Diffondere i “diritti umani” sulla punta della baionetta: l’agenda LGBT è diventata una strumento della politica estera occidentale nel mondo

Di Glenn Diesen, docente presso l’Università della Norvegia sud-orientale e redattore della rivista Russia in Global Affairs.

Quando si tratta di questioni di “diritti umani” e libertà individuali, ogni Paese del mondo prende una posizione diversa. Cultura, religione e nazionalità giocano tutti i loro ruoli, ma ora è chiaro che l’Occidente vuole cambiare questo.

Martedì [30 giugno u.s. – n.d.c.], il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha twittato un’immagine della bandiera dell’orgoglio arcobaleno issata fuori dal Dipartimento di Stato a Washington, scrivendo che la commemorazione di due importanti eventi LGBT “ci ricorda quanto lontano siamo arrivati – e quanto ancora abbiamo bisogno da raggiungere, a casa e in tutto il mondo.” La parola chiave qui è “in tutto il mondo”.

Mentre l’Occidente eleva le questioni LGBT a misura più alta della moralità, riorganizzando di conseguenza la sua cultura, si pone la domanda: come si manifesterà questo nella politica estera? I valori sono schierati come uno strumento efficace nella politica del potere occidentale, con la democrazia liberale additata come una norma egemonica che consente a Paesi come gli Stati Uniti di guidare il mondo e di esentarsi dal diritto internazionale.

Anche la CIA ora si sta ribattezzando come un’organizzazione guidata dalla difesa dei diritti LGBT, il che è una chiara indicazione che la celebrazione dei “nostri” valori retti sarà presto espressa come derisione e attacco all'”altro”.

Qual è la differenza tra una politica estera “basata sui valori” e una missione civilizzatrice volta a minare la sovranità e le culture di altri Stati? Nell’era post Guerra Fredda, l’Occidente legittima esplicitamente l’egemonia, le gerarchie e la disuguaglianza di sovranità nella difesa dei valori universali liberali democratici. Il mondo si sta dirigendo verso una forma sveglia di imperialismo?

Risvegliare i valori come norma egemonica?

Le ideologie tendono a fare appello a grandi ideali come la libertà e la ragione, ma allo stesso tempo possono dividere il mondo in buoni e cattivi, lasciando poco spazio alla libertà o alla ragione.

Manca un dibattito aperto e democratico sulla misura in cui i valori liberali moderni sono universali. È, ad esempio, ragionevole chiedersi se la chirurgia di riassegnazione di genere o il trattamento ormonale per i bambini sia un valore universalmente riconosciuto che abbraccia tutte le culture e come i diversi Stati bilanciano il consenso e il coinvolgimento dei genitori.

Sembra anche ragionevole discutere se le persone nate maschi dovrebbero essere autorizzate a competere negli sport come donne e l’impatto che ciò avrebbe sugli sport femminili. L’ideologia ha ridotto queste discussioni all’amore contro l’odio, il che suggerisce che il dissenso è inammissibile. Qui sta il potere dell’ideologia che è troppo seducente per tenersi fuori dalla politica estera.

L’Ungheria ha recentemente approvato una legge che vieta la promozione degli stili di vita LGBT ai bambini. Il suo primo ministro, Viktor Orban, sostiene di essere stato in precedenza un forte promotore dei diritti dei gay e questa legge ha lo scopo di proteggere bambini e genitori da materiale sessuale. Poiché l’UE ritiene che si tratti di una questione di valori universali, ogni discussione sfumata è stata saltata e si è invece passati direttamente a parlare di punizione.

Mark Rutte, il primo ministro dei Paesi Bassi, ha dichiarato: “Il mio obiettivo è mettere in ginocchio l’Ungheria su questo tema” e ha chiesto l’espulsione dell’Ungheria dall’UE. Il presidente francese ha sostenuto che Bruxelles non dovrebbe mostrare “nessuna debolezza” nell’affrontare l’Ungheria. Nessun senso di ironia era evidente quando l’UE ha condannato l’Ungheria per “autoritarismo”. Il mantra ideologico di “diversità e inclusione” ironicamente non accetta diversità di valori per culture millenarie e non include Stati con valori compatibili.

Russia contro Occidente

Nel corso della storia, l’Occidente ha cercato di dimostrare la propria superiorità di civiltà paragonandosi alla presunta barbarie russa. Per secoli, l’etnicità è stata al centro mentre l'”Europa” civilizzata era in contrasto con la Russia “asiatica”. Il presunto opposto della libertà e della civiltà occidentale era questa schiavitù e barbarie orientali, che gradualmente divennero una parte fondamentale dell’ideologia liberale.

Attraverso questo prisma, alla Russia è stato permesso di svolgere due ruoli: o un umile apprendista della civiltà occidentale, o una forza contro la civiltà che deve essere contenuta o sconfitta.

All’inizio del XVIII secolo, Pietro il Grande stabilì la Russia come una grande potenza e avviò una rivoluzione culturale per europeizzare il suo Paese. Gli europei occidentali hanno applaudito Pietro per aver adottato il ruolo di “studente” che avrebbe civilizzato la Russia, secondo gli standard europei.

All’inizio degli anni ’90, la Russia mirava ancora una volta a “tornare” in Europa adottando il capitalismo e una forma di democrazia. L’Occidente ha nuovamente applaudito all’accettazione da parte di Mosca della relazione insegnante-studente, sebbene abbia rifiutato l’inclusione della Russia nell’architettura di sicurezza europea in qualsiasi misura tale da comportare l’uguaglianza di sovranità.

Il rifiuto del ruolo di secondo violino della civiltà per l’Occidente, e l’implicita disuguaglianza di sovranità che ne deriverebbe, ha comportato ancora una volta un ritorno al contenimento e al confronto. Mosca rimane quindi scettica su qualsiasi politica estera inquadrata come una missione civilizzatrice.

L’autoritarismo liberale

Da allora, l’impegno dell’Occidente per un sistema internazionale “basato sui valori” ha significato riorganizzare e propagandare artificialmente tutta la politica come competizione tra democrazia liberale e autoritarismo. Il diritto internazionale, con uguale rispetto per gli Stati, viene smantellato e sostituito con il cosiddetto ‘sistema internazionale basato su regole’. Questo è dipinto come un’estensione del diritto internazionale, ma in realtà ne è l’antitesi. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha recentemente commentato: “La bellezza di queste ‘regole’ occidentali sta proprio nel fatto che mancano di un contenuto specifico”.

Gli standard strategicamente ambigui sono progettati per consentire ai Paesi della NATO di decidere quando le regole sono state infrante e quindi punire unilateralmente coloro che sono contrari ai loro valori.

