Mentre tutti i giornali e le TV nostrane sono impegnati sulle modeste vicende politiche di casa nostra fatte di patteggiamenti di basso livello, veti incrociati, piccoli ricatti, false promesse, a molti sfugge la drammaticità del contesto internazionale dove assistiamo ad uno scontro epocale dai risvolti molto pericolosi.
Le potenze nord-atlantiche, guidate dagli USA, puntano in modo sempre più aggressivo sulla Russia di Putin, rea di non inchinarsi agli interessi imperiali statunitensi come ai bei vecchi tempi di Gorbaciov ed Eltsin. Contemporaneamente cercano di far fronte alla perdurante stagnazione economica occidentale, ed ai continui pericoli di nuove crisi, cercando di tamponare l’ascesa impetuosa di concorrenti politici ed economici, tra cui si distingue la Cina. Questo grande ex-Paese coloniale, un tempo preda privilegiata di imperialismi occidentali e giapponesi, non solo ha da tempo superato gli USA in termini di produzione globale (espressa in termini reali, cioè tenuto conto dei prezzi interni), ma ormai supera gli USA anche in settori tecnologici di avanguardia come quello dei supercomputer e della computazione quantistica.
Dopo le ridicole mai provate accuse lanciate agli hacker russi che avrebbero determinato la sconfitta della povera Clinton, ora la campagna denigratoria è stata lanciata dagli Inglesi, capeggiati dal borioso ministro degli Esteri Boris Johnson. Il cattivo Putin in persona è accusato di aver fatto avvelenare col gas Sarin (perbacco! Lo stesso che sarebbe stato usato anche in Siria!) una ex-spia di basso livello ormai in tranquilla pensione in Inghilterra da otto anni. Questa follia sarebbe stata commessa da Putin giusto alla vigilia delle elezioni presidenziali russe e dei Campionati di Calcio in Russia cui quel Paese teneva moltissimo come rilancio di immagine. Un vero autogol! Peccato che gli Inglesi, pur di fronte alle argomentate richieste russe, non abbiano fornito alcuna prova. Continua a leggere
vincenzo brandi
Siria: la luce in fondo al tunnel
Articolo di Vincenzo Brandi, inserito nella nostra pagina FB.
La retorica sui “migranti”: il colmo dell’ipocrisia
Sollecitato dall’amico Geri, vorrei esprimere una personale opinione sull’ondata di retorica e di sospetto pietismo con cui viene affrontato, specie nella sedicente “sinistra” il fenomeno dei “migranti” (ma perché “migranti”? Migranti casomai sono gli uccelli migratori che si spostano secondo cicli naturali…).
Preciso che ho sempre militato nelle file dell’estrema “sinistra” (se questo termine ha ancora un significato, fatto su cui ho molti dubbi, ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano…).
Sono lontanissimo da qualsiasi suggestione razzista, di superiorità dell’uomo bianco europeo o di missione dei popoli “civilizzati”.
Tuttavia trovo il pietismo nei confronti del fenomeno “migranti” caratterizzato da enormi dosi di ipocrisia e falsa retorica.
La prima causa dell’intensificarsi del fenomeno negli ultimi anni è certamente il contemporaneo intensificarsi di una serie di guerre scatenate dai Paesi “civili” contro Stati nuovi ed ex-coloniali, spesso su iniziative della “sinistra” (mentre la “destra” è stata in genere molto più prudente ed attenta) per presunti motivi “umanitari” e con formule del tipo “responsabilità di difendere i civili” dai “regimi” e dai “dittatori” locali.
Queste motivazioni sono state alla base della distruzione della Libia ad opera della NATO (con l’aiuto dei jihadisti locali). Il risultato è stato che un Paese che era, secondo le statistiche ufficiali dell’ONU, quello con il tenore e la qualità della vita più alti dell’Africa, ha visto la fuga di circa 2 milioni di Libici e di altri 2 milioni di Africani che lavoravano nel paese.
Ora la Libia, che prima funzionava da filtro per i lavoratori che si spostavano dall’Africa centrale, è diventato un buco nero dominato da milizie estremiste e scafisti che speculano sugli spostamenti di torme di disperati. Questi ultimi si spostano da Paesi tuttora sottoposti a sfruttamento post-coloniale da parte dei vecchi padroni (ad esempio la Francia) che in realtà non hanno mai mollato l’osso e organizzano colpi di Stato (come in Costa d’Avorio) se qualche presidente locale si mostra troppo indipendente. Oltre tutto uno dei motivi per cui fu fatto fuori Gheddafi era perché stava creando una Banca Africana per sottrarre il continente nero alle grinfie della grande finanza internazionale.
Altri Paesi riottosi, come il Sudan, o la Somalia, sono stati fatti a pezzi e altri, come l’Eritrea, sono indicati come “Stati canaglia” e sottoposti a sanzioni. Tutto questo alimenta spostamenti di popolazione e fenomeni di destabilizzazione.
Analogo discorso vale oggi per la Siria, sottoposta dal 2011 a sanzioni durissime e ad un attacco concentrico da parte dei Paesi occidentali, alleati con le peggiori dittature confessionali (come l’Arabia Saudita) e bande di jihadisti sunniti fanatici. Sei milioni di Siriani hanno lasciato il Paese, mentre altrettanti si sono dovuti spostare all’interno dalle zone occupate da Al Qaeda e dallo Stato Islamico a quelle poste sotto la protezione dell’esercito. Si badi bene che prima del 2011 nessuno fuggiva dalla Siria o si spostava all’interno. Il Paese era un modello di laicismo e tolleranza interreligiosa (Sunniti, Sciiti, Cristiani, Drusi, atei). Oggi la gente fugge, non dal “regime”, ma dalla guerra e dai terroristi fanatici diretti dall’esterno.
Discorsi analoghi possono farsi per l’Iraq, distrutto e fatto a pezzi dopo l’attacco anglo-americano del 2003 giustificato con la bugia delle “armi di distruzione di massa” e per l’Afghanistan invaso nel 2001 con la scusa della “guerra al terrore” e dove i combattimenti infuriano da 16 anni. Siriani, Afghani, Iracheni, Libici, Africani sub-sahariani formano almeno i due terzi dell’immigrazione complessiva.
E non dimentichiamo l’immigrazione dall’Est Europa, sottoposta alle delizie del capitalismo internazionale. Molti immigrati vengono dalla Romania che, ai tempi del tanto deprecato Ceausescu, conosceva una situazione di piena occupazione e non aveva debito estero. Oggi la popolazione rumena è diminuita di vari milioni rispetto a quei tempi per l’emigrazione massiccia. Situazioni analoghe si hanno, ad esempio, per Ucraina e Moldavia, mentre la Bielorussia, dove il presunto “dittatore” Lukaschenko ha mantenuto molte delle vecchie istituzioni sovietiche, se la passa molto meglio.
Infine, come ultimo esempio, ricordiamo la sfortunata Jugoslavia: prima massacrata dal Fondo Monetario Internazionale cui i dirigenti “riformatori” post-Tito si erano incautamente affidati; poi travolta dagli odi interreligiosi ed interetnici opportunamente alimentati dall’esterno (il presidente musulmano della Bosnia, Itzebegovic, appoggiato dagli estremisti di Al Qaeda, fu fatto passare per un “democratico”); infine bombardata e smembrata definitivamente dalla NATO (con la benedizione del nostro baffetto D’Alema).
Ma, anche se le ragioni dell’immigrazione clandestina, che cresce ogni giorno, fossero puramente economiche, avrebbe un senso la parola d’ordine: “facciamoli entrare tutti”?
Una parola d’ordine del genere può essere forse giustificata in bocca al Papa, visto che la Chiesa pratica il pietismo e la carità per motivi ideologici ed identitari, ma suona stonata e demagogica se pronunciata dai portavoce dell’ex-sinistra o addirittura da settori movimentisti dell’estrema “sinistra”. Sembra quasi che certi settori politici (come il PD, ma non solo), per far dimenticare il fatto di aver abbandonato tutti i loro programmi e le parole d’ordine più qualificanti, si affidino ad una demagogia umanitaria, di cui la difesa dei “migranti” è uno dei punti più caratteristici.
Nel mondo siamo ormai circa 7 miliardi. Ben oltre la metà della popolazione è povera o sull’orlo della povertà. Si può ragionevolmente risolvere il problema con emigrazioni di massa, di stampo biblico? Si può pensare che fenomeni del genere non abbiano effetti destabilizzanti e che possano risolvere il problema della povertà di massa?
E’ evidente che solo assicurando uno sviluppo adeguato dei Paesi di provenienza, rinunciando a sfruttarli, a sottoporli al ricatto finanziario del debito, alle aggressioni militari se cercano di rendersi indipendenti, si potranno dare soluzioni al problema. Altrimenti molti degli ex-Paesi coloniali faranno da soli, come ha fatto la Cina che è diventata la massima potenza mondiale di produzione di beni.
Intanto il fenomeno corrente non può non essere regolamentato, accettando solo quelle persone che richiedono realmente un asilo politico (ad esempio, so per esperienza diretta che molti ragazzi eritrei in cerca di fortuna ed avventura si fingono perseguitati per essere accolti) e, per quanto riguarda gli immigrati “economici”, accettare solo quelli che possano essere integrati con mutua soddisfazione, nostra e loro, evitando che siano ferocemente sfruttati in nero, o ridotti all’accattonaggio, alla prostituzione, o alla delinquenza. Si tratta di razionalizzare e sveltire tutte le procedure finalizzate a questa strategia.
