L’ospitalità dei Global Hawk in Sicilia


“L’immancabile sortita quotidiana sino ai confini occidentali della Russia, sorvolando provocatoriamente Ucraina, Donbass, Mar Nero e Crimea; un blitz di tanto in tanto pure in Siria per monitorare le attività delle unità navali e dei velivoli russi; le periodiche operazioni d’intelligence a supporto dei reparti USA schierati in nord Africa. Sono queste le principali missioni di guerra dei droni Global Hawk dell’aeronautica militare degli Stati Uniti d’America che operano da più di dieci anni dalla grande stazione aeronavale di Sigonella, senza alcun controllo da parte delle autorità italiane e sempre più spesso in contrasto con gli interessi politici ed economici nazionali dichiarati e/o perseguiti. Velivoli senza pilota in grado di volare ininterrottamente per decine di ore, a grandi altezze e in ogni condizione climatica, utilizzati per spiare e mappare ogni centimetro quadrato del continente africano, del Medio oriente e dell’Europa orientale, individuando obiettivi da colpire e, se necessario, guidando i bombardieri e i droni killer nei loro strike di morte.
L’ospitalità dei Global Hawk in Sicilia, è uno dei capitoli meno noti delle relazioni politico-militari tra Italia e Stati Uniti d’America e non c’è stato governo (di centrosinistra, centrodestra o sovranista) che non abbia fatto di tutto e di più per occultare al Parlamento e all’opinione pubblica i termini e le modalità con cui è stato autorizzato il loro dispiegamento. Presidenti del consiglio e ministri sono giunti perfino a mentire spudoratamente sugli accordi sottoscritti, omettendo ogni riferimento alle loro missioni che pure violano palesemente i principi costituzionali e comportano gravi conseguenze per la stessa sicurezza del Paese.
Quella dell’installazione dei Global Hawk a Sigonella è pure una vicenda emblematica della pratica politica di tutti gli esecutivi succedutisi dal dopoguerra ad oggi. Agli Italiani non far sapere cosa accade nelle basi militari in uso esclusivo delle forze armate straniere, specie se ciò potrebbe turbare l’esito elettorale, il diktat rispettato come fosse l’articolo uno della Costituzione della Repubblica italiana. E’ accaduto con gli accordi NATO di settant’anni fa, con la cessione di ampie aree di territorio alle forze armate USA (in Veneto, Friuli, Campania e Sicilia), con il dislocamento dei missili e delle testate nucleari, più recentemente con il megacomplesso Dal Molin di Vicenza, l’hub NATO di Napoli Lago Di Patria e il MUOS di Niscemi.
Più che opportuno tornare oggi a raccontare le menzogne e le omissioni di Stato sui droni-spia di Sigonella.”

Omissioni e menzogne di Stato sui Global Hawk USA di Sigonella, di Antonio Mazzeo continua qui.

Forze ed operazioni militari USA in Africa – una rassegna

Di Benjamin Cote in esclusiva per SouthFront

L’importanza delle Forze Militari in Africa
Il 4 ottobre 2017, forze nigerine e Berretti Verdi americani sono stati attaccati da militanti islamici durante una missione di raccolta di intelligence lungo il confine con il Mali. Cinquanta combattenti di una affiliata africana dello Stato Islamico hanno attaccato con armi di piccolo calibro, armi montate su veicoli, granate lanciate con razzi e mortai. Dopo circa un’ora nello scontro a fuoco, le forze americane hanno fatto richiesta di assistenza. I jet Mirage francesi hanno fornito uno stretto supporto aereo e i militanti si sono disimpegnati. Gli elicotteri sono arrivati per riportare indietro le vittime per l’assistenza medica.
Quando la battaglia finì quattro Berretti Verdi sono risultati uccisi nei combattimenti e altri due furono feriti. I sergenti maggiori Bryan Black, Jeremiah Johnson, Dustin Wright e il più pubblicizzato di tutte le vittime il sergente La David Johnson sono stati uccisi in missione. Il presidente Trump si è impegnato in uno scontro politicizzato con la vedova di Johnson e la deputata della Florida Federica Wilson in merito alle parole da lui usate in una telefonata consolante.
La battaglia politica sui commenti del Presidente Trump ha avuto l’effetto non intenzionale di spostare l’attenzione della nazione sulle attività americane in Africa. In precedenza il pubblico americano, e buona parte dell’establishment politico, mostrava scarso interesse o conoscenza delle missioni condotte dai dipartimenti di Stato e della Difesa all’interno delle nazioni africane in via di sviluppo. Il 5 maggio, un Navy SEAL era stato ucciso vicino a Mogadiscio mentre assisteva le forze somale nel combattere al-Shabaab. Questa morte è arrivata un mese dopo che l’amministrazione Trump aveva revocato le restrizioni sulle operazioni di antiterrorismo nelle regioni della Somalia.
Certamente l’evento non ha registrato la stessa attenzione del mainstream come la polemica circa il sergente Johnson; tuttavia, tutto rivela come l’Africa stia lentamente diventando un’area di interesse nazionale cruciale per gli Stati Uniti. Le questioni concernenti le nazioni africane riguardanti le minacce terroristiche sia esterne sia interne, così come i loro problemi economici, servono a garantire che i responsabili politici degli Stati Uniti si concentrino sul continente. Iniziative globali come la Combined Joint Task Force for Operation Inherent Resolve coinvolgono diverse nazioni africane fondamentali per combattere l’ascesa dell’estremismo islamico radicale. L’ascesa di gruppi estremisti coesi insieme all’espansione degli investimenti economici nell’Africa post-coloniale ha comportato un aumento dei dispiegamenti militari stranieri e americani nella regione. Continua a leggere

Per i soldati americani in Italia un regime d’eccezione che li rende impuniti

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Disastri, stupri e sequestri: gli impuniti a stelle e strisce. Dal MUOS alle violenze nelle basi passando per gli incidenti stradali: perché non pagano mai.

Un militare statunitense incarcerato in Italia su 200 accusati. La statistica arriva dagli stessi Americani, dal giornale Stars & Stripes, Stelle e Strisce, distribuito tra i militari USA: “Negli ultimi cinque anni ci sono state 200 indagini per accuse che vanno dall’aggressione, allo stupro fino all’omicidio colposo, ma solo una persona è stata incarcerata in Italia”, scrive la giornalista Nancy Montgomery in un articolo dal titolo “Le truppe americane sotto accusa in Italia spesso sfuggono la pena”.
Un fenomeno noto da decenni e, però, taciuto: in Italia la giustizia per i militari americani è meno uguale. Quando compiono reati in servizio, ma anche quando si rendono responsabili di reati comuni: incidenti stradali, botte e stupri. E oltre le statistiche emergono storie dolorose. Una in particolare è diventata un simbolo: quella di Jerelle Lamarcus Grey, un ragazzone americano di 22 anni che prestava servizio presso la base a stelle e strisce di Vicenza, la Del Din (ex Dal Molin) nota per le proteste dei vicentini.
È il 9 novembre 2013, al Disco Club Cà di Denis alla periferia della città è in programma una festa: musica reggae, champagne e porchetta. Ci sono giovani del posto e militari americani reduci da missioni di guerra. Magari vogliono sfogare la tensione pazzesca che si portano dentro. Quando una ragazzina sudamericana di 17 anni esce dal locale si trova davanti un soldato che la spinge in un angolo buio. La stupra.
I carabinieri sono convinti di averlo identificato: è Jerelle. L’accusato resta a piede libero – non ci sarebbe pericolo di reiterazione del reato – finché pochi mesi dopo ecco un altro stupro: una prostituta incinta di sei mesi viene aggredita e violentata. E l’indagine porta di nuovo a lui, a Jerelle e a un suo commilitone: Darius Mc Cullough. Sarebbero loro i responsabili. Ma com’è possibile, si chiedono in tanti a Vicenza, che Jerelle sia libero?
La Procura intanto dispone per lui gli arresti domiciliari. Dove? Nella base Del Din, dove pare girasse indisturbato. Ma la storia non è ancora finita: una notte del dicembre scorso, Jerelle riempie il suo letto di stracci, per far credere di dormire. E senza difficoltà scappa. Viene infine arrestato vicino a un residence frequentato da prostitute: ne avrebbe picchiato un’altra, sempre incinta, pretendendo prestazioni sessuali. Jerelle alla fine riesce a finire nelle galere italiane. “Mi risulta che siano i primi, lui e il suo complice”, non nascondono la loro soddisfazione Alessandra Bocchi e Anna Silvia Zanini, avvocati delle presunte vittime.
Oggi Jerelle attende il processo per il primo stupro, mentre per il secondo è stato condannato (sei anni in primo grado, come il suo presunto complice Darius Mc Cullough). E i casi non si contano. Spesso sono reati di violenza. L’ult imo è di pochi giorni fa: un parà di 22 anni accusato di violenza sessuale nei confronti della figliastra di sette anni. Militari, ma non solo. C’è un civile americano, Mark Gelsinger, tra gli otto indagati nell’inchiesta per reati ambientali relativi alla costruzione del MUOS, l’impianto satellitare della Marina USA di Contrada Ulmo a Niscemi (Caltanissetta). Le autorità americane hanno chiesto subito che sia sottoposto alla loro giurisdizione.
I pm italiani indagano, le autorità americane chiedono di sottoporre i loro cittadini alla giurisdizione statunitense. E la risposta finora era quasi sempre scontata: 91 sì su 113 domande in quindici mesi fino al marzo 2014. Perché? Pesava una sudditanza dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti, ma contano anche i tempi della giustizia.
“Nelle more del processo i militari vengono rispediti a casa. E addio”, racconta l’avvocato vicentino Paolo Mele. Alla base di tutto la Convenzione di Londra ratificata nel 1956, quella chiamata “familiarmente” patto di benevolenza. Prevede che per i reati commessi dai militari NATO si tenda a concedere la giurisdizione del Paese d’origine. In pratica un accordo ricamato addosso ai soldati americani.
Per decenni a migliaia si sono sottratti alla nostra giustizia. Con due casi clamorosi: “Il 3 febbraio 1998″, racconta Mele, “due avieri americani – il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer – volando come Top Gun tranciarono i cavi della funivia del Cermis. Venti persone morirono. I due militari furono sottratti alla giustizia italiana e processati in America dove vennero assolti per l’incidente. Furono radiati e condannati a pochi mesi solo perché distruggendo il video del volo avevano ostacolato la giustizia”, conclude Mele.
Poi ecco il caso Abu Omar, l’imam egiziano sequestrato dalla CIA nel centro di Milano e portato nel suo Paese dove fu incarcerato e torturato. Il pm Armando Spataro e la Digos di Milano arrivarono a identificare i responsabili: 23 agenti condannati in Cassazione. Ma tutti si sottraggono alla giustizia italiana. E il responsabile della struttura Jeff Romano ottiene la grazia dal presidente Giorgio Napolitano. Se non ci pensano gli Americani, facciamo noi. Nessuno dei nostri governi ha mai chiesto l’estradizione per le spie condannate.
Violenze, disastri e spionaggio. Ma anche marines in fuga dai loro impegni familiari. Già, perché in Italia ci sono 59 installazioni militari americane. Solo a Vicenza una persona su dieci vive nella base. Nel 1959 ogni mese si celebravano dieci matrimoni misti. Poi qualcosa è cambiato: divorzi, mariti in fuga, irrintracciabili che lasciano le compagne sole e senza un soldo. Un reato, ma nessun militare paga: l’America li tutela a qualunque costo.
“Qualcosa, però, negli ultimi mesi sembra cambiato, non so se per merito dell’Italia o dell’amministrazione Obama”, sostiene Alessandra Bocchi. Conclude: “Noi non ce l’abbiamo con gli Americani, anzi. Ma dobbiamo tutelare le vittime”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando nel luglio 2014 ha twittato: “I due militari americani accusati di stupro saranno processati in Italia”. Jerelle e Darius per il momento sono in carcere. Si capirà presto se è un primo passo.
Ferruccio Sansa

