Capaci strage americana?

“Sono passati pochi giorni dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola sulla strage di Capaci – avvenuta 27 anni fa – che hanno portato a nuove indagini e che aggiungono un altro livello, tutto da accertare, a quello militare già appurato nei processi passati in giudicato. Il collaboratore, che ha permesso anche la riapertura di un altro importante caso, l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti avvenuto nel 1991, ha infatti prodotto un identikit di un artificiere statunitense esperto in esplosivi inviato in Sicilia dal boss John Gotti. Il magistrato Luca Tescaroli ci ha già parlato, rispetto alla strage, di atto di guerra destabilizzante.”

La pista americana su Capaci e le risposte che mancano dai processi accertati, di Simona Zecchi continua qui.

Francesco La Motta

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Vincenzo Scotti ha trovato un “erede”?

Un buco di dieci milioni di euro. Anzi di «una cifra da definire», come è riportato nel decreto di perquisizione. Anzi che no, visto che proprio ieri è stato ritrovato in Procura un esposto arrivato dal ministero dell’Interno che denunciava e quantificava il buco in dieci milioni di euro.
Un furto, una truffa, un ammanco? Nulla di tutto questo, anzi sì, perché i reati contestati all’indagato eccellente, il prefetto Francesco La Motta, sono peculato per distrazione e corruzione. Solo che le indagini probabilmente dimostreranno che quel buco, quella voragine di dieci milioni di euro è il prodotto di un «cattivo investimento». O no?
Che confusione. Procediamo con ordine. A Napoli c’è una inchiesta sul riciclaggio del clan Polverino, clan di camorra. In quell’inchiesta è coinvolto anche il prefetto La Motta, al quale viene contestata anche l’aggravante dell’articolo 7, e cioè di aver favorito l’associazione camorristica.
Uno stralcio di quella inchiesta viene mandata a Roma, al pm Paolo Ielo. E quello stralcio riguarda il buco di dieci milioni di euro denunciato al Fondo Edifici di Culto (Fec) del Viminale.
Il Fec è un ente dotato di personalità giuridica e gestisce il patrimonio concordatario costituito da 700 chiese di grande interesse storico e artistico, tra cui Santa Maria del Popolo (Roma), Santa Chiara (Napoli), Santa Croce (Firenze), Santa Caterina d’Alessandria (Palermo), oltre tutte le opere d’arte custodite nelle chiese.
Dal 2003 alla fine del 2006 il prefetto La Motta è stato direttore generale per l’amministrazione del Fec, prima di essere nominato vicedirettore vicario del Sisde diventato poi Aisi, il servizio segreto interno.
Gentiluomo di sua Santità, La Motta ebbe diversi riconoscimenti dal Vaticano e dall’allora ministro dell’Interno prima che il suo nome comparisse, nel 2011, nell’inchiesta sulla P4, collocandolo alla corte del faccendiere piduista Luigi Bisignani. E di nuovo il suo nome conquistò la ribalta dei giornali del gossip quando si venne a sapere che suo figlio Fabio era il fidanzato dell’europarlamentare berlusconiana Barbara Matera.
Tre giorni fa, gli uomini del Ros dei carabinieri hanno perquisito l’abitazione del prefetto (in pensione da pochi mesi) e i suoi uffici all’ Aisi, l’ex Sisde, con il quale aveva un rapporto di consulenza-collaborazione.
Da quello che emergerebbe dalle indagini, il prefetto La Motta avrebbe investito quei milioni del Fec in una finanziaria svizzera. Con il consenso dell’Ufficio. Solo che, all’improvviso, quella finanziaria si è prosciugata. Insomma, quei soldi investiti sono scomparsi.
Che fine hanno fatto i dieci milioni di euro sottratti all’amministrazione dei Fondi Edifici di culto? Il pm Paolo Ielo e gli investigatori del Ros al comando del colonnello Casagrande, stanno aspettando gli esiti di una rogatoria con la Svizzera, per capire il ruolo della finanziaria e i movimenti dei capitali del Fondo Edifici del culto.
Dopo lo scandalo dell’inchiesta napoletana sulla gestione dei Fondi per la sicurezza, che portarono alle dimissioni del vicecapo vicario della Polizia, il prefetto Nicola Izzo, indagato da Napoli (gli atti sono finiti a Roma), adesso un nuovo ciclone si abbatte sul Viminale.
Guido Ruotolo

Fonte

Ricorda qualcosa?