Infine, non si possono non denunciare tutti quei settori che alimentano e si servono del fenomeno per propri fini, ammantandoli di bugie umanitarie. Schematicamente questi settori possono essere così indicati:
– alcuni settori capitalisti dei Paesi sviluppati che si servono dell’ondata immigratoria per abbassare i salari e le pretese dei lavoratori locali. In questa ottica vedo anche le dichiarazioni irresponsabili della Merkel di un paio di anni fa “venite tutti”, fatte in un momento in cui l’economia tedesca era in ascesa ed aveva bisogno di braccia, salvo poi essere costretta a fare marcia indietro. In quest’ottica ritengo sbagliato liquidare alcune obiezioni della Lega o di alcuni governi europei (ad esempio, Ungheria) come pure manifestazioni di razzismo;
– alcuni settori capitalisti e finanziari statunitensi, o di altri Paesi concorrenti della UE, che cercano di favorire il fenomeno in funzione destabilizzante della “concorrenza”. Questo tipo di azioni può avere anche risvolti di destabilizzazione politica e ricatto (vedi ad esempio i ricatti e le minacce della Turchia di Erdogan che si riserva di aprire i rubinetti dell’emigrazione);
– alcune ONG, opportunamente finanziate e manovrate da alcuni Paesi, che alimentano il traffico di carne umana, mandando, ad esempio, le loro navi in prossimità delle coste libiche a prelevare orde di disperati con la complicità di milizie jihadiste e scafisti locali. Alcune di queste ONG vanno per la maggiore, come Amnesty International e Save the Children, notoriamente finanziate da istituzioni e finanzieri USA (come George Soros) e che si attengono strettamente alla politica statunitense in tutte le crisi internazionali. Medici senza Frontiere è invece più legata alla politica francese, com’è dimostrato dalla figura del suo carismatico ex-presidente Kourchner, divenuto poi Ministro degli Esteri di Sarkozy, e grande sponsor delle guerre in Jugoslavia e Libia. Esiste poi una galassia di ONG più piccole create appositamente per gestire questo nuovo commercio degli schiavi sotto sembianze solidaristiche. Tutte queste ONG, così come molte istituzioni legate all’accoglienza gestiscono una fiorente “industria dell’immigrato”.
Vincenzo Brandi
Lo dite voi ai ragazzi di Manchester?
Gli sponsor del terrorismo
“Lo dite voi ai ragazzi di Manchester che siamo amici degli sponsor dell’ISIS?”: è questa la domanda posta dal giornalista Fulvio Scaglione, non un pericoloso estremista, ma un pubblicista che è stato per 16 anni, dal 2000 al 2016, il vice direttore di Famiglia Cristiana.
La domanda di Scaglione non si deve riferire solo al fatto incontestabile che noi, Paesi europei e nordatlantici, siamo alleati con le orribili monarchie del Golfo Arabico: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Uniti, Kuwait, Bahrein, finanziatori attraverso decine migliaia di moschee radicali ed “opere caritatevoli” del peggior integralismo islamico, e organizzatori e sostenitori con soldi ed armi di tutti i gruppi terroristi jihadisti. Non si deve riferire solo al fatto che forniamo a questi Paesi (all’Arabia Saudita in particolare) enormi quantità di armi come testimoniato dagli accordi di fornitura Italia-Sauditi e dall’ultima gigantesca fornitura degli Stati Uniti ai Sauditi, di cui si servono per le loro aggressioni dirette o indirette a Stati sovrani non allineati come lo Yemen o la Siria.
In realtà, il gioco di finanziare ed organizzare estremisti islamici fanatici per colpire gli Stati indipendenti, socialisti, o comunque scomodi perché non si piegavano al gioco imperialista e neo-colonialista, risale almeno agli anni ’70 del secolo scorso, quando gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, il Pakistan e altri alleati formarono l’organizzazione Al Qaeda, diretta da Bin Laden, e finanziarono ed armarono i più retrivi, misogini, feudali signori della guerra, i più feroci mercenari accorsi da tutto il mondo islamico, e gruppi di fanatici locali per scacciare il governo comunista in Afghanistan e far cadere in una trappola mortale i suoi alleati sovietici.
I fanatici islamici ed i soliti mercenari accorsi da vari Paesi servirono anche negli anni ’90 per spazzare via i resti della Jugoslavia socialista, prima con la guerra di Bosnia, poi con quella del Kosovo, entrambe finite con interventi diretti della NATO, e con la partecipazione diretta anche dell’Italia.
I miliziani musulmani bosniaci e kosovari furono fatti passare per vittime dei cattivi Serbi. La propaganda occidentale non ha mai detto la verità su episodi chiave come la presunta strage di Srebrenica (ovvero “la città dei Serbi”, chiamata sempre Srebrenica sui giornali nostrani), su cui non vi sono prove ma solo racconti di parte, mentre ha sempre ignorato i dossier (editi da Zambon o dalla Città del Sole) che documentano le stragi compiute nella zona dai fanatici musulmani a danno dei civili serbi (3.500 morti civili accertati). Non viene mai ricordata la “fake news” della falsa strage di Racak che fornì la scusa per la liquidazione finale dei resti della Jugoslavia nel 1999, con il plauso diretto di D’Alema.
Anche la rivolta della Cecenia fu in gran parte diretta ed attuata da fanatici musulmani integralisti, opportunamente sostenuti dall’esterno da Paesi islamici sunniti e organizzazioni occidentali, per mettere in difficoltà la Russia.
Le organizzazioni estremiste della Libia, come Ansar Al Sharia a Bengasi o le feroci milizie di Misurata legate ai Fratelli Musulmani ed armate dal Qatar e dalla Turchia di Erdogan, servirono come truppe di terra per appoggiare l’attacco della NATO che distrusse il Paese. Non è un caso che il “kamikaze” di Manchester era stato a capo di una di queste milizie di fanatici che odiavano il governo laico di Gheddafi, e che molti dei suoi parenti siano membri di formazioni estremiste.
Il nome del “kamikaze”, i suoi liberi spostamenti dall’Inghilterra alla Libia, alle zone occupate dall’ISIS in Siria, alla Turchia, erano note alle polizie di mezzo mondo (occidentale), ma nessuno è intervenuto.
Inutile ricordare i continui finanziamenti e le forniture di armi a tutte le formazioni armate estremiste che cercano di destabilizzare il governo laico socialista siriano, come Daesh, Al Qaeda, Jaish Al Islam, Ahrar Al Sham, e centinaia di altre milizie mercenarie e fanatiche in gran parte formate da Turcmeni, Uzbechi, Uiguri, Tunisini, Libici, Sauditi e gruppi militanti che sono stati fatti uscire liberamente dall’Europa e sono stati addestrati in Turchia o Giordania.
Ma a questo punto bisogna sottolineare un altro cinico uso che l’Occidente imperialista e neo-colonialista fa di questi terroristi, sfruttando anche gli attentati (non ostacolati), o addirittura i falsi attentati che avvengono sistematicamente in Occidente, a partire dalla “madre di tutti gli attentati” , quello delle Torri Gemelle che permise di scatenare la “guerra al terrore”, l’invasione dell’Afghanistan e la distruzione dell’Irak baathista.
Oggi, con la scusa di combattere Daesh, che per anni si è esteso in Siria ed Irak con gli Occidentali che facevano finta di combatterlo (in alleanza con Turchia ed Arabia Saudita, cioè insieme ai principali finanziatori di Daesh!), gli Statunitensi, i Turchi, ed ultimamente anche gli Inglesi provenienti dalla Giordania, hanno invaso zone della Siria. Nel nord gli USA hanno impiantato le loro basi con l’aiuto dei Curdi, che nel loro cieco nazionalismo sono disponibili ad allearsi anche col diavolo (che li scaricherà quando non serviranno più). Le difese siriane di Deir Ez-Zor, città assediata da 4 anni da Daesh, sono state bombardate “per sbaglio” da aerei USA, australiani e danesi. Non per sbaglio, ma in seguito ad una manifesta provocazione di Al Qaeda che si dichiarava vittima di un attacco chimico, è stato bombardato il più importante aeroporto del centro della Siria da cui partivano le missioni aeree che colpivano Al Qaeda. Oggi si sta verificando un fatto gravissimo che ha avuto scarsa eco sui mass media, ma che è gravido delle peggiori conseguenze.
L’esercito siriano e le milizie filo-governative irachene stavano convergendo sul punto di frontiera strategico di Al Tanf, posto all’incrocio tra le frontiere di Irak, Siria e Giordania, da dove passavano rifornimenti per Daesh attraverso il deserto. Truppe inglesi e statunitensi hanno occupato la zona, insieme a mercenari locali definiti Syria Democratic Forces ed aerei statunitensi hanno bombardato sia le truppe siriane che quelle irachene avanzanti “perché costituivano una minaccia ai soldati statunitensi”.
La Russia ha protestato (blandamente) dicendo che nessuno avrebbe minacciato i soldati USA se fossero rimasti a casa e non avessero apertamente violato il diritto internazionale.
Ora, capiamo sempre meglio perché nessuno ferma i “kamikaze” di Manchester e continua a fornire armi ai loro finanziatori.
Vincenzo Brandi
Siria: lettera aperta ad Amnesty International
Con il vostro Comunicato CS 028 – 2017 diffuso il 1° marzo, dopo aver genericamente parlato di inchieste sull’uso di armi chimiche riguardanti “tutti gli attori coinvolti nel conflitto in Siria”, rivelate, dalle parole della stessa Tadros, il vero scopo del comunicato: attaccare il governo siriano impegnato da 6 anni in un durissima battaglia contro orde di terroristi e mercenari etero diretti dall’esterno che hanno il compito di distruggere e smembrare quello sfortunato Paese; e attaccare nel contempo Russia e Cina colpevoli di volerlo salvare. Grazie ai loro veti infatti si è evitata la legittimazione di una ennesima aggressione “umanitaria” da parte della NATO contro un Paese sovrano, come successo nel marzo del 2011 contro la Libia, le cui conseguenze devastanti sono oggi sotto gli occhi di tutti!