[Fonte: Il Fatto Quotidiano, 11/7/2015 – i collegamenti inseriti sono nostri]

Il re e i suoi vassalli

Recuperiamo con colpevole ritardo una notizia che non può passare inosservata.
Essa è giunta il giorno successivo all’inaugurazione della base militare USA presso l’ex aeroporto Dal Molin di Vicenza, definita dall’ambasciatore Thorne “la più ecologica del mondo”.
E appena prima di quella riguardante il colonnello David Buckingham, comandante della storica base Ederle sempre a Vicenza, arrestato per resistenza e oltraggio al termine dei festeggiamenti per il giorno dell’indipendenza…

Roma, 3 luglio – Sfilata di alcuni dei massimi rappresentanti del mondo delle istituzioni, della politica, dell’economia e della cultura italiane a Villa Taverna, a Roma, per le celebrazioni della Festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Si tratta dell’ultimo ‘Independence day’ che l’ambasciatore USA David Thorne festeggia nella sua veste di rappresentante di Washington a Roma. A breve infatti Thorne rientrera’ a Washington dove assumera’ l’incarico di consigliere del segretario di Stato John Kerry.
Tra le personalita’ presenti a Villa Taverna il presidente del Senato Pietro Grasso e una folta schiera di ministri. Assente il premier Enrico Letta impegnato a Berlino. Tra i ministri che sono venuti a salutare Thorne nella sua residenza romana il titolare dell’Economia Fabrizio Saccomanni, il ministro della Sanita’ Beatrice Lorenzin e il ministro dei Beni culturali Massimo Bray, mentre la Farnesina era rappresentata dal ministro degli Esteri Emma Bonino e dai viceministri Marta Dassu’, Lapo Pistelli e Mario Giro e dal segretario generale Michele Valensise.
“La Costituzione italiana -ha detto Thorne nel tradizionale discorso- riconosce gli stessi principi democratici di liberta’ e uguaglianza, dignita’ e umanita’, di indipendenza e tutela delle minoranze” custoditi nella Dichiarazione di Indipendenza che fu proclamata 237 anni fa dalle 13 colonie americane che decisero di staccarsi dall’Inghilterra. “Nei 152 anni dell’unita’ -ha proseguito Thorne- l’Italia ha affrontato le sfide della storia per tutelare e promuovere quei principi vitali al suo interno e all’estero. E i nostri due paesi -ha sottolineato l’ambasciatore USA- hanno lavorato insieme per difendere la democrazia e la liberta’ nel mondo. Questi principi condivisi ci aiuteranno a vincere le sfide interne che sitamo affrontando”.
Ad ascoltare il discorso dell’ambasciatore americano oltre ai rappresentanti delle istituzioni e del governo anche esponenti del mondo della politica tra cui Pier Ferdinando Casini, Ignazio La Russa, Nicola La Torre, Andrea Riccardi, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi, Maurizio Gasparri e Francesco Rutelli. Presente anche l’attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino, e il suo predecessore Gianni Alemanno. Le Forze armate erano rappresentate, tra gli altri, dal capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, e dal comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Luigi Gallitelli. Presenti anche il direttore del DIS Giampiero Massolo e il neo designato presidente di Finmeccanica, Gianni De Gennaro. In rappresentanza del mondo della cultura, dell’editoria e del giornalismo, tra gli altri, sono presenti a Villa Taverna l’editore dell’Adnkronos, Giuseppe Marra, il direttore del Gr Rai Antonio Preziosi, la consigliera di amministrazione Rai, Luisa Todini.
(Mli/Zn/Adnkronos)

P. S.: non perdetevi la galleria fotografica dell’evento!
Valgono più certe immagini che milioni di parole…

Vicenza libera dalle servitù militari!

volantinoa5_fronte_2lug2013-01Quando migliaia di persone scendono in strada e riempono le piazza di una città, ci possono essere due ragioni: o c’è una festa, o c’è un problema.
Quando migliaia di persone manifestano, si mobilitano, dedicano del tempo a una causa, non c’è mai in gioco una mera questione materiale, ma un sogno.
Nel nostro caso, quel sogno è vedere Vicenza libera dalle servitù militari. Ed è a coltivare questo sogno che, da sette anni, in tante e tanti ci dedichiamo.
Per questo, nella giornata in cui gli statunitensi inaugurano il Dal Molin, noi torneremo in piazza per aprire la campagna che, fino al Festival NoDalMolin, porterà ancora in piazza la nostra indignazione.
Vicenza libera dalle servitù militari ha significato, in questi anni, il Parco della Pace, strappato ai reticolati con i quali gli statunitensi avevano progettato di circondare quel grande fazzoletto verde. Ma, anche, il congelamento di un nuovo progetto di espansione statunitense a Site Pluto, dove sarebbe dovuto sorgere un nuovo complesso per l’addestramento alla guerra.
Vicenza libera dalle servitù militari significa, nel nostro domani, lavorare per il futuro dei propri figli e non per coloro che vanno in giro per il mondo a uccidere i figli altrui; conoscere i malanni della propria terra – e poterli prevenire – e non subire la sorpresa dell’ennesima alluvione; investire le nostre risorse comuni in scuola, sanità, servizi agli anziani, welfare, e non nella costruzione di infrastrutture necessarie agli eserciti stranieri.
Vicenza libera dalle servitù militari significa poter attraversare ogni angolo della propria terra, senza un filo spinato che lo possa impedire; significa decidere che fare e che costruire nel luogo che si vive; significa difendere e valorizzare i beni comuni per migliorare la qualità della nostra quotidianità.
Il 2 luglio si svolge la cerimonia inaugurale della nuova base USA al Dal Molin. Gli statunitensi hanno scelto un profilo basso, una data infrasettimanale, un momento lavorativo dopo la magra figura rimediata lo scorso 4 maggio quando, di fronte alla mobilitazione cittadina, hanno preferito annullare l’annunciato open day.
Non ci interessa issare una bandiera, vogliamo continuare a mettere mattoncini per costruire il nostro sogno. Per questo, non inseguiremo le cerimonie statunitensi, ma torneremo nel centro della città, con una fiaccolata, come sempre abbiamo fatto nei momenti più forti della nostra mobilitazione. Per dire che, al Dal Molin ci torneremo ancora, in tante e tanti, durante il prossimo Festival NoDalMolin, con una giornata di mobilitazione collettiva che vogliamo costruire insieme in quella che sarà la nostra ottava “campagna d’estate”.
Una campagna caratterizzata da tre punti:
– la richiesta di riconversione immediata di Site Pluto, Fontega e Santa Tecla a usi civili, visto che si tratta di aree militarizzate che gli statunitensi sostengono di non utilizzare;
– la richiesta di desecretazione immediata degli accordi bilaterali del 1954 che regolano la presenza di basi militari USA in Italia e che, in barba alla democrazia e alla trasparenza, non possono essere letti da alcuno;
– la richiesta di costituire un osservatorio cittadino sulle conseguenze della militarizzazione in città che studi le ricadute sanitarie, oncologiche, epidiemoboliche, ambientali, sociali, urbanistiche ed economiche della presenza militare a Vicenza.
Tre mattoncini per un grande sogno che abbiamo appena abozzato, in questi sette anni: Vicenza libera dalle servitù militari. La rotta è chiara, gli strumenti possono cambiare: ma nessuno di noi tornerà a rinchiudersi nelle proprie case.
Martedì 2 luglio, 20.30 Piazza Castello FIACCOLATA. Passa parola.

Fonte
(grassetto nostro)

Le esenzioni dei militari USA in Italia

fuori dalle balle

Seppure un poco datato, ecco un utile riepilogo sull’argomento…

Fisco, la truppa gode
di Marco Mostallino

Accise sulla benzina, Iva, imposte su acquisti, servizi e consumi: sono queste le voci su cui il governo ha scelto di puntare per rimettere a posto i conti dell’Italia. Ma c’è chi è esente da ogni tassa. Si tratta di una popolazione di 30 mila persone che paga le bollette dell’elettricità al netto delle imposte, che fa il pieno con un risparmio di oltre 60 euro ogni 100 litri, che è esente dall’imposta di bollo e che non paga la tassa di circolazione delle auto. E non si tratta di evasori.
Sono infatti i militari americani residenti in Italia con le loro famiglie.
In base agli accordi bilaterali tra Italia e Stati Uniti e alle intese in ambito NATO, i comandi militari e i 13 mila soldati delle forze armate USA in servizio alla base navale di Napoli, alla caserma Ederle di Vicenza, agli aeroporti di Ghedi, Aviano e Sigonella e nelle decine di altre installazioni sparse per il Paese godono infatti di un regime fiscale privilegiato. È il contributo dell’Italia alla «difesa comune», quantificato in base al principio del cosiddetto «burden sharing», ovvero la distribuzione della spesa della presenza delle forze armate americane.
Quando un militare americano viene assegnato a una base in Italia, al suo arrivo riceve una serie di indicazioni, tra le quali una lista delle esenzioni fiscali: si va dall’Iva per ogni tipo di acquisto, servizio e contratto, fino alle accise sui carburanti e sul consumo elettrico, passando dai dazi doganali, alla tassa di sbarco e d’imbarco delle merci trasportate per via aerea e marittima, a quella di circolazione sui veicoli, all’imposta di registro e di quella di bollo.
I risparmi sono destinati anche ai comandi miliari che si estendono nel nostro territorio per quasi 2 milioni di metri quadri (secondo i dati aggiornati a fine 2010 forniti dal Dipartimento della Difesa USA).
Difficile calcolare esattamente il sacrificio degli italiani per lo speciale regime fiscale destinato ai soldati USA, perché né il governo di Washington né quello di Roma possiedono, o comunque diffondono, cifre precise.
L’ultimo resoconto risale al 2004, quanto il Congresso USA pubblicò il documento Report on allied contributions to the common defense, da allora mai più reso noto nei suoi aggiornamenti.
In quelle carte si leggeva che nel 1999 il contributo dell’Italia era di 530 milioni di dollari, pari a circa 450 milioni di euro. Nel 2001, i vantaggi concessi agli USA erano del 37% delle spese sostenute, ovvero 327 milioni di dollari.
Oggi, con la crescita delle imposte e dei prezzi, si può ipotizzare che il peso dei militari USA sulle finanze pubbliche italiane superi i 500 milioni di euro ogni anno.
Per incassare 350 milioni di euro, Palazzo Chigi ha deciso di aumentare l’Iva al 21% (nel 2012 è destinata a salire) e di alzare le accise sui carburanti. Eppure per raggiungere lo stesso obiettivo – e persino superarlo – sarebbe bastato parificare il regime fiscale dei soldati USA a quello degli italiani. Ma questo non è avvenuto.
Così i militari di Washington, oltre a utilizzare servizi come la manutenzione delle strade, l’illuminazione e la nettezza urbana senza spendere un dollaro, possono addirittura risparmiare più del 60% sul carburante, mentre gli italiani devono sobbarcarsi di accise e Iva, arrivando a spendere per ogni litro di benzina verde fino a 1,759 euro.
Un calcolo preciso dei costi per i militari USA lo ha fornito nel 1999 Pasqualino Serra, fino al 1997 sindaco de La Maddalena, la cittadina sarda che per decenni ha ospitato la base dei sottomarini nucleari americani.
Dallo studio sui costi-benefici della presenza degli USA di Serra, che dopo aver lasciato la poltrona di sindaco continuò a interessarsi di politica locale, emerse che «in 25 anni si è cumulato un disavanzo economico pari a quasi 45 miliardi di lire. Una perdita annuale da 928 mila euro. Bilancio che ha penalizzato i cittadini dell’arcipelago». E La Maddalena è un piccolo Comune da 11 mila abitanti che ospitava poche centinaia di persone.
Nei casi, per esempio, di Napoli e Vicenza il peso della presenza militare USA è maggiore, perché con gli shell agreements (gli accordi degli Anni 50 e 60 poi aggiornati nel 90), il ritiro e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti all’interno delle basi è a carico delle autorità italiane, mentre gli americani si occupano di quelli speciali e tossici.
Considerando che Vicenza ha circa 200 mila abitanti a fronte dei 5 mila militari USA (senza contare i familiari), facile capire che i costi sono pesantissimi per l’Italia e le cifre impossibili da ricostruire senza un report ufficiale da Washington. E presto sono in arrivo altri soldati USA: dalla Germania si sta trasferendo in Veneto la 173esima Brigata aviotrasportata. Nuovi militari per un’ulteriore spesa destinata a essere pagata dagli italiani.

