Ilaria Alpi, cronaca di una vergogna

È il 20 marzo 1994, a Mogadiscio, e il corpo ancora caldo e sanguinante di Ilaria Alpi dopo l’esecuzione in cui ha perso la vita con Miran Hrovatin non è soltanto un’immagine impossibile da dimenticare, ma anche il simbolo della nostra dignità umiliata.
Allo stesso modo, l’inchiesta “Ilaria Alpi, l’ultimo viaggio” trasmessa sabato sera (11 Aprile u.s. – ndr) da Raitre, non è soltanto il miglior lavoro mai realizzato sull’assassinio della giornalista del Tg3 e del suo operatore, ma anche la sintesi del malaffare e l’infamia che hanno sporcato quella stagione di storia.
La violenza, i traffici d’armi, lo smaltimento in Africa dei rifiuti tossici e radioattivi, il ruolo occulto dei servizi segreti, i depistaggi conclamati, le anomalie messe in atto per coprire realtà indicibili: c’era tutto, in quest’ora e quarantadue minuti di televisione d’eccellenza scritta da Claudio Canepari, Mariano Cirino, Massimo Fiocchi e Lisa Iotti, e prodotta per la Rai da Magnolia.
«Ci sono anche riprese e parole di mia figlia che non avevo mai visto e ascoltato», mi raccontava l’altro giorno Luciana Alpi, madre di Ilaria nonché anima di una costante pressione perché la verità potesse sbucare dal fango.
Parole quantomai vere.
Tutto è stato, “Ilaria Alpi, l’ultimo viaggio”, tranne che un video compilativo di già noto e stranoto.
Al contrario, ha spiegato l’intelligenza di una giornalista che non ha seguito, in terra d’Africa, il rituale delle corrispondenze a base di comunicati stampa ed empatia con i poteri presenti sul territorio, ma è andata sempre in cerca di fatti, fatti, e ancora fatti.
Troppo, per essere accettata come postura: infatti è stata recisa senza pietà.
Il che non è un vecchio racconto, ma qualcosa di tanto attuale e sconvolgente da non trovare giustizia.
Lo si è visto, recentemente, con le dichiarazioni del testimone Gelle, il quale ha dichiarato a Chiara Cazzaniga di “Chi l’ha visto?” di essere stato pagato per mentire sull’esecutore dell’omicidio Alpi (accusando quell’Ashi Omar Hassan ancora recluso in un carcere tricolore).
E lo si è rivisto con evidenza raggelante sabato sera, grazie ai documenti che provavano traffici di armi USA e l’ombra della CIA sugli ultimi giorni di Ilaria.
Se avesse un volto, il concetto di servizio pubblico, sarebbe quello dell’inchiesta offerta da Raitre.
E se avesse un volto la vergogna, pure, sarebbe quello di chi continua a manovrare perché vinca il silenzio su Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Riccardo Bocca

Fonte

3 thoughts on “Ilaria Alpi, cronaca di una vergogna

  1. OMICIDIO ALPI/HROVATIN: DE GENNARO PRESE DOCUMENTI SEGRETI?
    di Andrea Palladino

    Sono i documenti meglio custoditi del Parlamento. Blindati, conservati con cura quasi maniacale. Ogni occhio che si posa sulle pagine con il timbro “segreto” viene annotato: data, ora d’inizio e di fine della lettura. C’è di più. “Non è consentito ad alcuno estrarre copia”, recitava l’articolo 18 del regolamento interno della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin per i documenti classificati. Relazioni, atti d’indagine o informative dei servizi. Niente fotocopie. Una regola che, però, ha avuto le sue curiose eccezioni, con un rapporto riservatissimo su un testimone gestito dalla Digos che finisce nella mani dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.
    Siamo tra la fine del 2004 e il novembre del 2005, quando i lavori della commissione guidata da Carlo Taormina entrano in un fase delicatissima. Testimoni somali ascoltati secretando tutto, nome compreso, ufficiali di collegamento alle prese con intercettazioni telefoniche e incontri riservati, e una pista rilevante apparsa quasi per caso. Un capitano della Guardia di finanza, Gianluca Trezza, inizia ad approfondire quello che appariva come un clamoroso depistaggio, il caso del testimone chiave Ahmed Ali Rage, detto Gelle. Un somalo portato in Italia dall’ambasciatore Giuseppe Cassini nell’ottobre del 1997, che accuserà – prima di sparire – il connazionale Hashi Omar Assan, il capro espiatorio condannato poi a 26 anni carcere con l’accusa di aver fatto parte del gruppo di fuoco entrato in azione il 20 marzo 1994. Gelle, tre mesi dopo aver deposto davanti al funzionario della Digos romana Lamberto Giannini e al pm Franco Ionta, era sparito.
    Il 13 ottobre 2004, il capitano Trezza ascolta insieme al presidente Carlo Taormina – unico parlamentare presente – il racconto del giornalista somalo Mohamed Sabrie Aden: “Gelle mi ha raccontato nel 2002 per telefono di aver mentito, perché pagato”, spiegò in un verbale subito secretato. Dopo quindici anni lo stesso Gelle ripeterà il suo racconto – questa volta in video – alla redazione di Chi l’ha visto. Chi lo aveva convinto a dire il falso? E, soprattutto, chi aveva aiutato Gelle a sparire, evitando così di deporre in aula? Il capitano Trezza si mette all’opera. Ricostruisce con attenzione quello che avviene prima del Natale 1997, data della scomparsa del testimone chiave.
    Il suo rapporto finale arriva nelle mani di Carlo Taormina il 25 ottobre del 2005. “Segreto”, utilizzabile solo all’interno della commissione. Riporta la testimonianza di Giuseppe Scomparin, titolare di un’officina meccanica dove il Ministero dell’Interno aveva piazzato Gelle nei tre mesi della sua permanenza in Italia. “Ricordo che (i funzionari del ministero dell’interno) mi dissero che il ragazzo non sarebbe venuto per tre, quattro giorni. Alla scadenza di tale lasso di tempo una nuova conversazione telefonica mi preannunciò che il ragazzo non sarebbe più venuto al lavoro”. Parole pesanti, tanto che il capitano Trezza annota: “Se ne trarrebbe che l’allontanamento dall’Italia di Gelle fosse avvenuto quantomeno con la consapevolezza degli uomini delle istituzioni”.
    Meno di due settimane dopo inizia la curiosa movimentazione di quel rapporto segreto, che esce dalle stanze della commissione: “Consegnata fotocopia senza omissis a capo della Polizia dott. De Gennaro”, è l’annotazione sul fascicolo, desecretato solo nel 2006, dopo la chiusura dell’inchiesta parlamentare. Un salto a piè pari del regolamento della stessa commissione. “Io non ricordo assolutamente di aver dato quel documento all’allora capo della Polizia – spiega oggi l’avvocato Carlo Taormina – e sicuramente non diedi nessuna delega d’indagine a Gianni De Gennaro”. Dunque, il tutto sarebbe avvenuto all’insaputa della stessa presidenza della commissione.
    Che accadrà dopo? Giuseppe Scomparin, ascoltato in audizione il 23 novembre 2005, cercherà goffamente di rivedere la sua testimonianza, mentre Gelle – nonostante la Digos abbia sempre assicurato di cercarlo attivamente – rimarrà a Birmingham, lontano dai tribunali italiani. E il povero Hashi Omar Assan continuerà a scontare 26 anni di galera. Grazie ad un testimone falso.

    Fonte: L’Espresso, 9 aprile 2015

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