Cinepanettone di Stato

Le contradditorie dichiarazioni del ministro della “Difesa” Ignazio La Russa relativamente alla morte di Matteo Miotto squalificano le istituzioni, la politica e le forze armate.

“Non ho mai visto in tv un Ministro della Difesa mimare come fa un attore in un film di ultima categoria“. Insomma, un La Russa che recita la parte del comico in un cinepanettone in programmazione tra San Silvestro e la Festa della Befana.
”Camporini ha detto la verità, è stato il titolare di Palazzo Baracchini a cambiare versione, le accuse che ha lanciato hanno un effetto negativo anche sulla situazione interna del Paese. Squalificano le istituzioni, la politica e le forze armate.
Si sta scardinando [intenzionalmente? – nda] il tessuto connettivo del Paese. Dopodiché non resta nulla.
I nostri sabotatori, gli incursori non dipendono dall’Esercito ma dalla NATO. Prendono ordini direttamente dal Comando Generale di Bruxelles. Scendono dagli elicotteri ed eliminano tutto quello che incontrano addentrandosi, anche di notte, in territorio “ostile“. Questa è guerra. Eliminare significa uccidere“.
Sono dichiarazioni rilasciate da Fabio Mini in questi giorni alle agenzie di stampa, che le hanno totalmente ignorate. Quello che ha detto il generale lo sapevamo e lo abbiamo scritto in più occasioni, dal 2009 in poi.
Sei parlamentari di Montecitorio hanno ripreso i contenuti dei nostri articoli sulla famigerata “Task Force 45“ per presentare delle interrogazioni a risposta scritta direttamente al Presidente del Consiglio piuttosto che rivolgersi al Ministro della Difesa od ai Sottosegretari Giuseppe Cossiga (!), figlio di Francesco, e Guido Crosetto, con l’intenzione di metterci allo scoperto piuttosto che di far sapere qualcosa in più agli italiani.
Ma c’è di peggio di un “malinteso“ o di una versione discordante sulla morte di Matteo Miotto tra il D’Annunzio del XXI° secolo ed il Capo di Stato Maggiore delle FF. AA..
Camporini andrà in pensione anticipata tra pochi giorni dopo aver accennato, ai margini della recente polemica sulla morte dell’Alpino del 7° Reggimento di Belluno della Brigata Julia, per la prima volta, a responsabilità esclusivamente politiche per la strage di… Ustica che si tirerà dietro quella di… Bologna.
Torniamo al titolare di Palazzo Baracchini.
La Russa racconta flagranti menzogne anche sui cacciabombardieri per l’attacco al suolo AMX-Acol in dotazione al PRT di Herat.
Ce li fa apparire come velivoli esclusivamente da ricognizione quando invece sono armatissimi e fanno decine di morti ammazzati a “strike“.
Se il Ministro mente e l’Aeronautica Militare dal canto suo nasconde il “lavoro“ tra le righe, salta immediatamente agli occhi la piena responsabilità politica dei Presidenti Napolitano e Berlusconi, del Sottosegretario Letta e dell’intero Esecutivo nella faccenda.
I vertici delle istituzioni e della politica sanno perfettamente quello che succede sul terreno nelle 4 province sotto (formale) controllo del contingente italiano in Afghanistan.
La Russa firma gli ordini esecutivi ma le decisioni collegiali vengono prese al Quirinale quando si riunisce il Consiglio Supremo di Difesa (CSD).
Entriamo nel merito.
Nel portale del Ministero della Difesa, Missioni Estere, Aeronautica Militare Italiana, si legge:
“… il personale navigante e specialista della Task Force “Black Cats“ proviene dai Gruppi di volo dell’A.M.I che hanno in dotazione il caccia AM-X: il 103° ed il 132° Gruppo del 51° stormo di Istrana, il 13° ed il 101° Gruppo del 32° stormo di Amendola”. Lo stesso, aggiungiamo noi, che effettuò per ordine dell’allora presidente del Consiglio D’Alema, consigliere militare Tricarico, ripetuti lanci di missili antiradiazione Harm sugli impianti radar del Montenegro nel 1999, in missione SEAD (Suppression of Enemy Air Defence), senza autorizzazione dell’ONU.
Abbiamo pubblicato a suo tempo anche i numeri degli oggettini indirizzati verso i targets in prossimità di alloggiamenti dei militari serbi.
Continuiamo a leggere quello che ci dice il portale.
“… Sabato 4 Dicembre ad Herat si è svolta la cerimonia del passaggio di consegne tra il magg. Nadir Ruzzon, comandante uscente e il magg. Michele Grassi, subentrante.
Nel periodo di comando del maggiore Ruzzon i 4 AM-X Acol (acronimo di Aggiornamento capacità operativa e logistica) hanno portato a termine con successo numerose missioni operative. Negli ultimi mesi sono state effettuate più di 300 ore di volo in 140 sortite [attenzione qui – nda] tra attività di supporto aereo ravvicinato, appoggio tattico alle truppe in operazioni di Close Air Support e ricognizione aerea per esigenze di intelligence, sorveglianza e ricognizione ISR“. In realtà le ore effettive di volo degli AMX dal 9 Novembre 2009, giorno del loro primo impiego in Afghanistan, ad oggi sono 2300. L’A.M.I azzera le ore di volo a fine anno per ricominciare la conta. Il perché è semplice: nasconde intenzionalmente l’entità del suo “impegno” aria-terra nelle province ovest di Herat, Farah, Bagdis e Ghor contro nuclei di combattenti pashtun.
Per non dare interpretazioni errate o di parte abbiamo usato Wikipedia. Ecco cosa riporta.
Close Air Support (CAS) è un termine utilizzato in gergo militare per indicare appoggio tattico fornito da velivoli ad ala fissa contro obbiettivi nemici in prossimità di forze amiche.
Il ruolo Close Air Support viene effettuato da aerei da attacco al suolo.
Per essere meno criptici, in soldoni, il Comando del PRT di Herat usa gli AMX che mitragliano e bombardano con armi a guida laser ed i Tornado IDS con missili e spezzoniere, per proteggere – si sostiene – il contingente italiano anche quando la minaccia sul terreno è pressoché inesistente o nulla.
La filosofia di impiego è fare terra bruciata, preventiva, per decine di chilometri di ampiezza intorno ai (nostri) capisaldi, controllando dall’aria ogni obbiettivo che si muova in maniera sospetta a piedi od in auto, fuoristrada e camion su percorsi asfaltati o strade di montagna, sia in prossimità di villaggi che di insediamenti agricoli od abitazioni isolate nelle vallate.
Il tutto a discrezione visiva (interpretativa) degli operatori alla consolle degli UAV Predator di Camp Arena.
Sentire in voce, in un filmato, un militare USA che… segnala ad un A-10 in volo due sospetti (terroristi) in prossimità di un argine che hanno in mano qualcosa che somiglia ad un lanciarazzi (pale, picconi?) ed autorizza il pilota a fare fuoco sui bersagli con i cannoni a tiro rapido da 30 mm, fa semplicemente rabbrividire.
Il portale dell’Aeronautica Militare non può dire esplicitamente quello che la Russa nega in pubblico ma si lascia una via di uscita per non caricarsi di responsabilità nell’ammazzare pashtun in quantità industriali, per decisioni di esclusiva responsabilità del Ministro della Difesa e del CSD.
La Russa, abbagliato da veline e gossip, che privatizza le FF. AA., che aliena per un tozzo di pane proprietà dello Stato, fari ed isole comprese, per reperire fondi per la Roma di Alemanno ed il sostegno armato al governo Karzai; capacissimo di licenziare, per sforamenti di bilancio, graduati e sottoufficiali, precari, ed ufficiali a ferma breve, in combutta con Brunetta e Tremonti, non può continuare a rappresentare lo strumento militare del Paese.
Abituato a mentire spudoratamente, può continuare meravigliosamente bene a fare il “politico” ma non certo il Ministro della Difesa. Non ne ha le capacità intellettuali né comportamentali. E’ una vajassa ed un debito elettorale per il PdL. Anche se non ce ne può fregare di meno. Fatti loro.
Il generale Mini ha detto in modo esplicito quello che si pensa unanimemente, tra gli organici di basso e medio livello delle forze armate e tra la gente perbene, dell’on. Ignazio La Russa.
Più buia la notte più luminosi i fuochi.
Giancarlo Chetoni

Fuori la Repubblica delle banane dall’Afghanistan. Alla svelta!

Il 13 Ottobre si è concluso il trasferimento ad Herat di tre elicotteri medio pesanti EH-101 Agusta Westland in dotazione alla Marina Militare, affittando come cargo un gigantesco C-17 Galaxy USA.
I nuovi arrivati ad ala rotante in aggiunta al già ingente e costosissimo apparato da trasporto logistico, evacuazione medica, ricognizione ed attacco a disposizione del Comando del PRT 11 di Herat si sarebbero resi necessari, a quanto dichiarato dal Capo di Stato Maggiore Vincenzo Camporini, per “incrementare sul terreno la capacità multifunzionale della componente aerea del contingente italiano“.
L’Italia ha allargato il suo sostegno militare nelle provincie ovest dell’Afghanistan alla coalizione ISAF-Enduring Freedom.
Dal canto suo il D’Annunzio del XXI° secolo come si è definito, ironicamente, nel frattempo si è diviso in quattro con giornali e televisioni per sostenere il contrario, ipotizzandone la riduzione entro il 2011 affidandosi ad una favoletta logora: il passaggio della “sicurezza“ nelle mani dell’esecutivo di Kabul.
Non sapete chi è il Vate? Rimediamo subito. Anche se ci viene una gran voglia di portare il dorso della mano alle labbra e soffiare forte, forte.
E’ il Ministro della Difesa. L’onorevole Ignazio La Russa.
Il titolare di Palazzo Baracchini, perfettamente consapevole che 2/3 degli italiani sono fermamente contrari alla guerra in Afghanistan, sta tentando senza troppa fantasia di mandar in scena nel Bel Paese la stessa farsa recitata dal premio Nobel Barack Obama per tacitare l’opinione pubblica USA stremata, come la nostra e più in generale quella europea, da una devastante crisi sociale.
Anche se la finanziaria di Dicembre si chiama ora legge di stabilità, non sarà qualche furbata semantica o peggio qualche annunciata menzogna contabile per difetto (750 milioni semestrali per le “missioni di pace“) a nascondere che l’avventurismo bellico della Repubblica delle banane, dal 2003 ad oggi, ha bruciato risorse pubbliche colossali che avrebbero potuto essere diversamente utilizzate per dare fiato a lavoro, ricerca, sanità, tutela ambientale e strutture pubbliche.
E qui ci vengono a mente anche i 15 miliardi di euro per un altro costosissimo ultra-bidone rifilatoci dal Pentagono, da D’Alema, Prodi, Berlusconi, Guarguaglini & soci in cambio di un men che niente, una sezione d’ala a Cameri: l’F-35. Continua a leggere

Guerra psicologica made in Italy

Si chiama “La voce della Libertà nell’Ovest” ed è stata inaugurata ad Herat il 20 aprile dal sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto e dal capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini. È la radio gestita dal contingente militare italiano che diffonderà in tutto l’ovest afghano trasmissioni rivolte alla popolazione locale contenenti informazioni di pubblica utilità e soprattutto tanta “promozione” delle attività dei contingenti alleati e in particolar modo italiano.
Radio Sadi e Azadi West è l’ultimo strumento messo a punto dagli alleati per conquistare “i cuori e le menti” degli afghani e per aumentarne la diffusione già favorita dalla presenza di un buon numero di radio soprattutto nei centri urbani, i militari italiani distribuiranno migliaio di piccole radio portatili funzionanti con la corrente elettrica, a batteria e a energia solare allo scopo di ovviare all’assenza di energia elettrica in molti centri delle campagne afghane.
L’iniziativa, da mesi in fase di messa a punto al Regional Command West della NATO a Herat ha preso il via ufficialmente con l’arrivo della brigata alpina Taurinense guidata dal generale Claudio Berto, un veterano dell’Afghanistan che nel 2003 guidò il 9° reggimento alpini a Khost, lungo il confine pachistano, nell’ambito dell’Operazione Nibbio/Enduring Freedom.
(…)
Benché costituisca il segmento posto a copertura della regione occidentale del network radiofonico “La voce della libertà” della NATO in Afghanistan, la radio è stata realizzata con fondi italiani ed è diretta dal maggiore Renato Rocchetti del 28° Reggimento “Pavia”, unità dell’esercito che si occupa di Operazioni Psicologiche (Psy Ops), cioè quelle operazioni tese a influenzare l’opinione pubblica afghana. In realtà l’ormai diffusa ossessione per il linguaggio politicamente corretto ha fatto si che quello italiano sia l’unico esercito del mondo a disporre di un reparto Psy Ops ufficialmente definito di “Comunicazioni operative”, termine privo di significato che sembrerebbe richiamare i reggimenti trasmissioni che si occupano di radio e sistemi satellitari.
I militari del 28° reggimento sono invece professionisti della comunicazione già distintisi in Iraq e nella missione dell’ONU nel sud del Libano. In Afghanistan sono spesso tra la gente, visitano anche i centri più isolatri e incontrano i leader locali diffondendo prodotti (depliants, volantini, video e da oggi anche servizi radiofonici) tesi a far conoscere in termini positivi il lavoro delle forze alleate nel campo della sicurezza, della ricostruzione e del supporto alle forze afghane.
(…)
I militari italiani sono già stati protagonisti nella realizzazione di radio militari nelle aree di operazioni. Nel 1993 il contingente italiano in Somalia istituì Radio Ibis che riusciva a coprire solo Mogadiscio e dintorni mentre dal 1999 venne realizzate a Pec, in Kosovo occidentale, l’emittente radiofonica Radio West.