“Il parossismo generale nei riguardi del debito pubblico – che, lungi dall’essere il fulcro del problema come vorrebbe qualcuno, costituisce invece la vera cartina tornasole capace di misurare grado di deterioramento delle altre attività economiche nazionali – non è altro che uno specchietto per le allodole, utile per giustificare lo smantellamento totale e definitivo dell’industria strategica italiana in nome dell’imperativo categorico di “far cassa”.
Per questa ragione il nuovo piano strategico elaborato da Finmeccanica ha suscitato l’approvazione di Morgan Stanley, che ha alzato il rating sulla società romana poche ore dopo che l’Amministratore Delegato Giuseppe Orsi ebbe esternato pubblicamente l’intenzione di “alleggerire” la holding attraverso la dismissione di alcune aziende “meno produttive”.
Parlare, inoltre, di concorrenza in un sistema estremamente corporativo ed oligopolistico come quello dell’energia appare quanto meno fuorviante, dal momento che i prezzi di petrolio e gas vengono stabiliti arbitrariamente da un cartello composto da un pugno di società petrolifere e da un numero altrettanto esiguo di istituzioni finanziarie che speculano sui rialzi. Alla luce di tutto ciò, giustificare l’indebolimento dell’ENI in nome della concorrenza tirando persino in ballo i minori costi che gli utenti si ritroverebbero ad affrontare appare analogo alla crociata guidata dall’attuale esecutivo “tecnico”, che intendeva provocare una diminuzione dei prezzi della benzina liberalizzando le pompe di distribuzione senza prendere in minima considerazione il ruolo di quelle che Enrico Mattei definiva “sette sorelle”. Il che la dice lunga sulla presunta risolutezza del governo Monti, che “non guarda in faccia nessuno”.
L’ultimo tassello da inserire in questo desolante mosaico è costituito dalla nomina ad advisor (consigliere), con compiti di valutazione delle modalità di vendita della Snam, di Goldman Sachs da parte della Cassa di Depositi e Prestiti presieduta da Franco Bassanini, che nel 1992 era salito a bordo del Panfilo Britannia in compagnia di una nutrita schiera di alti esponenti della politica e dell’economia italiana (Ciampi, Draghi, Costamagna, ecc.).
Sull’onda di Tangentopoli si insediò il governo tecnico presieduto da Giuliano Amato, il quale si affrettò a trasformare le aziende pubbliche in Società Per Azioni mente il Fondo Monetario Internazionale segnalava la necessità di provocare una svalutazione della moneta italiana per favorire il processo di privatizzazione. Così, non appena i “tecnici” del governo Amato ebbero incaricato Goldman Sachs di supervisionare alla vendita dell’ENI, il gruppo Rothschild “prestò” il direttore Richard Katz al Quantum Fund di George Soros per imbastire la colossale manovra speculativa contro la lira, provocando una svalutazione della moneta italiana pari al 30%. Ciò consentì ai Rothschild di acquisire parte dell’ENI a un prezzo fortemente “scontato”.
Lo scorporo della Snam appare quindi come una fase avanzata della lunga marcia di logoramento di quel che rimane dell’industria strategica italiana avviata nel 1992, con Tangentopoli e con gli attentati del 1992 che costarono la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte.
Proprio in questi giorni è stato celebrato l’anniversario della strage di Capaci tra altisonanti discorsi da parte dei più autorevoli esponenti istituzionali. Sarebbe stato interessante se qualcuno avesse osato tirare in ballo le dichiarazione rese dall’ex ministro dell’interno Vincenzo Scotti nel corso di un’intervista resa al quotidiano romano “Il Tempo” il 6 dicembre 1996. In quell’intervista, Scotti spiegò che nel febbraio 1992 i servizi segreti e il capo della polizia Vincenzo Parisi avevano redatto e fatto pervenire sulla sua scrivania un rapporto in cui erano sommariamente elencate e descritte le modalità di un imminente piano di destabilizzazione politico, sociale ed economico dell’Italia, orchestrato da svariate potenze internazionali in combutta con alcune potenti lobby finanziarie. Il piano in questione, secondo quanto affermato da Scotti, comprendeva attentati di varia natura atti a distorcere la percezione di sicurezza nazionale in seno alla società, in modo da creare un clima di instabilità che spianasse la strada agli attacchi finanziari diretti contro il patrimonio industriale e bancario di stato. Non ricorda qualcosa?”