Il sistema internazionale basato su regole è utilizzato dall’Occidente per sorvegliare il resto del mondo, motivo per cui non si applica all’arresto del fondatore di WikiLeaks Julian Assange o alle accuse di tradimento mosse contro il leader dell’opposizione ucraina Viktor Medvedchuk. Esenta anche Guantanamo Bay, la saga di Stuxnet, la sorveglianza di massa della NSA, la censura digitale, lo smembramento della Serbia o le centinaia di migliaia di persone che sono morte nelle “guerre umanitarie” illegali degli Stati occidentali. La responsabilità dei Paesi della NATO di sostenere il sistema basato su regole viene invece utilizzata come motivo per esentarsi da queste regole.

Sotto il velo della responsabilità di sostenere disinteressatamente i valori, i membri del blocco possono discutere in modo così casuale dei modi per rovesciare i governi stranieri con sanzioni economiche o potere militare.

Verso il risveglio dell’imperialismo?

L’imperialismo umanitario si evolverà nella nuova forma di imperialismo? Non sembra inverosimile che i valori risvegliati saranno assorbiti nell’attuale missione di civilizzazione liberaldemocratica di rifare il mondo a immagine dell’Occidente. L’obiettivo “mettere in ginocchio l’Ungheria” può trasformarsi in sovversione, operazioni di cambio di regime o guerre LGBT?

Nell’attuale era di autoritarismo liberale, gli Stati Uniti stanno collaborando con l’Arabia Saudita per combattere per i diritti umani siriani occupando il territorio del Paese, collaborando con gruppi jihadisti, rubando il petrolio di cui Damasco ha bisogno per finanziare la ricostruzione e rubando il grano necessario per la sopravvivenza dei civili.

I diritti delle minoranze sessuali sono un argomento importante per qualsiasi società, ma c’è ovviamente un grave problema di cinismo quando la bandiera arcobaleno viene issata sulle basi militari statunitensi.

[Fonte – alcune lievi modifiche alla traduzione dell’originale in lingua inglese sono del curatore del blog]

I pieni poteri


De iure, per far fronte all’epidemia di coronavirus, al presidente ungherese Viktor Orban sono stati assegnati dal parlamento i pieni poteri, la facoltà quindi di emanare decreti-legge sorpassando l’esame delle camere.
Immediata la reazione dei quotidiani e degli esponenti della “sinistra” liberal: “dittatore”, “despota”, “tiranno”…
Poche settimane fa il capo del governo della Repubblica Italiana ha deciso che, vista l’emergenza sanitaria in atto, il Parlamento non fosse più necessario, ha quindi iniziato a schierare soldati, droni, poliziotti, carabinieri e dir si voglia per tutta Italia, impedendo alla gente finanche l’ora d’aria concessa ai carcerati, minacciando con asperrime sanzioni chi osasse camminare sui monti o farsi una corsa in riva al fiume a suon di decreti d’emergenza.
Come hanno reagito i “paladini della democrazia” ad un gesto formalmente ben più dispotico ed autoritario di quello del presidente (liberista, è bene ricordarlo, e fortemente anti-socialista) Orban?
Silenzio assordante.
Anzi, non silenzio, ma folli grida lanciate dai balconi ai maledetti untori rei di passeggiare.
Qualche mese fa strillavano contro il Felpetta che aveva usato la locuzione “pieni poteri”, forse per sbaglio o forse con una certa malizia, ed ora, davanti ad un premier che de facto esercita pieni poteri, non accennano la minima protesta.
E quando questi droni non serviranno più a localizzare i runner, ma a pattugliare le strade in cerca di “sovversivi”, quando la polizia, alla quale battete le mani, vi massacrerà di botte quando sarete in piazza a chiedere pane e lavoro, quando quei bei soldati, feticcio onanistico per ogni buzzurro d’estrema destra, vi punteranno contro i loro lucenti fucili, ditemi, sarete ancora a gridare dai balconi?
Leonardo Sinigaglia

(Fonte)

E’ il sovranismo, bellezza!


Il nostro sovranismo? Se gratti bene non c’è niente

Certe volte i sovranisti fanno i furbi. Cos’è il sovranismo? È la difesa del concetto che ogni Stato è sovrano. Quindi no alle interferenze di Paesi stranieri, no a diktat politici o militari. Benissimo. Però poi alcuni sovranisti fanno i furbi. Prendete Orban, il leader ungherese. Parto da lui ma poi arrivo all’Italia. Dunque, Budapest incassa dai rimborsi europei il quadruplo di quello che paga per le spese comuni. Una pacchia. Infatti l’Ungheria ha tassi di crescita di tipo cinese. In cambio dovrebbe rispettare educatamente gli accordi europei. Ma manco per sogno. L’UE si accorda di ripartire tra i vari Paesi i migranti che sbarcano in Italia? L’Ungheria non ne prende nemmeno uno. “La patria è sacra! Viva l’Ungheria! Noi siamo sovranisti!”. E per rafforzare il concetto mette il filo spinato ai confini. Idem Polonia, Slovacchia e Cekia, che insieme all’Ungheria formano il quartetto di Visegrad. “Migranti africani? No, grazie”. Ma scusate, ve lo chiede Salvini, non siete amici di Salvini? “Salvini chi? Ma chi lo conosce?”.
Arriviamo all’Italia. Autunno 2018. Giovanni Tria, ministro dell’economia, va a Bruxelles. Nella borsa ha il DEF italiano, che prevede uno sforamento dei parametri, con espansione di spesa al 2,4% anziché all’1,6-1,9 che è il massimo che Bruxelles ci vuole concedere. L’Europa ci boccerà? “Niente paura. In Europa ci sono gli amici di Salvini, il quartetto di Visegrad”. Sì, c’erano, ma in quel momento erano andati in bagno. Zitti e muti. Anzi, dalla porta socchiusa della toilette chiedevano agli inservienti: “Pss… Pss… Ma che vogliono gli Italiani? Vogliono sforare? Ma che, sono matti?” Alla fine ci mette una pezza Conte. Parla con Merkel, parla con Macron, e sia come sia l’Europa ci grazia: il DEF viene tagliuzzato da 2,4 a 2,04. Non è il massimo della vita, ma meglio che essere mandati al gabinetto con gli amici di Salvini.
Intanto scoppia il caso Venezuela. Guaidò si autoproclama presidente, ma a Caracas c’è già un presidente eletto e si chiama Maduro. L’America si fa minacciosa e, tanto per non perdere le buone abitudini, appoggia il golpista Guaidò. L’Europa, prima che Trump si arrabbi, si accoda. L’Italia invece, quasi unica in UE, assume una posizione equidistante tra Guaidò e Maduro. A quel punto il nostro líder máximo si affaccia al balcone e grida: “Siamo vicini a Guaidò! Via il dittatore Maduro”. Ma come, Maduro è stato eletto, l’altro no! La democrazia non vale per il Venezuela? Allora il sovranismo che è? Niente, e adesso viene il bello. Di Maio va in Cina, si spertica in elogi alla Via della Seta e alla fine riesce ad accordarsi per un Memorandum d’intesa Italia-Cina che potrebbe risollevare la stremata economia italiana. A quel punto l’Europa è gelosa e sbraita, l’America minaccia, ed entrambe interferiscono con la nostra sovranità. Per fortuna abbiamo Salvini: ci difenderà!
Invece niente: lui mette il broncio, prende le distanze dal governo, non partecipa agli incontri romani con Xi Jinping ed esclama: “Non mi dicano che la Cina è un Paese democratico”. Invece i nostri partner commerciali, come l’Arabia Saudita, sarebbero tutti fior di democratici (a proposito, il mese scorso l’Arabia ha decapitato 37 oppositori politici e ha infilzato le teste sui pali nelle strade di Riad: ma Salvini zitto, lui è sovranista!).
E arriviamo al primo trimestre 2019. L’economia italiana esce dalla recessione. Per poco, ma esce: PIL +0,1%. Grazie al cielo e grazie anche alla Cina e al Memorandum cinese. Intanto il sottosegretario leghista Siri è indagato per presunte mazzette, non vuole dimettersi e Conte deve rimuoverlo. In Lombardia la Procura inquisisce il governatore leghista e arresta per presunte mazzette una quarantina di persone. Torna lo spettro di Mani Pulite. E Salvini di tutto questo che dice? Dice chiaro e tondo: “Basta con la cannabis leggera, chiudiamo i negozi e riapriamo i bordelli, meglio fare l’amore”. Che c’entra? Be’, c’entra, c’entra: è il sovranismo, bellezza! A Roma si chiama in un altro modo, ma qui non lo posso scrivere.
Paolo Di Mizio