Da Si chiama voce della libertà la radio italiana in Afghanistan, di Gianandrea Gaiani.

Difesa Servizi s.p.a.

Le forze armate italiane smettono di essere gestite dallo Stato e diventano una società per azioni. Uno scherzo? Un golpe? No: è una legge, che diventerà esecutiva nel giro di poche settimane. La rivoluzione è nascosta tra i cavilli della Finanziaria, che marcia veloce a colpi di fiducia soffocando qualunque dibattito parlamentare. Così, in un assordante silenzio, tutte le spese della Difesa diventeranno un affare privato, nelle mani di un consiglio d’amministrazione e di dirigenti scelti soltanto dal ministro in carica, senza controllo del Parlamento, senza trasparenza. La privatizzazione di un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio senza precedenti. Che pochi parlamentari dell’opposizione leggono chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio: lo smantellamento dello Stato. “Ora si comincia dalla Difesa, poi si potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all’Istruzione, alla Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società d’affari”, chiosa il senatore PD Gianpiero Scanu.
Stiamo parlando di Difesa Servizi Spa, una creatura fortissimamente voluta da Ignazio La Russa e dal sottosegretario Guido Crosetto: una società per azioni, con le quote interamente in mano al ministero e otto consiglieri d’amministrazione scelti dal ministro, che avrà anche l’ultima parola sulla nomina dei dirigenti. Questa holding potrà spendere ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro senza rispondere al Parlamento o ad organismi neutrali. In più si metterà nel portafogli un patrimonio di immobili ‘da valorizzare’ pari a 4 miliardi. Sono cifre imponenti, un fatturato da multinazionale che passa di colpo dalle regole della pubblica amministrazione a quelle del mondo privato. Ma questa Spa avrà altre prerogative abbastanza singolari. Ed elettrizzanti. Potrà costruire centrali energetiche d’ogni tipo sfuggendo alle autorizzazioni degli enti locali: dal nucleare ai termovalorizzatori, nelle basi e nelle caserme privatizzate sarà possibile piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o installare reattori atomici? Signorsì! Segreto militare e interesse economico si sposeranno, cancellando ogni parere delle comunità e ogni ruolo degli enti locali. Comuni, province e regioni resteranno fuori dai reticolati con la scritta ‘zona militare’, utilizzati in futuro per difendere ricchi business. Infine, la Spa si occuperà di ‘sponsorizzazioni’. Altro termine vago. Si useranno caccia, incrociatori e carri armati per fare pubblicità? Qualunque ditta è pronta a investire per comparire sulle ali delle Frecce Tricolori, che finora hanno solo propagandato l’immagine della Nazione. Ma ci saranno consigli per gli acquisti sulle fiancate della nuova portaerei Cavour o sugli stendardi dei reparti che sfilano il 2 giugno in diretta tv?
Lo scippo. Quali saranno i reali poteri della Spa non è chiaro: le regole verranno stabilite da un decreto di La Russa. Perché dopo oltre un anno di dibattiti, il parto è avvenuto con un raid notturno che ha inserito cinque articoletti nella Finanziaria.
(…)
Non si capisce nemmeno quanti soldi verranno manovrati dalla holding. Difesa Servizi gestirà tutte le forniture tranne gli armamenti, che rimarranno nelle competenze degli Stati maggiori. Ma cosa si intende per armamenti? Di sicuro cannoni, missili, caccia e incrociatori. E gli elicotteri? E i camion? E i radar e i sistemi elettronici? Quest’ultima voce ormai rappresenta la fetta più consistente dei bilanci, perché anche il singolo paracadutista si porta addosso una serie di congegni costosissimi.
(…)
Gli immobili. Questa Finanziaria in realtà realizza un altro dei sogni rivoluzionari: l’assalto alle caserme. È una corsa agli immobili della Difesa per fare cassa, sotto la protezione di una cortina fumogena. La vera battaglia è quella per espugnare un patrimonio sterminato: edifici che valgono oro nel centro di Roma, Milano, Bologna, Firenze, Torino, Venezia. Un’altra catena di fortezze, poligoni, torri e isole in località di grande fascino che va dalle Alpi alla Sicilia. Da dieci anni si cerca di trovare acquirenti, con scarsi risultati: dei 345 beni ex militari messi all’asta dal governo Prodi, il Demanio è riuscito a piazzarne solo otto. Adesso, dopo un lungo braccio di ferro tra La Russa e Tremonti, si sta per scatenare l’attacco finale. Con una sola certezza: i militari verranno sconfitti, mentre sono molti a pensare che a vincere sarà solo la speculazione.
(…)
Intanto però gli appetiti si stanno scatenando. E fette della torta finiscono in pasto alle amministrazioni amiche. Con giochi di finanza creativa. A Gianni Alemanno per Roma Capitale sono state concesse caserme per oltre mezzo miliardo di euro. O meglio, il loro valore cash: il Tesoro anticiperà i quattrini, da recuperare con la vendita degli scrigni di viale Angelico, Castro Pretorio, via Guido Reni e di un paio di fortezze ottocentesche ormai inglobate dalla metropoli. Qualcosa di simile potrebbe essere regalato a Letizia Moratti, per lenire il vuoto nelle casse dell’Expo: un bel pacco dono di camerate e magazzini con vista sul Duomo. “Così le logiche diventano altre: non c’è più tutela del bene pubblico ma l’esternalizzare fondi e beni pubblici attraverso norme privatistiche”, dichiara Rosa Calipari Villecco, sottolineando l’assenza di magistrati della Corte dei conti o altre figure di garanzia nella nuova spa. Un anno fa i militari avevano manifestato insofferenza per questa disfatta edizilia. Il capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini aveva fatto presente che era stato ceduto un tesoro da un miliardo e mezzo di euro senza “adeguato contraccambio”. Oggi, come spiega l’onorevole Calipari, “non si sa nemmeno tra quanti anni le forze armate riceveranno i profitti delle vendite”. Eppure i generali tacciono. Una volta ai soldati veniva insegnato ‘Credere, obbedire, combattere’; adesso il motto della Difesa privatizzata è ‘economicità, efficienza, produttività’. La regola dell’obbedienza è rimasta però salda. E con i tagli al bilancio imposti da Tremonti – in un trennio oltre 2,5 miliardi in meno – anche gli spiccioli della nuova holding diventano vitali per tirare avanti e garantire l’efficienza di missioni ad alto rischio, Afghanistan in testa.
Business con logo. Di sicuro, Difesa Servizi Spa sfrutterà le royalties sui marchi delle forze armate. Un business ghiotto. Il brand di maggiore successo è quello dell’Aeronautica. Felpe, t-shirt, giubbotti e persino caschi con il simbolo delle Frecce Tricolori spopolano con un mercato che non conosce distinzioni d’età e di orientamento politico. Anche l’Esercito si è mosso sulla scia: sono stati aperti persino negozi monomarca, con zaini e tute che sfoggiano i simboli dei corpi d’élite. Finora gli Stati maggiori barattavano l’uso degli stemmi con compensazioni in servizi: restauri di caserme, costruzione di palestre. D’ora in poi, invece, i loghi saranno venduti a vantaggio della Spa. Questo è l’unico punto chiaro della legge, che introduce sanzioni per le mimetiche senza licenza commerciale: anche 5 mila euro di multa. “La questione delle sponsorizzazioni è una foglia di fico per coprire altre vergogne. Tanto più che alla difesa vanno solo briciole”, taglia corto il senatore Scanu. E trasformare il prestigio delle bandiere in denaro, però, non richiedeva la privatizzazione. La Marina ha appena pubblicato sui giornali un bando per mettere all’asta lo sfruttamento della sua insegna: si parte da 150 mila euro l’anno. Con molta trasparenza e senza foraggiare il cda scelto dal ministro di turno.

Da Forze armate e privatizzate, di Gianluca Di Feo.
[grassetto nostro]

