
Centomila morti in sei-sette anni, 250 fosse comuni piene di cadaveri negli ultimi due anni e 27mila persone scomparse da quando l’ex presidente Calderón, nel dicembre del 2006, lancia la guerra al narcotraffico.
Nonostante questi dati terrificanti, il Messico non sembra attirare l’attenzione dei nostri media, tutti impegnati a seguire gli USA nella cosiddetta “guerra al terrorismo”.
Il massacro di Iguala, avvenuto fra il 26 e il 27 settembre scorsi nello stato di Guerrero, ha parzialmente riportato l’attenzione sulla violenza crudele e spietata del Messico odierno.
Nell’articolo a seguire, André Maltais cerca di far luce sulle origini del problema: il terrore si rivela lo strumento indispensabile per mantenere l’ordine sociale esistente, un ordine che si fonda sul saccheggio delle ricchezze naturali del Messico attraverso l’imposizione del liberismo selvaggio che si sostanzia nel NAFTA, il trattato di libero scambio con USA e Canada.
Il NAFTA, dal canto suo, rappresenta il modello ricalcando il quale gli Stati Uniti tentano di disegnare il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), i cui contenuti -attualmente negoziati con i delegati dell’UE- sono pressoché sconosciuti alla maggioranza dei cittadini europei.
Il terrore per governare il Messico
Meno di un mese prima dell’omicidio di sei giovani e della scomparsa di 43 studenti della Scuola Normale rurale Ayotzinapa per mano della polizia municipale di Iguala, un rapporto di Amnesty International ha rivelato un aumento del 600% dei casi di tortura inflitta da agenti statali in Messico, durante gli ultimi dieci anni.
Intitolato Fuori controllo: tortura e altri maltrattamenti in Messico, questo rapporto mostrava che l’impunità è quasi totale e che le due istituzioni incaricate di proteggere le vittime, il Procuratore generale della Repubblica e la Commissione nazionale dei diritti umani, non agiscono praticamente mai in loro favore.
Ora, il terribile massacro, avvenuto nella notte fra il 26 e il 27 settembre, evidenzia ciò che permette tutta la barbarie e tutta l’impunità: una profonda collusione fra il crimine organizzato e tutte le istituzioni messicane.
Quella notte, attorno a Iguala, la polizia ha più volte attaccato dei semplici studenti disarmati, prima di consegnarli vivi o morti ai loro complici del crimine organizzato. La sparatoria è andata avanti per ore, ma nessuna forza ufficiale di polizia, né locale né federale, ha protetto quei giovani, nonostante fosse presente in tutta la zona, presumibilmente per combattere i trafficanti di droga.
Alcuni feriti sono stati portati in una base dell’esercito federale e negli ospedali privati, dove si sono rifiutati di curarli.
Qualche giorno dopo la carneficina, i Guerreros unidos (GU), principale gruppo criminale della regione e presunto responsabile delle sparizioni, hanno tappezzato di scritte i muri delle città circostanti, chiedendo la liberazione degli agenti della polizia municipale detenuti e minacciando di rivelare altre complicità fra il narcotraffico e le istituzioni messicane.
L’amministrazione municipale d’Iguala, ci ha detto l’antropologo messicano Miguel Angel Adame, è una delle tante amministrazioni municipali totalmente dominate da una combinazione di gruppi criminali e di funzionari ultra-corrotti. Il sindaco, Jose Luis Abarca, finalmente arrestato il 4 novembre, è sposato con Maria de los Angeles Pineda, sorella di tre membri dei GU.
Abarca è stato eletto sindaco d’Iguala nel 2012, grazie a Lazaro Mason, attuale segretario alla Salute del governatore dello Stato di Guerrero, Angel Aguirre. Amico d’infanzia della moglie di Abarca, Mason ha scelto il nuovo sindaco proprio per i suoi legami con la criminalità organizzata.
Ѐ stato fra il 2002 e il 2005, continua Adame, che Mason, allora sindaco d’Iguala, accetta sostanziose somme di danaro settimanali e garanzie di rielezione in cambio della protezione legale delle attività dei trafficanti di droga, compreso il riciclaggio dei loro soldi in attività economiche, sociali e commerciali del comune.
Arriva allora un primo gruppo criminale che “negozia” la semina e la raccolta di marijuana nei campi dei contadini. Più tardi, arrivano altre bande di trafficanti e si radica la cultura criminale che conosciamo: reclutamento di giovani sicari, rapimenti in cambio di riscatti, scomparse, sfruttamento di migranti centroamericani, esecuzioni, ecc.