Anche allora avete fornito al “mondo” utili coperture propagandistiche per giustificare bombardamenti e attacchi militari, accusando Gheddafi di orribili stragi di civili e stupri di massa ottenuti distribuendo fiumi di Viagra ai soldati governativi, salvo poi riconoscere, a distruzione del Paese avvenuta, che si trattava di fatti non provati o falsità evidenti.
Riguardo alla Siria, avete sponsorizzato una mostra fatta di foto di cadaveri torturati anonimi, di cui non era possibile accertare identità e circostanze della morte. Foto attribuite a un fantomatico agente siriano “Caesar” di cui non siete stati in grado di fornire né il nome né altre indicazioni, alimentando il generale sospetto che si tratti di pura invenzione.
In altra circostanza avete pubblicato dossier attribuibili all’opposizione armata terrorista e jihadista siriana, in cui si parla senza prove del fantomatico numero di 13.000 impiccati- tutti rigorosamente anonimi – nelle carceri siriane.
Siate certi che queste “informazioni”, prive di riscontri e caratterizzate da una evidente faziosità, sono accolte da un numero crescente di cittadini con sempre maggiore scetticismo, e sempre un maggior numero di persone apprezza il comportamento di Russia, Cina e altri Paesi. Grazie a loro la Siria, malgrado gli attacchi e la devastazione da parte di migliaia di mercenari armati, addestrati e finanziati dalle petromonarchie e dall’impero USA, è riuscita a difendere e mantenere la sua integrità e sovranità.
Ripensateci ed agite con maggiore responsabilità e dignità.
Cordiali saluti
Vincenzo Brandi, Stefania Russo della Rete No War Roma
Trump sbaraglia l’establishment USA
Piangono i “democratici” USA ed europei ed il codazzo dei gazzettieri a loro servizio.
“Fine della globalizzazione e crisi di egemonia”?
Alle 5 del mattino Giovanna Botteri, col viso sconvolto, piagnucolava più del solito. Più tardi Shultz, la Merkel, Hollande e soci si mostravano “preoccupati” e Renzi si congratulava a denti stretti. Le borse crollavano. il bene rifugio aureo si rivalutava. Grillo parlava del più grande “vaffanculo day” della storia.
L’abile outsider Trump (altro che il cretino che volevano farci credere!) ha sbaragliato la candidata ufficiale dell’establishment, delle banche, della grande finanza, del turbo-capitalismo globalizzato, e del complesso militar-industriale USA.
Non è servito l’appoggio di George Soros e della lobby sionista, che hanno ampiamente finanziato la Clinton, e nemmeno quello della Fratellanza Musulmana con cui Killary manteneva uno stretto contatto attraverso la sua principale collaboratrice, una signora di origine saudita già legata a filo doppio alla moglie di Morsi, il fratello musulmano detronizzato dal generale Al-Sisi con l’appoggio di tutto l’Egitto laico.
Trump ha avuto una valanga di voti dalla sterminata “classe media” USA, che comprende anche la classe operaia e i lavoratori intellettuali, incazzata impoverita e frustrata dalla crisi capitalistica che dura da oltre 30 anni e si è accentuata negli ultimi anni. E non solo dalla media classe “bianca”, come vorrebbero farci credere, ma anche da molti lavoratori ispanici, o di altre origini, di prima o seconda generazione, sottoposta alla minaccia di perdere le conquiste faticosamente acquisite. Ha ricevuto voti persino da una parte dei lavoratori neri, che hanno dato un appoggio molto tiepido alla Clinton, di cui giustamente non si fidavano.
Ovviamente bisogna essere prudenti quando si parla di esponenti “populisti” che esprimono anche qualche esternazione fascistoide. Intanto però assistiamo alla messa in mora della più pericolosa esponente della politica guerrafondaia dell’imperialismo USA: quella che si è spesa per la guerra in Libia ed ha ballato sul cadavere di Gheddafi, che si è spesa per la guerra in Jugoslavia, per un’aggressione militare aperta alla Siria mascherata da “No-fly zone”, per il golpe in Honduras, per il colpo di Stato nazista in Ucraina attuato sotto la direzione della sua vice Victoria Nuland, per una politica di confronto duro con la Russia fino a giungere al limite di una guerra mondiale atomica.
Trump inoltre, ben lontano dall’immagine che vogliono presentarci di uno che non esiterebbe a spingere il bottone della guerra atomica, si è detto – al contrario – disponibile ad un dialogo chiarificatore con la Russia, e persino con la Corea Popolare Democratica (o del Nord, come la chiamano da noi). La Corea del Sud, già irta di basi e missili atomici USA, ha formalmente protestato contro le aperture di Trump. Il neo-eletto presidente ha anche fatto capire che considera come massimo pericolo il terrorismo islamico e che quindi va rivisto il carattere essenzialmente anti-russo della NATO e la politica verso il governo laico siriano.
Al contrario Trump ha avuto calorose congratulazioni da parte di Putin, della bestia nera della Fratellanza Musulmana generale Al-Sisi, e dal presidente delle Filippine Duterte, quello che aveva definito “figlio di puttana” Obama. invitandolo a farsi i fatti suoi.
Trump – anche nel tentativo di rilanciare l’economia ed i redditi USA con una buona dose di isolazionismo – ha anche dichiarato che vuole rivedere gli accordi commerciali internazionali come il TTIP ed il Trattato transpacifico con i Paesi dell’Estremo Oriente e del Pacifico. Anche l’accordo interamericano NAFTA è probabilmente sotto accusa. Il Peso messicano è andato subito a fondo.
Ripeto che bisogna usare la massima prudenza, ma certamente oggi potrebbe iniziare una nuova fase economica e militare che potrebbe mettere in crisi ulteriore la globalizzazione capitalistica ultra-liberista ad egemonia USA ed il sogno della Clinton, e dei circoli “neocons” di Washington, con i loro alleati sionisti fratel-musulmani e Wahabiti, di dominare il mondo con la potenza militare e la paura.
Vincenzo Brandi
Questa volta, stanno facendo una rivoluzione colorata a casa loro?
L’assassinio dello scrittore Nahed Attar: terroristi islamici, i loro padrini e la battaglia di Aleppo
Partiamo da una notizia che non ha suscitato grande eco sulla stampa internazionale.
Qualche giorno fa lo scrittore giordano Nahed Attar è stato assassinato sulla porta del tribunale di Amman da un terrorista islamico. La sua colpa era quella di essere un laico, ateo, e sostenitore del governo siriano guidato dal Presidente Bashar al-Assad nella sua lotta contro le bande degli integralisti islamici finanziate ed armate dagli USA e da altri Paesi della NATO, e dai loro alleati mediorientali (Arabia Saudita, Qatar, Turchia).
Attar aveva condiviso su Facebook una vignetta in cui veniva presa in giro la pretesa dei terroristi dell’ISIS (o Daesh in arabo) di andare in paradiso come martiri della fede. Il primo ministro della Giordania (un Paese vassallo degli USA, UK ed Arabia Saudita), Hani Mulki, simpatizzante della Fratellanza Musulmana, invece di proteggerlo, lo aveva fatto arrestare e processare per “oltraggio alla religione, settarismo e razzismo”, additandolo in pratica alla vendetta dei terroristi.
Tutto questo non è casuale: il “civile” e “liberale” Occidente, ed i loro alleati mediorientali, si servono normalmente dei terroristi fanatici islamici per colpire chi si oppone al loro sogno di dominio mondiale.
Negli anni ’70 il governo laico comunista dell’Afghanistan fu messo in ginocchio dai mercenari islamici fanatici, accorsi da decine di Paesi, armati e protetti dagli USA e dall’Arabia Saudita, guidati da gente come Bin Laden, creatore di Al Qaeda con la complicità dei servizi segreti americani, sauditi e pakistani.
Negli anni ’90, mentre gli USA davano il primo colpo (Prima Guerra del Golfo) all’Iraq laico guidato dal partito socialista Baath, i nuovi eroi dell’Occidente erano una banda di integralisti islamici che voleva istituire un regime islamico in Bosnia, con il solito codazzo di jihadisti di Al Qaeda affluiti da tutto il mondo islamico. Naturalmente i musulmani furono fatti passare per povere vittime dei cattivissimi Serbi-Jugoslavi scatenando la solita alluvione di false notizie, come il presunto massacro di Srebrenica (un episodio ancora tutto da chiarire, come emerge da vari accurati lavori (1)). Il cosiddetto “assedio di Sarajevo” (in realtà la città era divisa tra i quartieri centrali a maggioranza musulmana ed i quartieri periferici serbi, da cui i miliziani si sparavano addosso a vicenda) divenne il simbolo gettonatissimo della cattiveria dei Serbi. Oggi un interessante libro di Toschi Marazzani (ed. Zambon(2)) denuncia la crescita dell’integralismo in Bosnia, da cui partono legioni di jihadisti verso la Siria e l’Iraq per ingrossare le fila di Daesh.
Poi è stata la volta della Seconda Guerra del Golfo del 2003, che ha fatto a pezzi l’Iraq, anche per mezzo della mobilitazione di gruppi dirigenti tribali della comunità curda, con la prospettiva di uno staterello fantoccio protetto da USA, Turchia ed Israele. Poi è stata la volta della Libia laica di Gheddafi dove i bombardamenti della NATO hanno aperto la strada agli integralisti di Alba Libica ed alle feroci milizie di Misurata, organizzate dai Fratelli Musulmani, fino allo sfacelo attuale. Infine è stata aggredita la Siria, dove combattono una serie impressionante di gruppi jihadisti terroristi (Daesh, Fateh al-Sham ex al-Nusra, Jaish al-Islam, Ahrar al-Sham, ecc.).