Fonte

“Centro Studi Americani” di Via Caetani… ricorda qualcosa?

Sulla rotta della nuova Via della Seta

Buon giorno a tutti!
Sono Daniele Ventola e, come molti amici già sapranno, io e #Ombra stiamo percorrendo la famigerata Via della Seta a piedi.
La Via della Seta è quell’insieme di rotte che connette l’Oriente all’Occidente. Una via storica e leggendaria che ha visto crescere e dissolversi gloriosi imperi.
Ma, date le nuove rotte commerciali pomosse dalla Cina verso l’Europa con il progetto One Belt One Road che richiama una nuova Via della Seta, abbiamo ritenuto che non ci fosse momento migliore per inaugurare, assieme a questi nuovi scambi commerciali, anche i più elevati scambi culturali e umani. Per cui sarà un onore, oltre che un piacere, poter attraversare, partendo da Venezia: Slovenia, Ungheria, Romania, Ucraina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Cina (Zhoukoudian, Pechino).
Un cammino sostenibile e lento, attraverso 10 Paesi e 2 continenti.
Vento della Seta – un Cammino di Umanità, si basa su una triplice sfida: fisica, spirituale e antropologica.
Sono due i motivi che hanno ispirato la nascita di queste sfide:
1) Osservando, leggendo, parlando emerge la percezione di vivere in un’epoca di grandi contraddizioni: un benessere tecnologico lontano dal benessere esistenziale, che va di pari passo ad una superficialità culturale sempre più crescente, mentre parole che diventano virali come “condivisione” e “connessione” mancano sempre più di un interagire con il prossimo autentico e reale per cui sta divenendo sempre più difficile.
2) Se le nuove rotte commerciali della Belt & Road Initiative sono rivolte al futuro geopolitico ed economico del mondo, lo scopo di Vento della Seta è arrivare a piedi alla meta per integrare l’economico con il culturale, l’ecologico… ma soprattutto con l’umano. È per queste motivazioni che il viaggio si concluderà a Zhoukoudian che è un sito paleoantropologico a 48 km sud-ovest di Pechino dove sono stati ritrovati i resti di un ominide risalenti a 750.000 anni fa.
Partendo dal sud-Italia, Vento della Seta intende testimoniare un uso alternativo delle nuove tecnologie di comunicazione e di informazione infatti, documentando con materiale audio-visivo amatoriale le storie, le tradizioni folkloristiche, le abitudini, i “riti sociali”, le usanze, le culture che cambiano lentamente dall’Occidente all’Oriente. Vento della Seta renderà fruibile i materiali raccolti durante il viaggio, che saranno disponibili sulle pagine di Facebook, Instagram, YouTube, Cam.Tv e il sito web.
Particolare interesse per la documentazione visiva sarà quello che riguarda la storia dell’uomo. Partendo da Napoli è stato possibile incontrare numerosi siti di interesse archeologico preistorico per ripercorrere i passi della storia dell’uomo. Auspichiamo che, assieme alla ricapitolazione della nostra storia, il futuro e l’innovazione tecnologica si sviluppino nel rispetto della storia che ci precede e che ci ha reso umani.
In questo modo Vento della Seta diviene dunque una “con-testa-azione” pratica e filosofica nei confronti di quella parte della società contemporanea che ha forse messo al centro dell’esistenza una logica competitiva, di perfomance, di consumo e che rischia di ridurre l’individuo solo ad una risorsa economica reiterandolo ad un homo, homini lupus in giacca e cravatta.
La vera sfida di questo progetto è quella antropologica, la quale intende riportare l’uomo al centro dell’esistenza e porre la tecnologia come sua estensione, testimoniando attraverso l’esperienza del viaggio che nel mondo non sono del tutto veri i valori dominanti che ci vengono proposti di continuo da chi tiene le redini dell’informazione, ma è altrettanto vera e possibile, una diversa forma di umanità, di mutua assistenza. Una volta concluso il viaggio, parte di questo materiale entrerà nella realizzazione di un libro e di un documentario di viaggio reso possibile grazie al sostegno di tutti quanti poiché una cosa che si scopre viaggiando è che alla fin fine difficilmente il viaggiatore se ne va a spasso solo per stesso. Dacché storia è preistoria, il viaggiatore, in quanto ponte di comunicazione tra i popoli e uomini ha l’immensa responsabilità di accorciare quelle che sembrano delle sconfinate distanze. E non necessariamente intendiamo quelle spaziali.