Complicità politiche ed istituzionali per la Task Force 45

sarissa

Dei “professionisti” tricolori della Task Force 45 si conoscono i reparti di provenienza e la forza approssimativa, 180-200 uomini. Non si sa niente invece delle dotazioni militari, niente degli ufficiali e sottoufficiali, niente della effettiva catena di comando locale, niente sugli avvicendamenti e sui cicli di “operazione”, niente sulla sorte riservata ai feriti mujaeddin e pashtun catturati sul terreno né esiste agli atti del Ministero della Difesa un solo comunicato che riguardi l’attività operativa dell’unità speciale che la Repubblica delle Banane mette ad esclusiva disposizione dei super killer di Enduring Freedom.
Alla faccia della trasparenza e della libertà di “informazione”. Su questa banda di “bucanieri della montagna” il silenzio di giornali e televisione è totale.
Si sa solo, per notizie che rimbalzano in Italia dalla agenzie di stampa afghane nelle provincie di Herat e Farah, che, ad oggi, si contano a centinaia gli insorti “neutralizzati” ed a decine i morti ammazzati tra i residenti per “effetti collaterali” di rastrellamenti, cecchinaggio, tiri di mortaio e “bonifiche” dall’aria.
Ora che la Folgore sta per essere avvicendata la Task Force 45 torna, ad orologeria, alla pratica del rambismo, per alzare il livello dello scontro e per preparare come si deve il “terreno” alla Brigata Sassari.
Tutte le Grandi Unità devono lasciare un “minimum” di caduti nel Paese delle Montagne, sufficiente a cementare solidarietà tra i partner dell’Alleanza Atlantica, a rilanciare sul piano nazionale la necessità della guerra al “terrorismo”, ad instillare nelle Forze Armate del Bel Paese l’odio per un “nemico” che predica e pratica l’Islam, a preparare a livello politico una componente militare di “elite” che offra le esperienze e le specializzazioni necessarie per essere utilizzata, quando sarà “necessario”, sul piano interno come garante dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Una struttura in formazione che sottrae, via via, risorse destinate all’attività di addestramento ed utilizzo del personale delle Forze Armate, acquisizioni logistiche e sistemi d’arma.
Forze Armate che a partire dal Nuovo Modello di Difesa sono state giudicate un peso di cui doversi liberare, elefantiache, obsolete e totalmente inadatte a gestire “operazioni di polizia internazionale” sia dagli esecutivi di centro-sinistra che di centro-destra, con l’esplicito appoggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del CSD e dei titolari dei Ministeri della Difesa.
Una campagna normativa “acquisti-dismissioni” che parte in sordina dal 1999 e ha preso un’accelerazione da capogiro a partire dall’estate 2006.
Le riforme nella Pubblica Amministrazione annunciate da Brunetta ed approvate in settimana in CdM vanno in questa direzione, al di là dei settori “civetta” sotto tiro.
Per capire cosa si stia muovendo dietro la Task Force 45, dopo mesi di impenetrabile silenzio su questa “unità antiterrorismo”, basterà leggere il seguente comunicato AGI dello scorso 9 ottobre:
“Un capo talebano Ghoam Yahya [un nome con tutta probabilità inventato di sana pianta, ndr] e 25 suoi affiliati [!] sono stati neutralizzati oggi nel corso di un operazione congiunta di militari italiani e statunitensi. L’episodio è avvenuto a 20 km da Herat. Secondo quanto si apprende la Task Force 45 che seguiva il gruppo di insorti già da ieri, è entrata in azione. Appresa la notizia il Ministro della Difesa si è subito complimentato con il CSM gen. Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane di Herat generale Rosario Castellano.”
Ecco come il titolare di Palazzo Baracchini ha cercato fraudolentemente di coinvolgere le Forze Armate nazionali in questo nuovo massacro che porta una firma esclusiva: quella della NATO.
Una manovra vergognosa per scaricare sui vertici militari del Paese i malumori di un’opinione pubblica fortemente contraria all’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane, una responsabilità che è soprattutto “politica” ed “istituzionale”. Quel “nessun ritiro dall’Afghanistan” pronunciato dal marito della signora Clio da Tokio, all’indomani della morte dei sei parà del 186° Rgt. Folgore, la dice chiara.
Non siamo mai stati teneri con i sostenitori della “missione di pace” dell’Italietta in Afghanistan ma che Camporini sia al corrente del “lavoro” che fa la Task Force 45 “tricolore” è largamente improbabile. Sparare nel mucchio non serve, anzi, è fuorviante e dannoso.
Si sa che La Russa non va per il sottile quando c’è da compiacere il Presidente del Presidente. Lo stiamo attentamente monitorando dal G8 delle “donne” alla Farnesina alla presenza della bocca ad uso poliedrico della Carfagna e di Frattini, a partire dalle mete estere, Corea del Sud e Giappone e dalle frenetiche, ormai quotidiane, convocazioni al Quirinale dei “pezzi da novanta” del Bel Paese nel tentativo di ritardarne l’implosione.
Il conflitto tra Napolitano e Berlusconi non è sulla costruzione a passi da gigante di una Repubblica Presidenziale, che va benone ad entrambi, ma su chi dovrà occupare il seggiolone del Colle con pieni poteri. L’ex fascista “O ‘Sicco” lo vuole destinare alle chiappe di Fini, “papi” vuole metterci le sue. Il resto sono chiacchiere e depistaggi.
Una struttura coperta quella della Task Force 45 che si avvale, sarà bene dirlo, di grosse complicità al Comando Operativo Interforze di Centocelle.
Il curriculum di Camporini, caso pressoché unico, è esente da qualsiasi frequentazione “imbarazzante” a Bruxelles od a Washington.
Frequentazioni che aprono la strada da sessant’anni esatti alle più alte responsabilità nelle Forze Armate dell’Italietta e dischiudono, dopo la quiescenza, le stanze nelle società di Finmeccanica od abilitano ad altri prestigiosi incarichi nelle “istituzioni”, in istituti pubblici o privati, in Italia ed in Europa. Incarichi sempre lautamente retribuiti.
Possibile invece che ne sia stato informato, a cose fatte, il comandante del West Rc di Herat, Prt 11, che non batte da tempo per il verso giusto in attesa di incassare una promozione.
La Task Force 45 non dipende né da Castellano né dal suo diretto superiore gen. Bertolini ma dall’ammiraglio G. Di Paola, un ringhioso cane da guardia con un formidabile pedigree NATO, eletto il 13 febbraio del 2008 Segretario Generale del Comitato che riunisce i vertici militari dei 28 Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, quando era ancora C.S.M delle Forze Armate per decisione del CdM del governo Berlusconi.
Un ammiraglio pataccato da Bush con la Legion of Merit che condivide con Will C. Rogers III, l’ex Capitano di Vascello dell’incrociatore USS CG-49 Vincennes, responsabile dell’abbattimento con due missili antiaerei RIM-66 Standard di un Airbus dell’Iran Air (volo 655) e della morte di 290 passeggeri sul Golfo Persico durante il volo Bandar Abbas-Dubai, il 3 luglio 1988.
Giancarlo Chetoni

Il Grande Orecchio della NATO

orecchio

Lo sviluppo dell’AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre della NATO, ha generato divisioni insanabili all’interno dell’Alleanza Atlantica. Alla firma del Programme Memorandum of Understanding (PMOU) che segna i confini legali, organizzativi e finanziari del sistema d’intelligence, si sono presentati infatti solo 15 dei paesi membri dell’organizzazione nord-atlantica. Si tratta di Bulgaria, Canada, Danimarca, Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti d’America. Per la gestione e il coordinamento delle attività di sviluppo e implementazione dell’AGS, le nazioni aderenti al PMOU hanno dato vita a due nuove agenzie, la NATO AGS Management Organisation (NAGSMO) e la NATO AGS Management Agency (NAGSMA). Il Comando Supremo Atlantico di Bruxelles ha inoltre comunicato che la piena capacità del sistema di sorveglianza terrestre sarà raggiunta entro il 2012, anticipando di un anno i tempi previsti.
Nel corso della riunione dei Ministri della Difesa della NATO di Cracovia, il 19 e 20 febbraio 2009, è stata formalizzata la scelta della stazione aeronavale di Sigonella quale “principale base operativa” dell’AGS. “Abbiamo scelto questa base dopo un’attenta valutazione e per la sua centralità strategica nel Mediterraneo che le consentirà di concentrare in quella zona le forze d’intelligence italiane, della NATO e internazionali”, ha dichiarato il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini. Nella grande infrastruttura militare siciliana saranno ospitati i sistemi di comando e di controllo del’AGS, centralizzando le attività di raccolta d’informazioni ed analisi di comunicazioni, segnali e strumentazioni straniere. Sigonella si trasforma così in un’immensa centrale di spionaggio, un “Grande Orecchio”, della NATO capace di spiare, 24 ore al giorno, un’area che si estende dai Balcani al Caucaso e dall’Africa al Golfo Persico.
La stazione aeronavale ospiterà inoltre la componente di volo del sistema di sorveglianza, costituita da sei sofisticati velivoli senza pilota (UAV). In un comunicato stampa del 25 settembre scorso, gli alti comandi NATO hanno spiegato che “il segmento aereo dell’AGS Core sarà basato sulla versione Block 40 dell’aereo “RQ-4B Global Hawk” di produzione statunitense, dotato di un’autonomia di volo superiore alle 30 ore ed in grado di raggiungere i 60.000 piedi di altezza, in qualsiasi condizione meteorologica”.
(…)
“Grazie all’Alliance Ground Surveillance, la NATO acquisirà una considerevole flessibilità nell’impiego della propria capacità di sorveglianza di vaste aree di territorio in modo da adattarla alle reali necessità operative”, ha dichiarato Peter C. W. Flory, vicesegretario generale per gli Investimenti alla difesa dell’Alleanza Atlantica. “L’AGS è essenziale per accrescere la capacità di pronto intervento in supporto delle forze NATO per tutta le loro possibili future operazioni. L’AGS sarà un elemento chiave per assicurare l’assunzione delle decisioni politiche dell’Alleanza e la realizzazione dei piani militari”. Il nuovo sistema non è però un mero mezzo di intercettazione e di spionaggio. Come è stato riconosciuto dal Capo di Stato Maggiore italiano, generale Camporini, nella base di Sigonella sarà allestito un “più avanzato sistema SIGINT”. Il SIGINT, acronimo di Signals Intelligence, è lo strumento d’eccellenza di ogni “guerra preventiva” e ha una funzione determinante per scatenare il “first strike”, convenzionale o nucleare che sia. Una delle articolazioni SIGINT è la cosiddetta ELINT – Electronic Intelligence, che si occupa in particolare d’individuare la posizione di radar, navi, strutture di comando e controllo, sistemi antiaerei e missilistici, con lo scopo di pianificarne la distruzione in caso di conflitto.
Nonostante l’accelerazione inferta al piano di sviluppo dell’AGS, il Comando NATO di Bruxelles ha chiesto un maggiore impegno collettivo ai paesi membri. “La partecipazione al programma resta aperto agli altri Alleati interessati”, ha dichiarato il vicesegretario Peter C. W. Flory, invitando apertamente i partner dell’Europa occidentale e la Polonia a rientrare nell’AGS. Originariamente, il piano di sviluppo del sistema di sorveglianza vedeva associate 23 nazioni.
(…)
Con l’AGS, inevitabilmente, sarà dato nuovo impulso ai processi di militarizzazione del territorio siciliano. Per il funzionamento degli aerei senza pilota e della nuova supercentrale di spionaggio, il ministro della difesa Ignazio La Russa ha annunciato l’arrivo nell’isola di un “NATO Force Command di 800 uomini, con le rispettive famiglie”. È prevedibile che saranno presto avviati i lavori per realizzare nuovi complessi abitativi per il personale in forza alla stazione aeronavale. I consigli comunali di Motta Sant’Anastasia (Catania) e Lentini (Siracusa) hanno già adottato quattro progetti di variante ai piani regolatori per l’insediamento di residence e villaggi ad uso esclusivo dei militari statunitensi e NATO.
Dovrebbe essere ormai questione di giorni l’arrivo a Sigonella del plotone di 4-5 velivoli RQ-4B “Global Hawk” dell’US Air Force, destinati ad operare in Europa, Medio oriente e nel continente africano. Nella base siciliana sarà pure realizzato il Global Hawk Aircraft Maintanance and Operations Complex, il complesso per le operazioni di manutenzione degli aerei senza pilota. Il progetto, da finanziare con il budget 2010 dell’Air Force Military Construction, Family Hosusing and base Realignment and Closure Programs, è stato definito di “alto valore strategico” da Kathleen Ferguson, vicesegretaria della Difesa, in occasione della sua audizione davanti al Congresso, il 3 giugno 2009.
(…)
Lo scorso anno, il Pentagono ha assegnato alla Northrop Grumman il piano di sviluppo dei nuovi velivoli senza pilota che saranno utilizzati dalle forze navali. Con la prima tranche del programma, a partire del 2015 saranno forniti 68 “Global Hawk” in versione modificata rispetto a quelli già operativi con l’US Air Force. Spesa prevista 1,16 miliardi di dollari. “Una quarantina di questi velivoli UAV saranno dislocati in cinque siti: Kaneohe, Hawaii; Jacksonville, Florida; Sigonella, Italia; Diego Garcia, Oceano Indiano, e Kadena, Okinawa”, hanno dichiarato i portavoce del Dipartimento della Difesa. “Ad essi, nelle differenti missioni navali in tutte le aree del mondo, si affiancheranno i velivoli con pilota P-8 Multi-Mission Maritime Aircraft (MMA), che stanno sostituendo i P-3 Orion in servizio dal 1962”. L’US Navy ha già preannunciato che le “front lines” per la dislocazione dei nuovi P-8 saranno le stazioni aeronavali di Diego Garcia, Souda Bay (Grecia); Masirah (Oman); Keflavik (Islanda), Roosevelt Roads (Porto Rico) e l’immancabile Sigonella.

Da A Sigonella la megacentrale di spionaggio NATO, di Antonio Mazzeo.