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Scherzetto: l’alluvione a Vicenza non c’è mai stata

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Abbiamo fatto degli accurati controlli, uno studio. Le nostre nuove costruzioni al Dal Molin non hanno avuto alcun impatto ambientale e alcuna ricaduta sulla falda. Siamo perfetti. A dirlo, il colonnello David Buckingham, comandante delle basi USA a Vicenza che annuncia il 4 maggio l’apertura ai vicentini dei cancelli del Dal Molin.
Le sue parole sono un insulto alla città che, negli ultimi due anni, ha vissuto il dramma dell’alluvione permanente senza conoscerne le cause, ma con il dubbio che vi sia una strana coincidenza tra l’avvio del cantiere e le esondazioni del Bacchiglione. E pensare che gli statunitensi si sono sempre rifiutati di consegnare i dati sulla falda in loro possesso ai tecnici vicentini e hanno sempre impedito ispezioni e visite.
Insomma, secondo il colonnello David Buckingham l’alluvione e gli allagamenti sono un’invenzione dei vicentini. E le preoccupazioni di gran parte della comunità locale sono affermazioni da spazzar via con uno studio di parte, una verità autocostruita per autoassolversi. E’ partita la nuova operazione “presa per il culo”, già vista quando gli statunitensi raccontavano quante migliaia di posti di lavoro avrebbero creato (zero, alla fine) per i poveri vicentini sulla soglia della crisi economica.
E, in più, a dimostrazione dell’arroganza dei militari a stelle e strisce, David Buckingham invita i vicentini a visitare il Dal Molin il prossimo 4 maggio, quando i cancelli saranno aperti alla cittadinanza. Noi ci andremo, ma non per mangiare pop corn: entreremo con le nostre bandiere per vedere, capire, ispezionare, rivendicare verità: loro la base, noi l’alluvione; e adesso ci prendono anche per il naso! No, grazie.

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16.1.2013 – fiaccolata a Vicenza

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Mercoledì 16 gennaio alle 20.30 dal Presidio NoDalMolin FIACCOLATA. Ci sono un’infinità di buone ragioni per tornare in piazza ancora una volta. Ne abbiamo elencate 10.

1. Il 16 gennaio di sei anni fa il Presidente del Consiglio Romano Prodi – dall’estero – aveva la faccia tosta di dare il proprio consenso al progetto statunitense al DalMolin, nonostante l’espressa contrarietà di gran parte della comunità locale. E noi non ce li vogliamo dimenticare coloro che hanno permesso la devastazione del territorio vicentino.

2. Il 16 gennaio di sei anni fa migliaia di persone, appena due ore dopo l’annuncio di Romano Prodi, scendevano in piazza riempendo le strade del centro storico e occupando i binari della stazione. Noi, sei anni dopo, non abbiamo cambiato idea e non vogliamo chiudere in casa la nostra dignità.

3. Nel 2013 è prevista l’inaugurazione della nuova base militare, ormai quasi ultimata. Averla costruita non significa aver risolto i nodi posti dai vicentini sei anni fa. Il primo: non vogliamo essere complici della guerra. Nemmeno oggi.

4. Nel 2010 l’alluvione ha sconvolto Vicenza. Da allora, a ogni pioggia intensa la città vive nel terrore di essere inondata, e le zone intorno al Dal Molin sono quelle più a rischio. Esiste quantomeno una correlazione temporale tra l’avvio del cantiere e l’inizio delle criticità idrauliche del nostro territorio. Vogliamo che siano verificati i danni prodotti dalla nuova base.

5. Il Comune, dopo il licenziamento di Paolo Costa, si è impegnato ad agire in autotutela per verificare la situazione della falda acquifera e dell’equilibrio idrogeologico. Vogliamo che dalle parole nascano azioni concrete. Lo vogliamo subito, perché Vicenza non può aspettare un’altra alluvione per sapere se l’installazione statunitense centra qualcosa con l’alluvione permanente. Il comitato tecnico deve avere, quanto prima, uno spazio di lavoro all’interno del Parco della Pace e gli strumenti necessari per agire.

6. Dopo il Dal Molin, gli statunitensi vogliono costruire nuove strutture a Longare, Site Pluto. La militarizzazione del territorio alimenta se stessa e devasta nuove aree. Vogliamo rompere questo circolo vizioso e guardare al futuro costruendo la riconversione civile.

7. In un periodo di crisi, spendiamo centinaia di milioni di euro per contribuire alla presenza militare statunitense nel nostro territorio. Quei soldi sono nostri: vogliamo che siano destinati al sociale, alla scuola, a chi è senza lavoro.

8. Vicenza è la nostra città. Qui ci abitiamo; qui abbiamo le nostre famiglie, i figli vanno a scuola, abbiamo i nostri amici, le nostre occupazioni; qui passiamo il nostro tempo libero. Noi non ci rassegniamo a vivere in una città militarizzata, con soldati che si allenano per strada e basi che mettono a rischio la salute e la sicurezza.

9. In questi anni abbiamo detto democrazia e ci hanno risposto imposizione. Il fatto che abbiano fatto la voce grossa non è un buon motivo per tacere.

10. Siamo NoDalMolin, vogliamo continuare a esserlo: la nostra terra, la nostra vita, il nostro futuro, sono tutti fatti nostri.

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La mappa delle basi USA a Vicenza

basi usa vicenzaE’ in distribuzione gratuita la mappa turistica “Militare verso civile” realizzata dall’AltroComune di Vicenza e che riporta il tour completo delle basi militari USA vicentine. Sarà consegnata ai turisti che attraversano Vicenza, ma anche ai tanti vicentini curiosi di conoscere più da vicino il proprio territorio.
La mappa, disponibile in versione cartacea oppure online, accompagna il visitatore tra reticolati e recinzioni, gallerie segrete e reperti nucleari, raccontando un volto poco noto – perché secretato – del vicentino. Strutture militari che si inseriscono in un territorio che l’Unesco considera patrimonio dell’umanità, grazie allo straordinario patrimonio lasciato in eredità da Andrea Palladio.
La mappa turistica “Militare verso civile” si inserisce nel quadro delle iniziative culturali volte a far conoscere e amare Vicenza. Per coloro che però non fossero soddisfatti del “Basi militari tour”, è a disposizione l’ufficio turistico dell’AltroComune, presso il Presidio Permanente di Ponte Marchese.

Via le basi da Vicenza!

L’apertura della base Fontega per permettere ai militari statunitensi di fuggire dalle basi militari vicentine si inserisce nella campagna per rimpatriare i soldati lanciata giovedì scorso dal Presidio Permanente NoDalMolin. Un centinaio di attivisti ha aperto quest’oggi un varco di 40 metri nelle recinzioni di base Fontega dopo che, giovedì scorso, erano state distribuite agli statunitensi le valigie.
Base Fontega è situata nel cuore dei colli berici ed è un’installazione militare che gli statunitensi sostengono di utilizzare come deposito per vecchie munizioni. Se questo è vero, è giunto il momento di smilitarizzare boschi e prati per restituire l’area alle comunità locali; se questo non avviene, i militari devono spiegare ai vicentini quali segreti nascondono al di là delle recinzioni. Per esempio, devono spiegare perché hanno appena restaurato un bunker e decine di mezzi entrano ed escono quotidianamente dall’area, mentre proseguono i cantieri e l’installazione è sottoposta alla sorveglianza militare. O, forse, gli statunitensi spendono milioni di euro per ammirare piante e fiori dei colli berici senza il disturbo dei passeggiatori vicentini?
Abbiamo capito che i soldati statunitensi sono chiusi, a migliaia, nei recinti delle basi militari statunitensi; abbiamo intuito il loro desiderio di tornare dalle proprie famiglie, lasciando ai vicentini il territorio berico; per queste ragioni, gli abbiamo fornito le valigie e, quest’oggi, gli abbiamo aperto un varco.
La prossima iniziativa sarà il 21 ottobre a Site Pluto, con una passeggiata intorno alle recinzioni dell’installazione militare. Sarà una giornata per famiglie, una scampagnata sugli splendidi colli berici intorno alle recinzioni di un territorio nel quale vige il mistero e il segreto militare. Un’iniziativa alla vigilia della riunione del Comipar durante la quale quest’ultimo deve esprimersi sui nuovi progetti statunitensi che il Consiglio Regionale ha recentemente dichiarato irricevibili, impegnando il Presidente Zaia a sostenere la posizione di migliaia di vicentini contrari alle servitù militari statunitensi. L’iniziativa inizierà alle 12.00 con una polentata di fronte agli ingressi di Site Pluto.

