell’originale Killing Our Own (letteralmente, “Uccidendo i nostri”, inteso come i nostri cittadini, i nostri soldati, noi stessi) nasce nel 1982, sotto l’ombra che si allunga a dismisura dell’incidente di Three Mile Island.
Oggi come allora, l’informazione libera da interessi, rispettosa della complessità dei temi legati all’energia, intellettualmente onesta (non “equidistante e indipendente”, perché un autore serio prende sempre posizione) non era e non è abbastanza presente per aiutare il pubblico a trovare il filo delle cose.
L’attualità di Killing Our Own si è purtroppo riproposta puntualmente: mentre ne veniva ultimata la presente edizione le notizie da Fukushima hanno invaso i media ed è apparso evidente ancora una volta come le storie di sofferenze, malgoverno e manovre più o meno occulte che Killing Our Own denuncia non siano esclusiva degli Stati Uniti.
Il lettore purtroppo ritroverà configurazioni familiari: come nella centrale giapponese prima dello Tsunami, superficialità nella manutenzione e nei controlli, procedure non rispettate per risparmiare, ecc.
E dopo il manifestarsi di gravi pericoli per l’uomo e per l’ambiente, soppressione di documenti, intervento selettivo sulla divulgazione di studi e statistiche (a seconda dell’esito, ovviamente), confusione deliberata dei termini del problema a mezzo stampa fino al falso scientifico, tenuto in vita il più possibile, dell’esistenza di un dosaggio sicuro; tutto questo è già in Killing Our Own, che riporta anche di campagne di diffamazione e attacchi alla carriera di ricercatori i cui risultati non erano in sintonia con gli interessi militarindustriali; e secretazione di dati per sottrarli ad analisi statistiche estensive. Scienza che diventa pseudoscienza dietro la sollecitazione di certi poteri.
Precisiamo però che questa edizione è estranea agli allarmismi e ancora più ai complottismi che semplificando l’immagine della scienza e della tecnologia, giocano sulle tracce dell’“analfabetismo” scientifico di cui è variegata la coscienza civile italiana e che, pesando sulla politica quanto sul comune sentire, tanto favoriscono il declino generale del nostro Paese. Tale declino, causato dalle “rappresentazioni deformate della conoscenza”, rischia di trasformarlo sì in “appendice turistica del mondo civile” [1], ma pure abbellita da mostruosi, costosi ventilatori che sprecano i nostri paesaggi più belli senza influire che in percentuale minima sul bilancio energetico reale.
L’Italia rappresenta un caso a parte, in senso negativo purtroppo, perché la possibilità di una indipendenza energetica dell’Italia dall’egemonia dell’industria del petrolio e di una ricerca anche in campo nucleare indipendente dalle manovre della politica venne scongiurata sin dai primi anni del dopoguerra dai casi MatteiIppolito-Marotta [2]. Chi vorrà leggere anche per sommi capi di queste vicende, scoprirà, oltre ad appassionanti trame gialle degli anni del boom, tante risposte ai perché che tutti ci poniamo sulle magagne del nostro Paese.
La ricerca di base e applicata in Italia – come la sua rappresentazione – soffrivano e soffrono ancora di incomprensione nella cultura di massa, ma ancor più degli ostracismi o della lottizzazione da parte della politica. In un Paese la cui preparazione scientifica media è tra le ultime del mondo, emerge la criticità delle fonti di informazione indipendenti da lottizzazione e interessi di parte, dagli interessi ciechi del militare-industriale.
Oggi deve essere chiaro che le scelte energetiche sono scelte tra modelli di società. Il messaggio di Cavie umane è che il cittadino deve pretendere e cercare informazioni e storie di prima mano per esprimere scelte tra alternative possibili articolate, evitando di fermarsi al “sì o no” che ovviamente s’impone quando ci si trova davanti la scheda di un referendum. Il cittadino informato, prima di preferire, deve sapere quanto costi una scelta, a partire dalla sicurezza della risorsa, dalla sua origine mineraria, al trasporto, alla gestione, alle conseguenze a medio e lungo termine della fase estrattiva e dello smaltimento. Alla possibile trasparenza nelle fasi critiche, in cui possono essere invocate criticità militari che deviano le informazioni su binari extrademocratici.
Perciò Cavie umane oggi più che mai può aiutarci a un bilancio e a una presa di distanza, speriamo un superamento, delle costose tare del sentire pubblico italiano. Ripercorrendo utilmente, ad esempio, i trascorsi che hanno portato alla nascita di un movimento di opinione o meglio di presa di coscienza collettiva negli USA già a metà degli anni ‘60, precursore dei movimenti No Nukes degli anni ‘80, che poi hanno attecchito e furoreggiato in Europa – e che in Italia hanno portato, tra l’altro, al referendum del 1987.
In gran parte dell’Occidente, informazioni falsate o semplificate nella mentalità collettiva si polarizzavano tra una fiducia pedissequa e disinteressata e un ritrarsene in base a paure irrazionali, impedendo il formarsi di quella informed citizenship einsteniana – premessa della discussione e della presa di posizione informata e partecipata – che è scopo e argomento di questo libro.
Che viene proposto ora anche nella speranza che un eventuale ritorno dell’Italia al nucleare non sia, come purtroppo si prefigurava di recente, un altro costosissimo passo falso di un Paese in via di sottosviluppo, come amavano dire negli anni ‘70 profeti mai ascoltati.”
(Prefazione all’edizione italiana di Raffaello Bisso)

[1] E. Bellone, Scienza negata – Il caso italiano, Codice Edizioni, Torino, 2005.
[2] Ibid, pp. 12-13. V. anche Gli USA contro la sovranità energetica e scientifica italiana, seconda parte, in “Indipendenza” n. 13, maggio-giugno 2010.