I cartelli della droga, scrive Rafael de la Garza Talavera, dottore messicano in scienze politiche, non trovano nessuna difficoltà nel promuovere lo sviluppo della delinquenza nelle campagne di Guerrero, una delle tante regioni del Messico devastate socialmente da più ondate di privatizzazioni, deregolamentazioni economiche e tagli di bilancio alla salute, all’istruzione e al benessere.
I giovani della regione, continua Talavera, rappresentano più del 70% della popolazione e non hanno altro avvenire, nel loro paese espropriato, se non l’emigrazione verso il nord o la guerra contro altri giovani provenienti dalle loro stesse classi sociali.
Nel 2012, i GU finiscono per imporsi grazie a un regime di terrore completamente appoggiato dalla polizia municipale e dal comune di Iguala, dove sono appena arrivati Abarca e sua moglie. I GU utilizzano anche le infrastrutture della polizia municipale per le loro operazioni di tortura, esecuzioni e sepolture di cadaveri.
Questo accade sotto il naso del 27° battaglione dell’esercito federale che, dal 2006, ha, anche a Iguala, un quartier generale operativo, invaso dalle denunce della popolazione locale.
Queste ultime prendono di mira anche il governatore dello Stato, Angel Aguirre, che si è dimesso lo scorso 23 ottobre, in seguito all’ampiezza delle manifestazioni popolari. Aguirre non solo era a conoscenza di quanto stava accadendo a Iguala, ma era anche complice delle tante sparizioni forzate ed esecuzioni extra-giudiziali di ecologisti, studenti delle scuole rurali, oppositori politici, militanti di organizzazioni di agricoltori e membri di comunità di autodifesa.
Nonostante tutto ciò, né il Procuratore generale della Repubblica, Jesus Murillo Karam, né alcun’altra agenzia federale, hanno mai avviato una seria inchiesta su questi casi.
Abarca e Aguirre sono membri del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), supposto partito di centro-sinistra del Paese, fondato negli anni ottanta da Cuautemoc Cardenas. Mazon, che si prepara a sostituire Aguirre come governatore di Guerrero, appartiene al Movimento per la rigenerazione nazionale (MORENA), nuovo partito di centro-sinistra originatosi dal PRD, nel 2011, e guidato da Andrés Manuel Lopez Obrador.
Questo dimostra il livello di decomposizione raggiunto dalla sinistra politica ufficiale in Messico. Nel 2012, il PRD ha aderito al Patto per il Messico, un’unione di partiti politici di destra, per permettere al presidente Henrique Pena Nieto, eletto di recente in modo fraudolento, di adottare facilmente le sue “riforme strutturali di terza generazione” riguardanti, fra l’altro, il sistema dell’istruzione, i rapporti di lavoro e la privatizzazione del petrolio messicano.
L’appartenenza dei sospetti alla presunta sinistra, ci dice Manuel Aguilar Mora, è molto utile agli interessi del presidente e della destra messicana, poiché costringe il PRD e MORENA a difendere, davanti a un’opinione pubblica indignata, la tesi governativa di un episodio eccezionale di violenza, opera di una “coppia infernale”.
La verità, ci dice Talavera, è che il governo federale messicano non vuole per niente fermare l’infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni del Paese perché esso ne ha assolutamente bisogno per mantenere quell’insopportabile modello economico che esso impone.
La criminalità organizzata fornisce allo Stato l’arma del terrore che è in questo momento la sola che può impedire una nuova rivoluzione messicana. La violenza senza nome del crimine organizzato (uno degli studenti uccisi il 26 settembre è stato ritrovato col viso schiacciato e gli occhi strappati) consente al governo ogni tipo di violenza e repressione che può in seguito attribuire a quella stessa criminalità organizzata.
Ѐ questa, ora, la governabilità, in un Messico che, nel corso degli ultimi trent’anni, è stato poco a poco violentemente spogliato di quasi tutte le sue ricchezze naturali.
Secondo l’organizzazione Forze unite per i nostri scomparsi in Messico (FUDEM), la guerra contro la droga ha fatto, tenendo anche conto delle proporzioni temporali, quasi il doppio dei morti attribuiti allo Stato Islamico in Irak. Inoltre, fra il 2007 e il 2010, i cartelli messicani avrebbero ucciso 293 cittadini statunitensi, alcuni per decapitazione.
Nonostante ciò, scrive il politologo argentino Atilio Boron, nonostante le fosse comuni di corpi umani smembrati e bruciati che si continuano a scoprire, e nonostante l’impunità concessa alle forze dell’ordine e ai politici corrotti, il presidente messicano neoliberale non è minimamente attaccato dalla stampa internazionale, come è successo a quello del Venezuela, l’inverno scorso, per una situazione infinitamente meno grave.
(Introduzione e traduzione a cura di M. Guidoni)
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