Fonte

Tra boschi e caverne, il covo di Plutone

“Per decenni è stata la punta avanzata della follia strategica USA e NATO che ritenevano possibile una guerra nucleare “limitata” per contenere l’avanzata delle truppe sovietiche nel nord-est d’Italia. A Site Pluto, installazione militare top secret, occultata tra le caverne carsiche e i boschi del comune di Longare (Vicenza) sono state immagazzinate le testate nucleari del tipo W-79 con una potenza tra i 5 e i 10 kiloton e W-82 da 2 kiloton, destinate agli obici a corto raggio M-109 e M-110 dell’esercito USA e ai missili Nike Hercules della vicina base dell’Aeronautica italiana di San Rocco. Poi Longare è caduta in sonno per risvegliarsi all’alba delle nuove campagne militari del Pentagono in terra d’Africa. Adesso che i lavori di costruzione della megainstallazione della 173^ Brigata aviotrasportata volgono al termine nell’ex aeroporto Dal Molin e il comando di US Army Africa è pienamente operativo, servono nuovi poligoni per addestrare i reparti di Vicenza. E Site Pluto, con chissà quante altre aree demaniali in Veneto e Friuli, è pronto a fare la sua parte.”

Pluto Longare Vicenza alle guerre in Africa, di Antonio Mazzeo continua qui.

“La città italiana con la più alta presenza di militari USA”

“Intanto prosegue frenetico il processo di ipermilitarizzazione del territorio comunale. Il colonnello David Buckingham, comandante di US Army Garrison-Vicenza, ha formalizzato la conclusione della seconda fase dei lavori di realizzazione delle facilities destinate ai reparti statunitensi all’interno dell’ex aeroporto Dal Molin. La trasformazione dello scalo in megacaserma della 173^ brigata aviotrasportata è uno dei principali progetti di potenziamento infrastrutturale delle forze armate USA a livello mondiale. I lavori, per un importo di 245 milioni di euro, sono stati affidati nel marzo 2008 a due aziende leader di LegaCoop, la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (CMC) e il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (CCC). “Questa seconda tranche è consistita nella costruzione degli uffici e delle infrastrutture di servizio del 173rd Airborne Brigade Combat Team e delle abitazioni per circa 1.200 soldati single”, ha spiegato il colonnello Buckingham. Lo scorso mese di gennaio, al Dal Molin sono stati trasferiti i primi reparti di US Army Africa, mentre il personale restante del comando raggiungerà la base entro il giugno del 2014. “Prevediamo invece che entro il giugno 2013 si completi il trasferimento al Dal Molin dei circa 2.000 militari e delle rispettive famiglie attualmente ospitati a Bamberg and Schweinfurt, in Germania. Il programma ha subìto solo qualche mese di ritardo a causa delle cattive condizioni meteorologiche, della bonifica delle munizioni non esplose ritrovate all’interno dell’aeroporto (49 bombe italiane e britanniche risalenti alla Seconda guerra mondiale) e degli scavi archeologici”. A conclusione dei lavori, il Dal Molin ospiterà quattro battaglioni e il quartier generale della 173^ brigata, mentre due battaglioni dell’esercito resteranno nella vicina Camp Ederle. “Vicenza sarà la città italiana con la più alta presenza di militari USA in termini di popolazione, con circa 5.000 uomini distribuiti tra il Dal Molin e l’Ederle”, ha concluso Buckingham.”

Da Le nuove guerre dei militari USA di Vicenza, di Antonio Mazzeo.

Ottimi clienti per i locali di lap dance

Vicenza, 20 Gennaio 2012 – Tassisti e soldati americani. Non è mai stato amore a prima vista. Ma dopo danneggiamenti, discussioni infinite, prepotenze, adesso alcuni autisti si rifiutano di farli salire a bordo. «Purtroppo la situazione non è delle migliori – spiega il presidente della Cooperativa tassisti vicentini, Stefano Faresin -, ma di soluzioni all’orizzonte non ne vediamo molte. Ne abbiamo parlato anche con l’assessore allo Sviluppo economico Tommaso Ruggeri, però non è servito a molto. Che esista un servizio satellite per loro – prosegue Faresin – gestito da immigrati non è corretto. È contro ogni regola e andrebbe disincentivato. Vedere auto in fila fuori dalla caserma di viale della Pace, soprattutto durante i fine settimana, non ci fa alcun piacere. Sappiamo come funziona: l’auto si avvicina, loro salgono, gli autisti lasciano un bigliettino con un numero da chiamare quando vogliono rientrare, ma il problema è più complesso, non si tratta solo di mancati guadagni».
Se da un lato i tassisti si lamentano, ci sono altre questioni sul tappeto. «Spesso i soldati sono ubriachi e lasciano lattine e bottiglie dentro l’auto. Ci dobbiamo sempre girare e controllare. Ma arriviamo in ritardo e dobbiamo sempre provvedere noi. Senza contare – aggiunge il presidente – che ad un collega è stato tagliato il sedile posteriore con un coltello. Non ha inoltrato denuncia, tanto a che cosa serve? È accaduto con un gruppo di giovani all’apparenza molto tranquilli, li ha portati a destinazione e poi si è accorto del “regalino”. Atteggiamenti del genere ci preoccupano e non ci predispongono nel migliore dei modi nei loro confronti. Ci sono colleghi, io stesso l’ho fatto, che rifiutano le chiamate». All’interno della Cooperativa esiste un regolamento, chi non accetta una corsa deve versare una penale. «Si tratta di alcuni euro – specifica Faresin – che anch’io ho depositato, ma a volte prende il sovravvento la paura. Soprattutto quando ci sono i proprietari dei locali notturni che ci chiamano a notte fonda chiedendoci espressamente di venire a prendere gli americani. Sono ubriachi, vomitano in macchina, e poi non sai mai che atteggiamenti possono avere, soprattutto se hanno bevuto tanto. Sappiamo tutti che cosa fanno, a che cosa sono addestrati e a volte abbiamo al sensazione che basti un attimo per farli esplodere».
L’assessore allo Sviluppo economico Tommaso Ruggeri è al corrente dei problemi relativi ai tassisti abusivi. «Abbiamo già affrontato la questione con la Cooperativa – spiega – e la polizia municipale è stata allertata per controllare se ci sono autisti senza alcuna licenza fuori dalla caserma Ederle. Per quanto riguarda il resto non posso dire nulla, mi rendo conto che sia difficile, ma i tassisti fanno un servizio pubblico…».
I soldati americani con l’apertura del “Dal Molin” saranno destinati ad aumentare per cui il problema assumerà anche proporzioni diverse. Infatti a lamentarsi ci sono anche i titolari di alcuni bar del centro. «Clienti difficili – sostengono – bevono molto e non accettano il fatto che ci rifiutiamo di riempire i bicchieri se li vediamo ubriachi. Alcuni se ne vanno in malo modo, altri battono i pugni. A volte chiamiamo la polizia, se ne accorgono e infilano la porta». Non mancano le risse, riportate anche dalla cronaca del nostro giornale.
«Perchè la polizia americana non si vede di più?», si chiede Stefano Faresin. «Un tempo le macchine con la scritta “MP” si notavano spesso, ora non accade più. Mi rendo conto che gli americani sono ottimi clienti per i locali di lap dance, ma durante il turno serale ci sono solo due auto e, ribadisco, alcuni di noi hanno paura».
Chiara Roverotto

Fonte: ilgiornaledivicenza.it

Verità per Vicenza

Dalla lettera aperta/appello del Movimento No Dal Molin

Il 16 gennaio è una data importante per Vicenza. Come dimenticare quelle migliaia di persone che, come un fiume in piena, inondavano le strade del centro nel 2007? L’indignazione si era mescolata ad una sacrosanta rivendicazione di dignità, portando donne e uomini di ogni età, estrazione sociale, pensiero politico, ad occupare i binari della stazione. Chi l’avrebbe mai detto?
Eccoci ancora qui, invece. I problemi, le criticità che abbiamo cercato di indagare e disvelare in questo lungo periodo di tempo, non sono magicamente sparite. Avevamo sempre detto che il nostro territorio, le sue risorse, assieme alla comunità di donne e uomini che avevano deciso di difenderli, erano un bene comune, e non abbiamo cambiato certamente idea.
In questi anni abbiamo misurato sul campo, e visto con i nostri occhi, la disparità delle forze in campo nella vicenda Dal Molin. Non serviva certo Wikileaks per scoprire le malefatte dei governanti. Lo abbiamo sempre denunciato, ora arrivano anche le conferme “ufficiali”. Da un lato la Superpotenza statunitense, l’Unione Europea, la NATO, il governo italiano, la regione, la provincia, il comune, i grandi interessi economici, dall’altra noi. Se dimentichiamo questo non sapremo dare la giusta importanza a tutto ciò che si è fatto in tutti questi anni.
(…)
Questa città, questo territorio ha visto sorgere e radicarsi un movimento che ha reclamato democrazia reale, che ha rielaborato il linguaggio della politica, che ha rivendicato trasparenza e protagonismo. Queste aspirazioni, che hanno finito addirittura con l’incidere sulle elezioni locali, contribuendo al cambio di governo cittadino, oggi non si sono sopite. Nulla sarà come prima, si diceva, ma sta ancora una volta a noi mantenere aperti gli spazi di democrazia, evitando un brusco ritorno ad un passato che abbiamo voluto collettivamente cancellare. Ci siamo sempre battuti contro la separatezza tra palazzo e società reale, e governare la città oggi significa misurarsi con questa nuova sensibilità e consapevolezza dei cittadini, sicuramente più attenti alla gestione della cosa pubblica. Per questo da Variati e da questa maggioranza, di cui uno dei punti qualificanti del proprio programma era la contrarietà al Dal Molin e la necessaria tutela degli interessi del territorio e della comunità, vogliamo avere trasparenza, verità e giustizia.
Per questo oggi proponiamo a tutte e tutti voi di dare vita assieme ad una grande fiaccolata, proprio il prossimo 16 gennaio, che riattraversi le vie del centro. Non una ricorrenza funebre, quelle vanno bene per chi non ha più niente da dire. Al contrario, un ritrovarsi dei vicentini pacifico e ricco di contenuti, pieno di quella stessa dignità e orgoglio che avevamo inaspettatamente incrociato quattro anni fa, capace di far sentire ancora forte la propria voce, tutt’altro che sconfitta. Siamo convinti che Vicenza darà una risposta forte, perché forti sono le motivazioni e le passioni che l’hanno fatta crescere e cambiare in questi anni duri ma sicuramente straordinari. Mescoliamoci tutti assieme, ancora una volta, per la nostra città e per il nostro futuro.

