Di fronte alle bellicose dichiarazioni di sostegno a una eventuale azione militare contro la Siria, capitanata dagli Stati Uniti, che il presidente francese François Hollande ha rilasciato nelle ultime settimane, viene da chiedersi cosa abbia mai fatto quest’uomo per ridursi in tali pietose condizioni di sudditanza pur continuando a definirsi un “socialista”.
Forse, una spiegazione quantomeno parziale può essere trovata nella partecipazione, datata 1996, a un programma di “scambio culturale” denominato Young Leaders, il principale fra quelli promossi dalla French-American Foundation nel suo intento di approfondire la reciproca comprensione tra Francia e Stati Uniti.
Il programma Young Leaders è rivolto a piccoli gruppi di leader emergenti dei due Paesi, attentamente selezionati nel mondo della politica, degli affari, della comunicazione, delle forze armate, della cultura e del settore no-profit, ai quali viene concessa l’opportunità di trascorrere cinque giorni insieme discutendo argomenti di comune interesse e, cosa più importante, avendo modo di conoscersi l’un l’altro.
Il programma è stato creato nel 1981 a seguito della presa di coscienza che il rapporto di collaborazione tra le classi dirigenti francese e statunitense, così stretto nel periodo successivo all’ultima guerra mondiale, andava declinando in quanto i nuovi leader crescevano avendo poca interazione con i loro interlocutori transatlantici.
Fra gli Young Leaders, dalla parte americana, si annoverano l’ex Presidente Bill Clinton, l’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, i senatori Evan Bayh e Bill Bradley, il generale Wesley Clark, l’ex Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, importanti dirigenti d’azienda quali Frank Herringer di Transamerica Corporation e John Thain di CIT Group, il regista vincitore di premio Oscar Charles Ferguson.
Dalla parte francese, sono stati Young Leaders ben sei membri dell’attuale governo presieduto da François Hollande, ed egli medesimo come dicevamo nel 1996.
Ovviamente, si tratta solamente di un piccolo esempio della cura che “l’alleato d’oltreoceano” mette da sempre nell’influenzare, attraverso l’azione di fondazioni e ong varie create allo scopo, la formazione delle elite europee, in modo che alle posizioni decisionali pervengano uomini e donne di inconfutabile fedeltà atlantica.
Argomenti che abbiano già avuto modo di affrontare in altre occasioni, alle quali rimandiamo, in riferimento all’opera dell’ambasciatrice Clare Boothe Luce in Italia nei primi anni Cinquanta e all’istituzione, da parte della CIA, del Congress for Cultural Freedom, attivo in trentacinque Paesi, prevalentemente europei, tra il 1950 e 1967.
Federico Roberti
wesley clark
James Blunt & Viktor Bout
Londra, 15 novembre – James Blunt, il cantautore britannico di ‘You’re Beautiful’ che prima di intraprendere la carriera musicale era un ufficiale della cavalleria, avrebbe ”sventato la Terza Guerra Mondiale” quando, nel 1999 in Kosovo, si era rifiutato di obbedire al generale americano Wesley Clark che gli aveva ordinato di sopraffare un battaglione di 200 soldati russi.
”Ero l’ufficiale responsabile di una truppa di uomini dietro di me”, ha spiegato Blunt ai microfoni di BBC Radio 5, aggiungendo che ”era una situazione folle”. Il generale Clark aveva detto loro di raggiungere una pista di atterraggio e di assumerne il controllo, ma i soldati russi erano arrivati prima di loro e ”ci puntavano le armi addosso in maniera aggressiva”.
Blunt, il cui racconto è stato confermato dal generale britannico Mike Jackson, che in quell’occasione si oppose alla decisione di Clark, ha proseguito affermando: ”Il comando diretto giuntoci dal generale Wesley Clark fu di sopraffarli. Diverse parole vennero usate che si sembravano strane. Parole come ‘distruggere’ vennero pronunciate alla radio”. Il musicista ha poi sottolineato: ”Le conseguenze pratiche di questa decisione politica sarebbero state un atto di aggressione nei confronti dei russi”. Blunt non si sentiva di affrontarli, ma il reggimento dei paracadutisti che si trovava insieme a lui era ”pronto a dare battaglia”.
”Ci sono cose che si fanno sapendo che sono giuste e cose che ti senti invece che sono assolutamente sbagliate. Questo senso di giudizio morale viene inculcato nella testa a noi soldati dell’esercito britannico” ha ricordato Blunt, sottolineando che avrebbe disobbedito all’ordine anche se a rischio di finire di fronte ad una corte marziale. Per fortuna, prima che la situazione degenerasse, il generale Jackson intervenne. ”Le sue parole esatte furono: ‘Non voglio che i miei soldati siano responsabili di aver dato inizio alla Terza Guerra Mondiale’ e ci disse ‘Perché invece non proseguiamo sulla strada e circondiamo la pista?”’, ha raccontato Blunt, dicendosi ”assolutamente” sicuro che se le cose fossero andate diversamente le conseguenze sarebbero potute essere disastrose.
(ANSA)
E, da domani, “tutti a Lisbona” per il vertice che dovrà approvare il nuovo Concetto Strategico della NATO.