Da La lunga marcia di logoramento dell’Italia, di Giacomo Gabellini.

Il maestro e Margherita

Vediamo questa volta di mettere sotto osservazione Margherita Boniver, “inviata particolare“ di Frattini per “aiuti umanitari e cooperazione“ nella fascia subsahariana e nel Corno d’Africa.
Quale sia il budget di spesa affidato da Tremonti al titolare della Farnesina per farci ridere dietro da mezzo mondo e farci sopportare dall’altra metà, rimane un bel mistero.
Poter dettagliare le “uscite“ annuali del Ministero degli Affari Esteri al di là di quanto sia riportato, in aggregato, nei resoconti contabili del Ministero dell’Economia e delle Finanze è di fatto un “segreto di Stato“.
Esteri e Difesa saranno gli unici “santuari“ che vedranno assegnarsi, secondo indiscrezioni, nel 2012 finanziamenti aggiuntivi per oltre 10 miliardi di euro.
Le 4 guerre (Iraq, Afghanistan, Libia e Somalia) in cui è, al momento, coinvolta l’Italietta stanno costando un ossesso. La prima è totalmente rimossa, la seconda e la terza sono “missioni di pace“ con il sigillo dell’ONU, la quarta non è ancora uscita allo scoperto per le complicità di un sistema di “informazione“, pubblico e privato, totalmente allineato a USA e NATO. Continua a leggere

A scuola di intelligence (atlantica)

Master in studi d’intelligence e sicurezza nazionale (Mains). Conoscenza strategica per le decisioni
(…)
Il Master è stato progettato dal Dipartimento di Studi d’Intelligence Strategica e Sicurezza della Link Campus University. Program Leader del Master è il Prof. Vincenzo Scotti“.

E già che ci siete, date anche un’occhiata all’archivio eventi dellla Link Campus University.
Vi si svelerà un magico mondo popolato dalle “migliori” firme dell’atlantismo, nazionale ma non solo.