Domenica 16 gennaio 2011, fiaccolata con partenza da Piazza Castello, Vicenza, alle ore 18.30

Guerre USA 2011

Lacrime e sangue per tutti, tranne che per i signori delle armi e delle guerre. Il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato il budget 2011 del Dipartimento della Difesa. Saranno 725 i miliardi di dollari destinati alle missioni di guerra e ai nuovi programmi militari. Buona parte del bilancio, 158,7 miliardi di dollari, sarà speso dal Pentagono per prolungare le operazioni in Iraq e Afghanistan, a cui si aggiungeranno 13,1 miliardi per lo “sviluppo delle forze di sicurezza afgane e irachene”. Sempre nell’ambito della “guerra permanente” al terrorismo internazionale, il Congresso ha destinato 75 milioni di dollari per l’addestramento e l’equipaggiamento delle “forze di controterrorismo” dello Yemen, Paese mediorientale sempre più attenzionato e corteggiato dal Pentagono.
(…)
Assai articolato il piano di potenziamento delle infrastrutture militari USA all’estero, con un particolare occhio di riguardo per il continente africano e il Medio oriente. Le vecchie e nuove priorità strategiche sono delineate dal report sui “Piani di lavoro del Naval Facilities Engineering Command”, pubblicato nel giugno 2010 da Jeff Borowey, responsabile del Comando d’ingegneria dell’US Navy per l’Europa, l’Africa e l’Asia sud occidentale. Tra i programmi più ambiziosi, il “completamento del Master Plan di Camp Lemonnier, Gibuti, a supporto delle operazioni di Africom”, il nuovo Comando USA per il continente africano, per cui vengono stanziati 110,8 milioni di dollari; “l’installazione di un crescente numero d’infrastrutture in Africa per sostenere le richieste dei partner africani, di AFRICOM, CENTCOM e delle forze statunitensi della JTF-HOA di Gibuti”; “l’espansione delle basi in Bahrain e negli Emirati Arabi Uniti”, con progetti per 213,2 milioni di dollari. Altrettanto imponente la spesa per alcune delle maggiori installazioni USA in Europa: nelle voci di bilancio sono stati inseriti 28,5 milioni di dollari per la base aerea di Aviano (Pordenone) per realizzare “dormitori” e un “centro per il supporto delle operazioni aeree”; 23,2 milioni per la base aeronavale di Rota in Spagna (una “torre per il controllo del traffico aereo”); 33 milioni di dollari per la costruenda base dell’US Army al “Dal Molin” di Vicenza.
Oltre 300 milioni di dollari andranno invece al programma di trasformazione dell’isola di Guam, nell’oceano Pacifico, nel principale centro strategico-operativo d’oltremare delle forze armate USA. A Guam, dove da ottobre operano i velivoli-spia “Global Hawk” dell’US Air Force, verranno realizzate piste e aree di parcheggio nella base aerea di Andersen, infrastrutture portuali ad Apra Harbor per l’approdo delle portaerei e probabilmente pure un centro operativo per la “difesa missilistica”. A medio termine è previsto il trasferimento nell’isola degli 8.600 Marines oggi ospitati nella base di Okinawa; il governo giapponese contribuirà con 498 milioni di dollari che saranno utilizzati dal Pentagono per realizzare alcune facilities nell’area di Finegayan (caserme, edifici amministrativi e logistici, un poligono di tiro, una stazione anti-incendio, un ospedale). Neppure un dollaro invece per i sopravvissuti dell’occupazione giapponese di Guam durante la Seconda guerra mondiale; originariamente il “National Defense Authorization Act of 2011” destinava 100 milioni di dollari come risarcimento per gli eccidi subiti dalla popolazione locale, ma i legislatori USA hanno preferito alla fine cancellare il fondo per “esigenze di risparmio nazionale”. Un ulteriore taglio ai finanziamenti pro diritti umani è giunto con la decisione di non sostenere le richieste del Dipartimento della Difesa per la chiusura del lager di Guantanamo. Il Congresso ha formalmente proibito il possibile trasferimento negli States dei detenuti ospitati nella base navale illegalmente realizzata nell’isola di Cuba.

Da Bilancio di guerra record per le forze armate USA, di Antonio Mazzeo.
[grassetto nostro]

Grillo ben parlante

Discutere dell’Irlanda o, a inizio 2010, del default greco, equivale a concentrarsi sul foro di un catino bucato. Lo scolapasta è l’intero Occidente che sta fallendo sotto il peso del suo debito pubblico aumentato del 50% in media in vent’anni. I Paesi emergenti, il cosiddetto BRIC: Brasile, Russia, India e Cina, hanno un debito pubblico contenuto e stanno comprando quello occidentale. Se la Cina vendesse tutti i titoli di Stato americani che possiede, pari a 883,5 miliardi di dollari, gli Stati Uniti potrebbero fallire.
Il mondo si sta spostando a Sud e a Est. Il PIL dei Paesi del BRIC sta per superare quello del G6 (Germania, Italia, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone). I Paesi del BRIC hanno un debito pubblico rapportato al PIL molto basso: Russia 6%, Cina 18%, Brasile 45%, India 59%. L’Italia, per dire, è al 118% con 80 miliardi di euro di interessi annui da pagare, una cifra che ammazzerebbe un elefante. Gli Stati Uniti stanno per raggiungere l’Everest dei 14.000 miliardi di dollari di debito pubblico dai 6.000 miliardi del 2002. In passato le guerre si combattevano con le armi, oggi si combattono con il debito pubblico. Chi compra il tuo debito diventa il tuo padrone.
Gli Stati Uniti, il Paese più indebitato, è responsabile del 50% delle spese militari mondiali. Una enormità. La Russia, l’antagonista storico, spende il 3,5%. Gli Stati Uniti trasformano il debito in armamenti. In pratica chi compra titoli di Stato statunitensi finanzia la guerra in Afghanistan o le basi militari di Dal Molin di Vicenza e di Okinawa in Giappone dove sono accampati da 65 anni. L’Impero Romano crollò sotto la spinta dei barbari ai suoi confini. Le sue legioni si ritirarono dal Reno alla Britannia. Gli Stati Uniti forse seguiranno la stessa sorte per l’impossibilità economica di mantenere 716 basi militari in 40 Paesi.

Da Il tramonto dell’Occidente, di Beppe Grillo.
[grassetto nostro]

Cartolina da Vicenza alluvionata

E’ evidente: la nuova base militare in costruzione al Dal Molin non rappresenta l’unico esempio dello scempio territoriale del nordest; strade e villette, capannoni industriali e tangenziali, aree commerciali e residenziali: la cementificazione e l’impermealizzazione del territorio passano anche per queste opere, spesso inutili, che hanno trasformato il Veneto da territorio agricolo a reticolo metropolitano.
Ma escludere – come alcuni vorrebbero fare – la cementificazione statunitense del Dal Molin dai fattori che hanno contribuito all’alluvione significa voler difendere a priori un’imposizione che gran parte della cittadinanza non voleva, consapevole dei danni che avrebbe prodotto.
Gli abitanti del quartiere Produttività, di fronte al Villaggio del Sole, non ricordano di essere stati inondati anche quando altrove l’acqua entrava nelle case. Non si era mai visto Viale Diaz trasformato in un torrente. Cosa è successo?
Un anno fa abbiamo segnalato che l’argine sinistro del Bacchiglione, lungo il percorso che costeggia la costruenda base, era stato rialzato a scapito di quello di destra. Nella mappa prodotta il 7 marzo 2007 dal Genio Civile di Vicenza, Distretto Idrografico Nazionale dei fiumi Brenta-Bacchiglione, a firma del Dirigente responsabile Dott. Ing. Nicola Giardinelli, si vede come l’area del Dal Molin è zona di esondazione in due specifici punti indicati da una vistosa freccia nera. Un punto è nel cono di volo nord dell’area, all’altezza della presa che va verso la zona del Maglio, ed un punto è a ovest in località ponte del Bo. Entrambi i punti sono interni all’area della costruenda base.
L’ing. Guglielmo Vernau spiega che «l’aver alzato gli argini ha impedito che l’acqua trovasse sfogo nell’area del Dal Molin; essa, quindi, ha proseguito la sua corsa devastante verso sud aggravando la situazione delle aree urbane di Viale Diaz, Viale Trento e Villaggio Produttività. In poche parole, la nuova base ha impedito che l’area del Dal Molin costituisse una sorta di camera di compensazione che ritardasse e attenuasse le conseguenze dell’alluvione nella parte abitata della città».
E così, Vicenza si è trovata con l’acqua alla gola, mentre gli statunitensi se ne sono restati all’asciutto, grazie all’innalzamento dell’argine costato più di un milione di euro e pagato dai contribuenti italiani. Tanto che, mentre le ruspe sgomberavano le strade dal fango a Caldogno e Vicenza, dentro al perimetro del cantiere statunitense si era già ricominciato a lavorare, per cementificare e impermealizzare ulteriormente il territorio.

Da Alluvione? Non per tutti: gli statunitensi all’asciutto grazie ai nostri soldi.

CMC – Cooperativa Militarista Collaborazionista

Codice etico zero ma milioni e milioni di euro fatturati con le Grandi Opere dal devastante impatto ambientale (Ponte sullo Stretto, TAV, Quadrilatero Marche-Umbria, ecc.) e finanche con la nuova base dell’esercito USA al Dal Molin di Vicenza. Ma l’appetito vien mangiando e con l’autunno è giunta una commessa che fa tramontare irrimediabilmente l’immagine “sociale” della CMC – Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna, l’azienda leader del settore costruzioni della Lega delle Cooperative. Il 24 settembre 2010, il Comando d’ingegneria navale del Dipartimento della Marina militare degli Stati Uniti d’America ha assegnato alla società ravennate i lavori per realizzare a Sigonella un megacomplesso per le attività di manutenzione dei Global Hawk, i sofisticati aerei di spionaggio telecomandati delle forze armate USA e NATO, buona parte dei quali destinati ad operare dalla base siciliana. La CMC avrà tempo 820 giorni per completare quella che è stata definita dal Pentagono come un’opera d’«importanza strategica» per gli interessi USA in Europa, Africa e Medio oriente. Il Dipartimento della difesa ha dovuto sostenere un faticoso braccio di ferro con il Congresso per ottenere l’autorizzazione a realizzare il cosiddetto Global Hawk ACFT Maint Facility Sigonella Sicily. La richiesta è stata accolta solo a fine 2009: 31 milioni e 300mila i dollari posti in budget ma la CMC, contractor di fiducia del Pentagono, ha ritenuto conti alla mano di poter fare tutto e bene con metà dei fondi a disposizione. Il contratto firmato è di “soli” 16 milioni e 487mila dollari.
(…)
Nella grande base militare siciliana la CMC è ormai di casa ininterrottamente dall’ottobre 1996, quando ottenne dal Dipartimento della Difesa i lavori del cosiddetto piano “Mega II” consistenti nella «demolizione e ricostruzione di 4 edifici a NAS 1, e d’infrastrutture aeroportuali e nuovi edifici amministrativi a NAS 2», per un valore complessivo di 88,5 miliardi di vecchie lire. In quell’occasione i vertici d’Impregilo – altro grande colosso delle costruzioni ed odierno partner della coop nei lavori per il Ponte di Messina – denunciarono che la CMC si era aggiudicata la gara con un’offerta di 2 miliardi e mezzo di lire superiore alla propria. «La Marina militare USA che ha commissionato l’opera, ha scelto noi premiando la qualità del progetto che prevede un costo superiore a quello proposto da altre imprese concorrenti. Gli americani, insomma, hanno avuto fiducia nella nostra affidabilità», fu la risposta dell’allora ed odierno presidente della società ravennate Massimo Matteucci, neoeletto presidente del consiglio di sorveglianza del Consorzio Cooperative Costruzioni CCC di Bologna, il socio CMC nei lavori per la nuova base di Vicenza.
Da allora il flusso di denaro USA nelle casse della CMC è stato inarrestabile. Stando alle stime del Pentagono, nel solo periodo compreso tra il 2000 e il 2007, alla CMC sono stati assegnati lavori per 193 milioni e 144mila dollari, tutti a Sigonella.
(…)
La CMC di Ravenna ha pure tentato d’inserirsi, sino ad ora con poca fortuna, nel grande business dei complessi turistico-immobiliari e dei villaggi destinati al personale USA di stanza a Sigonella. Nel sito web della Koyné Progetti Srl di Ravenna, si accenna alla stesura nel 2005 – per conto della coop di costruzioni – del «layout preliminare del “Residence Saia di Roccadia”». Nove palazzine-alloggio circondate dal verde e campi sportivi nel territorio dei comuni di Lentini e Carlentini perché i militari d’oltreoceano possano vivere con il massimo confort le licenze dai teatri di guerra africani e mediorientali.

