Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei

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Alan Hart, giornalista inglese, è stato corrispondente capo di Independent Television News, presentatore di BBC Panorama e inviato di guerra in Vietnam. Ha lavorato a lungo in Medio Oriente, dove, nel corso degli anni, ha conosciuto personalmente i maggiori protagonisti del conflitto arabo-israeliano. Le sue conversazioni private con personaggi quali, ad esempio, Golda Meir e Yasser Arafat gli hanno permesso di conoscere verità spesso taciute all’opinione pubblica.
Autore di una biografia di Arafat e della trilogia Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei è fra i promotori dell’iniziativa “La verità sull’11 settembre”.
Hart è fiero di essere un pensatore indipendente e di non essere mai stato membro di alcun partito o gruppo politico. Alla domanda sul motivo del suo impegno, lui rispose: “Ho tre figli e, quando il mondo andrà in pezzi, voglio essere in grado di guardarli negli occhi e dire: non prendetevela con me. Io ci ho provato.”

“Alan Hart, col suo agghiacciante e scorrevole racconto, rivelatore degli intrighi e dello sviluppo politico del sionismo, ha dato un contributo estremamente prezioso.”
Rabbi Ahron Cohen

“La ricostruzione puntigliosa e documentata con cui Hart illumina le trame, gli inganni e i raggiri mediante i quali i sionisti coartarono il voto delle Nazioni Unite, e come costrinsero Truman ad appoggiare il loro progetto, nonostante la sua riluttanza, mette una pietra tombale su ogni pretesa di ‘ripulire’ il sionismo dalla cloaca in cui è sempre stato.”
Diego Siragusa

“In questo straordinario libro, Alan Hart è riuscito a chiarirci i pericoli, immediati e a lungo termine, connessi al sostegno occidentale incondizionato verso il sionismo e le sue politiche oppressive contro i Palestinesi. L‘autore ci fornisce un‘esposizione agghiacciante di come questo abbraccio si è sviluppato e continua a mettere in pericolo l‘esistenza ebraica e alimenta l‘antisemitismo che rifi uta di scomparire. Motivato da una genuina preoccupazione per la pace in Israele e Palestina, e nel mondo in generale, Alan Hart ha scritto non solo un forte atto d‘accusa contro il sionismo, basato sulla ricerca e l‘esperienza personale, ma ci ha anche fornito una garanzia per un futuro migliore.“
Ilan Pappe, storico israeliano, autore de La pulizia etnica della Palestina

Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei. Vol. 1: Il falso messia,
di Alan Hart,
Zambon, pp. 360, € 20

Quello che gli ipocriti vogliono far dimenticare a proposito di Mandela

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Nel primo anniversario della scomparsa di Nelson Mandela