Quando Scotti s-fondava il SISDE

SISDE

Vincenzo Scotti, nato a Napoli il 16 settembre 1933, dopo una lunga carriera ai vertici della Democrazia Cristiana e come ministro in diversi governi fino al 1992, ed un successivo periodo di inattività politica, è oggi sottosegretario agli Esteri del governo Berlusconi IV.
Ministro dell’Interno dal 16 ottobre 1990 al 28 giugno 1992 durante il governo Andreotti VII, fu rinviato a giudizio per peculato ed abuso d’ufficio per lo scandalo SISDE, ed in seguito prosciolto per prescrizione.
Una sentenza della Corte dei Conti gli ha imposto di risarcire allo Stato 2.995.450 euro, giudicandolo colpevole insieme all’ex direttore del SISDE, Alessandro Voci, di aver fatto acquistare un palazzo a Roma con fondi riservati del SISDE ad un prezzo maggiorato di 10 miliardi di lire per la creazione di fondi neri. “Ingenti somme (…) che sarebbero servite, almeno in parte, a finanziare la campagna elettorale del Ministro”.
Recita la sentenza:
“La vicenda che ha dato luogo alla vocatio in iudicium può così sostanzialmente essere riassunta.
Nel marzo dell’anno 1992, secondo le dichiarazioni e gli atti acquisiti da parte attrice dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di [omissis], i vertici amministrativi del [omissis] V. e G., unitamente al Ministro pro-tempore [omissis] S. ed al [omissis] L. decisero di acquistare l’immobile cielo-terra sito in [omissis] da destinare a nuova sede degli uffici del Servizio. A tal fine il [omissis] del Ministro dott. L. contattava il vice direttore del [omissis] dott. G., che a sua volta ne informava il direttore del [omissis] dott. V., della possibilità di acquistare detta unità immobiliare la quale, anche se all’epoca della stipula del preliminare di vendita avvenuta in data 12 marzo 1992 era ancora di proprietà della società privata [omissis], fu dichiarata appartenere all’Architetto [omissis], legale rappresentante della società [omissis], che assumeva pertanto di esserne proprietario e quindi pienamente legittimato alla stipula di detto preliminare di vendita.
Parte promittente acquirente doveva risultare la società di copertura [omissis] per conto del [omissis], rappresentata dall’amministratore unico M. B..
In effetti, solo dopo la stipula del preliminare di vendita, l’architetto S. divenne proprietario dell’immobile, utilizzando a tale scopo la somma ricevuta indebitamente a titolo di caparra confirmatoria da parte della società [omissis]l e riversandola alla società privata [omissis].
Dagli atti di causa è risultato, altresì, che, nella stessa data del 12 marzo 1992, furono stipulati due preliminari di vendita tra il [omissis] e la società [omissis]: il primo, effettivo, destinato a restare occulto e successivamente ad essere distrutto, secondo il quale l’immobile in questione era ceduto per il prezzo complessivo di lire 25 miliardi e 470 milioni, comprensivo delle spese di ristrutturazione ed adeguamento che il [omissis] avrebbe eseguito subito dopo il rogito notarile; il secondo preliminare, “di facciata” e destinato a rimanere agli atti, sia per giustificare il minor importo versato e la minor somma da versare ai fini dell’IVA, secondo il quale l’immobile predetto era ceduto per un importo complessivo di lire 14 miliardi e 500 milioni, comprensivo delle spese di ristrutturazione ed adeguamento a carico sempre del [omissis] promittente venditore.
La ragione dei due preliminari che differivano nell’importo di circa lire 10 miliardi era individuata dalla Procura nell’accordo illecito esistente tra i convenuti ed il S. volto a precostituire un fondo illecito da cui attingere successivamente.
A garanzia del rispetto dei vincoli assunti con la sottoscrizione del preliminare, la società [omissis], per conto del [omissis], versava in due riprese al S. un acconto “di facciata” per l’importo complessivo di lire 4,5 miliardi ed un acconto “occulto” di lire 10 miliardi, somme che erano versate in contanti ed in giorni diversi durante lo stesso mese di marzo del 1992.
Il finanziamento degli acconti versati, come sopra indicato, veniva, secondo la ricostruzione dei fatti acquisiti dalla Procura, concordemente definito dai convenuti: in particolare il dott. V. avrebbe sottoposto al Ministro S. un appunto sulla possibilità di finanziare l’intera operazione d’acquisto secondo due modalità alternative.
La prima prevedeva il pagamento dell’acconto di facciata di lire 4,5 miliardi e del saldo di facciata di lire 10 miliardi attingendo dai fondi ordinari (cap.1116), mentre i successivi 10 miliardi, frutto dell’accordo illecito, sarebbero stati attinti dai fondi riservati; la seconda alternativa prospettava un pagamento dell’intera somma di lire 25 miliardi e 470 milioni dai fondi riservati.
Fu prescelta questa seconda soluzione in quanto garantiva, non solo, di avere la somma totale con immediatezza, senza dover attendere i tempi dettati dal regolamento di contabilità del servizio, ma soprattutto, di coprire l’intera operazione della massima riservatezza.
Com’è noto, infatti, l’utilizzo dei fondi riservati non era soggetto a rendicontazione e la documentazione poteva essere successivamente distrutta.
(…)
Peraltro, l’utilizzazione dei fondi riservati prevedeva un necessario passaggio autorizzativo del Ministro e, ciò, a prescindere dalla conoscenza o meno da parte di quest’ultimo dell’appunto sottoposto dal V. sulle concrete modalità d’acquisto.
Certo è che per consentire l’esborso di una somma così ingente, il Ministro doveva essere a conoscenza delle modalità di adempimento; peraltro il fatto della sua conoscenza risulta confermata, oltre che ovviamente dalla firma del decreto autorizzativo, anche dalle dichiarazioni del V. che, più volte, riferisce di aver parlato dell’acquisto dell’immobile di via [omissis] con il Ministro, e questi non lo ha smentito, ed anche dalle deposizioni degli altri convenuti che hanno confessato l’avvenuta informativa documentale nei confronti dello Scotti, per tacere anche delle dichiarazioni confessorie del B., acquisite agli atti del processo penale, che ha apertamente indicato il fine ultimo dell’erogazione delle ingenti somme destinate al S., somme che sarebbero servite, almeno in parte, a finanziare la campagna elettorale del Ministro.”