Da Marchio Legacoop sui Global Hawk delle forze armate USA, di Antonio Mazzeo.
[Grassetto nostro]

Pizzarotti collaborazionisti d.o.c.

Non poteva che chiamarsi “Residence degli aranci” il complesso di Mineo che ospita 404 unità abitative per i militari USA di stanza nella base di Sigonella. Occupa un’area di 25 ettari nel cuore della piana di Catania, terra di agrumi, a due passi dalla statale che scorre veloce sino al mare, il Mediterraneo. Il residence a stelle e strisce è una struttura off-limits autosufficiente. Le villette, 160 mq di superficie su due livelli, giardino indipendente con prato inglese e megabarbecue, hanno una capacità ricettiva sino a 2.000 persone e sono dotate di tutti i confort. Nel residence trovano posto alcuni edifici adibiti ad uffici per il personale dell’US Navy, la sala Telecom, un supermercato, un bar, la palestra, un centro ricreativo con asilo, la sala per le funzioni religiose, la caserma dei vigili del fuoco, 12 ettari di spazi verdi con campi da tennis, baseball e football americano, aree di gioco attrezzate per bambini. L’approvvigionamento idrico, computerizzato, fornisce 20 litri d’acqua potabile al secondo, la copertura del fabbisogno di un comune di 10.000 abitanti. L’acqua giunge da un pozzo privato nel territorio di Vizzini distante 20 km, grazie ad un acquedotto realizzato nel 2006 dalla società costruttrice e proprietaria del “Residence degli aranci”, la Pizzarotti Spa di Parma.
Per conto dell’US Navy, la Pizzarotti si occupa della gestione e della manutenzione degli impianti elettrici, idrici e del depuratore, della pulizia di strade e marciapiedi, delle attività di giardinaggio, della raccolta differenziata dei rifiuti. Entro dicembre installerà nel complesso un impianto fotovoltaico da un megawatt che verrà posizionato su 105 abitazioni. Standard di vita a cui solo pochi autoctoni possono aspirare ma che lasciano tuttavia insoddisfatti gli esigentissimi militari statunitensi.
(…)
La Pizzarotti è una delle principali aziende italiane contractor delle forze armate USA. Solo nell’ultimo decennio ha fatturato per conto del Dipartimento della difesa qualcosa come 134 milioni di dollari. Già nel 1979 le era stata affidata la costruzione di una serie di infrastrutture a Sigonella quando la base era stata scelta come centro operativo avanzato della Rapid Deployment Force, la Forza d’Intervento Rapido statunitense. A metà anni ‘80 la Pizzarotti partecipò pure alla costruzione di numerose infrastrutture nella base di Comiso (Ragusa), utilizzata per l’installazione di 112 missili a testata nucleare Cruise. Quindici anni dopo la società realizzò a Belpasso (Catania) il villaggio “Marinai”, anch’esso destinato ai militari di Sigonella, con 526 unità abitative e 42 ettari di estensione. Il contratto d’affitto con il Pentagono scade nel 2015 ma non dovrebbero esserci problemi per una sua estensione. Anche a Belpasso la Pizzarotti cura per conto dell’US Navy la gestione e la manutenzione di infrastrutture e servizi.
Sempre in ambito militare, ha eseguito i lavori di ristrutturazione ed ampliamento delle banchine della (ex) base navale di Santo Stefano (arcipelago de La Maddalena), utilizzata sino alla primavera 2008 come base appoggio per i sottomarini nucleari di stanza nel Mediterraneo. Alla Maddalena, la Pizzarotti è attualmente impegnata alla costruzione di una cinquantina di alloggi per il personale della Marina militare italiana. Tra il 2004 e il 2007, la società ha operato all’interno della base US Army di Camp Darby (Livorno) per la realizzazione di una piccola tratta ferroviaria interna e di 7 nuovi edifici da adibire a depositi. Nella base aerea di Aviano (Pordenone), Pizzarotti Spa è stata chiamata invece per ampliare i locali adibiti a servizi e casermaggio. Molto più rilevanti i lavori eseguiti a Vicenza. A metà anni ’90 Pizzarotti ha realizzato a Camp Ederle un complesso di edifici residenziali per 300 marines (costo 20 milioni di euro). Recentemente, in associazione con l’azienda tedesca Bilfinger Berger, ha invece consegnato all’US Army un nuovo polo sanitario avanzato, costo 47,5 milioni di dollari. A Vicenza Pizzarotti si è però visto soffiare l’appalto più ambito, quello per la trasformazione dell’ex aeroporto Dal Molin nella mega-cittadella della 173^ Brigata Aviotrasportata USA, vinto dalle “coop rosse” di Bologna e Ravenna. Poca fortuna pure a Quinto Vicentino, dove nonostante un pre-accordo del 2006 con il Comando statunitense per la realizzazione di un villaggio di oltre 200 abitazioni (valore stimato 50 milioni di dollari), c’è stato uno stop all’iter progettuale da parte degli amministratori locali.
Pizzarotti vanta pure la realizzazione di un invidiabile elenco di opere “civili”, alcune delle quali dall’altissimo impatto socio-ambientale:
(…)

Da Grandi affari a Mineo con il villaggio dei marines di Sigonella, di Antonio Mazzeo.
[grassetto nostro]

Politiche del lavoro made in USA

Lo chiamano hiring freeze. Congelamento delle assunzioni. Per una volta italiano e inglese suonano simili. Lo stop al reclutamento di dipendenti italiani a Camp Ederle scadrà il 30 settembre 2011, salvo contrordini. La decisione è stata comunicata alla garrison della base vicentina da Donald Copson, vice responsabile del personale civile del dipartimento dell’esercito in Europa. La notizia era nell’aria dopo il via libera al taglio di 91 dipendenti italiani nelle basi di Napoli e Sigonella. La precedenza per coprire nuovi posti sarà accordata agli esuberi delle caserme americane del Sud.
La nota è del 1 settembre, dopo il flop del vertice Italia-USA del 31 agosto, quando a Grisignano di Zocco si è riunito il JCPC, vale a dire il Joint Civilian Personnel Committee, un organismo che si riunisce annualmente per discutere con i rappresentanti dei sindacati italiani i livelli salariali ed eventuali contrazioni di organico, che nel gergo a stelle e strisce vanno sotto il nome di Rif, ovvero Reduction in force. Il comitato fa sintesi delle esigenze di marina, aviazione ed esercito per tutte le basi statunitensi attive sul territorio italiano. All’incontro hanno preso parte anche Fiscascat Cisl e Uiltucs Uil. L’esito è presto riassunto da Roberto Frizzo della Uil: «Abbiamo dialogato con sordi. Per la prima volta negli ultimi 20 anni non si riesce a trovare un accordo. Per questo, abbiamo abbandonato la trattativa». Aggiunge Ronald Carpenter della Cisl: «Abbiamo cercato il dialogo in tutti i modi, ora intervenga la politica».
(…)
Un ulteriore elemento di eccezionalità è collegato alla prossima attivazione della Ederle 2: l’inaugurazione della caserma in fase di costruzione al Dal Molin è fissata tra due anni. Il 2011, quindi, sarà un anno strategico per preparare il terreno alla riunificazione dei sei battaglioni che formano la 173a brigata aviotrasportata. Le prossime assunzioni saranno pianificate in vista dell’ampliamento al Dal Molin, una prospettiva che i sindacati hanno sempre quantificato in almeno 300 nuovi dipendenti. Ai tempi del dibattito nazionale sul progetto della Ederle 2, tra il 2006 e il 2007, spesso erano state evocate ricadute positive sul mercato del lavoro locale. Il blocco delle assunzioni e il ricollocamento degli esuberi da Campania e Sicilia ridimensiona i progetti iniziali? Cisl e Uil da tempo denunciano il rischio che i vicentini rimangano a mani vuote: «Se nel bilancio nazionale si annunciano cento assunzioni da una parte e cento tagli dall’altra, rischia di diventare quello che dalle nostre parti chiamiamo il gioco dei bussolotti», commenta Peruffo. «È una presa in giro per la città – rincara la dose Frizzo – in questa fase il dialogo è zero, la politica vicentina deve farsi carico di queste problematiche».

Da Basi USA: gli esuberi di Napoli e Sigonella assorbiti alla Ederle, di Gian Marco Mancassola.

Standing Army

L’elezione di Obama è stata accolta in tutto il mondo come l’inizio di una stagione politica radicalmente diversa da quella di Bush. Una stagione orientata alla pace e al dialogo. E gli appassionati discorsi del neopresidente americano sembrerebbero giustificare questa speranza.
Ma nell’ambito della politica estera e militare, la nuova amministrazione differisce davvero così tanto da quelle precedenti?
Al di là dei titoli della stampa internazionale – e del Nobel per la pace assegnato al presidente per le sue buone intenzioni – si scopre una realtà molto lontana da quella ufficiale: ad esempio, il primo budget militare del nuovo governo (ben 680 miliardi di dollari) supera persino gli ultimi stanziamenti per le truppe dell’era Bush.
Dove vanno a finire tutti questi soldi?
In gran parte servono a finanziare l’immensa rete di basi militari americane all’estero: a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, ne restano ancora 716, sparse in quaranta Paesi nel mondo. Come si spiega, quindi, questa aggressiva politica espansionistica alla luce della crisi economica e della retorica pacifista di Obama? Chi tira le fila della politica estera USA?
Su questi temi riflettono gli autori del documentario e del volume di approfondimento Standing Army. Un’inchiesta a trecentosessanta gradi sulle basi militari americane nel mondo, che unisce alle parole di esperti mondiali – quali Noam Chomsky, Gore Vidal, Chalmers Johnson, Edward Luttwak – le scioccanti testimonianze di chi è stato toccato in prima persona dalla presenza delle basi: gli abitanti di Vicenza, che si oppongono a una nuova struttura militare a pochi passi dal centro cittadino; la popolazione dell’isola giapponese di Okinawa, che condivide il suo piccolo lembo di terra con 25.000 soldati statunitensi; gli indigeni dell’isola di Diego Garcia (Oceano Indiano), cacciati per far spazio a un campo militare americano; e gli uomini e le donne che spesso vengono spediti a prestare servizio in Paesi lontani, senza sapere cosa esattamente li aspetterà.