“Erano ormai 17 mesi che Mandela viveva in clandestinità. Una notte, il 5 agosto del 1962, stava attraversando in auto Howick, una cittadina del Natal, quando venne fermato da una pattuglia della polizia. Fu arrestato e condannato a cinque anni di lavori forzati per incitamento alla dissidenza e per aver compiuto viaggi illegali all’estero. Due anni più tardi sarà accusato anche di sabotaggio e tradimento e condannato all’ergastolo.
Come fece la polizia a catturare Nelson Mandela? La vicenda rimase oscura per oltre venti anni. Solo nel luglio del 1986, tre giornali sudafricani, ripresi dalla stampa inglese e dalla CBS, spiegarono l’accaduto. Negli articoli veniva chiarito, con dovizia di particolari, che un agente della CIA, Donald C. Rickard, aveva fornito ai servizi segreti sudafricani tutti i dettagli per catturare Mandela, cosa avrebbe indossato, a che ora si sarebbe mosso, dove si sarebbe trovato. Fu così che lo presero.
Mandela rimase in prigione fino al 1990, quando venne liberato grazie a una grande mobilitazione internazionale.
Mandela per il regime razzista sudafricano era un terrorista. Ma era un terrorista anche per alcuni dei più importanti governi del mondo. Per l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher e per il presidente statunitense Ronald Reagan era qualcosa di peggio: un terrorista comunista. I governi di Londra e di Washington hanno a lungo considerato il regime di Pretoria un importante baluardo contro i movimenti di liberazione anticoloniale del continente africano e gli hanno fornito sempre il loro sostegno. Alle Nazioni Unite, questi due Paesi hanno sempre manifestato la propria opposizione alle risoluzioni dell’Assemblea Generale che miravano a contrastare l’apartheid, proprio la stessa politica che stanno a tutt’oggi attuando sulle azioni illegali di Israele nei confronti dei palestinesi. Mandela era ormai una delle più grandi personalità del Pianeta ma, fino al 2008, cioè dopo che gli era stato concesso il premio Nobel per la Pace e aveva già ricoperto la carica di Presidente della Repubblica Sudafricana, il suo nome e quello dell’African National Congress erano ancora nella lista delle organizzazioni terroristiche redatta dal governo statunitense.
nelson fidelNei lunghi anni della prigionia, pochi furono coloro che veramente lo sostennero, non solo verbalmente, ma materialmente, e fra essi ci furono alcuni leader che oggi la stampa addomesticata dell’Occidente, impegnata a riscrivere un’altra storia di Mandela, accuratamente occulta. Ma Mandela, che il sentimento di lealtà non perdette mai, non se ne dimenticò. «Ho tre amici nel mondo», soleva dire, «e sono Yasser Arafat, Muammar Gheddafi e Fidel Castro». Molto stretta e profonda fu, in particolare, l’amicizia con Muammar Gheddafi, che Mandela visitò in Libia soltanto tre mesi dopo la sua scarcerazione. Molti criticarono in quell’occasione la sua visita al leader libico, primo fra tutti Bill Clinton, il Presidente di quello stesso Paese i cui servizi segreti avevano contribuito a incarcerare Mandela ed a fornire il maggior sostegno politico, militare ed economico al regime razzista sudafricano. Ma Mandela, anche in quell’occasione, non mancò di rispondere: «Nessun Paese può arrogarsi il diritto di essere il poliziotto del mondo. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici hanno oggi la faccia tosta di venirmi a dire di non visitare il mio fratello Gheddafi. Essi ci stanno consigliando di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici del passato».
Stessa stima e amicizia mostrò nei confronti di Fidel Castro e del popolo cubano. Lo testimoniano le parole che pronunciò il 26 luglio del 1991, quando Mandela visitò il leader cubano in occasione della celebrazione del trentottesimo anniversario della presa della Moncada: «Fin dai suoi primi giorni la rivoluzione cubana è stata fonte di ispirazione per tutte le persone che amano la libertà. Noi ammiriamo i sacrifici del popolo cubano che cerca di mantenere la sua indipendenza e sovranità davanti alla feroce campagna orchestrata dagli imperialisti, che vogliono distruggere gli impressionanti risultati ottenuti grazie alla rivoluzione cubana».
nelson arafatLe parole di elogio pronunciate dal presidente statunitense Barack Obama il giorno della morte del leader sudafricano stridono fortemente col pensiero che Mandela aveva espresso in più occasioni sulla politica USA: «Se c’è un Paese che ha commesso atrocità inenarrabili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti. A loro non interessa nulla degli esseri umani». Sono parole che Madiba pronunciò al Forum Internazionale delle Donne a Johannesburg, quando gli USA si preparavano a invadere l’Iraq.
Chiare sono anche le parole riguardanti il conflitto israelo-palestinese, riferite da Suzanne Belling dell’agenzia Jewish Telegraph: «Israele deve ritirarsi da tutti i territori che ha preso dagli Arabi nel 1967 e, in particolare, Israele dovrebbe ritirarsi completamente dalle Alture del Golan, dal sud del Libano e dalla Cisgiordania».
Che fare di fronte alla realtà di parole così chiare? Ai media dell’Occidente libero e democratico non resta che un’unica via: quella della censura e della falsificazione della storia.”

Da La memoria nascosta di Nelson Mandela, di Marcella Guidoni.

Abu Omar come l’Achille Lauro?