Fonte

Il viaggio di Daniele Ventola può essere seguito e sostenuto sul sito ventodellaseta.org e sulle relative pagine FB, Instagram e Youtube

Le promesse infrante della NATO: il tempo di ammettere che l’Occidente ha gravi responsabilità per le tensioni nell’Europa dell’Est

Danielle Ryan per rt.com

La questione se i leader occidentali abbiano promesso all’Unione Sovietica che la NATO non si sarebbe allargata verso Est è stata dibattuta per anni. Documenti recentemente declassificati dimostrano ciò che molti funzionari e studiosi occidentali hanno negato: una promessa è stata infranta.

I ricercatori del National Security Archive della George Washington University hanno elaborato 30 documenti che dimostrano che al leader sovietico Mikhail Gorbachov fu data “una serie di assicurazioni” che la NATO non avrebbe marciato verso Est.
Funzionari di alto profilo e studiosi di think tank hanno ripetutamente negato che tali assicurazioni fossero mai state fatte facendo sottintendere che i leader russi hanno dato libero sfogo alla fantasia e che la loro rabbia per la continua espansione della NATO fosse ingiustificata. Di recente, l’anno scorso, l’ex ambasciatore americano a Mosca, Michael McFaul, ha definito “un mito assoluto” il fatto che tali promesse fossero mai state fatte.
Non sono solo le informazioni appena declassificate a dare credito alla versione russa degli eventi. Gran parte delle informazioni che confermano la posizione della Russia è stata pubblica per anni. Semplicemente non è stata resa universalmente nota. Tuttavia, ci sono state persone che hanno esaminato le prove con un occhio imparziale.
La rivista tedesca Der Spiegel ha concluso fin dal 2009, basandosi sul proprio esame dei documenti e delle conversazioni con gli interessati, che: “… non c’era dubbio che l’Occidente ha fatto tutto il possibile per dare ai Sovietici l’impressione che l’appartenenza alla NATO era fuori questione per Paesi come la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia”.
Per capire come tutto questo fosse così importante per Mosca e come abbia contribuito alle recenti tensioni in Europa, è importante capire il contesto storico. Continua a leggere

Intermarium, chi era costui?

“Dopo la guerra combattuta tra la Russia e la Polonia e conclusasi il 18 marzo 1921 col trattato di pace di Riga, il Maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935), capo provvisorio del rinato Stato polacco, lanciò l’idea di una federazione di Stati che, estendendosi “tra i mari” Baltico e Nero, in polacco sarebbe stata denominata Międzymorze, in lituano Tarpjūris e in latino, con un neologismo poco all’altezza della tradizione umanistica polacca, Intermarium. La federazione, erede storica della vecchia entità politica polacco-lituana, secondo il progetto iniziale di Piłsudski (1919-1921) avrebbe dovuto comprendere, oltre alla Polonia quale forza egemone, la Lituania, la Bielorussia e l’Ucraina. È evidente che il progetto Intermarium era rivolto sia contro la Germania, alla quale avrebbe impedito di ricostituirsi come potenza imperiale, sia contro la Russia, che secondo il complementare progetto del Maresciallo, denominato “Prometeo”, doveva essere smembrata nelle sue componenti etniche.
Per la Francia il progetto rivestiva un certo interesse, perché avrebbe consentito di bloccare simultaneamente la Germania e la Russia per mezzo di un blocco centro-orientale egemonizzato dalla Polonia. Ma l’appoggio francese non era sufficiente per realizzare il progetto, che venne rimpiazzato dal fragile sistema d’alleanze spazzato via dalla Seconda Guerra Mondiale.
Una più audace variante del progetto Intermarium, elaborata dal Maresciallo tra il 1921 e il 1935, rinunciava all’Ucraina ed alla Bielorussia, ma in compenso si estendeva a Norvegia, Svezia, Danimarca, Estonia, Lettonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Jugoslavia ed Italia. I due mari diventavano quattro, poiché al Mar Baltico ed al Mar Nero si venivano ad aggiungere l’Artico e il Mediterraneo. Ma anche questo tentativo fallì e l’unico risultato fu l’alleanza che la Polonia stipulò con la Romania.
L’idea di un’entità geopolitica centroeuropea compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero fu riproposta nei termini di una “Terza Europa” da un collaboratore di Piłsudski, Józef Beck (1894-1944), che nel 1932 assunse la guida della politica estera polacca e concluse un patto d’alleanza con la Romania e l’Ungheria.
Successivamente, durante il secondo conflitto mondiale, il governo polacco di Władisław Sikorski (1881-1943) – in esilio prima a Parigi e poi a Londra – sottopose ai governi cecoslovacco, greco e jugoslavo la prospettiva di un’unione centroeuropea compresa fra il Mar Baltico, il Mar Nero, l’Egeo e l’Adriatico; ma, data l’opposizione sovietica e la renitenza della Cecoslovacchia a federarsi con la Polonia, il piano dovette essere accantonato.
Con la caduta dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’idea dell’Intermarium ha ripreso vigore, rivestendo forme diverse quali il Consiglio di Cooperazione nel Mar Nero, il Partenariato dell’Est e il Gruppo di Visegrád, meno ambiziose e più ridotte rispetto alle varianti del progetto “classico”.
Ma il sistema di alleanze che più si avvicina allo schema dell’Intermarium è quello teorizzato da Stratfor, il centro studi statunitense fondato da George Friedman, in occasione della crisi ucraina. Da parte sua il generale Frederick Benjamin “Ben” Hodges, comandante dell’esercito statunitense in Europa (decorato con l’Ordine al Merito della Repubblica di Polonia e con l’Ordine della Stella di Romania), ha annunciato un “posizionamento preventivo” (“pre-positioning”) di truppe della NATO in tutta l’area che, a ridosso delle frontiere occidentali della Russia, comprende i territori degli Stati baltici, la Polonia, l’Ucraina, la Romania e la Bulgaria. Dal Baltico al Mar Nero, come nel progetto iniziale di Piłsudski.
Il 6 agosto 2015 il presidente polacco Andrzej Duda ha preconizzato la nascita di un’alleanza regionale esplicitamente ispirata al modello dell’Intermarium. Un anno dopo, dal 2 al 3 luglio 2016, nei locali del Radisson Blue Hotel di Kiev ha avuto luogo, alla presenza del presidente della Rada ucraina Andriy Paruby e del presidente dell’Istituto nazionale per la ricerca strategica Vladimir Gorbulin, nonché di personalità politiche e militari provenienti da varie parti d’Europa, la conferenza inaugurale dell’Intermarium Assistance Group, nel corso della quale è stato presentato il progetto di unione degli Stati compresi tra il Mar Baltico e il Mar Nero.
Nel mese successivo, i due mari erano già diventati tre: il 25-26 agosto 2016 il Forum di Dubrovnik sul tema “Rafforzare l’Europa – Collegare il Nord e il Sud” ha emesso una dichiarazione congiunta in cui è stata presentata l’Iniziativa dei Tre Mari, un piano avente lo scopo di “connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da nord a sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia”. L’Iniziativa dei Tre Mari, concepita dall’amministrazione Obama, il 6 luglio 2017 è stata tenuta a battesimo da Donald Trump in occasione della sua visita a Varsavia. L’Iniziativa, che a detta del presidente Duda nasce da “un nuovo concetto per promuovere l’unità europea”, riunisce dodici paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico e quasi tutti membri dell’Alleanza Atlantica: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria.
Sotto il profilo economico, lo scopo dell’Iniziativa dei Tre Mari consiste nel colpire l’esportazione di gas russo in Europa favorendo le spedizioni di gas naturale liquefatto dall’America: “Un terminale nel porto baltico di Świnoujście, costato circa un miliardo di dollari, permetterà alla Polonia di importare Lng statunitense nella misura di 5 miliardi di metri cubi annui, espandibili a 7,5. Attraverso questo e altri terminali, tra cui uno progettato in Croazia, il gas proveniente dagli USA, o da altri Paesi attraverso compagnie statunitensi, sarà distribuito con appositi gasdotti all’intera ‘regione dei tre mari’” .
Così la macroregione dei tre mari, essendo legata da vincoli energetici, oltre che militari, più a Washington che non a Bruxelles ed a Berlino, spezzerà di fatto l’Unione Europea e, inglobando prima o poi anche l’Ucraina, stringerà ulteriormente il cordone sanitario lungo la linea di confine occidentale della Russia.”