Missione di Pace

mangusta

Italiani attaccano basi miliziani afghani
Un’operazione congiunta dei militari italiani con tutte le componenti della sicurezza afghana è stata condotta contro postazioni nemiche a Bala Morghab, nel nordovest del Paese.
Nell’azione, riferiscono fonti militari, sono stati impiegati elicotteri italiani che hanno bombardato e neutralizzato le postazioni degli insorti.
Mentre tra i miliziani attaccati vi sarebbero vittime, nessun militare italiano o afghano ha riportato ferite.
Televideo, 4 giugno 2009, ore 18:04:32

Herat, 10 giugno 2009- Scontro a fuoco intenso e prolungato oggi nella valle di Bala Murgab (in provincia di Badghis, 200 chilometri a nord di Herat) tra talebani e forze di sicurezza afghane, che con il supporto dei paracadutisti della Folgore hanno guadagnato il controllo di diverse aree strategicamente fondamentali per la sicurezza e la stabilità dell’area.
L’azione ha comportato l’intervento di quattro elicotteri Mangusta italiani, due dei quali sono stati raggiunti da colpi d’armi leggere. Nessun militare italiano è rimasto ferito, mentre sono stati uccisi due importanti capi talebani.
(Adnkronos)

Farah, 11 giugno 2009 – Tre militari italiani sono rimasti feriti, due in modo lieve e uno gravemente, in uno scontro a fuoco avvenuto poco fa a Farah, nell’ovest dell’Afghanistan. Il ferito grave è stato colpito sotto l’ascella, uno al piede e l’altro alla mano. I tre paracadutisti, della brigata Folgore, erano impegnati in un pattugliamento congiunto con i militari dell’esercito afgano.
E’ il secondo conflitto a fuoco che ha visto impegnati i soldati italiani nella zona da questa notte. Nella stessa zona di Farah, durante la notte, si è avuto un altro attacco ad una pattuglia di militari italiani, che hanno risposto al fuoco, senza riportare alcuna conseguenza.
La provincia di Farah si trova nella parte meridionale della Regione ovest, a comando italiano. E’ una zona tradizionalmente calda, così come lo è anche quella della provincia di Bala Morgab, che si trova invece nella parte nord dell’area di responsabilità italiana: proprio qui, ieri, si è verificata una dura battaglia durante la quale sono stati colpiti due elicotteri Mangusta, ma non ci sono stati feriti tra gli italiani. Ingenti, invece, le perdite tra gli insorti.
(La Repubblica)

folgore

Herat, 24 giugno 2009 – Questa mattina nella valle di Bala Murgab (provincia di Badghis 200 Km nord di Herat), nel corso di un’importante operazione congiunta, delle forze di sicurezza afgane e ISAF, volta ad eliminare ulteriori sacche di resistenza presenti nell’area, le nostre unità hanno subito un attacco. Nello scontro condotto con armi portatili e razzi contro carri RPG, è rimasto lievemente ferito uno dei Paracadutisti del 183esimo reggimento “Nembo”. Il militare italiano, non ha riportato conseguenze, è stato medicato sul posto e ha potuto proseguire l’attività. E’ invece deceduto un militare afgano e altri 4 sono rimasti feriti. Sono rimasti leggermente danneggiati 4 “lince” Italiani che comunque hanno potuto proseguire l’attività.
La manovra per ottenere il controllo di questa zona fondamentale è stata complessa e articolata, condotta con azioni tattiche di truppe sul terreno e con il fuoco combinato e coordinato, di armi a tiro teso, una coppia di elicotteri Mangusta e mortai, sia dei Paracadutisti italiani che dell’Esercito Afghano. Anche ieri a Sud, nell’area di Farah, i Paracadutisti del 187esimo reggimento Folgore erano intervenuti a supporto dell’esercito afghano a seguito di un attacco che era stato condotto contro una loro base e nel corso del quale erano rimasti uccisi due militari. Nel corso di un successivo controllo in un villaggio in quell’area, i militari italiani hanno rinvenuto un ingente quantitativo di esplosivo (più di 100 fra bombe e razzi ed oltre 80 spolette). Il materiale, perfettamente funzionante, era pronto per essere impiegato per la preparazione di attacchi con ordigni esplosivi.
(AGI)

tornado

Non c’è alcuna richiesta specifica, ma…
Roma, 8 luglio 2009 – Le altre nazioni impegnate militarmente in Afghanistan hanno ”un minimo di perplessità” per il fatto che i cacciabombardieri italiani non sono autorizzati a fornire un supporto di copertura alle truppe.
Lo ha fatto sapere il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nel corso di un’audizione davanti alla commissioni Esteri e Difesa riunite di Camera e Senato. ”I nostri soldati, in questa fase particolarmente delicata, hanno richiesto un supporto aereo di copertura”, ma i cacciabombardieri italiani, così come quelli tedeschi, ”sono autorizzati solo per il monitoraggio”, a differenza dei velivoli di Paesi come Stati Uniti o Olanda, ha detto La Russa, spiegando che il comando militare italiano ha segnalato che ”da parte delle altre nazioni c’è un minimo di perplessità su questa diversità”. ”Vi ho voluto segnalare che non c’è alcuna richiesta specifica, ma il comando militare mi ha riferito di questa argomentazione ripetuta e insistita fatta al contigente italiano”, ha aggiunto.
(ASCA)

Pace unica via di uscita? Allora aspettiamo un pezzo
Roma, 16 luglio 2009 – Il sacrificio del parà Alessandro Di Lisio in Afghanistan “non è stato invano”. Lo ha assicurato, in una lettera al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri, Franco Frattini secondo cui la “via di uscita” è una sola: la pace nel Paese che deve arrivare ad “autogovernarsi”.
Frattini nella lettera torna sulle ragioni dell’intervento in Afghanistan: “Difendere la sicurezza nazionale e la sicurezza dell’Occidente di fronte alla minaccia del terrorismo globale”. “Il terrorismo – ha detto Frattini – crea i propri santuari negli stati deboli dove le istituzioni locali non sono in grado di controllarne le azioni”. “Nessuno dei Paesi alleati – ha spiegato il ministro – intende rimanere in Afghanistan sine die”. Stiamo cercando, ha aggiunto il ministro “di rafforzare la responsabilità di autogoverno da parte delle autorità afghane. A partire dalla sicurezza attraverso la formazione dell’esercito e della polizia afghana dove i nostri Carabinieri stanno offrendo un contributo altamente apprezzato da tutti”.
(AGI)

la-russa

Le “novità” di Ignazio
Herat, 21 luglio 2009 – Più Predator, gli aerei da ricognizione senza pilota, più elicotteri per il controllo dello spazio aereo, aerei Tornado attrezzati anche con cannoncini sempre per garantire la sicurezza del contingente italiano. Sono queste le novità che il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, annuncia al contingente italiano impegnato in Afghanistan nella missione ISAF. Inoltre, il ministro ha dato mandato per studiare come proteggere gli uomini che sono nella torretta del Lince, i più esposti agli attacchi.
La Russa ha incontrato una parte del contingente a Herat e ha parlato della “profonda consapevolezza degli italiani sull’importanza vitale del compito che i militari italiani stanno assolvendo”. Il ministro della Difesa ha ricordato il recente attacco contro una pattuglia della Folgore in cui ha perso la vita Alessandro Di Lisio ed ha voluto portare la solidarietà del popolo italiano a tutti i militari impegnati nella missione ISAF davanti ai quali il mondo ha più speranze di essere pacifico. Il ministro della Difesa ha inoltre assistito ad un briefing del generale Rosario Castellano, comandante del contingente italiano nella regione di Herat, il quale ha spiegato che l’obiettivo principale della missione è quello di rompere il rapporto tra la popolazione afghana e gli insorti.
(AGI)

castellano

La strategia “pagante” del generale Castellano
Farah, 25 luglio 2009 – Cinque militari italiani sono rimasti feriti, tutti in modo non grave, in due diversi attacchi avvenuti oggi a Herat e nell’area di Farah, in Afghanistan. Quattro soldati sono stati colpiti durante un attacco suicida contro una pattuglia di nostri militari, ad opera di un motociclista che si è fatto esplodere al passaggio di un mezzo blindato Lince vicino ad Herat, nell’ovest del Paese.
Mentre un altro militare, un bersagliere, è rimasto lievemente ferito in uno scontro a fuoco durato cinque ore, (tra le 9 e le 14 ora locale, tra le 6.30 e le 12.30 ora italiana). Lo hanno spiegato all’Adnkronos fonti militari del comando italiano di Herat. Il militare è stato immediatamente soccorso e trasferito in elicottero nell’ospedale militare di Farah.
Un’unità “complessa”, composta da personale del 187° Reggimento Folgore e del 1° Reggimento Bersaglieri, è stata attaccata nei pressi del villaggio di Bala Boluk, a circa 50 chilometri a nord di Farah, mentre svolgeva un’operazione congiunta con le forze di sicurezza afghane per il controllo del territorio.
La reazione dei nostri militari, spiegano dal comando di Herat, è stata immediata e nell’area sono stati anche inviati sia degli aerei della coalizione per il supporto ravvicinato che gli elicotteri italiani A 129 Mangusta. Data la tipologia dell’area, l’intervento degli aerei è stato evitato e si è preferito far intervenire gli elicotteri che hanno potuto supportare con le armi in dotazione l’azione dei nostri militari sul terreno, favorendo dopo circa cinque ore di scontri lo sganciamento delle nostre truppe, che hanno poi proseguito l’azione già pianificata con le forze afghane.
(Adnkronos/Ign)

Herat, 25 luglio 2009 – Gli attacchi di questi ultimi giorni in Afghanistan “possono essere interpretati come un segno di debolezza perché gli insorti si vedono negare aree che prima dominavano e che attualmente sono sotto il controllo del legittimo governo afghano: è lecito immaginarsi una escalation di tensione anche in vista delle prossime elezioni che rappresentano un passo determinante per la stabilità del Paese”. Lo ha dichiarato in una nota il generale Rosario Castellano, comandante del contingente italiano, dopo gli ultimi agguati in cui sono rimasti coinvolti militari italiani. “Gli attacchi contro la NATO”, si legge in una nota, “dimostrano come la strategia messa in atto dalla Coalizione Internazionale sia pagante”.
(AGI)

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Frattini il guerriero ed un sussulto di buonsenso “padano”
26 luglio 2009 – Dopo che tre soldati italiani sono rimasti feriti, anche se non in modo grave, in nuovi attacchi ieri in Afghanistan, il ministro degli Esteri Franco Frattini parla di una visibile escalation di violenza, e annuncia un impiego dei Tornado non solo in funzione di ricognizione ma anche in azioni di combattimento.
“C’è visibilmente un’escalation, lo dimostrano gli attacchi di queste ore”, ha detto Frattini in un’intervista al Corriere della Sera. “Aumenteremo i Predator e la copertura dei Tornado, in funzione non solo di ricognizione, ma anche di vera e propria copertura. Rafforzeremo la blindatura dei Lince e poi aggiungeremo mezzi blindati di ultima generazione”.
Ieri, in una sola giornata, tre militari italiani sono rimasti feriti, anche se in modo lieve, in due attacchi avvenuti tutti nella zona ovest dell’Afghanistan, area assegnata dalla NATO alla responsabilità italiana.
(…)
Dopo la notizia degli attacchi, il ministro leghista delle Riforme Umberto Bossi ha commentato: “Io li porterei a casa tutti. La missione costa un sacco di soldi: visti i risultati e i costi ci penserei un po’”.
(Reuters)

calderoli

Slega la Lega!?!
Roma, 27 luglio 2009 – ”Prima o poi il mondo occidentale dovrà fare autocritica, perché la democrazia non si esporta e non si impone”. Ad affermarlo, a proposito della situazione in Afghanistan, è il leghista Roberto Calderoli. In un’intervista a ‘La Repubblica’, il ministro per la Semplificazione normativa torna poi sulle parole del suo leader (che ha lanciato l’ipotesi di un ritiro del nostro contingente), e dice:  ”Ci sono state polemiche strumentali. Sull’Afghanistan la stragrande maggioranza degli Italiani la pensa come Umberto Bossi”. Nell’aggiungere che, sulla missione, la Lega è stata sempre ”in linea con il Governo”, Calderoli si chiede tuttavia: ”Dovremo o no valutare ciò che è accaduto in questi anni? E’ possibile fare un bilancio dei risultati raggiunti?”.
(ASCA)