La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio composta dai giudici dott. Salvatore Nottola, Presidente, dott. Andrea Lupi, Consigliere, dott. Stefano Perri, Primo Referendario, “definitivamente pronunciando, condanna i signori S. V. e V. A. al pagamento in favore dell’erario della somma, da dividere in parti uguali, di euro 5.990.900, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come in parte motiva, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione potrà avere nel frattempo incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del giudice civile n. 12417/2006.
Condanna, altresì, i signori G. F. e L. R. al pagamento in favore dell’erario della somma, da dividere in parti uguali, di euro 1.497.725, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi legali come in parte motiva, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione potrà avere nel frattempo incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del giudice civile n. 12417/2006.
(…)
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 3 dicembre 2007.”

La versione integrale della sentenza, n. 106 del 2008 Sezione Lazio, è presente nella banca dati delle decisioni della Corte dei conti.

Aggiornamento
In data 22 marzo u.s., nella medesima banca dati, è stata pubblicata la sentenza d’appello n. 198 del 2010 sul procedimento in questione, emessa dalla Sezione Prima Giurisdizionale Centrale della Corte dei conti:
“Iniziando allora dal profilo oggettivo del comportamento, ritiene questo Collegio che non possano sussistere dubbi sull’illiceità, ampia e diffusa, che ha caratterizzato l’intera vicenda per la quale è causa.
(…)
Non può sussistere alcun dubbio, in sostanza, circa l’illiceità dell’operazione che si andava preparando, con l’utilizzo senza alcuna ragione dei fondi riservati, per finalità non consentite e in violazione delle più elementari norme di contabilità generale dello Stato.
Ma anche a voler sorvolare sulle irregolarità già citate, ci si sarebbe almeno aspettati che un affare tanto anomalo, proprio per questo fosse realizzato (sia pure in modo del tutto illecito, ma) con un minimo di cautele, peraltro elementari. E invece, sono stati versati ad un privato somme enormi, in contanti e in pochi giorni, senza alcuna garanzia e senza avere la possibilità di occupare nel frattempo l’immobile (che peraltro, si ricorda, all’epoca neppure era di proprietà del soggetto percipiente quelle somme).
Insomma, non occorrono ulteriori dissertazioni per evidenziare la totale e completa negligenza che ha caratterizzato la conduzione dell’intera operazione e, dunque, non si può che pienamente concordare con le valutazioni spese in proposito dal Giudice territoriale.
(…)
Circa gli specifici ruoli rivestiti da ciascuno dei quattro soggetti coinvolti nel giudizio, è appena il caso di chiarire come, in linea di massima, nessuno di essi, per la posizione rivestita, possa ritenersi escluso; anche qui vanno quindi condivise le valutazioni contenute nella sentenza appellata.
Tutti, stando agli atti di causa e in particolare alle stesse dichiarazioni rilasciate in sede di istruttoria penale, erano a conoscenza della trattativa in corso; tutti risultano avere contribuito, a vario titolo e con diversa incidenza causale, al suo negativo risultato finale.
(…)
E’ confermata, in conclusione, la pronunzia di condanna a carico dei quattro interessati, nei medesimi termini di cui all’appellata sentenza n. 106/2008: condanna dei signori S. e V. al pagamento della somma, da dividere in parti uguali, di euro 5.990.900 (cioè euro 2.995.450 ciascuno), oltre alla rivalutazione monetaria dalla data dell’evento dannoso e agli interessi legali, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione potrà avere nel frattempo incamerato (e quelle che potrà in futuro recuperare); condanna dei signori G. e L. al pagamento di euro 1.497.725, sempre da dividere in parti uguali (euro 748.862,50 ciascuno), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, anche qui salvo scomputo delle somme recuperate dall’amministrazione.
Va tuttavia dichiarata, anche in accoglimento di quanto evidenziato in udienza dal Procuratore, l’intrasmissibilità agli eredi del dr. V. del debito del dante causa (pari, come appena detto, a euro 2.995.450), non risultando sussistere i presupposti dell’illecito arricchimento dell’interessato e conseguente indebito arricchimento degli eredi, di cui all’art. 1, comma 1, L. n. 20/1994. Vanno, pertanto, anche revocati i sequestri a suo tempo disposti nei confronti del medesimo dante causa.
Per i sequestri nei confronti degli altri tre interessati, è invece confermata la pronunzia del primo Giudice, di conversione degli stessi in pignoramenti, nei limiti delle somme di condanna.
Le spese del presente grado di giudizio, in favore dello Stato, seguono da ultimo la soccombenza e sono poste, in via solidale, a carico degli appellanti sigg.ri S., L. e G.”

E così sia.