Da Il cordone sanitario atlantico, editoriale di Claudio Mutti del n. 4/2017 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

Trump, Syriza & Brexit provano che il voto è solo una piccola parte della battaglia


Di Neil Clark per rt.com

Se il voto cambiasse qualcosa, l’avrebbero abolito. Potrebbe sembrare un po’ scontato ma considerate questi eventi recenti.
Nel gennaio del 2015, il popolo greco, malato e stanco di austerità e di un modello di vita frenetico, ha votato per Syriza, un partito radicale anti-austerità. La coalizione della sinistra, che era stata costituita solo undici anni prima, ha conseguito il 36,3% del voto e 149 dei 300 posti del Parlamento ellenico. Il popolo greco aveva ragionevoli speranze che il suo incubo di austerità finisse. La vittoria di Syriza è stata salutata dai progressisti in tutta Europa.
Ma cosa è successo?
E’ stata applicata dalla “Troika” pressione sulla Grecia per accettare condizioni onerose per un nuovo salvataggio. Syriza si è rivolto alla gente nel giugno 2015 per chiederle direttamente in un referendum nazionale se dovessero accettare i termini.
“Domenica non stiamo semplicemente decidendo di rimanere in Europa, stiamo decidendo di vivere con dignità in Europa”, dichiarò Alexis Tsipras, leader di Syriza. Il popolo greco ebbe doverosamente a concedere a Tsipras il mandato che aveva chiesto e respinse i termini del salvataggio con il 61,3% di ‘No.’
Tuttavia, poco più di due settimane dopo il referendum, Syriza accettò un pacchetto di salvataggio che conteneva tagli più alti delle pensioni e maggiori aumenti di imposta rispetto a quello offerto in precedenza.
Il popolo greco avrebbe potuto starsene comodamente a casa dato che il voto non ha fatto grande differenza.
Molti sostenitori di Donald Trump negli Stati Uniti la pensano senza dubbio allo stesso modo. Continua a leggere