27 luglio 2009 – ”Il Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sull’Afghanistan ragioniamo. E’ sbagliato lasciare prima delle elezioni. Ma la testa alla gente non la cambi con il voto. E poi è la strada giusta? E’ una riflessione di pancia che il Paese fa”. Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione legislativa, rilancia: ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan, come ha chiesto Umberto Bossi, ma anche da Beirut e dall’ex Jugoslavia: ”Io li riporterei tutti a casa”.
In un’intervista a Repubblica, il ministro della Lega Nord dice sulle parole di Bossi sono state fatte ”polemiche strumentali”, perché ”sull’Afghanistan la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Umberto Bossi. Prima o poi il mondo occidentale dovrà fare autocritica perché la democrazia non si esporta e non si impone”. Calderoli invita l’esecutivo a un ripensamento: ”Anch’io un tempo ero interventista. Poi ho fatto il mea culpa. Interroghiamoci: è migliorata la situazione in Afghanistan? Io sono arrivato alla conclusione che c’è una sfasatura temporale”. Ovvero: ”I tempi dell’emancipazione sono diversi. Non ce la fai a costruire la democrazia, il contesto culturale e storico è diverso dal nostro”. Insomma, ribadisce il ministro: ”L’Europa e l’occidente ripensino la strategia perché non credo che otterremo risultati. Andiamo avanti, fino alla fine. Non illudiamoci, però, che l’intervento sarà risolutivo”. E ancora: ”Mi arrabbio quando penso ai tanti casini che abbiamo creato in passato. E all’ipocrisia dell’occidente. Che guerre farebbero senza le nostre armi?”.
(…)
Parlando ieri sera a una festa leghista nel Cremonese, il leader del Carroccio [Umberto Bossi] è tornato sulla questione Afghanistan: ”Abbiamo un sacco di missioni all’estero dei nostri militari che ci costano troppo e i morti non piacciono a nessuno – ha detto – Faccio parte di una coalizione di governo e non posso decidere da solo. Ma dobbiamo incominciare a parlarne, a ragionarci sopra. Siamo in crisi economica e dobbiamo anche far quadrare i conti”.
(ANSA)

abecedario

Un nuovo codice militare, “né di pace né di guerra”, per l’Italietta con le pezze al sedere
10 agosto 2009 – In Afghanistan il codice penale militare di pace applicato ai nostri contingenti non basta più, vista la pericolosità della situazione, e per questo il governo sta predisponendo un apposito codice penale militare per le missioni all’estero.
Lo ha annunciato oggi il ministro della Difesa Ignazio La Russa in un’intervista, in cui chiede ai magistrati di togliere i sigilli ai blindati Lince danneggiati negli attentati contro gli italiani in Afghanistan.
“Io non me la sentivo di appoggiare un ritorno al codice militare di guerra… Nelle commissioni Difesa del Parlamento è possibilissima un’intesa con l’opposizione per un codice militare specifico per le missioni internazionali. Né di pace né di guerra”, ha detto La Russa in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera.
“Stiamo predisponendo il nuovo codice”, ha aggiunto La Russa, precisando che l’applicazione del codice militare penale di pace comporta che in caso di morti e feriti la magistratura metta i sigilli per tempi lunghi ai mezzi coinvolti.
E’ quello che è successo ad alcuni Lince, mezzi blindati che finora in Afghanistan hanno salvato la vita a molti militari in occasione degli attentati dei ribelli, sempre più frequenti anche in vista delle elezioni del 20 agosto.
“Rivolgo un appello ai magistrati affinché il tempo di sequestro dei Lince sia ridotto al minimo. Per la specificità della missione, e perché anche i blindati rotti ci servono” per i pezzi di ricambio, ha spiegato La Russa.
Attualmente sarebbero undici i Lince sotto sequestro perché coinvolti in attentati ai nostri militari.
Per l’Afghanistan – dove l’Italia partecipa alla missione di peacekeeping ISAF della NATO – il Parlamento ha optato per l’applicazione del codice penale militare di pace anziché per quello di guerra, impiegato invece in Iraq.
La Russa ha poi annunciato l’invio in Afghanistan di altri due Predator, aerei da perlustrazione con pilota a terra che nel Paese asiatico si stanno dimostrando molto utili, unitamente ad altri elicotteri.
“Per ora li raddoppiamo: altri due. Sarebbe bene averne di più, ma al momento abbiamo questi. Li manderemo insieme con altri elicotteri”.
Per quanto riguarda invece i cacciabombardieri Tornado, La Russa ha confermato che hanno già cominciato a dare copertura ai militari italiani sparando, quando necessario, coi cannoncini.
(Reuters)

“Basta ipocrisie!”
Roma, 11 agosto 2009 – ”Adattare le regole del codice militare di pace alla partecipazione del contingente italiano in Afghanistan è sbagliato, perché pace non c’è”. E’ quanto afferma il ministro degli Esteri, Franco Frattini, dopo che ieri il suo collega della Difesa, Ignazio La Russa, ha sottolineato che occorre individuare una via di mezzo fra l’applicazione del codice militare di guerra e quello di pace, un nuovo ”codice per le missioni internazionali sul quale è possibilissima un’intesa con l’opposizione”. ”Basta ipocrisie, qui non si tratta di esercitazioni”, osserva il responsabile della Farnesina in un’intervista con il Corriere della Sera, riconoscendo che per alcuni luoghi nei quali l’Italia manda soldati ”parlare di una situazione di pace è come nascondersi dietro un dito”.
Per quanto riguarda l’aumento degli attacchi ai militari italiani in Afghanistan, Frattini fa notare che le pattuglie italiane ”subiscono delle perdite, ma i talebani ne subiscono di più”. Frattini è insomma favorevole a varare, così come proposto da La Russa, un codice militare specifico per le missioni internazionali dei soldati italiani, adesso sottoposti al codice militare di pace e non a quello di guerra.
(ASCA)

fuochi

A Ferragosto… “voglia di scherzare”!
Kabul, 15 agosto 2009 – Lanciati alcuni razzi vicino la base di Camp Arena, a Herat in Afghanistan, dove si trova il contingente multinazionale con comando italiano. Per la base è il secondo attacco in meno di una settimana, anche stavolta senza danni. ”Ieri 4 razzi sono esplosi vicino la pista, senza colpire alcunché”, dice il maggiore Amoriello. Nella base ci sono anche militari spagnoli, albanesi e di altri paesi NATO che hanno la missione di bonificare la zona dai talebani, ritenuti autori dell’attacco.
(ANSA)

Kabul, 15 agosto 2009 – Un militare italiano dell’ISAF è rimasto leggermente ferito nell’attentato suicida avvenuto oggi a Kabul. ‘Si tratta di ferite veramente molto leggere – ha detto all’ANSA il capitano Vincenzo Lipari della Folgore – e diciamo che è come se fosse caduto dalla bicicletta’. L’identità del militare, forse un carabiniere, non è nota. ‘La famiglia è stata avvertita – ha aggiunto Lipari – è in camera sereno, in piedi e con voglia di scherzare’.
(ANSA)

Libere e pacifiche elezioni
Herat, 20 agosto 2009 – Nelle ultime ore almeno 22 attacchi e scontri a fuoco di varia entità si sono registrati nella zona del Regional Command West, nella parte occidentale dell’Afghanistan, dove sono dispiegati circa 2.500 soldati italiani.
Nella notte prima del voto odierno per le presidenziali e le provinciali si sono registrati almeno sette attacchi, che si aggiungono ai 15 di oggi.
(Adnkronos/Aki)

pettine

Lisciata di pelo
Herat, 22 agosto 2009 – “Il ruolo dei soldati italiani in Afghanistan è meraviglioso”. Parola dell’inviato speciale americano per l’Afghanistan ed il Pakistan, Richard Holbrooke.
Parlando con i giornalisti italiani al termine della sua visita a Camp Arena, sede del Regional Command West di Herat, nell’Afghanistan occidentale, Holbrooke sottolinea che gli Stati Uniti sono grati all’Italia per aver assunto la responsabilità del Comando Ovest”, guidato dal generale Rosario Castellano, comandante della Brigata Folgore e di RC-West.

A10

Herat, 24 settembre 2009 – Questa mattina, nel distretto di Shindad, militari italiani sono stati attaccati da insorti, mentre stavano effettuando una attività mirata alla distribuzione di aiuti umanitari e di assistenza medica alla popolazione, richiesta dagli stessi anziani dei villaggi dell’area. L’attacco è stato condotto dagli insorti con armi portatili e contro carri. I Paracadutisti – spiega una nota del contingente italiano – hanno immediatamente risposto al fuoco neutralizzando una consistente parte della minaccia.
Nell’area, a supporto delle truppe sul terreno è intervenuta anche una coppia di cacciabombardieri A10, che ha garantito la copertura aerea. Nello scontro sono rimasti lievemente feriti due militari italiani, di cui uno alla mano, ed un altro al collo. Entrambi i miliari non sono in pericolo di vita ed in questo momento sono ricoverati presso l’ospedale militare di Herat.
Nell’area di Shindand – si legge nella nota del maggiore Marco Amoriello -, gli insorti ancora presenti, grazie all’aumento dell’attività delle forze di sicurezza afghane, stanno perdendo il controllo di gran parte del territorio, e, cosa ancora più importante, stanno rimanendo privi dell’auspicato supporto e consenso da parte della popolazione locale che è ormai nettamente schierata a favore delle Forze Afghane e di ISAF.
(AGI)
Maggiore Amoriello, avete per caso svolto un sondaggio d’opinione?
Sarebbe il primo caso al mondo di popolazione locale felice di subire gli effetti collaterali derivanti dall'”intervento di supporto” dei cacciabombardieri A10.

sarissa

Roma, 9 ottobre 2009 – Un capo talebano, Ghoam Yahya, e 25 suoi affiliati sono stati neutralizzati oggi nel corso di un’operazione congiunta tra militari italiani e militari degli Stati Uniti. L’episodio è avvenuto 20 km a sud-est di Herat nella zona sotto il controllo dei militari italiani. Secondo quanto si apprende la Task Force 45, tutta italiana, seguiva il gruppo di insorti già da ieri ed oggi è entrata in azione.
Appresa la notizia dell’operazione il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è subito complimentato con il capo di stato maggiore della Difesa Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane nella provincia di Herat, generale Rosario Castellano.
(AGI)

larussa

Ignazio, cambia spacciatore! (e studia la storia)
Roma, 5 novembre 2009 – C’è un ”parallelismo” tra le missioni di pace che vedono oggi impegnati i militari italiani in Afghanistan, Libano e Balcani e la spedizione in Crimea di metà Ottocento voluta da uno dei ”principali padri della Patria” come Camillo Benso conte di Cavour.
A sottolinearlo è stato stamane il ministro della Difesa, Ignazio La Russa nel corso del suo intervento nell’ambito dei lavori del Convegno della Commissione italiana di storia militare che si svolge nella sede del CASD (Centro Alti Studi Difesa) a Roma. Ricordando la figura di Cavour, il ministro ha detto che ”la qualità del grande uomo politico si misura dalla sua visione lungimirante, ma anche dalla capacità realizzativa. Questo – ha spiegato – è un concetto valido in ogni tempo, e per ogni nazione; è un principio che anche oggi dovremmo tenere a mente”. E questi pregi politici furono propri dell’allora premier che seppe ”cogliere l’essenza del proprio tempo, e interpretare correttamente quanto stava accadendo, sapendo dirigere verso un obiettivo alto quei cambiamenti sociali e politici che sarebbero comunque occorsi, ma che avrebbero probabilmente assunto una forma caotica e inconcludente”.
(ASCA)

Se il ministro sapesse interpretare correttamente quanto sta accadendo, coglierebbe che l’essenza del nostro tempo consiste nel declino progressivo ma inarrestabile di quella Potenza a cui egli ed i suoi sodali atlantici, di qualsiasi colore ed indirizzo politico, restano cocciutamente al traino.
Finendo probabilmente per esserne delle vittime sacrificali, con i popoli tutti da essi indegnamente rappresentati.