Gli USA, come in Iraq, usano spregiudicatamente anche i contrasti etnici in un Paese come la Siria, dove tutte le religioni, il libero pensiero laico ed ateo, le varie etnie, hanno avuto sempre pari diritti.
E’ in corso nella sinistra italiana un dibattito sul ruolo dei Curdi (dei cui diritti chi scrive è stato in passato un aperto sostenitore) ma che ora sembra abbiano anteposto (forse con molte illusioni) i loro interessi etnici a quelli della generale battaglia antimperialista, alleandosi con gli USA: essi hanno illegalmente concesso basi militari agli USA in territorio siriano, di cui l’esercito americano si serve per minacciare ed attaccare l’esercito nazionale siriano che difende l’indipendenza e la sovranità del Paese.
Infatti la distruzione della Siria – il Paese più laico e secolare del Medio Oriente, dove le donne godono di tutti i diritti e possono passeggiare sole con le gonne sopra il ginocchio per le vie di Damasco senza essere disturbate (sono di ciò testimone oculare), dove esiste un servizio sanitario nazionale ed un sistema di istruzione laico pubblico e gratuito fino all’università – rimane lo scopo principale dell’imperialismo USA, dei suoi alleati, e di Israele. Il piano, già illustrato da molti anni nei documenti dei “neocons”, consiste nella “distruzione creativa” di tutti gli Stati sovrani che si pongono di traverso sul cammino imperiale. Ma da oltre cinque anni l’esercito ed il popolo siriano, guidati dal Presidente Assad, resistono, ed ora sono passati alla controffensiva con l’aiuto dell’aviazione russa e delle eroiche milizie libanesi di Hezbollah, che già sconfissero l’esercito israeliano nel 2006.
Ecco allora che i soliti scribacchini alla Bernard Levy, e tutti gli imitatori italiani ed occidentali, comprese le Botteri e le Goracci, lanciano la nuova campagna mediatica. Una volta c’erano i cattivi Serbi che assediavano Sarajevo. Oggi sono i Russi e i Siriani fedeli al proprio governo che “assediano” e bombardano Aleppo, la più importante città della Siria insieme a Damasco. Non viene detto che in realtà sono stati i terroristi che hanno assediato Aleppo per quattro anni, bombardandola, tagliandole l’acqua e l’elettricità ed occupando solo alcuni quartieri, dove si sono fatti scudo dei civili, cui non viene permesso di mettersi in salvo attraverso i quattro corridoi umanitari predisposti dal governo.
Ma nonostante tutto la Siria è ancora in piedi, con l’aiuto di Russia, Iran, Cina, Hezbollah, e tutti i democratici laici arabi. Cresce l’isteria di USA, UE, Arabia Saudita (che a sua volta bombarda e distrugge lo Yemen), ma i combattenti patriottici siriani non si lasciano impressionare.
Vincenzo Brandi
(1) Vedi ad es. Menzogne di Guerra del giornalista tedesco J. Elsasser, ed i due ottimi dossier della “Città del Sole” su Srebrenica
(2) Jean Toschi Marazzani Visconti, La Porta d’Ingresso dell’Islam, ed. Zambon
Venti di guerra in Siria e Libia: l’imperialismo non demorde
L’intervento russo iniziato nel settembre 2015 aveva segnato un punto di svolta nella drammatica guerra in Siria. Finalmente si era vista una luce in fondo al tunnel in cui il Paese era stato spinto dalle spietate sanzioni, dal blocco economico-finanziario imposto dalle potenze della NATO, e dalla guerra indiretta scatenata, con l’uso strumentale di bande mercenarie, sia dai paesi occidentali che dalle potenze reazionarie locali (come la Turchia, l’Arabia Saudita ed il Qatar) tesa a rovesciare il governo legittimo del Presidente Assad.
A partire dal 2011-2012 nell’Est del paese hanno agito le bande jihadiste, poi raggruppatesi sotto la sigla dello Stato Islamico (o DAESH), sostenuto sotto banco da Arabia Saudita, Turchia, Qatar e all’inizio falsamente combattuto dagli USA, che anzi ne avevano favorito la nascita in funzione anti-Assad. Le bande dell’ISIS hanno in gran parte occupato le province di Raqqa e Deir-Es-Zor.
La provincia di Idlib nel Nord-Ovest è stata invece invasa da una coalizione di Al-Nusra (ramo siriano di Al-Queda), con Ahrar Al-Sham e altri gruppi minori, che si è data il nome di Esercito della Conquista (Jaish Al-Fatah), apertamente sostenuta dalla Turchia che faceva passare attraverso il confine rifornimenti e combattenti mercenari e fanatici provenienti da 90 paesi. La città di Aleppo, la più grande e ricca della Siria, era stata assediata dal 2012 e i jihadisti erano riusciti a penetrare in alcuni quartieri del centro.
La stessa capitale Damasco era bombardata con mortai dalle bande del Jaish Al-Islam, fedeli al Wahabismo saudita, la corrente più reazionaria dell’Islam, che erano riusciti ad infiltrarsi in alcuni sobborghi (Goutha occidentale ed orientale). Nel sud altre bande, in gran parte facenti capo ad Al-Nusra e ISIS, sostenute dalla Giordania ed Israele, agivano nelle province meridionali di Deraa, Quneitra e Sweda.
La controffensiva dell’esercito nazionale siriano, sostenuta dall’aviazione russa, aveva ottenuto importanti successi, come la riconquista della città storica di Palmyra (Tadmoor in arabo) e la liberazione di gran parte della zona intorno ad Aleppo, dove le bande che si erano infiltrate in alcuni quartieri della città, da cui bombardavano i quartieri “lealisti”, erano rimaste completamente circondate.
Ma invece di addivenire ad un accordo per un cessate il fuoco, che sembrava possibile, le varie potenze che hanno giurato di distruggere la Siria hanno rilanciato gli attacchi. Migliaia di mercenari potentemente armati sono affluiti dalla Turchia, attraverso la provincia di Idlib, unendosi ad Al-Nusra (che intanto ha cambiato nome in Failaq Al-Sham nel tentativo di far dimenticare di essere ufficialmente nell’elenco delle organizzazioni terroriste) ed attaccando Aleppo. Questa città martire, ormai priva di cibo, acqua, energia elettrica, è divenuta ancora una volta campo di battaglia, mentre la vergognosa propaganda di guerra dei mass media occidentali sfruttava la falsa immagine del bambino Omran per gettare al solito la colpa di tutti i presenti orrori sull’esercito di Assad e sui Russi.
Nel Nord le milizie curde, ormai divenute le truppe di terra di una coalizione diretta dagli USA, con la scusa di combattere l’ISIS, hanno “liberato” la città completamente araba di Manbij. Ma contemporaneamente i Curdi, scoprendo apertamente il loro doppio gioco, hanno attaccato la guarnigione dell’esercito siriano nell’importante città araba di Hassakeh. Gli aerei siriani non sono potuti intervenire perché esplicitamente minacciati di intervento dall’aviazione USA, cui i Curdi hanno concesso arbitrariamente l’uso di una base aerea su suolo siriano. E’ stata è così creata di fatto una “No Fly Zone” nel Nord della Siria.
Chi scrive ha appoggiato in passato le giuste rivendicazioni del popolo curdo recandosi anche nel Kurdistan varie volte, ma queste rivendicazioni non possono giustificare il fatto di mettersi al servizio – come mercenari – di potenze imperialiste che intendono distruggere i Paesi indipendenti del Vicino Oriente. L’avanzata curda ha provocato un nuovo disastro, quando le truppe turche, con l’aiuto di bande di mercenari turkmeni e jihadisti, con la scusa di combattere DAESH e contemporaneamente di frenare l’avanzata USA-curda, hanno invaso la Siria occupando la città di frontiera di Jarabulus. Si sta quindi realizzando il vecchio sogno di Erdogan di creare una fascia cuscinetto nella Siria del Nord occupata dall’esercito turco. E’ auspicabile che i Russi, cui Erdogan ha cercato di riavvicinarsi dopo lo strano tentativo di “colpo di Stato” subito fallito in Turchia, non si facciano turlupinare come fece l’ex-Presidente Medvedev nel 2011 nel caso dell’attacco della NATO alla Libia.
In quest’ultimo Paese – sempre con la scusa di combattere l’ISIS – proseguono le illegali operazioni militari, più o meno nascoste, di USA e Paesi UE (tra cui anche l’Italia), in realtà condotte allo scopo di rafforzare l’alleato “governo” Serraj di Tripoli, legato alla Fratellanza Musulmana, ed indebolire il governo laico di Tobruk, sostenuto dall’Egitto, che continua a non riconoscere Serraj e condanna tutti gli interventi militari stranieri.
D’altra parte proseguono su scala mondiale le grandi manovre contro chiunque cerchi di opporsi al predominio dell’imperialismo USA, del sub-imperialismo subordinato della UE, e dei loro alleati locali come l’orribile monarchia wahabita-saudita, che – da parte sua – continua a massacrare l’eroico popolo dello Yemen, che continua bravamente a resistere.
Si moltiplicano le provocazioni alle frontiere europee della Russia, nei Paesi baltici come in Crimea. Nell’ambito della strategia “Pivot to Asia”, gli USA rafforzano le loro guarnigioni e flotte nel Pacifico che circondano la Cina; cercano di tirare dalla loro parte, con pressioni di vario genere, anche Paesi come il Vietnam (quanto mutato dai tempi eroici della resistenza!) ed il Myanmar (ex-Birmania), quest’ultimo tradizionalmente in buoni rapporti con la Cina. I Cinesi non si lasciano intimorire e stringono un accordo militare con il governo Assad, carico di promesse.