La retorica sui “migranti”: il colmo dell’ipocrisia

Sollecitato dall’amico Geri, vorrei esprimere una personale opinione sull’ondata di retorica e di sospetto pietismo con cui viene affrontato, specie nella sedicente “sinistra” il fenomeno dei “migranti” (ma perché “migranti”? Migranti casomai sono gli uccelli migratori che si spostano secondo cicli naturali…).
Preciso che ho sempre militato nelle file dell’estrema “sinistra” (se questo termine ha ancora un significato, fatto su cui ho molti dubbi, ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano…).
Sono lontanissimo da qualsiasi suggestione razzista, di superiorità dell’uomo bianco europeo o di missione dei popoli “civilizzati”.
Tuttavia trovo il pietismo nei confronti del fenomeno “migranti” caratterizzato da enormi dosi di ipocrisia e falsa retorica.
La prima causa dell’intensificarsi del fenomeno negli ultimi anni è certamente il contemporaneo intensificarsi di una serie di guerre scatenate dai Paesi “civili” contro Stati nuovi ed ex-coloniali, spesso su iniziative della “sinistra” (mentre la “destra” è stata in genere molto più prudente ed attenta) per presunti motivi “umanitari” e con formule del tipo “responsabilità di difendere i civili” dai “regimi” e dai “dittatori” locali.
Queste motivazioni sono state alla base della distruzione della Libia ad opera della NATO (con l’aiuto dei jihadisti locali). Il risultato è stato che un Paese che era, secondo le statistiche ufficiali dell’ONU, quello con il tenore e la qualità della vita più alti dell’Africa, ha visto la fuga di circa 2 milioni di Libici e di altri 2 milioni di Africani che lavoravano nel paese.
Ora la Libia, che prima funzionava da filtro per i lavoratori che si spostavano dall’Africa centrale, è diventato un buco nero dominato da milizie estremiste e scafisti che speculano sugli spostamenti di torme di disperati. Questi ultimi si spostano da Paesi tuttora sottoposti a sfruttamento post-coloniale da parte dei vecchi padroni (ad esempio la Francia) che in realtà non hanno mai mollato l’osso e organizzano colpi di Stato (come in Costa d’Avorio) se qualche presidente locale si mostra troppo indipendente. Oltre tutto uno dei motivi per cui fu fatto fuori Gheddafi era perché stava creando una Banca Africana per sottrarre il continente nero alle grinfie della grande finanza internazionale.
Altri Paesi riottosi, come il Sudan, o la Somalia, sono stati fatti a pezzi e altri, come l’Eritrea, sono indicati come “Stati canaglia” e sottoposti a sanzioni. Tutto questo alimenta spostamenti di popolazione e fenomeni di destabilizzazione.
Analogo discorso vale oggi per la Siria, sottoposta dal 2011 a sanzioni durissime e ad un attacco concentrico da parte dei Paesi occidentali, alleati con le peggiori dittature confessionali (come l’Arabia Saudita) e bande di jihadisti sunniti fanatici. Sei milioni di Siriani hanno lasciato il Paese, mentre altrettanti si sono dovuti spostare all’interno dalle zone occupate da Al Qaeda e dallo Stato Islamico a quelle poste sotto la protezione dell’esercito. Si badi bene che prima del 2011 nessuno fuggiva dalla Siria o si spostava all’interno. Il Paese era un modello di laicismo e tolleranza interreligiosa (Sunniti, Sciiti, Cristiani, Drusi, atei). Oggi la gente fugge, non dal “regime”, ma dalla guerra e dai terroristi fanatici diretti dall’esterno.
Discorsi analoghi possono farsi per l’Iraq, distrutto e fatto a pezzi dopo l’attacco anglo-americano del 2003 giustificato con la bugia delle “armi di distruzione di massa” e per l’Afghanistan invaso nel 2001 con la scusa della “guerra al terrore” e dove i combattimenti infuriano da 16 anni. Siriani, Afghani, Iracheni, Libici, Africani sub-sahariani formano almeno i due terzi dell’immigrazione complessiva.
E non dimentichiamo l’immigrazione dall’Est Europa, sottoposta alle delizie del capitalismo internazionale. Molti immigrati vengono dalla Romania che, ai tempi del tanto deprecato Ceausescu, conosceva una situazione di piena occupazione e non aveva debito estero. Oggi la popolazione rumena è diminuita di vari milioni rispetto a quei tempi per l’emigrazione massiccia. Situazioni analoghe si hanno, ad esempio, per Ucraina e Moldavia, mentre la Bielorussia, dove il presunto “dittatore” Lukaschenko ha mantenuto molte delle vecchie istituzioni sovietiche, se la passa molto meglio.
Infine, come ultimo esempio, ricordiamo la sfortunata Jugoslavia: prima massacrata dal Fondo Monetario Internazionale cui i dirigenti “riformatori” post-Tito si erano incautamente affidati; poi travolta dagli odi interreligiosi ed interetnici opportunamente alimentati dall’esterno (il presidente musulmano della Bosnia, Itzebegovic, appoggiato dagli estremisti di Al Qaeda, fu fatto passare per un “democratico”); infine bombardata e smembrata definitivamente dalla NATO (con la benedizione del nostro baffetto D’Alema).
Ma, anche se le ragioni dell’immigrazione clandestina, che cresce ogni giorno, fossero puramente economiche, avrebbe un senso la parola d’ordine: “facciamoli entrare tutti”?
Una parola d’ordine del genere può essere forse giustificata in bocca al Papa, visto che la Chiesa pratica il pietismo e la carità per motivi ideologici ed identitari, ma suona stonata e demagogica se pronunciata dai portavoce dell’ex-sinistra o addirittura da settori movimentisti dell’estrema “sinistra”. Sembra quasi che certi settori politici (come il PD, ma non solo), per far dimenticare il fatto di aver abbandonato tutti i loro programmi e le parole d’ordine più qualificanti, si affidino ad una demagogia umanitaria, di cui la difesa dei “migranti” è uno dei punti più caratteristici.
Nel mondo siamo ormai circa 7 miliardi. Ben oltre la metà della popolazione è povera o sull’orlo della povertà. Si può ragionevolmente risolvere il problema con emigrazioni di massa, di stampo biblico? Si può pensare che fenomeni del genere non abbiano effetti destabilizzanti e che possano risolvere il problema della povertà di massa?
E’ evidente che solo assicurando uno sviluppo adeguato dei Paesi di provenienza, rinunciando a sfruttarli, a sottoporli al ricatto finanziario del debito, alle aggressioni militari se cercano di rendersi indipendenti, si potranno dare soluzioni al problema. Altrimenti molti degli ex-Paesi coloniali faranno da soli, come ha fatto la Cina che è diventata la massima potenza mondiale di produzione di beni.
Intanto il fenomeno corrente non può non essere regolamentato, accettando solo quelle persone che richiedono realmente un asilo politico (ad esempio, so per esperienza diretta che molti ragazzi eritrei in cerca di fortuna ed avventura si fingono perseguitati per essere accolti) e, per quanto riguarda gli immigrati “economici”, accettare solo quelli che possano essere integrati con mutua soddisfazione, nostra e loro, evitando che siano ferocemente sfruttati in nero, o ridotti all’accattonaggio, alla prostituzione, o alla delinquenza. Si tratta di razionalizzare e sveltire tutte le procedure finalizzate a questa strategia.
Infine, non si possono non denunciare tutti quei settori che alimentano e si servono del fenomeno per propri fini, ammantandoli di bugie umanitarie. Schematicamente questi settori possono essere così indicati:
– alcuni settori capitalisti dei Paesi sviluppati che si servono dell’ondata immigratoria per abbassare i salari e le pretese dei lavoratori locali. In questa ottica vedo anche le dichiarazioni irresponsabili della Merkel di un paio di anni fa “venite tutti”, fatte in un momento in cui l’economia tedesca era in ascesa ed aveva bisogno di braccia, salvo poi essere costretta a fare marcia indietro. In quest’ottica ritengo sbagliato liquidare alcune obiezioni della Lega o di alcuni governi europei (ad esempio, Ungheria) come pure manifestazioni di razzismo;
– alcuni settori capitalisti e finanziari statunitensi, o di altri Paesi concorrenti della UE, che cercano di favorire il fenomeno in funzione destabilizzante della “concorrenza”. Questo tipo di azioni può avere anche risvolti di destabilizzazione politica e ricatto (vedi ad esempio i ricatti e le minacce della Turchia di Erdogan che si riserva di aprire i rubinetti dell’emigrazione);
– alcune ONG, opportunamente finanziate e manovrate da alcuni Paesi, che alimentano il traffico di carne umana, mandando, ad esempio, le loro navi in prossimità delle coste libiche a prelevare orde di disperati con la complicità di milizie jihadiste e scafisti locali. Alcune di queste ONG vanno per la maggiore, come Amnesty International e Save the Children, notoriamente finanziate da istituzioni e finanzieri USA (come George Soros) e che si attengono strettamente alla politica statunitense in tutte le crisi internazionali. Medici senza Frontiere è invece più legata alla politica francese, com’è dimostrato dalla figura del suo carismatico ex-presidente Kourchner, divenuto poi Ministro degli Esteri di Sarkozy, e grande sponsor delle guerre in Jugoslavia e Libia. Esiste poi una galassia di ONG più piccole create appositamente per gestire questo nuovo commercio degli schiavi sotto sembianze solidaristiche. Tutte queste ONG, così come molte istituzioni legate all’accoglienza gestiscono una fiorente “industria dell’immigrato”.
Vincenzo Brandi