MAROOFI

Aspetta e spera
Roma, 12 novembre 2009 – Con i talebani l’unica opzione possibile è quella di “una vittoria militare”. Lo ha affermato l’ambasciatore afghano a Roma, Musa Maroofi ospite oggi alla Farnesina per partecipare ad un dibattito, coordinato dal portavoce del ministero Maurizio Massari, insieme all’inviato speciale per l’Afghanistan ed il Pakistan, Massimo Iannucci.
“I talebani – ha spiegato l’ambasciatore – sono il principale problema dell’Afghanistan. Se eliminiamo quel problema eliminiamo il 75% dei problemi del Paese”. “Alla vittoria militare – ha aggiunto – non c’è quindi alternativa”.
(AGI)

Alleati
Roma, 29 dicembre 2009 – Due militari italiani sono stati lievemente feriti a Bala Morghab, in Afghanistan, da colpi che sarebbero stati esplosi da un militare afghano. Nello stesso episodio, verificatosi durante lo scarico di materiali da un elicottero e le cui modalità sono ancora da chiarire, sarebbe anche rimasto ucciso un militare statunitense. I due militari italiani sono già stati medicati nell’infermeria della base.
(Adnkronos)

Ossimori 2010:
“Mirate incursioni aeree… con il completo sostegno della popolazione civile; il pieno appoggio all’intervento militare… per portare sviluppo, assistenza e speranza”

Roma, 2 gennaio 2010 – Settandadue ore di scontri, per i militari italiani e di ISAF, in Afghanistan. E’ quanto si apprende dal comando di Herat, secondo cui ”nei giorni scorsi”, nel corso di un’operazione congiunta per il controllo di alcuni avamposti strategici nei pressi di Bala Morghab, nell’ovest del Paese, ”militari delle forze di sicurezza afghane e di ISAF, tra i quali i soldati del contingente italiano, sono stati fatti oggetto di ripetuti attacchi con colpi d’arma da fuoco e di razzi controcarro da parte di oltre 60 insorti”.
Dal comando di Herat, dove non si parla di feriti tra gli italiani, sottolineano che ”l’efficacia della reazione, frutto del coordinamento tra le forze in campo, ha consentito di rispondere al fuoco degli insorti e, grazie a mirate incursioni aeree alleate ed al fuoco delle armi a tiro curvo, garantire in tempi successivi la totale libertà di movimento per le truppe ed il pieno controllo dell’area”.
Gli scontri, ”protrattisi con brevi intervalli per più di 72 ore, si sono verificati a Bala Morghab”, localita’ in cui sorge la base operativa avanzata che ospita, insieme ad unità dell’esercito afghano e statunitense, i militari italiani della Task Force North su base 151/o reggimento della Brigata Sassari. La stessa base dove l’altro giorno un militare afgano ha sparato, uccidendo un soldato USA e ferendo due italiani.
L’intervento delle forze NATO a Bala Morghab, secondo il comando del contingente italiano, si è concluso con ”la neutralizzazione della minaccia ed il completo sostegno della popolazione civile”: gli stessi responsabili delle forze di sicurezza del distretto ”hanno assistito dal posto comando ad ogni istante dell’operazione coadiuvandola molto attivamente”. Nel corso delle ‘shure’ che si sono tenute nei giorni delle operazioni militari – cui hanno preso parte, come di consueto, anche i comandanti italiani e americani – gli anziani del villaggio hanno manifestato il loro ”pieno appoggio all’intervento militare” ed hanno ringraziato i responsabili dei contingenti di ISAF impegnati nell’ovest dell’Afghanistan, ”a portare – ha detto il mullah più anziano del villaggio – sviluppo, assistenza e speranza”.
La situazione, dicono dal comando di Herat, ”è tuttora in bilico per il perdurare di pur minime reazioni da parte degli insorti ancora presenti nell’area”: quando si sarà stabilizzata del tutto, i militari di ISAF ”riprenderanno l’opera di ricostruzione e sviluppo garantendo, fra l’altro, la distribuzione di aiuti umanitari, l’assistenza medica alla popolazione e tutte quelle iniziative già intraprese, con successo, a novembre e dicembre”.
(ANSA*)

* in acerrima competizione con Rainews24 per la conquista del premio “Velina governativa”

Base operativa avanzata
Herat, 21 aprile 2010 – Razzi contro la base operativa avanzata di Bala Murghab, a nord di Herat. Sette in 48 ore, a cui ha fatto seguito la risposta dei militari italiani che, alle 12 ora locale, hanno sparato sei colpi di mortaio da 120mm contro il punto di lancio dei razzi, neutralizzando la minaccia.
Ne dà notizia il generale Claudio Berto, comandante della Brigata Taurinense e del Regional Command West di ISAF, la Regione Ovest dell’Afghanistan, posta sotto la responsabilità italiana. Nella base di Bala Murghab, sede della Task Force North, oltre alle forze italiane risiedono anche unità dell’esercito afghano e USA.
(Adnkronos)

“Bolla” di sicurezza
Roma, 26 maggio 2010 – Controffensiva italiana dalla base operativa avanzata di Bala Murghab. Nella mattinata di oggi, infatti, i mortai da 120 mm del 2° reggimento alpini inquadrati nella Task-Force North hanno sparato undici volte contro posizioni tenute da gruppi di insorti che avevano attaccato un avamposto delle forze afgane e del Regional Command West schierate a sud della base.
Al termine di scontri durati per diversi giorni, che hanno visto anche l’intervento ravvicinato da parte di velivoli ISAF, la minaccia sul versante meridionale di Bala Murghab, sostiene il Comando italiano, è stata neutralizzata e le forze di sicurezza afgane hanno consolidato la propria posizione avanzata, insieme ai militari alleati.
La zona è attualmente interessata dall’operazione denominata ‘Buongiorno’, che mira ad espandere la ‘bolla’ di sicurezza creata nelle precedenti settimane intorno alla base avanzata grazie all’avanzata del 2° kandak (battaglione) del 207° corpo dell’esercito afgano, sostenuto dagli alpini del 2° reggimento della Task Force North e dalla Task Force Fury statunitense.
(Adnkronos)

Roma, 22 giugno 2010 – L’elicottero ”Mangusta” supera quota 4000 ore di volo nei cieli dell’Afghanistan e riceve una ‘livrea’ speciale per l’occasione, festeggiata all’aeroporto di Herat dal colonnello Paolo Riccò e da tutti i militari dell’Aviation Battalion inquadrati nella Task-Force ‘Fenice’.
Queste le cifre che raccontano il Mangusta in azione nei cieli dell’Afghanistan dalla primavera del 2007 a oggi, in condizioni ambientali e climatiche molto severe per equipaggi e macchine: 3363 sortite di volo effettuate in più di 1336 missioni operative distinte, 40.000 ore di lavoro di manutenzione. L’A129 C, ha dato buona prova di sè in questi tre anni grazie anche a una manovrabilità fuori dal comune, una velocità massima di 156 nodi e una tecnologia che gli permette di sfruttare apparati di visione standard e all’infrarosso, entrambi collegati a un video registratore.
(ASCA)

“La dinamica degli eventi è al momento in via di chiarimento”
Roma, 16 luglio 2010 – Tre militari italiani sono stati feriti in uno scontro a fuoco in Afghanistan, nella regione a sud di Bala Morghab.
Il più grave dei tre, un ufficiale, “non versa in imminente pericolo di vita anche se la prognosi rimane riservata”, ha spiegato il ministro della Difesa Ignazio La Russa in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei ministri.
Il militare è stato ferito “al torace, in particolare ai polmoni. Ora è ricoverato a Herat”, ha aggiunto La Russa.
Un altro militare ha riportato una lesione all’inguine e le sue condizioni sono considerate serie, mentre quelle del terzo non destano preoccupazioni.
Lo scontro a fuoco tra militari italiani e ribelli, in cui è rimasto lievemente danneggiato un elicottero, ha avuto luogo intorno alle 11 (le 8.30 in Italia) a sud di Bala Morghab.
“La dinamica degli eventi è al momento in via di chiarimento”, si legge in una nota del comando di Herat.
(Reuters)

La guerra nascosta degli italiani in Afghanistan secondo i rapporti di Wikileaks.
Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi per L’espresso del 21 ottobre 2010, pp. 36-46.

Facce di bronzo
Roma, 4 novembre 2010 – Il 4 Novembre, ‘Giorno dell’Unità nazionale’ e ‘Giornata delle Forze Armate’ è stata l’occasione per le più alte autorità dello Stato per riaffermare la validità delle missioni di pace.
Napolitano, che ha aperto le celebrazioni con la deposizione di una corona d’alloro all’Altare della Patria, si è soffermato sul dovere delle autorità politiche e militari di proteggere i contingenti militari e le popolazioni civili coinvolte nelle missioni di pace. Ha poi ribadito che ”l’intervento italiano in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi della nostra Costituzione”.
Anche il presidente del Senato Schifani, parlando alla cerimonia al Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari, ha insistito sul fatto che ”le missioni devono continuare” e ha aggiunto: ”In giornata come queste, il paese non può che essere unito nel ricordare con commozione il prezzo che i nostri eroi militari caduti per la pace, in missione per assicurare la pace nel mondo, hanno tributato”.
Il presidente della Camera, Fini, ha deposto una corona d’alloro sulla tomba del Duca d’Aosta, nel sacrario di Redipuglia a ricordo dei Caduti di tutte le guerre.
”Nonostante i continui mutamenti strategici globali – ha detto invece il ministro della Difesa La Russa, nel suo intervento al Quirinale, durante la cerimonia di consegna delle decorazioni – alle nostre forze armate rimane comunque affidata la sicurezza del Paese. Una sicurezza che richiede la capacità di proiezione per assolvere compiti di stabilità internazionale, ovvero di operare in concorso alla comunità nazionale in caso di calamità naturali”.
(ANSA)

Roma, 13 dicembre 2010 – Un convoglio militare italiano è stato attaccato in Afghanistan a colpi di arma da fuoco: nessun ferito. Lo si apprende da fonti qualificate. Gli ‘insorti’ si sono allontanati anche per l’intervento di elicotteri Mangusta.
L’attacco, con armi leggere, è avvenuto a 6-7 km da Bala Murghab. I militari italiani, che hanno risposto al fuoco, sono stati supportati da due elicotteri italiani e da un aereo B1 USA. L’attacco mentre si cercava di allargare la ‘bolla di sicurezza’ attorno al villaggio.
(ANSA)

“Elementi ostili”
Roma, 18 dicembre 2010 – Scontri a fuoco oggi nell’area di Bala Murghab. Da settimane i militari italiani con i colleghi afghani stanno operando al fine di incrementare l’area sotto il controllo delle forze di sicurezza. L’azione congiunta degli alpini dell’ottavo e del 2* kandak dell’ANA si sta concentrando nell’area a nord della bolla di sicurezza che, nella provincia di Murghab, vede ormai migliaia di famiglie rientrare nelle proprie case.
In mattinata elementi ostili operanti in prossimità del margine settentrionale della bolla hanno cercato di contrastare l’azione delle forze della coalizione. Ne è nato uno scontro a fuoco che ha visto intervenire gli alpini, i militari afghani, ed elicotteri d’attacco. L’azione durata alcune ore, ha visto il ritiro degli elementi ostili.
L’operazione ”Bazar Arad” che da alcune settimane ha preso avvio in quell’area, prosegue in maniera congiunta, con diverse attività volte ad allargare verso nord la zona sicura per i civili.
(ASCA)

[E non finisce]