Ma che succederà quando a novembre dovesse diventare prima Presidente USA donna la guerrafondaia Hillary Clinton (quella che chiedeva l’attacco militare alla Siria, appoggiava il colpo di Stato di Piazza Maidan in Ucraina, e metaforicamente ballava sul cadavere di Gheddafi schignazzando con le sprezzanti parole:”I came, I saw, He died”)? Ancora oggi in settori della pseudo-sinistra italiana c’è chi tifa per la “Killary”, perchè ha orrore del folkloristico Trump, accusato tra l’altro di voler dialogare con Putin e di aver sostenuto l’ultimo governo legale dell’Ucraina spazzato dal colpo di Stato. Per fortuna Siriani, Iracheni, Libici, Yemeniti, Libanesi continuano a resistere e Russia, Cina, Iran vigilano. La partita è aperta.
Vincenzo Brandi
Una nuova operazione “Mani pulite”?
La miseria della politica italiana
Il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato Mario Chiesa mentre riceveva delle tangenti presso il Pio Istituto Trivulzio di Milano. Era l’inizio dell’operazione, poi definita “Mani Pulite” condotta da un gruppo di procuratori della Repubblica di Milano, tra cui Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Francesco Saverio Borrelli.
Molti si illusero che fosse un’operazione che avrebbe spazzato via dall’Italia la corruzione e la mala politica. I principali esponenti del vecchio regime (definito la Prima Repubblica) , Andreotti, Craxi, Forlani, furono defenestrati. La Democrazia Cristiana si dileguò. Il Partito Socialista fu ridotto ad un gruppetto. Ma si trattò essenzialmente di un passaggio di consegne ad un nuovo regime (la Seconda Repubblica), probabilmente perché – senza voler togliere nulla alla buona fede di molti giudici – dopo la caduta dell’URSS i vecchi esponenti del regime non erano più utili ai poteri forti nazionali ed internazionali.
Oggi un superstite di quel gruppo di procuratori, Davigo, divenuto presidente dell’Associazione dei Magistrati, rilancia una campagna moralizzatrice. Ed in effetti il nuovo regime, prima dominato a lungo dall’avventuriero Berlusconi, ed oggi da un partito di regime, il PD, non risulta essere migliore del vecchio.
Pesano gli scandali che hanno sfiorate il ministro Maria Elena Boschi, figlia dell’ex -vicepresidente Pier Luigi, oggi indagato, di quella Banca Etruria, commissariata dopo aver ricevuto una serie di favori dal governo, e dopo aver trascinato nel baratro chi le aveva dato fiducia. L’ex-presidente della Banca, Rosi, risulta in affari con la famiglia Renzi ed in ottimi rapporti con il sindaco renziano di Firenze, Nardella. Pesa lo scandalo che ha visto implicata la dimissionaria ministra Federica Guidi, per i favori verso la TOTAL, legata al suo compagno Luca Gemelli, favori che vedono implicata la stessa Boschi, madrina della famigerata legge di “stabilità”. Oggi è indagato il presidente regionale del PD per la Campania, Stefano Graziano, per sospetti appalti truccati che avrebbero addirittura favorito la famiglia camorristica dei Casalesi.
Il governo appare sempre più come l’espressione di un regime che copre gli interessi di una serie di lobbies, come del resto erano anche i precedenti governi Letta e Monti, mentre Berlusconi difendeva evidentemente altre lobbies in parte diverse. Il dato comune è il varo di una serie di leggi tese ad aumentare la precarietà del lavoro e limare salari e pensioni, che hanno colpito soprattutto i giovani, condannati al 40% alla disoccupazione: dai famigerati decreti Fornero, fino al Jobs Act varato da un ministro già re delle cooperative rosse, ormai diventate aziende capitaliste. Il capitalismo, ed in particolare quello italiano, è ben lontano da quegli schemi di comportamento “classici” teorizzati anche da Marx (quando parlava anch’egli della concorrenza), ma si dimostra un coacervo di sordidi interessi e imbrogli per favorire gli “amici”.
Ma lo squallore di questo Governo non è dimostrato solo dalla politica interna. La politica estera renziana è persino peggiore di quella di Berlusconi, che , evidentemente anche per difendere interessi di gruppi a lui vicini, aveva usato il buon senso di intrattenere buoni rapporti con la Russia di Putin, la Bielorussia di Lukascenko e la Libia di Gheddafi. Oggi invece, come soldatini pronti ad obbedire a tutti gli ordini che ci vengono da Washington e dalla UE, imponiamo disastrose (per noi) sanzioni alla Russia, imponiamo sanzioni durissime ad un paese già martirizzato da bande terroriste come la Siria (di cui eravamo il principale partner economico europeo), provocando impressionati ondate di profughi. Poi scattano ipocrite lamentele sulla sorte dei “migranti” ed addirittura si aderisce al pazzesco piano della Merkel che, per fronteggiare il ricatto dalla Turchia, che minaccia di destabilizzare l’Europa con nuove ondate di profughi, approva la corresponsione di 6 miliardi di euro al criminale Erdogan, che li utilizzerà per alimentare il terrorismo in Siria, Iraq e Libia.
Nuove ondate di migranti arrivano anche da quest’ultimo disgraziato paese che abbiamo destabilizzato aderendo nel 2011 al piano franco-statunitense di bombardamenti. Diamo atto a Renzi, preoccupato per la sua stessa sopravvivenza politica, di aver finora resistito alle pressioni degli USA che ci chiedono un intervento armato a difesa del nuovo governo a trazione islamica imposto dalla cosiddetta “comunità internazionale” a Tripoli (mai votato dai Libici) e basato su alcune frazioni dei Fratelli Musulmani locali. Ma le ultime notizie sembrano confermare che questa resistenza sta per finire, anche perché gli USA, la Gran Bretagna, ed i loro alleati, come la Turchia ed il Qatar non vogliono permettere il rafforzamento del parlamento “laico” di Tobruk (l’unico legale e votato dai Libici) e dal suo esercito, guidato dal generale Haftar, che, pur con tutti i suoi limiti, ha comunque ottenuto grandi progressi in Cirenaica liberando Derna dai miliziani dello Stato Islamico e Bengasi dai jihadisti di Ansar al Sharia.
Politica interna ed estera convergono verso una visione dell’Italia come di uno Stato vassallo degli USA, della NATO e della UE, in continua stagnazione e dove la classe politica si limita a difendere modesti interessi localistici, talvolta anche legati a vere organizzazioni criminali.
Vincenzo Brandi
Ricordate Calipari?
Riflessioni sull’uccisione dei due tecnici italiani in Libia.
La tragica vicenda – ancora misteriosa – dei due tecnici italiani ci induce a qualche riflessione in libertà, non basata su dati certi (che mancano), ma su considerazioni logiche e domande che chiunque abbia un minimo di raziocinio può porsi.
I tecnici italiani erano stati rapiti mesi fa da bande di jihadisti-criminali-mercenari (le tre cose non sono affatto in contraddizione nel panorama nordafricano e mediorientale), ritenute vicine allo Stato Islamico, nella città di Sabrata, posta a circa 60 Km ad ovest di Tripoli, verso la frontiera tunisina.
Queste bande si disputavano il territorio con le altre bande che hanno preso il potere a Tripoli (come “Alba Libica”) e Misurata, legate alla Fratellanza Musulmana e finanziate da Turchia e Qatar. Negli ultimi mesi era stata esercitata una forte pressione internazionale perché il “governo di Tobruk”, unico riconosciuto internazionalmente, di tendenze laiche e sostenuto dalle truppe del generale Haftar e dall’Egitto, si alleasse con il cosiddetto “governo di Tripoli”, formando un unico governo. Il parlamento di Tobruk ha finora rifiutato, ed anzi ha attaccato le bande jihadiste che dominavano a Bengasi (come “Ansar Al-Sharia”), potenziali alleate del “governo di Tripoli”.
Poco tempo fa aerei statunitensi partiti dall’Italia, probabilmente da Trapani o Sigonella (non si è mai detto da dove fossero partiti), hanno attaccato Sabrata uccidendo una quarantina di jihadisti. Contemporaneamente droni partiti da Sigonella hanno attaccato le posizioni dello Stato Islamico che si disputano il territorio con le bande di Tripoli e Misurata.
Possiamo immaginare quanto questi bombardamenti abbiano giovato alla faticosa trattativa che i servizi segreti italiani stavano tenacemente sviluppando per la liberazione dei nostri quattro connazionali sequestrati (ovviamente dietro pagamento di un riscatto, come già avvenuto nel caso di Giuliana Sgrena in Iraq e delle due ragazzette filo-jihadiste, Greta e Vanessa, catturate in Siria).
Ma quando sembrava che le trattative fossero finalmente andate in porto, ecco che scatta la provocazione. Le milizie dei Fratelli Musulmani, legate al “governo di Tripoli”, attaccano i jihadisti che stanno spostando gli ostaggi, presumibilmente per consegnarli ai servizi italiani. Due tecnici perdono tragicamente la vita, forse uccisi dagli stessi rapitori per rappresaglia, forse uccisi dal “fuoco amico” come i due ostaggi serbi uccisi dai bombardamenti americani (ma erano due “cattivi” Serbi: a chi interessa?).
Chi ha suggerito questa provocazione, e perché? Non possiamo dimenticare il caso del povero Calipari, ucciso in Iraq da una pattuglia dell’esercito statunitense in circostanze poco chiare (ma si sa che gli USA non gradiscono trattative con i “terroristi” fatte da altri).