Fazi Editore
Thomas Fazi, Enrico Parenti
Standing Army
Documentario + Libro
pp. 64 + dvd- euro 19,90

La certezza del diritto

Roma, 28 maggio – Le basi militari USA nel nostro Paese? Sono ben viste dalla maggioranza delle popolazioni locali. Lo rileva la Cassazione nel confermare una condanna a dieci mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio nei confronti di Luca Casarini e di un gruppo di No Global che il 21 febbraio di sette anni fa alla stazione ferroviaria di Monselice (Padova) diedero vita ad una manifestazione per impedire il transito di un convoglio che trasportava armi ed altro materiale militare dalla base USA Setaf alla base di Camp Darby a Pisa.
Nel confermare le condanne già inflitte dalla Corte d’Appello di Venezia, piazza Cavour sente la necessità di rilevare che “sia la base militare di Vicenza sia quella a Pisa, in uso all’esercito degli Stati Uniti d’America sono state regolarmente autorizzate dallo Stato italiano e non sono viste dalla maggioranza delle popolazioni locali con ostilità e avversione data dalla tradizionale amicizia e il comune modo di sentire che ha sempre contraddistinto i rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America”.
Inutile, dunque, la difesa di Casarini e degli altri No Global volta a dimostrare che l’intento di tutti i manifestanti “era stato solo quello di protestare contro il transito di un solo treno speciale carico di armi dell’esercito americano destinato alla futura guerra preventiva contro l’Iraq”. La prima sezione penale (sentenza 20.312) ha respinto i ricorsi e, nel ricordare che all’epoca dei fatti non era ancora stata approvata dal Parlamento la legge che ha consentito di inviare contingenti armati in Iraq, ha voluto sottolineare come le basi militari USA in Italia non siano osteggiate dalla “maggioranza” dei cittadini.
(Adnkronos)

Festa PER la liberazione

25 Aprile 2010
ore 15,00
Sala Convegni Convitto Carlo Alberto
Baluardo Partigiani n.6/8
Novara

Parleranno:
Giacomo Verrani – Assemblea permanente NO F-35
Simone Bartolo – Circolo Banditi di Isarno
sen. Fernando Rossi – Coordinamento di Per il Bene Comune
Gianni Lannes – Giornalista e scrittore (autore di NATO: colpito e affondato. La tragedia insabbiata del Francesco Padre)

in diretta video dalle 15 alle 18 su perilbenecomune.net

Nella discussione parleranno i rappresentanti dei Comitati e delle Associazioni che sui loro territori sono impegnate ad ottenere la chiusura o la non costruzione di nuove basi militari e di nuovi depositi di bombe nucleari in Italia.

25 Aprile 1945 / 25 Aprile 2010
A 65 anni dalla fine della guerra, l’Italia è ancora militarmente e politicamente occupata.
Negli anni tutti i nostri Governi, centrosinistra e centrodestra, si sono indebitati per miliardi di Euro, per pagare il mantenimento delle basi e dei depositi nucleari americani in Italia e per fare tutte le guerre da loro volute.
Tali basi furono collocate in Italia, Germania e Giappone perché gli USA ci considerarono nazioni sconfitte e conquistate; poi, con la guerra fredda contro l’Unione Sovietica, il loro numero crebbe sempre di più.
Tuttora, nonostante l’attuale crisi stia producendo milioni di disoccupati, sottoccupati e precari, nonché sottrazione di risorse alla scuola, alla sanità, ai beni ed ai servizi pubblici, stiamo accumulando nuovi debiti pur di assecondare la loro volontà di venderci nuove armi (13 miliardi di Euro, solo per l’acquisto dei caccia bombardieri F-35), di realizzare una nuova base militare a Vicenza (alla faccia di “padroni in casa nostra”), di trascinarci in nuove guerre (Iran).
L’amicizia con il popolo americano non passa dalla sudditanza ai loro banchieri che vogliono governare il mondo con le armi, le guerre e il terrore.
Noi, come il popolo americano, come recita la nostra Costituzione e come era nello spirito di quel lontano 25 Aprile, vogliamo essere un popolo sovrano e indipendente.

Lista civica nazionale – Per il Bene Comune
P.le Stazione 15, Ferrara – tel./fax 0532 52148
info@perilbenecomune.net

Qui il volantino dell’iniziativa.

Memento, Italia!

Caro Ministro Frattini, forse Lei non comprenderà mai, ma noi siamo amici dell’Italia. A noi non piace vedere il Suo paese umiliato, costretto a mettere in atto i diktat di una potenza in declino e di un regime criminale, solo perchè nel 1945 avete perso la guerra.
Non crediamo che rientri nella dignità del paese Italia il fatto che le decisioni vengano prese a Villa Taverna invece che a Montecitorio, al Quirinale, a Palazzo Madama, al Colle ed ecc… .
Non è bello vedere che Calipari muore solo perché “non ha ascoltato gli ordini dei padroni” e ha negoziato con i rapitori della Sgrena per poterla liberare.
Non è bello che Vicenza venga svenduta contro la volontà della sua popolazione per allargare una delle 120 basi militari americane sul vostro territorio dove vi sono, dicono i media italiani, 90 bombe atomiche.
Non è bello che le povere famiglie che hanno perso i loro cari durante la tragedia del Cermis siano rimaste senza giustizia.
L’Italia sta ricommettendo un errore storico: negli anni ’30 si mise con la potenza più forte del momento e sappiamo tutti come andò a finire; oggi si mette con la potenza più forte del momento e anche con Israele, ma vogliamo scommettere che finirà anche peggio?

Da Iran/ Italia: “Alla cortese attenzione del Ministro Frattini”.

Un 31 dicembre come si deve

Che ci sia una gran differenza tra il clima primaverile che si respirava il 17 febbraio 2007 – quando 150 mila persone sfilarono contro la nuova base militare statunitense – e la cappa grigia che sovrasta Vicenza in queste settimane è scontato e banale: basta gettare lo sguardo all’interno del Dal Molin, o osservare l’area dal piazzale di Monte Berico, per sentire, come fosse un pugno allo stomaco, la differenza tra allora e oggi.
Il cantiere, infatti, procede a gran velocità: una ventina di gru e decine di camion e betoniere spostano ogni giorno tonnellate di materiali, mentre a nord si alzano, come montagne, i cumuli di macerie e a sud si intravvedono gli scheletri delle prime costruzioni tra gli alberi abbattuti. In città, intanto, è calato il gelo, con le forze dell’ordine che controllano militarmente il territorio – è sufficiente passare in auto intorno al Dal Molin per rendersene conto – e sorvegliano, aiutate dalla tecnologia, i suoi abitanti mentre la mobilitazione, fino a oggi, non ha trovato strumenti efficaci per battersi concretamente contro l’imposizione in atto.
Insomma, più di qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci stanno ancora a fare due tendoni piantati nei campi di Ponte Marchese e quale sia il sadico gusto che porta decine di persone, ogni settimana, a riunirsi sotto dei teloni bianchi. Perché, è evidente, se l’obiettivo era fermare la prima ruspa – come dicevano in coro 150 mila persone il 17 febbraio 2007 – questo non è avvenuto. E a poco valgono le discussioni sul perché ciò non si sia realizzato. Limiti del movimento? Tanti, come per ogni movimento. Paure per le conseguenze? Ovvie, come capita a ogni donna e uomo. Discontinuità? Scontata, visto che coloro che si sono mobilitati sono genitori e lavoratori, studenti e nonni con i proprii impegni. Ma, più di tutto, pesa lo scarpone di chi quest’opera la vuole imporre e che, per farlo, ha limitato di spazi di democrazia e calpestato la libertà – individuale e collettiva – su cui dovrebbe fondarsi la convivenza.
Ma, come sempre avviene nelle vicende umane, c’è, per l’appunto, un “ma”. E sta nell’impegno – anche questo individuale e collettivo – assunto in quell’ormai lontano 17 febbraio 2007; quando ci dicemmo, faccia a faccia, che avremmo «resistito un minuto in più di chi vuole la nuova base militare»; e quel minuto non scocca con l’accensione dei motori della prima ruspa, con il montaggio della prima gru, con la costruzione della prima palazzina: perché un’imposizione è inaccettabile prima che avvenga, ma lo è altrettanto – e di più – dopo. E non si tratta di una questione filosofica, si tratta di dignità.
(…)
Ecco perché il capodanno lo festeggeremo con una fiaccolata intorno all’area del cantiere; è un modo per denunciare quanto sta avvenendo al di là delle reti, ma soprattutto è un modo per presentare al mondo il nostro 2010: un altro anno di mobilitazione; perché, come si diceva il 17 febbraio 2007, noi «resisteremo un minuto in più di chi vuole la nuova base».

Fonte: nodalmolin.it

Qui un video della fiaccolata.