BiancaNATO

universita_cattolica

La NATO ha bombardato e assassinato nei Balcani. La NATO bombarda e assassina in Afghanistan. La NATO , forse, bombarderà in Pakistan o in Somalia. E assassinerà. Tutto ciò sembra proprio non preoccupare una delle più prestigiose università private italiane, la Cattolica del Sacro Cuore di Milano, tanto cara agli ambienti del Vaticano e della Conferenza episcopale. Così, mentre il movimento internazionale no war si è dato appuntamento il prossimo 4 aprile a Strasburgo per chiedere lo scioglimento della North Atlantic Treaty Organization, l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, l’ateneo meneghino si prepara ad ospitare un convegno internazionale per analizzare – ed ovviamente sostenere – l’odierno processo di riorganizzazione e di potenziamento degli strumenti militari della NATO.
“1949-2009: Sessant’anni di Alleanza Atlantica fra continuità e trasformazione” è il titolo dell’evento organizzato nei giorni 12 e 13 marzo 2009 nell’Aula Magna della Cattolica dal Dipartimento di Scienze politiche con l’adesione, tra gli altri, del Comitato Atlantico Italiano, del Centro Alti Studi per la Difesa , della Divisione Diplomazia Pubblica della NATO e del Comando Militare Esercito Lombardia.
Secondo quanto si legge nella brochure-invito, “il convegno, che si inquadra nel progetto di ricerca La NATO tra globalizzazione e perdita di centralità, finanziato sui fondi D.3.2 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si inserisce in una tradizione consolidata di studi sulla sicurezza internazionale condotti dal Dipartimento di Scienze politiche e di collaborazione con gli organismi della NATO”.
(…)
La lista dei relatori invitati dalla Cattolica di Milano è lunga e variegata. Il personaggio più atteso è certamente l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, odierno Presidente del NATO Military Committee, carica ricoperta nella storia dell’alleanza solo da un altro ufficiale italiano (Guido Venturoni). Di Paola, già comandante della portaeromobili “Giuseppe Garibaldi” e sino a qualche mese fa Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha pure ricoperto in passato il ruolo di Direttore Nazionale degli Armamenti e di Capo di gabinetto del ministro della Difesa (anni 1998-2001). Nel curriculum professionale dell’ammiraglio c’è pure un lungo incarico presso il Supreme Allied Command Atlantic (SACLANT), uno dei due comandi supremi della NATO, con sede a Norfolk, Virginia, a cui è attribuito tra l’altro il compito di “protezione della deterrenza nucleare marittima della NATO”. Al SACLANT, Giampaolo Di Paola ha lavorato nel settore della pianificazione a lungo termine della guerra sottomarina.
Al Convegno NATO della Cattolica parteciperanno poi altri rappresentanti di vertice delle forze armate italiane, come il generale Vincenzo Camporini, odierno Capo di Stato Maggiore della Difesa; (…)
Chiude l’elenco degli invitati in grigioverde il generale Carlo Cabigiosu, ex Comandante del Centro operativo interforze di Roma, (…)
A riprova di come negli ultimi anni accanto alla privatizzazione del sistema universitario italiano si è pure assistito ad una “militarizzazione” di corsi e programmi di studio, il convegno sulla trasformazione della NATO prevede la partecipazione di cattedratici provenienti da importanti università italiane ed europee: (…)
Chiudono la lista dei partecipanti, due politici di centrodestra, l’on. Enrico La Loggia (Forza Italia), ex ministro per gli Affari regionali, oggi vice presidente del Popolo della Libertà alla Camera dei Deputati e presidente del Comitato Atlantico italiano; e il sen. Sergio De Gregorio (Italiani nel Mondo/Forza Italia), ex Presidente della Commissione Difesa del Senato, attualmente capo della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della NATO. (…)

Da Università Cattolica di Milano con un cuore tutto per la NATO, di Antonio Mazzeo.
[grassetti nostri]

L’Alliance Ground Surveillance (AGS) a Sigonella

ags

Ignazio La Russa ce l’ha fatta. Lo aveva promesso nel giugno 2008: “Faremo di Sigonella una delle più grandi base d’intelligence del mondo”. Adesso è certo: la stazione aeronavale in mano all’US Navy ospiterà il nuovo sistema AGS (Alliance Ground Surveillance) dell’Alleanza Atlantica per la sorveglianza della superficie terrestre e la raccolta e l’elaborazione d’informazioni strategiche. Il governo italiano ha sbaragliato un’agguerritissima concorrenza: a volere i sofisticati impianti di spionaggio c’erano Germania, Grecia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Turchia. Gli investimenti in infrastrutture per oltre un miliardo e 560 milioni di euro facevano gola a tutti. Gli Stati Uniti dovevano però ripagare in qualche modo l’incondizionata fedeltà dei governi d’Italia alle scelte più scellerate di questi ultimi anni (guerre in Afghanistan e Iraq, nuova base militare di Aviano, comandi AFRICOM a Napoli e Vicenza, stazione radar satellitare MUOS a Niscemi, interventi in Libano, Darfur, Somalia e adesso Gaza). Roma dovrà comunque sborsare 150 milioni di euro entro la fine del 2010, anno in cui l’AGS diventerà pienamente operativo. Ma gli affari per i soliti noti del settore costruzioni militari è assicurato.
(…)
L’elemento cardine del sistema sarà rappresentato da un modernissimo velivolo senza pilota equipaggiato con sistemi radar e sensori in grado di rilevare, seguire ed identificare con grande accuratezza e da grande distanza il movimento di qualsiasi veicolo sul terreno. Lo scorso anno, l’Alleanza Atlantica ha formalizzato la scelta per l’Euro Hawks UAV, una variante specifica dell’RQ-4B Global Hawk acquisito da US Air Force e US Navy, che offrirebbe “maggiori benefici in termini di supporto logistico, manutenzione ed addestramento”.
(…)
Il primo prototipo di Euro Hawk diventerà operativo entro il 2009: due colossi del complesso militare industriale, Northrop Grumman ed EADS lo stanno costruendo dopo aver sottoscritto un contratto di 410 milioni di euro. I velivoli senza pilota della NATO destinati a Sigonella dovrebbero essere 6, a cui si aggiungeranno i 4 RQ-4B che l’US Air Force dislocherà in Sicilia quando saranno completati i lavori di realizzazione degli hangar di manutenzione degli aerei. “L’AGS è uno dei più costosi programmi di acquisizione intrapresi dall’Alleanza”, dicono a Bruxelles. Per l’intero sistema di rilevazione è infatti prevista una spesa che sfiora i 4 miliardi di euro. A beneficiarsene sarà un consorzio costruito ad hoc da imprese statunitensi ed europee: oltre a Northrop ed EADS ci sono pure General Dynamics, Thales e l’italiana Galileo Avionica, società del gruppo Finmeccanica. Se era ormai nota da tempo la notizia dell’arrivo a Sigonella di squadriglie di velivoli spia senza pilota, ha destato sorpresa l’accenno del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, all’“allestimento a Sigonella del sistema SIGINT” (acronimo di Signals Intelligence). Ha dichiarato Camporini: “Abbiamo scelto questa base dopo un’attenta valutazione e per la sua centralità strategica nel Mediterraneo che le consentirà di concentrare in quella zona le forze d’intelligence italiane, della NATO e internazionali”. A Sigonella saranno dunque centralizzate le attività di raccolta d’informazioni ed analisi di comunicazioni, segnali e strumentazioni straniere, trasformando la Sicilia in un’immensa centrale di spionaggio mondiale. Un “Grande Fratello” USA e NATO, insomma, ma non solo. I sistemi di Signals Intelligence hanno infatti una funzione determinante per scatenare il “first strike”, convenzionale o nucleare che sia. Sono lo strumento chiave di ogni “guerra preventiva”. Una delle articolazioni SIGINT è la cosiddetta ELINT – Electronic Intelligence, che si occupa in particolare d’individuare la posizione di radar, navi, strutture di comando e controllo, sistemi antiaerei e missilistici, con lo scopo di pianificarne la distruzione in caso di conflitto. Per il funzionamento di aerei senza pilota, AGS e centrali di spionaggio, il ministro della difesa ha preannunciato l’arrivo in Sicilia di “800 uomini della NATO, con le rispettive famiglie”. I solerti sindaci dei comuni di Motta Sant’Anastasia (Catania) e Lentini (Siracusa) sono stati premiati. Ben quattro varianti ai piani regolatori approvate negli ultimi anni, consentiranno bibliche colate di cemento su terreni agricoli e aranceti: su di essi prolifereranno residence e villaggi per i militari nordamericani.

Da Il Grande Fratello di Sigonella, di Antonio Mazzeo.
[grassetti nostri]

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Secondo il governo Zapatero, con l’AGS a Zaragoza la Spagna avrebbe dovuto contribuire con 90 milioni di euro, il 5,8% del budget previsto per il sistema. Ignazio La Russa fa invece fa riferimento ad un contributo italiano per Sigonella di 150 milioni di euro, il 10% cioè del costo del programma. Come fa l’Italia a giudicare attrattivo l’AGS quando spenderà quasi il doppio di quanto avrebbe speso Madrid, che però si è ritirata per la scarsa sostenibilità di quell’investimento?
Ma non è ancora finita. Il rappresentante del governo, Javier Fernández, ha infatti spiegato ai giornalisti che l’AGS a Zaragoza “presentava molti inconvenienti perché, dovendo essere implementato nei pressi dell’aeroporto della città, poteva generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli. Proprio per questo l’uso di aerei senza pilota non è stato ancora regolato in Spagna”. Prima il governo Prodi, poi quello Berlusconi, devono probabilmente aver dimenticato che a Sigonella operano quotidianamente centinaia di cacciabombardieri, aerei cargo e cisterna di Stati Uniti, Italia e alleati NATO, e che a meno di una ventina di chilometri sorge lo scalo di Catania-Fontanarossa, più di due milioni di passeggeri all’anno, il cui traffico è regolato da due impianti radar di Sigonella, gestiti da personale dell’Aeronautica militare italiana.
A credere alle promesse di ricaduta economica e occupazionale dell’AGS c’è comunque il quotidiano La Sicilia di Catania che ha ottenuto dal ministro La Russa una lunga intervista. “Sigonella diventerà ancora di più un punto nevralgico della sicurezza dove si concentreranno le forze di intelligence dell’Italia e della NATO, e questo non solo aumenterà il ruolo italiano nella NATO, ma sul piano sociale darà posti di lavoro con l’arrivo di alcune migliaia di americani, cioè le 800 famiglie dei militari, che diventeranno piccoli ambasciatori della Sicilia”, ha spiegato La Russa. “Sigonella aveva il vantaggio di trovarsi geograficamente in posizione ottimale per il controllo sia dello spazio aereo europeo e sia di quello dell’Africa e del Medio Oriente, mentre se fosse stata scelta una base tedesca il controllo della zona sud sarebbe stato difficoltoso. Sono lieto di aver portato questa iniziativa nella mia Sicilia, contribuendo in questo modo anche allo sviluppo del territorio”.
Sarà opportuno non dimenticare che a capo dello storico quotidiano siciliano c’è l’editore-industriale-costruttore Mario Ciancio, proprietario di un immenso aranceto nel territorio di Lentini che, provvidenzialmente, l’amministrazione comunale ha autorizzato a variarne la destinazione d’uso. Vi potranno essere costruite più di mille villette unifamiliari per il personale USA di Sigonella. Per il progetto esecutivo e i futuri lavori esiste già una società, la Scirumi Srl. I soci? La Maltauro di Vicenza e la famiglia Ciancio, naturalmente.