Ma giungono altri segnali ancora più significativi. Poco tempo fa il Segretario di Stato Kerry ha dichiarato che un intervento militare a guida italiana contro l’ISIS in Libia (e quindi a sostegno delle bande di Tripoli e Misurata) sarebbe stato molto gradito. Oggi l’ambasciatore statunitense a Roma dichiara che il governo italiano aveva promesso un corpo di spedizione italiano di 5.000 uomini e rampogna l’Italia per le sue esitazioni. Forse l’attivismo dei concorrenti francesi che sono già scesi in campo ed hanno aiutato il governo di Tobruk a scacciare i jihadisti da Bengasi (il compenso potrebbe essere il petrolio della Cirenaica da concedere alla francese Total) ha innervosito gli USA.
Renzi e Gentiloni, dopo aver promesso interventi militari massicci, ora cercano di svincolarsi dall’abbraccio soffocante del “grande fratello” che si serve dell’Italia come della sua portaerei privata. E’ vero che il 10 febbraio è stato varato – al di fuori di qualsiasi dibattito parlamentare – un provvedimento che permette l’invio di forze militari speciali italiane, “con licenza di uccidere”, nel peggior stile dei film di 007. Ma Renzi, conscio dell’opposizione della maggior parte degli Italiani a questa nuova guerra (anche se pochi scendono in piazza rompendo il silenzio imposto dal Partito Democratico, da una TV corrotta e da una stampa venduta) cerca di liberarsi dalla trappola evitando di prendere, per ora, la decisione di un intervento più palese e massiccio.
Scattano allora i messaggi mafiosi dell’ambasciatore USA, dell’aviazione statunitense e della NATO. Ricordate Calipari?
Vincenzo Brandi
Basta guerre!
Il fantasma di M. Gheddafi: “Mmmhhh… è questa la vostra democrazia?”.
L’Italia, dopo aver occupato, depredato e massacrato la Libia con l’invasione colonialista del 1911; dopo averla nuovamente bombardata , distrutta e ridotta al miserevole stato attuale nel 2011 nell’ambito dell’operazione imperialista e neo-colonialista programmata da USA, Francia, NATO e Qatar, oggi è già di fatto entrata per la terza volta , ancora sotto comando USA, e sotto l’egida della NATO, in una nuova guerra contro il Paese nordafricano.
Già partono infatti dalla base siciliana di Sigonella i droni statunitensi che colpiscono la Libia, in attesa che truppe di terra, anche italiane, raggiungano i reparti francesi ed inglesi che già operano sul terreno.
La precedente aggressione della sedicente “comunità internazionale” aveva ridotto una nazione prospera e pacifica in un ammasso di rovine, lacerato da cento fazioni, percorso da bande di predoni, tutti impegnati a depredare i Libici delle loro risorse petrolifere e idriche. Oggi, dopo aver utilizzato, come pretesto per le loro aggressioni, la scusa di voler liberare i popoli da presunti “dittatori” (in realtà dirigenti antimperialisti ed antisionisti come Gheddafi ed Assad), ora i Paesi della NATO fingono di voler combattere il jihadismo terrorista dello Stato Islamico o di Al Queda, da loro stessi creato e diffuso dall’Africa al Medio Oriente, dall’Asia all’Europa, in una spaventosa escalation di crimini di guerra e contro l’umanità.
Il parossismo bellico degli USA e della NATO, e dei loro alleati, come Turchia, Qatar e Arabia Saudita, con la regia occulta di Israele, tende alla frantumazione degli ultimi Stati della regione che non accettano la dittatura neo-colonialista, come anche l’Iraq e la Siria, dove è stata raggiunta, nel momento in cui scriviamo, una fragile tregua parziale solo grazie alle vittorie riportate dall’esercito nazionale siriano con l’aiuto determinante della Russia. Dopo aver finto per anni di combattere lo Stato Islamico ed altri gruppi terroristi, rifornendoli segretamente di armi attraverso la Turchia, gli USA e alleati chiedono ora un cessate il fuoco in Siria per «ragioni umanitarie». Ciò perché le forze governative siriane, sostenute dalla Russia, stanno liberando crescenti parti del territorio occupate dalle formazioni jihadiste, che arretrano anche in Iraq.
Il doppiogiochismo di USA e NATO è dimostrata anche dalla decisione della stessa NATO di dispiegare nel mar Egeo, con la motivazione ufficiale di controllare il flusso di profughi (frutto delle stesse guerre USA/NATO), le navi da guerra del Secondo Gruppo Navale Permanente , che ha appena concluso una serie di operazioni con la marina turca.
Contemporaneamente la NATO, sotto comando degli USA, ha riaperto il fronte orientale, accusando la Russia di «destabilizzare l’ordine della sicurezza europea», e trascinandoci in una nuova Guerra Fredda, per certi versi più pericolosa della precedente, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-UE dannosi per gli interessi statunitensi.
Mentre gli USA quadruplicano i finanziamenti per accrescere le loro forze militari in Europa, viene deciso di rafforzare la presenza militare «avanzata» della NATO nell’Europa orientale. La NATO, dopo aver inglobato tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia e tre della ex URSS, prosegue la sua espansione a est, preparando l’ingresso di Georgia e Ucraina, spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
Questa strategia rappresenta anche una crescente minaccia per la democrazia in Europa. L’Ucraina, dove le formazioni neonaziste sono state usate dalla NATO nel putsch di piazza Maidan, è divenuta il centro di reclutamento di neonazisti da tutta Europa, i quali, una volta addestrati da istruttori USA, vengono fatti rientrare nei loro Paesi con il «lasciapassare» del passaporto ucraino. Si creano in tal modo le basi di una organizzazione paramilitare segreta tipo la vecchia «Gladio».
È il tentativo estremo degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo nel quale l’1% più ricco della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza globale, ma nel quale emergono nuovi soggetti sociali e statuali che premono per un nuovo ordine economico mondiale.
Il governo italiano ci rende corresponsabili di questo immenso oceano di sangue. Le guerre d’aggressione sono il massimo crimine contro l’umanità e la nostra Costituzione (Articolo 11) le rifiuta. Dopo la guerra in Jugoslavia nel 1994-95 e nel 1999, in Afghanistan a partire dal 2001, in Iraq dal 2003, in Libia ed in Siria dal 2011, accompagnate dalla formazione dello Stato Islamico ed altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia, ora è già iniziata una nuova aggressione in Libia. L’Italia, imprigionata nella rete di basi USA e di basi NATO sempre sotto comando USA, è stata trasformata in ponte di lancio delle guerre USA/NATO sui fronti meridionale ed orientale. Per di più, violando il Trattato di Non-Proliferazione, l’Italia viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.
Mentre si prospetta l’apocalisse di una nuova conflagrazione mondiale, un apparato mediatico bugiardo, legato alle centrali del bellicismo imperialista e alle sue industrie delle armi, sostiene una serie ininterrotta di aggressioni nel segno di un nuovo e più letale colonialismo che distrugge Stati, stermina popoli, provoca l’immensa tragedia dei rifugiati, volge in distruzione e morte quanto viene sottratto a ospedali, scuole, welfare.
Per uscire da questa spirale di guerra dagli esiti catastrofici, è fondamentale costruire un vasto e forte movimento contro la guerra imperialista di aggressione, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per un’Italia libera dalla presenza delle basi militari statunitensi e di ogni altra base straniera, per un’Italia sovrana e neutrale, per una politica estera basata sull’Articolo 11 della Costituzione, per una nuova Europa indipendente che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale.
Vincenzo Brandi
La battaglia per Aleppo e le menzogne dei giornalisti di regime
Desta veramente scandalo ed indignazione il cumulo di menzogne spudorate con cui i giornalisti dei principali canali TV e dei maggiori quotidiani descrivono le operazioni militari in Siria che potrebbero segnare una svolta nel corso della guerra che insanguina il Paese da quasi 5 anni. L’apice dello scandalo è raggiunto nella descrizione, del tutto capovolta rispetto alla realtà, della battaglia per Aleppo, che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti della guerra.
La grande città industriale, posta nel nord della Siria, è stata sempre la capitale economica del Paese. Nel 2012 la città fu attaccata da bande jihadiste di diversa tendenza, in buona parte costituite da jihadisti e mercenari stranieri, che riuscirono a circondarla quasi completamente, ad occupare alcuni quartieri periferici comprendenti varie industrie e le centrali elettrica ed idrica, e ad infiltrarsi anche in alcuni quartieri centrali.
Gli abitanti non collaborarono minimamente all’attacco, ma ne subirono tutte le conseguenze. Infatti le industrie furono tutte smantellate dai jihadisti, continuamente riforniti dalla vicina Turchia con armi e rinforzi. Le attrezzature industriali furono tutte rivendute nella stessa Turchia, ovviamente con la complicità delle autorità turche.
Poiché però la città continuava a resistere, grazie anche ad un’incerta via di rifornimento posta a sud-est del centro e tenuta aperta dall’esercito, i jihadisti, cui nel frattempo si erano aggiunti anche i miliziani dello Stato Islamico (o DAESH) provenienti dall’est, da Raqqa, tagliarono l’acqua e l’energia elettrica agli assediati, bombardando nel contempo i quartieri centrali con razzi e mortai e tormentando gli assediati con sanguinosi attentati condotti con autobombe ed altri mezzi (il più grave e micidiale fu condotto contro l’Università con la morte di decine di studenti). Su tutto questo vi sono, tra le altre, le continue testimonianze dei vescovi delle comunità cristiane cittadine, che riferiscono anche di aver fatto scavare pozzi nei recinti delle chiese per alleviare le sofferenze della popolazione assetata, testimonianze che i giornalisti non potevano ignorare, anche se non avessero voluto prestare fede alle dettagliate notizie fornite dall’agenzia siriana SANA, o dalle fonti russe (Sputnik-edizione italiana) e libanesi (Al Manar).