La tensione fra Stati Uniti e Russia, intanto, torna a salire a causa di un “mercante di morte”:
Bangkok, 18 novembre. – Si aggrava la crisi diplomatica innescata dall’estradizione dalla Thailandia agli Stati Uniti del trafficante d’armi russo Viktor Bout, eseguita martedì. Il premier thailandese, Abhisit Vejjajiva, ha annullato una visita in Russia dopo le durissime proteste di Mosca mentre i russi accusano Washington di aver fatto pressioni su Bout per convincerlo a dichiararsi colpevole in tribunale. Abhisit ha assicurato che la rinuncia a partecipare al summit di quattro giorni sulla protezione delle tigri che si apre domenica a San Pietroburgo non è legata alla querelle, ma a impegni politici in patria. I rapporti con la Russia sono comunque tesissimi e il premier thailandese ha auspicato che “non siano influenzati da una singola questione”. Sull’estradizione, Abhisit ha negato di aver ceduto alle pressioni USA e ha rimproverato a Mosca di non aver presentato prove a discarico del “Mercante di morte”, come è soprannominato Bout. Davanti a un tribunale di New York, Bout si è dichiarato non colpevole per le accuse di cospirazione per uccidere cittadini statunitensi, di acquistare missili anti-aerei e di sostenere gruppi terroristici.
Il 43enne ex ufficiale dell’aviazione sovietica é stato incarcerato senza possibilità di rilascio su cauzione e comparirà di nuovo davanti ai giudici il 10 gennaio. La Russia ha accusato le autorità USA di aver fatto pressioni su Bout durante il volo per New York per convincerlo ad ammettere la sua colpevolezza, in cambio di non meglio specificati vantaggi. A sostenerlo è stato il console russo a New York, Andrei Yushmanov, il quale ha precisato che Bout ha respinto queste offerte. Il caso rischia di avvelenare il vertice della NATO che si apre domani a Lisbona, a cui partecipa anche il presidente russo Dmitri Medvedev.
(AGI)
Viktor Bout, chi era costui?
Abu Omar come l’Achille Lauro?
Il “caso Abu Omar”, ossia la vicenda del rapimento, a Milano ed in pieno giorno, del predicatore integralista islamico da parte di un commando della CIA, presenta caratteristiche di simmetria e specularità con un caso ancora più clamoroso, conseguenze incluse, che appassionò il mondo ventiquattro anni fa, il sequestro della nave Achille Lauro.
Ricordiamolo per sommi capi.
Il 7 ottobre del 1985, un gruppo di palestinesi armati nascosti a bordo sequestra l’ ammiraglia della flotta turistica italiana, appena salpata da Alessandria d’Egitto, con tutto l’equipaggio e 450 passeggeri a bordo, di varie nazionalità. A quale scopo, ci si chiede subito…? Allo scopo, rispondono i sequestratori, che Israele liberi 52 detenuti palestinesi: viceversa, l’Achille Lauro salterà in aria. Figuriamoci.
Un curioso sistema, da parte di un commando terrorista ritenuto “vicino” al Fronte di Liberazione Popolare, di ottenere lo scopo: attaccando militarmente cioè, nel piroscafo (che ne fa parte integrale ai fini del diritto di navigazione) il territorio di un paese naturalmente amico della causa palestinese; e per di più allora guidato da un governo “Craxi-Andreotti” che ancor oggi il sito “liberali per Israele” designa ingiustamente come “amico dei terroristi”. Che tale non era affatto, naturalmente: ma bensì desideroso di contribuire alla pace in Medio Oriente, risolvendolo alla stregua delle risoluzioni ONU che prevedono la costituzione di uno Stato Palestinese sulle terre occupate da Israele durante l’attacco bellico del giugno 1967, Cisgiordania in primis. E in questa chiave aveva accolto in Italia, con protocollo da Capo di Stato incluso discorso in Parlamento, Yasser Arafat nel 1983.
Agli occhi di qualcuno, una colpa imperdonabile…
Bene, dopo due giorni di sequestro, e di frenetiche trattative triangolari fra Italia, Egitto, OLP di Arafat e Abu Abbas capo del FLP residente in Egitto, al quale gruppo risulta aderente l’autolesionista commando di sequestratori, gli stessi cedono: otterranno un salvacondotto per giungere in Italia ove saranno giudicati dalla giustizia italiana, perché i ponti, le cabine, la tolda di una nave italiana sono territorio nazionale a tutti gli effetti. Garanti della mediazione con il governo italiano sono il Presidente egiziano Hosni Mubarak ed il capo dell’OLP Yasser Arafat, che ne rispondono alle opinioni arabe se qualcuno tradisse il compromesso stesso.
Il 9 ottobre il commando abbandona la nave, non senza aver firmato la provocazione con un delitto gratuito ed odioso, solo apparentemente “inutile”: l’assassinio a sangue freddo, e senza giustificazione di alcun tipo, di un solo passeggero. Leon Klinghoffer, un crocerista paralitico di appartenenza ebraica, con passaporto USA.
La vicenda, fin qui solo “drammatica”, allora assume di colpo un profilo “tragico” ed emozional-mediatico che ribalta completamente quello “solo” giuridico: ai fini del quale invece, non cambia nulla; solo un altro reato, il più grave peraltro (l’omicidio in forma abbietta), si aggiunge alla lista di quelli addebitabili al commando in sede penale. E coinvolge, insieme dalla stessa parte, Stati Uniti e Israele contro l’Italia: perché il governo, ad onta dello scandalo, intende mantener dritta la barra del compromesso stipulato con garanti così autorevoli che rischierebbero grosso in caso opposto. “Bruciare” politicamente Mubarak ed Arafat agli occhi arabi – come responsabili di un accordo tradito dall’ Italia, che dovrebbe, negli intenti israelo-USA, consegnare loro i sequestratori – lo Stato italiano questo non può farlo.
A questo punto entrano in scena i “diversori” per linee interne: Continua a leggere