Come ai vecchi tempi della Guerra Fredda

spettro_populismo

“Nell’ennesimo caso di autentica ipocrisia americana su larga scala, il Congresso degli Stati Uniti ha ordinato a James Clapper, capo dell’intelligence nazionale, di indagare su presunti finanziamenti russi ai partiti politici europei nel corso degli ultimi dieci anni. E’ chiaro che il bersaglio di quest’ultima mossa dei neoconservatori americani non è solo la Russia, ma anche i partiti politici europei che hanno appoggiato politiche di difesa della Russia in Ucraina e accusato il cancelliere tedesco Angela Merkel di aver aperto le frontiere europee a orde di terroristi islamici – mascherati da rifugiati – provenienti da Siria, Iraq, Nord Africa e Afghanistan.
I partiti politici presi di mira da agenzie d’intelligence americane e autorità di controllo finanziario per conto dei loro ‘padroni’ neoconservatori, tra cui il Segretario di Stato per gli Affari Europei Victoria Nuland, il marito Robert Kagan e il grande vecchio George Soros, sono lo Jobbik in Ungheria, Alba Dorata in Grecia, il Fronte Nazionale di Francia e la Lega Nord in Italia.
Questi partiti respingono il controllo «eurocratico» esercitato da Bruxelles. Respingono ugualmente il predominio statunitense nelle politiche estere europee su questioni che vanno dall’Ucraina alla Siria, agli accordi di libero scambio e a un’Europa senza frontiere per i migranti economici e politici non europei.
La mossa contro i partiti politici populisti europei rappresenta una nuova fase della politica estera neo-imperialista degli Stati Uniti: prendere cioè di mira quei partiti politici all’interno dei Paesi della NATO che hanno raggiunto il potere attraverso un processo elettorale democratico. Il risultato netto dello sbarramento americano contro la cosiddetta “destra” europea potrà comportare un ulteriore congelamento di beni e negazioni di visti d’ingresso, come quelli già applicati da Washington a funzionari governativi russi, della Repubblica autonoma russa della Crimea e delle repubbliche ucraine orientali di Donetsk e Lugansk.
Potenziali bersagli di queste sanzioni potrebbero essere il leader del Fronte Nazionale e candidato presidenziale francese Marine Le Pen, il leader del Partito Laburista britannico Jeremy Corbyn, il portavoce di politica estera dello Scottish National Party e membro del Parlamento Alex Salmond e il leader del Partito della Libertà austriaco, Heinz-Christian Strache.
Le minacciose misure di Washington verso le democrazie europee, sia della sinistra sia della destra, rievocano i vecchi tempi della Guerra Fredda, quando CIA e FBI si affannavano a compilare elenchi di “sovversivi pericolosi” di Paesi esteri a cui veniva negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti poiché sospettati di essere “comunisti” o “rossi”.
Ironicamente, è proprio la CIA a vantare una ricca storia di finanziamenti a partiti politici esteri, in particolare in Europa, per poter realizzare la sua ‘agenda’. Secondo un rapporto del 2003 del Consiglio d’Europa dal titolo “Finanziamento ai partiti politici e campagne elettorali – linee guida”: “Non solo i governi… ma anche le intelligence straniere si sono impegnati in attività di finanziamento segrete. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, la CIA ha operato attivamente nel finanziamento di organizzazioni politiche anti-comuniste”.”

Da Le operazioni di influenza delle politiche europee? Sono “Made in USA”, di Wayne Madsen continua qui.

Quando è accettabile l’estrema destra per l’Occidente? Quando è in Ucraina

Anti-government protesters from far-right group "Right Sector" train in Independence Square in central Kiev

Neil Clark per rt.com

Alle élite politiche “progressiste” occidentali e ai giornalisti di establishment che agiscono come loro PR piacerebbe che noi pensassimo a loro come inequivocabilmente opposti al neo-nazismo, all’omofobia, al razzismo e all’estremismo politico di destra.
Ma quanto è realmente genuina la loro opposizione? Gli attuali disordini in Ucraina e le reazioni in Occidente a questi, suggerirebbero che è molto difficile dire questa cosa.
Immaginiamo per un momento che ci siano state violente dimostrazioni guidate da ultranazionalisti e neo-nazisti in un Paese dell’Europa occidentale e che in queste manifestazioni siano stati esposti manifesti di persone che avevano collaborato con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Che siano stati urlati slogan neo-nazisti e che i loro leader abbiano rilasciato dichiarazioni anti-ebraiche e omofobiche. Che questi stessi manifestanti abbiano usato violenza per provare a rovesciare un governo democraticamente eletto e che abbiano assediato i palazzi governativi. Ci possiamo aspettare che le élite occidentali e i giornalisti di establishment denuncino con fervore i manifestanti, etichettati come violenti “rivoltosi”, che chiedano il ripristino immediato di “legge ed ordine” e l’arresto dei leader della protesta e che vengano perseguiti secondo la legislazione dell’istigazione all’odio.
Tutto ciò è quanto sta accadendo in Ucraina e ben distanti dal condannare i manifestanti dell’estrema destra, le élite occidentali stanno entusiasticamente sostenendo la loro causa. Continua a leggere

NATO Partnership Running Festival

Per la gioia di grandi e piccini, la prossima domenica 12 ottobre si terrà a Budapest, capitale dell’Ungheria, l’attesissima terza edizione del “NATO Partnership Running Festival”, competizione podistica che prevede un tracciato di dieci chilometri per gli adulti e di quattro per ragazzi e ragazze sotto i quattordici anni.
Fra gli organizzatori figurano Budapest Athletic Federation, Budapesti Diàksport Szovetség, City-Park Ice Ring, National Institute of Food Safety and Nutrition, nonché Zrinyi Miklos National Defense University. Sponsor principale è la NATO Public Diplomacy Division, a noi già nota. Altri sponsor: Budapest Publik Transport Ltd., Evidence Hungary, In-Kal Security Ltd., SZTE EHOK, National Youth Club of First Aid Applicators in Hungary e… l’immancabile Nike.
Per la dieci chilometri la partenza è prevista da via Attila (però!) per arrivare, nientepopodimenochè, in Piazza degli Eroi, dove partirà ed arriverà anche la gara sul tracciato ridotto. Nessuna quota di partecipazione è prevista per i componenti delle Forze Armate e per i lavoratori della NATO. I primi tre classificati, maschi e donne, delle due competizioni saranno premiati con prodotti rigorosamente Nike.
A cura della Zrinyi Miklos National Defense University, saranno organizzate alcune amene attività collaterali: dimostrazioni di combattimento militare ravvicinato nonché di carri armati T-72 e veicoli corazzati BTR-80A, esibizioni di armi letali e non, una mostra di modellismo, tiro tattico sportivo (meglio conosciuto come soft air), camuffamento del viso (face painting), un concorso a quiz sulla NATO, donazioni del sangue, la presentazione di Organizzazioni non governative e l’imperdibile competizione di disegno all’aria aperta dedicata al tema “La NATO per la Pace”.
Per l’occasione, la NATO Public Diplomacy Division proporrà alcuni eventi speciali il cui scopo è raccogliere una larga fetta di pubblico – civili, sia giovani che adulti, politici, rappresentanti delle forze armate, accademici – per scoprire, discutere ed esplorare la NATO che cambia, le sue Operazioni e Missioni, e la Sicurezza che essa assicura. Al fine di creare un ponte simbolico tra l’Alleanza Atlantica e la regione balcanica occidentale e radunare le giovani generazioni provenienti da tutta la regione sul terreno comune dell’Integrazione Euro-Atlantica.
Lo chiamano soft power.