La controffensiva dell’esercito siriano, scattata negli ultimi mesi del 2015 con l’appoggio dell’aviazione russa, è diretta innanzitutto a “liberare” la città dall’assedio. L’esercito è quindi avanzato “dal centro della città verso la periferia e le località vicine” per allontanare gli assedianti. Verso nord-est è stata “liberata” la grande base militare di Kuweiri, posta a circa 25 kilometri e assediata da oltre tre anni, respingendo i miliziani di DAESH verso l’Eufrate. Verso nord-ovest sono state “liberate” due cittadine distanti circa 40 chilometri, assediate anch’esse dal 2012 dai jihadisti di Al Nusra (ramo siriano di Al Queda) e dai loro alleati di Ahrar Al Sham e dell’Esercito Libero Siriano. L’agenzia SANA ha mostrato le folle festanti che accolgono l’esercito “liberatore”. Anche verso sud-ovest l’esercito avanza per riaprire le strade verso le province di Homs ed Hama e permettere un maggior afflusso di rifornimenti essenziali alla popolazione.
Ebbene, le parole usate dai nostri giornalisti di regime dicono vergognosamente l’esatto opposto della realtà. Secondo loro (e secondo le veline che ricevono) sarebbe l’esercito nazionale che “avanza verso Aleppo” per “riconquistarla”, come se la città fosse in mano ai rivoltosi e ai mercenari stranieri, e non invece assediata da oltre tre anni dai jihadisti. Da Aleppo gli abitanti fuggirebbero verso la Turchia, terrorizzati dai bombardamenti russi.
In realtà all’interno del perimetro cittadino non si combatte più. I gruppi jihadisti e mercenari che si erano infiltrati in città sono accerchiati ed hanno solo la prospettiva di arrendersi o raggiungere un accordo con il governo simile a quello raggiunto dai jihadisti che erano accerchiati in un quartiere isolato di Homs e furono accompagnati alla frontiera turca con degli autobus forniti dal governo.
Il fronte si trova ormai molto a nord della città a soli 20 chilometri dalla frontiera turca (notizia del 7 febbraio). L’esercito nazionale vuole raggiungere la città frontaliera di Azaz per bloccare i continui rifornimenti di armi e mercenari stranieri che la Turchia fa affluire. Anche in altre zone della Siria, come nell’estremo sud nella provincia di Deraa, l’esercito respinge i jihadisti verso la Giordania (che prudentemente sta cambiando il suo atteggiamento ostile verso il governo siriano), mentre anche il tratto di frontiera con la Turchia nel nord della provincia di Latakia (dove venne proditoriamente abbattuto da un missile turco un aereo russo) è ormai sotto il controllo dell’esercito che blocca le infiltrazioni dei mercenari.
Di fronte a questa svolta nella guerra i nostri giornalisti, che per anni hanno ignorato la fame e la sete dei civili intrappolati ad Aleppo e taciuto sulle loro condizioni drammatiche per cui molti hanno abbandonato la città e sono finiti profughi, ora si stracciano le vesti parlando dei civili che fuggono dalle zone dei combattimenti. Facendo eco alla propaganda ed alle richieste dei due avventurieri criminali, il presidente turco Erdogan ed il suo primo ministro Davutoglu, tra i principali responsabili del massacro siriano insieme ai Sauditi e agli USA, chiedono la fine dei “bombardamenti russi”. Ma questo fervore pseudo-umanitario nasce solo dal fatto che i mercenari al servizio del neo-colonialismo e dell’imperialismo occidentale e delle monarchie oscurantiste del Golfo stanno perdendo la guerra e che la Siria, con l’aiuto della Russia, dell’Iran e degli Hezbollah libanesi, si dimostra un osso più duro del previsto. Quando i popoli resistono è vero che “l’imperialismo è una tigre di carta”.
Vincenzo Brandi
La macchina del caos – i video
A Bologna, i tre incontri per la critica del Nuovo Ordine Mondiale.
La macchina del caos lavora senza sosta creando i “fatti” secondo i propri principi e facendo, a suo modo, anche la nostra storia.
Per definizione, il suo operare non può riconoscere limiti e confini visto che, come è stato ammesso da fonte interna autorevolissima, “the american homeland is the planet”.
Sebbene in queste ultime settimane venga effettivamente contrastata sul teatro siriano dall’intervento della Russia di Putin, essa mantiene nel suo ventre oscuro copiose riserve velenifere e notevoli capacità metamorfiche che la rendono comunque temibilissima e nemica irredimibile di qualunque popolazione.
Lo si vede, forse meglio che in passato, proprio in Europa, dove per l’affondamento di qualsiasi speranza di “risveglio politico globale” si serve senza scrupolo, fra le altre, dell’arma di distruzione chiamata “accoglienza dei migranti”.
In questa situazione l’Italia, che rimane a livello planetario uno dei massimi terreni di sperimentazione per la macchina del caos, potrebbe senza paradosso rivelarsi uno degli avamposti strategici decisivi nel quale, in un futuro nemmeno troppo lontano, si giocheranno le sorti dei processi di affrancamento dal doppio giogo dell’Unione Europea e della NATO.
A cura di controinformazione.info, in collaborazione con faremondo.org e byebyeunclesam.
Sabato 14 novembre 2015.
Irak Libia Siria Yemen… e non solo.
Esplosioni controllate sulla pelle dei popoli,
con l’intervento di Marinella Correggia, giornalista e attivista contro la guerra, autrice di El presidente de la paz, saggio sulla politica estera di Hugo Chavez (edizioni Sankara).
Sabato 28 novembre 2015.
Importazione di popolazioni.
L’esercito di riserva della globalizzazione e la destabilizzazione dell’Europa,
con l’intervento di Enrico Galoppini, redattore del giornale in rete Il Discrimine, e Martina Carletti dell’ARS – Associazione Riconquistare la Sovranità.
Sabato 12 dicembre 2015.
Per un’Italia sovrana e neutrale.
Le prospettive del movimento per l’uscita dell’Italia dalla NATO,
con l’intervento di Vincenzo Brandi, portavoce del Comitato No guerra No NATO.
Le mire della Turchia e le molte anime dei Kurdi
Persino ai nostri “mass media” più o meno “embedded” non è sfuggita l’importanza della notizia: il governo iracheno ha vivamente protestato per l’invasione effettuata da parte dell’esercito turco di una zona dell’Iraq settentrionale non lontana dalle grande città di Mosul tuttora nelle mani dell’ISIS (o DAESH, come lo chiamano gli Arabi) ed ha chiesto il ritiro immediato delle truppe fedeli al Presidente-mafioso Erdogan (circa 1.200 soldati con 25 carriarmati).
Il govero turco ha risposto che quei militari sono in Iraq per “addestrare” i “Peshmerga” kurdi fedeli al governo regionale kurdo del Nord-Iraq, cioè alla fazione kurda fedele al clan tribale di Masoud Barzani ed al partito PDK di cui Barzani è leader (oltre che Presidente dello stesso governo regionale).
Barzani, i cui stretti rapporti con gli USA, con Israele e con i Turchi sono ben noti da tempo (fin da quando i suoi “Peshmerga” hanno contribuito attivamente allo sfascio dell’Iraq), non ha smentito. Anzi, correndo in soccorso all’amico Erdogan, ha fatto dichiarare ad un suo portavoce che le foto pubblicate dai Russi, in cui si vedono enormi file di autobotti che portano in Turchia il petrolio depredato dallo Stato Islamico in Iraq e Siria, ritrarrebbero in realtà autobotti che portano in Turchia petrolio venduto ai Turchi dallo stesso governo regionale kurdo del Nord-Iraq.
In queste dichiarazioni c’è qualcosa di ironico: in pratica Barzani ammette che il suo Stato semi-indipendente formatosi nel Nord-Iraq (con la copertura degli USA, della Turchia, ed Israele) vende alla Turchia petrolio che apparterrebbe allo Stato iracheno. La conquista da parte dei “Peshmerga” della zona petrolifera di Kirkuk, profittando del caos in cui si trova l’Iraq nella stretta dello Stato Islamico, ha dato ai Kurdi di Barzani un’enorme disponibilità di petrolio. Né si può escludere che il governo regionale chiuda un occhio sul contrabbando di petrolio proveniente dalle zone controllate dall’ISIS, molto richiesto in Turchia per il suo basso prezzo, e poi smerciato a vari Paesi occidentali, al Giappone, ed ad Israele.
Queste vicende, da un lato, confermano l’ignobile strategia dell’imperialismo e del neo-colonialismo, consistente nello sfruttare tutte le divisioni etniche e religiose per creare il caos nelle aree di cui si cerca di impedire uno sviluppo indipendente ed autonomo (come in Iraq, Siria, Libia, Jugoslavia, ed altre aree del Vicino Oriente, Africa ed Europa centro-orientale); dall’altro lato attirano l’attenzione sulle varie anime e fazioni, spesso anche in lotta tra di loro, in cui sono divisi i Kurdi, spesso considerati da molti attivisti occidentali come un mitico e quasi “angelico” tutt’unico.