[Sullo stesso argomento si veda Cavie nucleari]

Una provvidenziale carenza di tecnologia

Quel che succede oggi alla «superpotenza americana» è ben illustrato dal blocco del costosissimo F-35 Joint Strike Fighter il supercaccia che gli USA, come l’ha descritto una informazione di «France Métallurgie»: [sic]
La fabbricazione degli F-35 ha il suo collo di bottiglia in certe presse, che servono a plasmare certe parti di alluminio della fusoliera. Parti di forma complessa e lunghe anche più di tre metri. La Lockheed, che ha il ruolo di capo-contratto, ha demandato la formazione di questi pezzi alla multinazionale dell’alluminio Alcoa. Il fatto è che la Alcoa ha una sola di queste presse da 25 tonnellate, e ha speso 100 milioni di dollari per rammodernarla; infatti, questa pressa è stata costruita negli anni ‘50, e gli americani la copiarono, con gran fatica date le difficoltà tecniche che presentava, da «un modello tedesco della seconda guerra mondiale». C’è anche un’altra pressa del genere in USA, che non è detto dove sia finita.
Conclusione della rivista metallurgica: «Ciò significa che l’aereo americano più tecnicamente avanzato sarà fatto usando un impianto che è vecchio di oltre cinquant’anni e a suo tempo fu considerato una realizzazione storica dell’ingegneria americana. Ciò dice che USA e altri Paesi (perchè l’F-35 lo vogliono vendere ad altri Paesi, a cui hanno affidato parti della fabbricazione) non potranno accrescere la produzione di tali presse (e dell’aereo) date le limitazioni di capacità industriali cruciali. E’ in qualche modo il testamento dell’ingegneria industriale moderna il fatto che questo impianto esista ancora dopo mezzo secolo e sia il solo disponibile per il programma. E dice che sarà arduo accrescere il ritmo di produzione del Joint Strike Fighter». (La panne de la presse d’ALCOA freine le programme du chasseur F-35 de l’US Air Force)
Già: pensate se l’Occidente dovesse condurre una vera guerra, contro veri nemici come i tedeschi e i giapponesi dell’altro conflitto. Pensate se fosse necessario accelerare la produzione di F-35 a centinaia, a migliaia di esemplari: l’unica superpotenza rimasta dipende da due presse di cinquant’anni fa, copiate dai nazisti, e che apparentemente ha perso la capacità tecnica di costruire. Non a caso gli USA e gli israeliani si scelgono «nemici» che sono sicuri di schiacciare, la fantomatica «Al Qaeda», Hamas, i talebani scalzi armati di RPG.
Ma già coi guerriglieri afghani sono in difficoltà. La civiltà-impostura fatica a mettere in linea 30 mila uomini, e – dopo aver tanto propagandato il pericolo estremo rappresentato dal «terrorismo globale» – non osa chiamare la popolazione, coerentemente, alla mobilitazione totale. Perchè sa che la risposta sarebbe la rivolta e la diserzione di massa: i cittadini-conformisti hanno fatto propria l’impostura ufficiale, credono al «terrorismo islamico»: ma, beninteso, non fino al punto da accettare di veder richiamati i loro figli alla leva di massa. Accettano la menzogna virtualista, ma nel sottofondo delle coscienze la sanno mentitrice. In mancanza di patrioti, si rimettono in auge i mercenari, con cui – come già diceva Machiavelli – le guerre si perdono, perchè lo stipendio non è una motivazione sufficiente per l’estremo sacrificio.
Già questo solo fatto rivela l’orribile arretramento del pensiero (militare in questo caso), analogo all’arretramento tecnologico che non consente di moltiplicare le presse Alcoa. L’arretramento è, radicalmente, degli intelletti e dello spirito.
S’intende che i talebani o gli Hezbollah non saranno mai abbastanza superiori da infliggere al virtualismo americanista una sconfitta storica, sicchè gli occidentali possono occupare l’Afghanistan per altri dieci anni, estendere la loro guerra al Pakistan, bombardare l’Iran e continuare ad imporre la volontà di potenza americanista indefinitamente, almeno fino a quando il numero dei militari suicidi non assottiglierà i corpi in modo intollerabile. Le portaerei e i missili intercontinentali sono ancora lì, abbastanza da compiere aggressioni dal cielo e da dissuadere avversari potenziali più potenti.
(…)

Da La civiltà-impostura, di Maurizio Blondet.