Noble Light 2008

Dal 6 al 12 ottobre si svolgerà in Veneto la fase centrale dell’esercitazione NATO denominata Noble Light 2008. Nel corso dell’iniziativa militare, il Multinational CIMIC Group South di Motta di Livenza otterrà la validazione della sua capacità operativa conseguita nel 2006.
Il CIMIC – Civil Military Cooperation – è un reparto multinazionale della NATO a guida italiana, in grado di ricercare, addestrare e proiettare unità di specialisti nel soccorso e nella ricostruzione di aree sconvolte da conflitti. Esso è l’unico comando operativo dell’Alleanza in questo settore d’intervento. Per le proprie attività, il CIMIC si avvale anche di specialisti funzionali tratti dalla vita civile e richiamati in servizio (medici, architetti, ingegneri, avvocati…) per disegnare il quadro d’intervento e contribuire alla creazione di un ambiente sicuro. Ultimo compito del CIMIC è la pianificazione del passaggio dei poteri alle autorità civili, reintegrate nei compiti istituzionali. Il memorandum di intesa tra le nazioni coinvolte nel progetto (oltre all’Italia, Grecia, Portogallo, Turchia ed Ungheria) è stato firmato il 26 febbraio 2004.
L’ esercitazione simulerà uno scenario di crisi nel quale si troveranno ad operare organizzazioni militari e civili, e consentirà al personale del Cimic Group South di esercitarsi nelle funzioni specifiche che poi metterà in atto, come avviene nella realtà, nei vari teatri operativi.
Il personale del CIMIC Group South – ospitato nella caserma ‘Mario Fiore’ di Motta di Livenza (Treviso), Riviera Scarpa 75, nota in precedenza come ‘Vittorio Veneto’, quando accoglieva i reparti dell’11º reggimento genio dell’Esercito – ha operato ed opera in Irak, Kosovo, Libano ed Afghanistan. Il primo intervento sul campo è cominciato il 29 giugno 2003 con la partecipazione di una unità CIMIC all’operazione ‘Antica Babilonia’ nella provincia irachena del Dhi Qar. Da quella data, sino a oggi, una decina di distaccamenti CIMIC si sono avvicendati su una base di turnazione prevista ogni quattro mesi.
Tutte le prerogative del CIMIC verranno illustrate nel corso del Vip day organizzato presso la caserma di Motta di Livenza per il giorno 9 ottobre, durante il quale alle numerose autorità civili e militari come a tutti gli ospiti sarà offerta la possibilità di verificare concretamente come esso opera, le sue finalità e le modalità attraverso le quali si mettono in pratica quei progetti che consentono di supportare la missione offrendo un aiuto concreto alle popolazioni delle aree di crisi.

Radar antimissile, dove e come

Il sito dove dovrebbe essere installato il radar dello scudo antimissilistico USA nella Repubblica Ceca è un vecchia base dell’esercito sovietico, adesso terreno di manovra dell’esercito ceco, ad 80 km dalla frontiera tedesca ed a 70 km da Praga. Il terreno confina con il minuscolo (80 abitanti) comune di Trokavec, dove il 17 marzo 2007 si è svolto un simbolico referendum durante il quale 71 dei 72 votanti si sono espressi contro l’installazione del radar. Prendendo esempio dall’iniziativa del sindaco di Trokavec, diversi altri primi amministratori della regione hanno organizzato a loro volta delle consultazioni pubbliche, non prima di aver rifiutato la proposta di aiuti finanziari proveniente dal governo ceco in cambio del loro assenso all’installazione della base. Aiuti che sono stati qualificati come “pizzo”.
Sulle altitudini del vicino paese di Jince ci sono invece le due vecchie caserme, con campi di gioco e parcheggi rifatti a nuovo, che dovrebbero ospitare i 200 soldati statunitensi addetti al radar con potenza di 500 megawatt (tanti da far ipotizzare a molti, effetti non proprio benefici sulla salute, causa inquinamento elettromagnetico).
Secondo i sondaggi più recenti, quasi il 70% dei cechi si oppone all’installazione dello scudo, con l’opposizione socialdemocratica, i comunisti ed i pacifisti che chiedono a gran voce, ma inascoltati, un referendum popolare in merito. Nulla in tal senso è sortito dalla massiccia manifestazione dello scorso 17 novembre 2007, che ha visto scendere in piazza decine di migliaia di persone.
D’altro canto, chi in un referendum (locale) aveva avuto la possibilità di pronunciarsi, come gli ungheresi di Pécs il 4 marzo 2007 a riguardo della prevista costruzione di un’altra stazione radar della NATO (sul monte Tubes), è rimasto deluso. Il mancato raggiungimento del quorum necessario per poterne convalidare l’esito – quasi plebiscitario, con oltre il 90% dei votanti contrari – ha reso inutile lo sforzo e fatto infuriare i promotori. Essi hanno infatti sottolineato che in occasione del referendum (nazionale) per l’ingresso dell’Ungheria nella NATO era stato previsto che, se l’affluenza fosse risultata inferiore al 50%, per renderlo valido sarebbe bastato che almeno il 25% degli aventi diritto si fosse espresso con un voto, favorevole o contrario. Condizioni che effettivamente si verificarono, inducendo in seguito taluni osservatori maliziosi ad affermare che la soglia di accettabilità fosse stata abbassata appositamente tenendo conto dei sondaggi effettuati prima delle consultazioni.