Da Le beffe dell’AGS Nato che il ministro La Russa impone a Sigonella, di Antonio Mazzeo.
[grassetti nostri]

L’AFRICOM (e l’Italia) in Darfur

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Il Comando USA per le operazioni in Africa, AFRICOM, ha dato il via ad un ponte aereo per trasferire in Darfur, via Ruanda, 75 tonnellate di materiali pesanti (camion per il trasporto carburante, elevatori, depositi d’acqua ed attrezzature varie non meglio specificate), a sostegno dell’ambigua operazione di “peacekeeping” che ONU e Unione Africana sostengono nella regione occidentale del Sudan dal 2004.
La missione aerea, la maggiore mai realizzata da quando il comando è divenuto operativo, prevede l’utilizzo di due aerei cargo C-17 “Globemaster III” dell’Air Mobility Command (AMC), ed è stata autorizzata l’1 gennaio 2009 dal presidente uscente George W. Bush. In una nota inviata alla Segretaria di Stato Condoleezza Rice, è stata definita d’“importanza strategica per gli interessi e la sicurezza degli Stati Uniti d’America”.
Le operazioni di trasporto saranno coordinate dal 618th Tanker Airlift Control Center dell’AMC, con sede presso la Scott Air Force Base, e dalla “Seventeenth Air Force” USA, riattivata nella base tedesca di Ramstein quale principale strumento operativo aereo di AFRICOM.
Secondo Vince Crawley, portavoce del Comando USA per l’Africa, “i velivoli C-17 effettueranno numerosi viaggi tra l’aeroporto di Kigali, Ruanda, ed uno scalo aereo in Darfur non ancora individuato, dove le truppe statunitensi opereranno solo il tempo richiesto per le attività di scarico dei materiali”. Parallelamente al dispositivo attivato dal Pentagono, il Dipartimento di Stato avvierà un analogo intervento in Darfur con fondi propri, che vedrà l’affidamento ad una compagnia aerea privata della movimentazione di circa 240 container di “materiali pesanti” che giungeranno a Port Sudan, città nordorientale sul Mar Rosso.
(…)
Molto probabilmente, il ponte aereo USA-Germania-Ruanda-Sudan coinvolgerà direttamente il nostro paese, in primo luogo la base siciliana di Sigonella, che l’Air Mobility Command vorrebbe trasformare in uno dei principali scali europei dei velivoli cargo e cisterna USA. In un’intervista rilasciata al periodico Air Forces Magazine (novembre 2008), il generale Duncan J. McNabb, la più alta autorità militare nel settore del trasporto aereo statunitense, ha spiegato che “per assicurare il successo dell’intervento in Africa”, è indispensabile “sviluppare le infrastrutture delle basi chiave, come Lajes Field, l’isola Ascensione nell’Atlantico e Sigonella, Sicilia”. “L’Air Mobility Command – ha aggiunto McNabb – sta lavorando con il comando dell’US Air Force in Europa per trasferire in queste installazioni, dalla base aerea di Ramstein, Germania, il traffico aereo di AFRICOM”.
L’Italia, però, non si limiterà a fornire basi logistiche per i velivoli da trasporto delle forze armate USA. Alla vigilia di Natale, il ministro della Difesa Ignazio la Russa, e il capo di stato maggiore Vincenzo Camporini hanno annunciato che le nostre forze armate si stanno preparando a partecipare alla missione congiunta ONU-UA nel Darfur, “mettendo a disposizione i propri velivoli da trasporto e proteggere le popolazioni locali da una sorta di pulizia etnica che in qualche modo si suppone guidata da poteri politici locali”.
(…)

Da Anche l’Italia giocherà un ruolo nel Darfur, di Antonio Mazzeo.

Generale di quale Paese?

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Scrivevamo:
“Il Generale di S.A. Vincenzo Camporini, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica dal Consiglio dei Ministri del governo Prodi il 20 Settembre 2006, per una rotazione prevista tra Aviazione, Marina ed Esercito, è attualmente Capo di Stato Maggiore della Difesa e quindi ai vertici di comando delle Forze Armate. Il suo curriculum dice che a parte un breve periodo di frequenza ad un corso NATO, lontano negli anni, è il primo alto ufficiale italiano che non abbia certificazioni atlantiche, che non ha fatto registrare frequentazioni imbarazzanti e, elemento di per sé significativo, non è stato pataccato, almeno per ora, né dal Congresso né dalle Amministrazioni USA con la “Legion of Merit”, la più alta onorificenza offerta ai militari appartenenti alla NATO. Camporini, quindi, ha alle spalle uno stato di servizio, almeno dal nostro punto di vista, decente. Naturalmente esegue gli ordini che gli impartisce il Ministero della Difesa e perciò lunedì 24 novembre ha fatto partire per l’Afghanistan, delegando l’atto formale al Generale S.A. Daniele Tei, i quattro Tornado del 6° Stormo di Ghedi (…)”.

A proposito di caccia(bombardieri). Ad inizio ottobre, è stata presentata a Roma una ricerca condotta dall’Istituto Affari Internazionali sul programma F-35 Joint Strike Fighter, giusto in tempo per contribuire a spiegare la portata delle scelte che l’Italia è chiamata a compiere nei prossimi mesi. Un caccia strategico per affrontare le sfide di sicurezza del 21° secolo ed un’occasione da non sprecare, con qualche incognita per la sovranità operativa, l’eccessiva protezione del know-how statunitense e la burocrazia italiana. Questo il ritratto che esce dalla ricerca. “Mi sorprende che sia stato necessario produrre questo studio”, ha ironizzato nell’occasione il generale Camporini, tanto è “lampante” l’esigenza di questo “programma assolutamente vitale per la difesa”. Né esiste la possibilità concreta, ha aggiunto Camporini, di sviluppare un’alternativa che non potrebbe arrivare prima di una ventina d’anni. Alla mancanza di alternative contribuirebbero anche il costo di un eventuale nuovo programma ed il fatto che “qualsiasi ritiro sembrerebbe una follia: abbiamo già speso due miliardi sugli 11 previsti“, ha osservato Edmondo Cirielli, presidente della commissione Difesa della Camera. “Non vedo competizione o conflitto tra JSF ed Eurofighter. Questo è stato chiaro per noi sin dall’inizio,” ha infine chiosato Camporini in termini operativi. “L’Eurofighter è concepito per la difesa aerea, compito che svolge benissimo, ma non può svolgere il ruolo di attacco in maniera economicamente sostenibile.
Attacco. Avete capito bene.

Frattanto, dall’altra parte dell’Atlantico, gli analisti militari più avvertiti hanno iniziato a paragonare l’F-35 JSF all’F-22. Lo sviluppo di quest’ultimo è iniziato nel 1986, originalmente con l’idea di produrne più di 700 esemplari per sostituire i vecchi F-15 e F-16. Nel 2000, l’incremento dei costi aveva convinto il Pentagono a ridurre le sue esigenze a 346 velivoli. Ma nel 2005, quasi venti anni e 40 miliardi di dollari più tardi, la richiesta era ulteriormente scesa a 180 unità, come conseguenza dei lunghi ritardi e dell’imprevisto incremento dei costi che hanno fatto lievitare il prezzo per singolo aereo da un’iniziale proiezione di 184 milioni di dollari ad una di 355. Per colmare il vuoto, l’USAF ha quindi iniziato a sviluppare l’F-35 Joint Strike Fighter, che secondo i più critici promette di ripetere il fiasco del F-22. A parere di Winslow Wheeler, direttore del Straus Military Reform Project al Washington’s Center for Defense Information e curatore del testo di prossima uscita America’s Defense Meltdown: Pentagon Reform for President Obama and the New Congress, l’F-22 – descritto come più fragile e meno manovrabile rispetto ai caccia dei tempi della guerra in Vietnam –  “è ridicolmente costoso, ed il suo enorme prezzo impedisce di acquistarne una quantità apprezzabile”.

Che dire? Evidentemente anche Camporini spera di essere nominato a fine mandato presidente di una consociata di Finmeccanica, come succede a tutti i Capi di Stato Maggiore che hanno favorito le lobbies del complesso militar-industriale.

Tornado per l'”autodifesa”

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Il Generale di S.A. Vincenzo Camporini, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica dal Consiglio dei Ministri del governo Prodi il 20 Settembre 2006, per una rotazione prevista tra Aviazione, Marina ed Esercito, è attualmente Capo di Stato Maggiore della Difesa e quindi ai vertici di comando delle Forze Armate.
Il suo curriculum dice che a parte un breve periodo di frequenza ad un corso NATO, lontano negli anni, è il primo alto ufficiale italiano che non abbia certificazioni atlantiche, che non ha fatto registrare frequentazioni imbarazzanti e, elemento di per sé significativo, non è stato pataccato, almeno per ora, né dal Congresso né dalle Amministrazioni USA con la “Legion of Merit”, la più alta onorificenza offerta ai militari appartenenti alla NATO.
Camporini, quindi, ha alle spalle uno stato di servizio, almeno dal nostro punto di vista, decente.
Naturalmente esegue gli ordini che gli impartisce il Ministero della Difesa e perciò lunedì 24 novembre ha fatto partire per l’Afghanistan, delegando l’atto formale al Generale S.A. Daniele Tei, i quattro Tornado del 6° Stormo di Ghedi, come deliberato dal CdM del governo Berlusconi il 23 settembre u.s.
I Tornado sono inseriti nel dispositivo Joint Air Task Force di Herat, anche se la destinazione iniziale è l’aereoporto di Mazar-e Sharif (cinquecento km a nord est del PRT-West Rac a guida italiana) – dove sono attualmente operativi dieci Tornado tedeschi che martellano quotidianamente obiettivi “nemici” nel nord e nell’est dell’Afghanistan – in attesa del completamento dei rifugi corazzati in cemento armato per la protezione passiva su Camp Arena e Camp Vianini.
I Tornado si portano dietro, si afferma, un pod ottico-elettronico Rec-Lite, volando a quote medio-alte (tra i novemila e gli undicimila metri) per il rilevamento a terra e saranno armati solo per l’autodifesa (?!), in un teatro di guerra dove qualche nucleo di coraggiosissimi straccioni, senza coordinamento, per contrastare delle sofisticate macchine da guerra come i Tornado ha a disposizione solo delle pallottole calibro 7,62 mm che non superano il tiro utile di 300 metri.
Insomma i Tornado saranno “i nostri occhi” come titola la Repubblica, per la difesa dei Rambo di Sarissa e di ISAF-NATO nelle provincie di Bagdis, Herat e Farah, con una capacità di fuoco a terra che supera per un solo cacciabombardiere quella di tutti i combattenti pashtun dell’Afghanistan.
Questa almeno la spiegazione ufficiale uscita dal Comando Operativo Interforze (COI) di Centocelle, che programma ed organizza le “missioni di pace” dell’Italietta in Africa, Vicino Oriente ed Asia. Un micro-CENTCOM alla periferia di Roma, ad imitazione della struttura di comando del generale Petraeus a Tampa, in Florida.
Alloggiato sulle aree dell’ex aeroporto Francesco Baracca, il COI seleziona e coordina il personale militare destinato ai tanti teatri di “pace” dove poi si fa la guerra, trasformando con la propaganda mediatica gli aggrediti in “terroristi” e gli aggressori in “esportatori di pace e di democrazia”. Che l’Italia partecipi anche alle attività di “training”, “advising” e “mentoring” a favore dell’Afghan Border Police e dell’Afghan National Civil Order, rendendo operativo lo schieramento in teatro di militari dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e… della Forestale, deve continuare a rimanere una notizia confinata all’ambito strettamente riservato delle cosiddette Istituzioni e dei Palazzi del Potere.
La percezione è che tra Kabul e Roma sia al lavoro un efficientissimo apparato di censura capace di manipolare, mimetizzare e sopprimere le notizie che possano creare un impatto negativo su un’opinione pubblica nazionale schierata contro tutte le avventure belliche della sfiatatissima Italia. Più osservatori indipendenti vanno sostenendo concordemente che questa task force molto, molto riservata faccia capo all’ambasciatore Ettore Sequi, ricevuto in gran pompa al Quirinale il 12 settembre 2008 dal Capo del cosiddetto Consiglio Supremo di Difesa, onorevole Giorgio Napolitano.
Scelto da D’Alema e confermato da Frattini, Ettore Sequi è un diplomatico di carriera – rappresentante in Afghanistan anche dell’Unione Europea – che, a quanto si sussurra in giro, ha strutturato una catena di complicità locali e nazionali (oltre a piazzare Ong come CESVI ed INTERSOS a Kabul) capace di annullare il diritto di informazione e di intimidire, con l’appoggio di polizia e servizi segreti dell’ex Presidente della Unocal Hamid Karzai, sia i corrispondenti locali che qualche collaboratore occasionale di Peacereporter.
Dopo il sequestro Mastrogiacomo e la protratta carcerazione subìta dal direttore di Emergency, Rahamatullah Hanefi, amico e collaboratore di Gino Strada, dall’Afghanistan arrivano con il contagocce unicamente informazioni e notizie regolarmente manipolate.
Il resto lo fanno l’ANSA e gli organi di informazione del Bel Paese.