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Il “caso Abu Omar”, ossia la vicenda del rapimento, a Milano ed in pieno giorno, del predicatore integralista islamico da parte di un commando della CIA, presenta caratteristiche di simmetria e specularità con un caso ancora più clamoroso, conseguenze incluse, che appassionò il mondo ventiquattro anni fa, il sequestro della nave Achille Lauro.
Ricordiamolo per sommi capi.
Il 7 ottobre del 1985, un gruppo di palestinesi armati nascosti a bordo sequestra l’ ammiraglia della flotta turistica italiana, appena salpata da Alessandria d’Egitto, con tutto l’equipaggio e 450 passeggeri a bordo, di varie nazionalità. A quale scopo, ci si chiede subito…? Allo scopo, rispondono i sequestratori, che Israele liberi 52 detenuti palestinesi: viceversa, l’Achille Lauro salterà in aria. Figuriamoci.
Un curioso sistema, da parte di un commando terrorista ritenuto “vicino” al Fronte di Liberazione Popolare, di ottenere lo scopo: attaccando militarmente cioè, nel piroscafo (che ne fa parte integrale ai fini del diritto di navigazione) il territorio di un paese naturalmente amico della causa palestinese; e per di più allora guidato da un governo “Craxi-Andreotti” che ancor oggi il sito “liberali per Israele” designa ingiustamente come “amico dei terroristi”. Che tale non era affatto, naturalmente: ma bensì desideroso di contribuire alla pace in Medio Oriente, risolvendolo alla stregua delle risoluzioni ONU che prevedono la costituzione di uno Stato Palestinese sulle terre occupate da Israele durante l’attacco bellico del giugno 1967, Cisgiordania in primis. E in questa chiave aveva accolto in Italia, con protocollo da Capo di Stato incluso discorso in Parlamento, Yasser Arafat nel 1983.
Agli occhi di qualcuno, una colpa imperdonabile…
Bene, dopo due giorni di sequestro, e di frenetiche trattative triangolari fra Italia, Egitto, OLP di Arafat e Abu Abbas capo del FLP residente in Egitto, al quale gruppo risulta aderente l’autolesionista commando di sequestratori, gli stessi cedono: otterranno un salvacondotto per giungere in Italia ove saranno giudicati dalla giustizia italiana, perché i ponti, le cabine, la tolda di una nave italiana sono territorio nazionale a tutti gli effetti. Garanti della mediazione con il governo italiano sono il Presidente egiziano Hosni Mubarak ed il capo dell’OLP Yasser Arafat, che ne rispondono alle opinioni arabe se qualcuno tradisse il compromesso stesso.
Il 9 ottobre il commando abbandona la nave, non senza aver firmato la provocazione con un delitto gratuito ed odioso, solo apparentemente “inutile”: l’assassinio a sangue freddo, e senza giustificazione di alcun tipo, di un solo passeggero. Leon Klinghoffer, un crocerista paralitico di appartenenza ebraica, con passaporto USA.
La vicenda, fin qui solo “drammatica”, allora assume di colpo un profilo “tragico” ed emozional-mediatico che ribalta completamente quello “solo” giuridico: ai fini del quale invece, non cambia nulla; solo un altro reato, il più grave peraltro (l’omicidio in forma abbietta), si aggiunge alla lista di quelli addebitabili al commando in sede penale. E coinvolge, insieme dalla stessa parte, Stati Uniti e Israele contro l’Italia: perché il governo, ad onta dello scandalo, intende mantener dritta la barra del compromesso stipulato con garanti così autorevoli che rischierebbero grosso in caso opposto. “Bruciare” politicamente Mubarak ed Arafat agli occhi arabi – come responsabili di un accordo tradito dall’ Italia, che dovrebbe, negli intenti israelo-USA, consegnare loro i sequestratori – lo Stato italiano questo non può farlo.
A questo punto entrano in scena i “diversori” per linee interne: Continua a leggere

Chi ha incastrato Roger Rabbit?