Altolà al MUOS dal Comune di Niscemi

Alt dell’amministrazione comunale di Niscemi all’installazione del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare MUOS della Marina militare USA all’interno della riserva naturale “Sughereta”. Con provvedimento firmato dal Capo ripartizione all’urbanistica, indirizzato all’US Naval Air Station di Sigonella, al Dipartimento dell’US Navy di Napoli-Capodichino, all’Assessorato regionale territorio ed ambiente, all’Azienda regionale foreste demaniali, all’Arpa Sicilia ed alla Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali di Caltanissetta, è stato disposto l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione ambientale rilasciata il 9 settembre del 2008 per la costruzione del potente impianto a microonde in contrada Ulmo, accanto alla base dell’US Navy oggi utilizzata per la trasmissione degli ordini di guerra alle unità navali e ai sottomarini nucleari in transito nel Mediterraneo e nel Golfo Persico.
(…)
La revoca del nulla osta al programma MUOS giunge dopo la consegna al Comune di una relazione tecnica sui possibili impatti dell’impianto sulla flora e la fauna dell’importante area protetta, a firma di tre professionisti siciliani. La relazione aveva bocciato inesorabilmente la documentazione sulla valutazione d’incidenza presentata nell’estate del 2008 dalla US Navy, definendola «discordante, insufficiente e inadeguata».
«Adesso devono intervenire la Regione e le Istituzioni Nazionali affinché venga evitato l’ennesimo attacco alla vita dei siciliani» ha dichiarato il sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino. «Noi continueremo la nostra protesta contro l’installazione delle antenne MUOS, insieme agli altri sindaci e associazioni che hanno a cuore la dignità dei cittadini. A breve faremo una conferenza stampa con i sindaci dei Comuni che si oppongono alla realizzazione del MUOS, per elaborare una nuova strategia d’intervento».
(…)
Sullo stato di avanzamento dei lavori all’interno della stazione di trasmissione dell’US Navy di contrada Ulmo vige il più assoluto top secret. Sempre in ambito MUOS, tuttavia, sono state eseguite attività di scavo per posa cavo di collegamento in fibra ottica lungo le vie Terracini–Gori, di pertinenza comunale, e lungo la strada provinciale n. 10 Niscemi–Caltagirone. Nonostante il ritombamento, gli abitanti e alcune associazioni locali hanno rilevato «abbassamenti del materiale di riporto e di sigillo degli scavi e avvallamenti caratterizzati da un vero e proprio ammanco di centimetri di pavimentazione». Non è stato però il “Consorzio Team MUOS” a scavare al di fuori del perimetro militare, ma la Telecom Italia S.p.A., la più importante società italiana di telecomunicazione.
(…)
Siede dunque pure Telecom al banchetto delle opere del terminal terrestre di quello che è stato definito l’“EcoMUOStro di Niscemi”. Si tratta in fondo di una società leader proprio nell’installazione ed uso di fibre ottiche ed è da tempi remoti una delle aziende di fiducia del Dipartimento della Difesa per la gestione di servizi specializzati all’interno delle installazioni militari USA in Italia. Nel settembre 2008, ad esempio, il Centro direzionale di Napoli di Telecom Italia ha sottoscritto tre contratti con il Fleet and Industrial Supply Center (FISC) di Sigonella per un importo complessivo di 212.982 dollari per la fornitura di «apparecchiature telefoniche» e di «servizi di manutenzione d’infrastrutture elettroniche e di comunicazione». Sempre nel 2008 è stato firmato un contratto tra la FISC Sigonella e la sede centrale romana di Telecom, nell’ambito di un pacchetto d’interventi nelle basi USA per un valore di 3.252.938 dollari. Per la cronaca, uno dei consiglieri d’amministrazione di Telecom Italia è l’ingegnere Elio Catania, siciliano, già presidente di IBM Latin America con sede a New York, odierno membro del consiglio di gestione di Banca Intesa San Paolo e vicepresidente del Consiglio per le Relazioni fra Italia e Stati Uniti (CRISU), organismo ultraconservatore sorto nel 1983 su iniziativa di Gianni Agnelli e David Rockefeller .
Della lobby nazionale pro-forze armate USA fa pure parte “The OK Design Group”, società d’ingegneria con sede centrale a Roma e filiali a Virginia Beach (Stati Uniti) e Tripoli (Libia), amministrata da Tito Vespasiani. È stata proprio “The OK Design” a firmare il progetto preliminare ed esecutivo della nuova stazione di telecomunicazione satellitare di Niscemi. Ma non esiste installazione delle forze armate statunitensi che sia rimasta indenne dai progetti e dagli studi dell’azienda romana. «Il nostro maggiore cliente è stato lo US Department of Defense con progetti eseguiti per lo US Navy, l’Army e l’Air Force in numerose installazioni militari che includono Aviano, Camp Ederle, Camp Darby, NSA Napoli, Gaeta, Capodichino, Sigonella, Niscemi in Italia, NAVSTA Rota in Spagna, Incirlik, Ankara e Sinop in Turchia, Hanau, Illesheim e varie altre basi in Germania, Mons in Belgio, Marocco, Libia, Capo Verde in Africa», si legge nel sito web del gruppo d’ingegneria. «I clienti includono inoltre la US Agency for International Development (USAID), la NATO, lo SHAPE, la FAO, il WFP, l’IFAD delle Nazioni Unite in Roma».
(…)
Onnicomprensiva la lista degli interventi nelle altre grandi installazioni militari statunitensi. Lo scorso anno, ad esempio, l’U.S. Army Garrison di Vicenza gli ha commissionato lo studio e la progettazione dei sistemi di distribuzione dei servizi a Camp Ederle. A Camp Darby (Pisa) l’OK Design Group ha progettato la costruzione del nuovo edificio commerciale, 17 depositi-magazzini dell’US Army e 9 dell’US Air Force, più due edifici destinati al controllo munizioni e al carico e scarico di container e camion. Nella base toscana è stato infine realizzato uno studio di fattibilità per la riparazione e la ristrutturazione del sistema stradale nell’area “Casermette”. Nella grande stazione aerea dell’US Air Force di Aviano (Pordenone), l’OK Design Group ha progettato buona parte delle infrastrutture del cosiddetto “Piano Aviano 2000”, come i nuovi edifici destinati ad alloggi ed uffici del personale statunitense, l’ingresso lato sud della base «in accordo con i requisiti di antiterrorismo», un ospedale, una clinica specializzata per avieri (Flight and Bioengineering Clinic), un complesso commerciale di circa 13.000 m2 (Commissary Complex), una centrale idraulica con annesso sistema di distribuzione domestica e antincendio, i sistemi elettrici delle Aree 1 & 2, un serbatoio sopraelevato da 460 m3 interlacciato a fibra ottica, un asilo nido. Ad Aviano è stata eseguita infine l’ispezione della rete elettrica di media tensione. Complessivamente, tra il 2000 e il 2008 l’OK Design Group ha ricevuto dal Dipartimento della Difesa 7.837.674 dollari. Non male per un mero studio d’ingegneria.

Da La lobby italiana del MUOStro USA di Niscemi, di Antonio Mazzeo.
[grassetto nostro]

Danni all’immagine (di uno Stato scalcagnato)

Il processo che la procura di Vicenza ha istruito contro i No Dal Molin per l’occupazione delle prefettura di Vicenza è stato anche questa volta colpito e affondato (almeno per un po’) dalle eccezioni sollevate dal collegio degli avvocati difensori.
Se la prima volta, tre mesi fa, l’eccezione sollevata era stata essenzialmente “tecnica” e addebitabile alla difettosa consegna delle notifiche agli imputati, questa volta l’errore dei giudici, e in particolare del Pubblico Ministero Pecori, è conseguenza della fretta che lor signori avevano di portare il movimento in tribunale e farlo condannare. Per affrettare i tempi infatti la Procura subito dopo l’occupazione simbolica della Prefettura aveva configurato la richiesta di reato in maniera tale da arrivare alla sentenza prima possibile, saltando cioè il dibattimento preliminare che è obbligatorio quando le pene richieste per reati di quel tipo sono superiori a quattro anni. Pene e reati che erano stati definiti dalla stessa Procura che per la fretta non si accorgeva che la via inforcata era troppo breve e sbagliata ovvero, come dice il classico proverbio: “La gatta frettolosa fa i gattini ciechi”!
Ma prima della conclusione, accolta comunque da una generale nostra soddisfazione, l’avvocato dello stato con un vero e proprio “coup de theatre” si è costituito parte civile contro il movimento perchè a suo dire con l’occupazione della Prefettura si sarebbe provocato un danno patrimoniale e perfino un danno all’immagine della pubblica amministrazione! Il danno patrimoniale sarebbe relativo alla questione della porta d’entrata della Prefettura che gli occupanti trovarono aperta e che invece loro dicono essere stata danneggiata per ben 960 euro – e pazienza –, ma il danno all’immagine dello Stato veramente non ce lo aspettavamo! Secondo l’avvocatura la nostra iniziativa ha “determinato, anche per effetto dell’allarme sociale suscitato ed in relazione alla risonanza provocata, un appannamento (sic) della P.A statale… con l’adozione di comportamenti …che hanno diffuso un senso di insicurezza e minaccia per l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, andando a bloccare l’attività proprio dell’organo adibito a tale compito”. Un danno allora che, secondo l’ineffabile avvocato dello stato, può essere desunto dal “grado di diffusità” della notizia e da un quantum che bontà sua quantifica in euro 1 (uno), ma per abitante! Questa notizia dell’occupazione avrebbe raggiunto secondo lui almeno gli abitanti dell’intera provincia cioè 844.000 cittadini e quindi pari a euro 844.111, che dovrebbero risarcire il danno arrecato al povero Stato italiano.
In conclusione ai vicentini oltre al danno vero ed incalcolabile subito con la concessione della base agli americani anche la beffa del risarcimento all’immagine di uno Stato scalcagnato che gliela ha concessa gratis!

Fonte: nodalmolin.it

Le cinque sorelle USA in Europa

wiesbaden

Sta sorgendo nel cuore dell’Assia, in Germania, una delle maggiori basi dell’US Army in Europa. Nell’ambito del programma di ristrutturazione della presenza militare statunitense nel vecchio continente, finalizzato alla creazione di cinque grandi centri “hub” dove concentrare i reparti delle forze terrestri e aviotrasportate (tra essi l’ex scalo aereo Dal Molin di Vicenza), il Pentagono ha dato il via a multimilionari lavori di ristrutturazione e ampliamento delle caserme e della base aerea che sorgono a Wiesbaden. Il centro è oggi sede della 1^ Divisione Armata e di una serie di reparti dell’US Army rientrati un paio di mesi fa da una lunghissima missione di guerra in Iraq.
Alla costruzione di alcune infrastrutture strategiche ove trasferire uomini, mezzi ed armamenti oggi ospitati ad Heidelberg, Mannheim e Darmstadt, sono stati destinati dal Pentagono 252 milioni di dollari. Un contratto per 125 milioni di dollari è stato sottoscritto appena qualche giorno fa dal Corpo d’Ingegneria dell’esercito USA in vista della progettazione e della realizzazione di un Centro di coordinamento delle operazioni di guerra (“Network Warfare Center”) e del nuovo comando del 7th Army (anche detto “United States Army Europe”), da cui dipendono le brigate terrestri presenti in Europa. Verrà inoltre realizzato un vasto centro operativo destinato ad ospitare la nuova stazione di controllo e comunicazioni di USAREUR, il Comando dell’US Army in Europa. “Si tratta di una struttura mai realizzata sino ad oggi, capace di ospitare sino ad un migliaio di addetti militari”, afferma USAREUR. “Grazie a questo programma infrastrutturale saranno consolidati i quartier generali di US Army e i comandi del 5th Signal, della 66^ Brigata d’intelligence e di altre unità di supporto USA, accrescendo le capacità operative delle forze terrestri nel continente”.
Nello scalo aereo di Wiesbaden sono stati avviati altri imponenti progetti di costruzione: un “Army lodge” con 164 stanze che accoglierà ufficiali e sottufficiali USA (costo 32 milioni di dollari) e un “centro ricreativo” con sale cinematografiche, bar, birreria, ristoranti, fast food, piste da ballo e bowling, slot machines e video games (8,8 milioni). A partire del 2010 partiranno inoltre i lavori per realizzare un megacomplesso residenziale con 324 villette unifamiliari destinate al personale USA e alle famiglie al seguito (133 milioni di dollari). La nuova base “hub” di Wiesbaden diverrà pienamente operativa entro il 2013, quando sarà completato il trasferimento dei reparti del 7th Army. Secondo il Comando USAEUR, grazie al “piano di consolidamento” delle forze armate in Europa, giungeranno a Wiesbaden più di 4.000 militari, portando il personale statunitense a 17.000 unità.
Il programma infrastrutturale di Wiesbaden è stato affidato dall’US Army alla società “M+W Zander Israel Ltd”, filiale israeliana della “M+W Zander” di Stoccarda, colosso del complesso industriale, militare e spaziale tedesco, operativo pure nel settore farmaceutico, delle costruzioni avanzate, delle biotecnologie, dello smaltimento dei rifiuti tossici e delle “energie alternative”. A partire dalla sua costituzione nel marzo 2004, la “M+W Zander Israel” si è accaparrata buona parte dei contratti finanziati dal Corpo d’Ingegneria dell’esercito USA per il potenziamento e l’ammodernamento delle installazioni dell’aeronautica militare israeliana in Israele e nei Territori occupati di Cisgiordania.
(…)

Da A Wiesbaden la base USA “sorella” di Vicenza, di Antonio Mazzeo.