In realtà nel Kurdistan convivono realtà politiche di orientamento molto diverso. Tra i Kurdi della Turchia una posizione di grande rilievo ha assunto il PKK, partito di ispirazione marxista-leninista fondato da Abdullah Ocalan, duramente represso dal governo turco, e che da oltre 30 anni conduce una lotta armata di liberazione nella Turchia sud-orientale (o Kurdistan del Nord, secondo i Kurdi) ed ha forti agganci nella società civile kurda della Turchia e nei partiti legali che partecipano alle elezioni in Turchia. Il PKK ha le sue basi in alcune zone dell’estremo Nord dell’Iraq (o Kurdistan del Sud nella versione kurda), che vengono regolarmente bombardate dai Turchi nell’ambito della particolare versione turca di “lotta al terrorismo”. I combattenti del PKK, oltre che difendere la popolazione kurda della Turchia dagli attacchi dell’esercito di Erdogan, hanno dato un contributo decisivo anche alla lotta contro l’ISIS (o DAESH) in Iraq, ben più incisivo di quello dato dai “Peshmerga” di Barzani, con cui spesso sono confusi dalla disattenta (o maliziosa?) stampa occidentale. Nello stesso Iraq altri partiti e movimenti kurdi (ad esempio quelli legati al clan dell’ex vicepresidente dell’Iraq Talabani, con centro in Suleymania) contestano il predomino e la politica di Barzani.
Legati al PKK sono anche i combattenti kurdi della Siria settentrionale (o Kurdistan dell’Ovest, secondo i Kurdi) organizzati nelle formazioni femminili JPG e maschili YPG, e nel partito PYD. Questi combattenti da circa 4 anni hanno raggiunto una tregua di fatto con l’esercito siriano, con cui hanno anzi collaborato nella battaglia di Hassaka, durante la quale l’ISIS è stato scacciato lontano da questa importante città della Siria nord-orientale. I rapporti con la Turchia sono pessimi, in quanto i Turchi, dopo che i combattenti kurdi si erano impossessati di gran parte della frontiera tra Siria e Turchia dopo la battaglia di Kobani, hanno minacciato ripetutamente un intervento militare se i Kurdi avessero superato il fiume Eufrate e avessero chiuso gli ultimi 90 Km di frontiera ancora controllati dall’esercito turco e dall’ISIS, congiungendosi con il cantone kurdo isolato di Efrin. Questo tratto di 90 Km di frontiera, controllato a Nord dall’esercito turco e a Sud da DAESH, è quello attraverso cui passa verso Nord la maggior parte del petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico e, verso Sud, il flusso di armi e combattenti islamici fanatici e mercenari provenienti da 90 Paesi, che attraversano la Turchia con l’appoggio del governo turco.
Ma ora anche i Kurdi siriani del PYD sono corteggiati dagli USA che se ne vogliono servire come truppe di terra, e domani magari contro il governo di Bashar Al-Assad. Contemporaneamente però anche i Russi, la cui azione in Siria si fa sempre più oculata ed efficace, hanno offerto supporto alle azioni dei Kurdi locali, che si barcamenano.
Come si vede la situazione sul campo è complicata e l’imperialismo non ha rinunciato ai suoi piani di divisione, mentre i suoi infidi alleati (come Turchia ed Arabia Saudita) continuano i loro giochi di ingerenza e sopraffazione, a volte anche autonomamente dalle direttive emanate dal sempre più debole Obama, contestato anche dai “falchi” statunitensi. Gli Europei che contano (Francia, Gran Bretagna, Germania) da parte loro hanno deciso di intervenire, ma senza il consenso del governo siriano, e senza coordinarsi con l’esercito siriano, per cui la loro reale strategia non è affatto chiara e le loro azioni militari alimentano i peggiori sospetti.
L’intervento russo ha cambiato i giochi nel Vicino Oriente, ma la strada verso la piena sovranità di Paesi come l’Iraq e la Siria è ancora lunga ed irta di ostacoli.
Vincenzo Brandi
La macchina del caos: per un’Italia sovrana e neutrale
Terzo incontro per la critica del Nuovo Ordine Mondiale.
La macchina del caos lavora senza sosta creando i “fatti” secondo i propri principi e facendo, a suo modo, anche la nostra storia.
Per definizione, il suo operare non può riconoscere limiti e confini visto che, come è stato ammesso da fonte interna autorevolissima, “the american homeland is the planet”.
Sebbene in queste ultime settimane venga effettivamente contrastata sul teatro siriano dall’intervento della Russia di Putin, essa mantiene nel suo ventre oscuro copiose riserve velenifere e notevoli capacità metamorfiche che la rendono comunque temibilissima e nemica irredimibile di qualunque popolazione.
Lo si vede, forse meglio che in passato, proprio in Europa, dove per l’affondamento di qualsiasi speranza di “risveglio politico globale” si serve senza scrupolo, fra le altre, dell’arma di distruzione chiamata “accoglienza dei migranti”.
In questa situazione l’Italia, che rimane a livello planetario uno dei massimi terreni di sperimentazione per la macchina del caos, potrebbe senza paradosso rivelarsi uno degli avamposti strategici decisivi nel quale, in un futuro nemmeno troppo lontano, si giocheranno le sorti dei processi di affrancamento dal doppio giogo dell’Unione Europea e della NATO.
You stink: protesta popolare o destabilizzazione “colorata” a Beirut?
Da settimane la capitale del Libano è sconvolta da manifestazioni antigovernative. Il pretesto iniziale per queste manifestazioni, che appaiono ben organizzate e coinvolgono una media di 20.000 o 25.000 persone, è la mancata raccolta dei rifiuti che ha causato indubbiamente disagi alla cittadinanza. Ma è credibile che per un motivo del genere vada avanti da settimane una protesta politica che ora chiede le dimissioni del governo e nuove elezioni? E’ possibile che solo per questo i manifestanti invochino una “rivoluzione” che sconvolga gli equilibri faticosamente raggiunti con gli accordi di Taez tra le fazioni che posero fine alla guerra civile degli anni ’70?
Il Libano è da molti mesi bloccato dal fatto che i due principali schieramenti contrapposti non riescono ad accordarsi sulla nomina del nuovo Presidente che per costituzione deve essere un cristiano. Lo schieramento definibile come “progressista” che aveva finora governato è quello che fa capo ai partiti sciiti Hezbollah e Amal, ed ai cristiani nazional-progressisti del generale Aoun. Questo schieramento è su posizioni antisioniste e filo-siriane.
Le agguerrite milizie di Hezbollah, sostenute dall’Iran, dopo aver clamorosamente costretto Israele a ritirarsi dal Libano nel 2000 e dopo aver frustrato nel 2006 l’ultimo tentativo di Israele di invadere il Libano, combatte ora a fianco dell’esercito siriano e si oppone ai tentativi dei jihadisti provenienti dalla Siria (come l’ISIS o Al Nusra) di fare irruzione anche in Libano. Lo schieramento opposto è quello che fa capo al partito sunnita legato all’Arabia Saudita, egemonizzato dalla potente famiglia Hariri. Suoi alleati sono i cristiani di estrema destra (già responsabili del massacro di Sabra e Chatila del 1982), ora guidati dal famigerato fascistoide Geagea. Questo schieramento appoggia i cosiddetti “ribelli” siriani e flirta con Israele e con gli USA.
A questo punto non è difficile intravvedere nei disordini in corso un nuovo tentativo di “rivoluzione colorata” come quelli già attuati nel colpo di stato contro il governo di Milosevic in Jugoslavia tramite il gruppo pseudo-rivoluzionario e studentesco “Otpor”; in Ucraina con la “rivoluzione arancione” che portò al potere Yuschenko e la Timoschenko e poi, dopo il fallimento di questa “rivoluzione”, con il colpo di Stato di piazza Maidan; in Georgia con la “rivoluzione delle rose”, ecc. Anche le cosiddette “primavere arabe” rientrano in questo schema: sono state mandate in piazza persone inizialmente attratte da parole d’ordine formalmente “progressiste”, che poi si sono trasformate in incubi jihadisti appoggiati dall’esterno, come in Libia o in Siria, o hanno portato al potere la “Fratellanza musulmana” come in Egitto.
Anche a Beirut i manifestanti, organizzati presumibilmente dalle solite ONG “umanitarie” internazionali che in realtà sono iscritte nel libro paga della CIA, esibiscono slogan “progressisti” come quello di richiedere che il sistema elettorale non si basi più sulle tre confessioni principali (musulmani sciiti o sunniti, e cristiani) ma diventi laico. Dietro questi paraventi ideologici atti a sedurre settori della gioventù borghese progressista si intravvedono però le mire dei monarchi oscurantisti dell’Arabia Saudita e degli altri emirati feudali del Golfo, e dei loro alleati come USA, Turchia, Francia e Gran Bretagna. In questa fase i disordini servirebbero solo a destabilizzare il governo libanese che finora, anche perché spaventato dalla prospettiva di un’estensione della ribellione jihadista anche al Libano, ha di fatto sostenuto il governo di Bashar Al-Assad che resiste ai jihadisti in Siria.
Anche lo slogan assunto dai manifestanti testimonia dell’attenta programmazione della protesta che certamente gode del supporto di abili agenzie pubblicitarie come già le precedenti “rivoluzioni colorate”. A Belgrado lo slogan unificante era “Resistenza!”, a Kiev “E’ ora!”, a Tiflis “Basta!”. A Beirut è “You stink!”, ovvero “Voi puzzate!” rivolto al governo libanese (giocando sulla presenza della spazzatura in strada, fenomeno “normale” per un napoletano, come chi scrive). La strategia del caos in tutto il Vicino Oriente portata avanti dagli USA va avanti inesorabilmente. Ma il Libano degli Hezbollah è un osso duro, così come la Siria di Bashar Al-Assad che resiste ostinatamente da 4 anni e mezzo ad una potente coalizione internazionale (cosiddetti “Amici della Siria”, oggi “Gruppo di Londra”) che vorrebbe fare a pezzi il Paese, come già riuscito in Libia e – parzialmente – in Irak.
Vincenzo Brandi