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Un leone del deserto…

“Il malvagio di turno va uccidendo persone innocenti per incastrare Roger Rabbit. Questo è tutto quello che ricordo del meraviglioso cartone animato di Zemeckis del 1988. La pellicola fa la parodia dei cosiddetti private eye films di Hitchcock, in cui il protagonista è costretto ad avanzare attraverso il mare di cadaveri delle persone assassinate da qualcuno il cui unico scopo è quello di incastrarlo. Chandler e Hammett si sono dedicati a questo genere, rigettando il tipico investigatore alla. Holmes, suonatore di violino dalla vita tranquilla. I loro eroi svelano omicidio su omicidio mentre vengono accusati e inseguiti dalla polizia.
Il presidente russo Vladimir Putin si è ritrovato nella scomoda posizione di Roger Rabbit. Subito dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja, una giornalista investigativa, muore a Londra una spia passata all’Occidente – e sul letto di morte accusa Putin. Un terzo omicidio, quello dell’obeso ex primo ministro Gaidar, viene sventato per un pelo, ma ciò non evita una nuova accusa al Presidente. Sembra proprio che Putin non possa sfuggire alla triste sorte che ogni morte violenta o sospetta porti alla soglia di casa sua, secondo la migliore tradizione di Chandler. Roger Rabbit veniva incastrato da qualcuno che intendeva prendere possesso di Toon Town; nella realtà della Russia di oggi si vuole incastrare Putin per togliergli il suo potere politico e togliere alla Russia le sue risorse.
Soltanto un persona molto giovane, innocente e sincera può credere che i proprietari dei media e i loro direttori, cioè i Signori del Discorso, si preoccupino della vita di figure politiche russe di secondo rango come la Politkovskaja e Litvinenko. Essi vogliono mettere Putin sulla brace ardente, affinché lasci bombardare l’Iran dagli aerei americani, ceda Sakhalin-2 alle compagnie petrolifere occidentali, venda il gas e gli altri beni strategici nazionali a prezzo stracciato e lasci perdere la sua scelta di salvaguardare l’indipendenza politica del suo paese. Essi mostrano a Putin e anche a noi l’impressionante potere della loro macchina mediatica, questo congegno articolato, costruito per trasformare milioni di persone in zombi. Sono in grado di dettare al mondo il loro programma e presentare Putin come un assassino, Clinton come un maniaco sessuale, Chavez come un antisemita, Ahmadinejad come un nuovo Hitler, i Palestinesi come gli aggressori e gl’israeliani come le vittime. Nemmeno i papi, al massimo della loro potenza, hanno mai avuto un simile potere: qualsiasi cosa dicano i Signori del Discorso, diventa realtà.
Non mancano mai di fare riferimento ai trascorsi di Putin nel KGB, mentre, nella nostra civile società, non è bello ricordare quelli di Bush nella CIA e di Tzipi Livni nel Mossad. Ci rammentano sempre l’omicidio di un transfuga bulgaro di vent’anni fa, ma non un cenno alla ben oliata macchina assassina più grande del nostro tempo: lo Stato ebraico. Se lo fanno, ciò avviene per esprimere ammirazione, moderata da correttezza politica come nel film Munich di Spielberg. Comunque, Israele uccide, rapisce e imprigiona tutti i giorni i suoi oppositori politici: tutti i dirigenti palestinesi attivi vent’anni fa sono stati nel frattempo assassinati dagli ebrei. Ricorrono al veleno, ai missili teleguidati e alle bombe anti-bunker; il loro centro di Nes Tsiona per la guerra chimica e biologica produce veleni e congegni assassini per 007, come ad esempio le “vespe bioniche assassine”.
Hanno usato il loro veleno nel tentativo di omicidio di Khaled Mashal, il dirigente di Hamas. Per fortuna però gli assassini furono fermati e catturati prima che potessero mettere a segno la loro impresa. Non c’è ormai dubbio che abbiano usato veleno per assassinare Yasser Arafat. In un articolo di “Ha’aretz” si può trovare una chiara allusione in questo senso e israeliani legati ai servizi segreti ne sono convinti. Ma veniamo al punto più interessante: l’autopsia di Arafat ha rivelato la presenza di Polonio 210 nel sangue, la stessa sostanza velenosa che ha ucciso la spia russa a Londra. Tuttavia, i Signori del Discorso e la loro macchina per modellare l’opinione pubblica mondiale hanno deriso questa scoperta e l’hanno fatta derivare da una possibile chemioterapia fatta al dirigente palestinese. Ora sostengono che questo isotopo accusa Putin, sebbene il Polonio 210 si possa acquistare liberamente tramite internet negli Stati Uniti.
Tutti gl’indici accusatori sono rivolti verso Putin. Nei giornali israeliani di oggi, una richiesta russa di reciprocità nel trattamento dei criminali arrestati (una richiesta ordinaria e del tutto usuale) viene descritta come “il ricatto di Putin”; il desiderio di possedere stazioni di servizio in Occidente e di vendere carburante ai distributori e non solo idrocarburi al pozzo di perforazione viene descritto come il “perseguimento del dominio mondiale”. Putin non è fatto di ferro come i bolscevichi, ed è possibile che alla fine ceda alle pressioni, lasci che Israele bombardi l’Iran e consenta che le compagnie petrolifere occidentali facciano quello che vogliono nel suo paese, come al tempo di Gorbaciov e Eltsin. A quel punto diventerà il beniamino dei mass inedia e i suoi presunti crimini saranno dimenticati.
Questo è quanto è successo a Muammar Gheddafi: è stato accusato personalmente di ogni turpitudine e il suo paese è stato costretto a pagare somme inverosimili per il disastro di Lockerby, sebbene la Libia non c’entrasse per niente, come hanno ammesso gli osservatori internazionali al processo. Alla fine Gheddafi ha ceduto al supremo volere dei Signori del Discorso e subito sono cessati tutti gli attacchi contro di lui. Lo stesso succederà anche a Putin, se accontenterà Israele e lascerà che l’Iran sia bombardato.
La meravigliosa scrittrice indiana Arundhati Roy ha scritto che i dirigenti politici indiani sono tutti orribili; ma finché permetteranno all’Occidente di rubare le ricchezze del paese saranno al sicuro. Solo quando fanno qualche obiezione a questa rapina, essi diventano mostri agli occhi di un’opinione pubblica tanto accondiscendente. Dovremmo cercare di fermare questo stato di cose; non possiamo sconfiggere i missili Cruise statunitensi, ma possiamo e dobbiamo sabotare l’arma più potente dei Signori del Discorso, la macchina lavacervelli dei loro mass media. Possiamo farlo sottoponendo sempre a rigorosa critica tutto quello che affermano.”

Da Per il sangue che avete sparso, di Israel Adam Shamir, Edizioni all’insegna del Veltro, pp. 77-79.
[Per gentile concessione dell’editore. Modificato il 6 Febbraio 2011]