Lottate contro Mario Draghi

Mario Draghi, intervenendo alla conferenza europea sui diritti sociali a Bruxelles, ha detto che intende rilanciare la competitività dell’Unione Europea. Certo, alimentando una guerra con la Russia in Ucraina che ha mandato la Germania in recessione. Qualcuno può spiegarmi perché l’Italia si è rimbecillita al punto da proporre Mario Draghi come prossimo presidente della Commissione Europea? Mario Draghi, nel caso in cui non fosse chiaro, si è autocandidato alla presidenza della Commissione Europea con il suo discorso delirante, interpretato come un’autocandidatura persino dalla stampa pro-Draghi. Io non so più come dirlo: Mario Draghi è un grandissimo pericolo per la Repubblica Italiana e per il futuro dei nostri figli. Mario Draghi non ha nessuna autonomia; è un politico completamente telecomandato. È un uomo senza nessun contatto con le persone comuni che non pranzino a ostriche e caviale. È un uomo che ha contatti soltanto con la Casa Bianca. È un uomo che ignora completamente le aspirazioni e i bisogni degli Italiani, come dimostrano le sue politiche in Ucraina ai tempi in cui era presidente del Consiglio. Mario Draghi, posto in qualunque posizione di potere, implica un futuro profondamente schifoso per i nostri figli. Mario Draghi significa: 1) asservimento alla Casa Bianca e moltiplicazione delle guerre, come dimostrano le sue politiche verso l’Ucraina; 2) violazione sistematica del diritto internazionale, come dimostra il suo sostegno a Israele; 3) disprezzo dell’articolo 11 della nostra Costituzione, come dimostra il suo invio di armi in Ucraina per alimentare la guerra dall’esterno anziché spegnerla con la diplomazia come prescrive la nostra Costituzione; 4) disprezzo verso la cultura pacifista a fondamento della Costituzione Italiana; 5) insulti violenti contro il movimento pacifista, che è la struttura portante della società civile italiana, come dimostra la sua frase secondo cui l’Italia sarebbe piena di “pupazzi prezzolati” dal Cremlino quando, in realtà, l’Italia è piena di pupazzi prezzolati dalla Casa Bianca. Mario Draghi è semplicemente un leader politico vergognoso che ricopre l’Italia di vergogna senza uno straccio di voto nel nostro Paese. Ecco perché i suoi incarichi non passano mai attraverso libere elezioni. Draghi non viene mai eletto, viene sempre cooptato perché le persone comuni lo stimano come si può stimare una persona disprezzata. Lottate contro Mario Draghi, uomo di guerra, nemico dei nostri figli, nemico della Costituzione Italiana. Avanzi l’Italia, avanzi la pace, risorga il movimento pacifista.
Alessandro Orsini

Laboratorio Palestina

Il complesso militare-industriale di Israele utilizza i Territori Occupati palestinesi come banco di prova per le armi e le tecnologie di sorveglianza che esporta in tutto il mondo. Per oltre cinquant’anni, infatti, l’occupazione illegale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ha fornito allo Stato israeliano un’esperienza formidabile nel controllo di una popolazione “nemica”, i Palestinesi.
In questo libro il giornalista d’inchiesta Antony Loewenstein indaga per la prima volta questa inquietante realtà, mostrando come la Palestina sia diventata il laboratorio perfetto per l’industria israeliana della difesa e della sorveglianza, e come le tattiche israeliane di occupazione siano sempre più il modello per le nazioni che vogliono colpire le minoranze non gradite. Dalle tecniche di polizia alle munizioni letali, dal software di spionaggio Pegasus ai droni utilizzati dall’Unione Europea per monitorare i migranti nel Mediterraneo, Israele è oggi un leader mondiale nei dispositivi militari e di intelligence che alimentano i conflitti più violenti del pianeta.
Laboratorio Palestina – vincitore del Walkley Book Award per il miglior libro del 2023, il più prestigioso riconoscimento giornalistico in Australia – è una magistrale opera di giornalismo investigativo che fa luce sulle responsabilità di Israele nella violazione dei diritti umani nel mondo.

Antony Loewenstein è un giornalista investigativo australiano, autore di bestseller, regista e cofondatore di «Declassified Australia». Nipote di profughi ebrei che lasciarono la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste, ha vissuto a Gerusalemme Est dal 2016 al 2020.
Ha scritto per «The New York Times», «The Guardian», «The Washington Post», «Al Jazeera English», «The New York Review of Books» e altre testate. Tra i suoi libri: Disaster Capitalism: Making a Killing Out of Catastrophe (2017) e Pills, Powder, and Smoke: Inside the Bloody War on Drugs (2019).

Una lettura irrinunciabile su un aspetto nascosto e scioccante della colonizzazione israeliana dei Palestinesi. Abbiamo atteso a lungo un libro come questo che svela in che modo Israele utilizza l’oppressione della Palestina per potenziare le sue industrie militari e di sicurezza. Loewenstein mostra chiaramente che questo tipo di esportazione è oggi il contributo più significativo di Israele alla violazione globale dei diritti umani.
Ilan Pappé

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In questi mesi di genocidio israeliano a Gaza, su pressione diretta di Israele, all’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese –Abspp odv, attiva da 30 anni con documentate missioni umanitarie nella Palestina occupata, sono stati chiusi, uno dopo l’altro, tutti i conti bancari e postali. E’ quanto accaduto, incredibilmente, come fosse un’organizzazione criminale e non un’espressione attiva di solidarietà e sostegno al popolo violentato e massacrato palestinese: le vittime subiscono l’oppressione a tutti i livelli e sono trasformate in colpevoli e penalizzate.
L’Abspp odv sostiene dal 2006 l’associazione InfoPal, editrice della nostra agenzia di notizie, InfoPal.it, che svolge un quotidiano e professionale lavoro di informazione sulla Palestina occupata dal colonialismo sionista.
Non è la prima volta che gli oppressi, oltre al danno, subiscono la beffa del Sistema, fatto a immagine e somiglianza dell’Egemone angloamericano-sionista. Egemone che, speriamo, possa essere a breve spazzato via dall’avanzata inarrestabile del Sud e dell’Oriente Globali e del mondo dei BRICS.
Mentre la geopolitica fa il suo corso e gli avvocati dell’ABSPP provvedono per le vie legali a ripristinare la giustizia in questa colonia chiamata Italia, chiediamo ai nostri lettori di sostenere il nostro lavoro a InfoPal.it con donazioni a:
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[Fonte]

Solo un deficiente

Solo un deficiente (cioè, colui che è manchevole di supporto cognitivo e capacità di ragionamento) può negare che gli USA stanno incendiando il mondo.
Solo un deficiente non capisce che le basi militari americane in Siria, Iraq e altrove nel mondo sono gli avamposti di uno Stato coloniale imperialista e che le genti di quegli Stati hanno il dovere (e non il diritto) di cercare di liberarsene.
Solo un deficiente non capisce le ragioni per le quali gli oligarchi della UE difendono l’indifendibile Ucraina e la finanziano usando gli ucraini come carne da macello.
Solo un deficiente non capisce perché i Paesi baltici più la Germania paventano un’aggressione russa alla NATO entro 5-8 anni e suonano la diana di quella che spacciano come guerra difensiva.
Solo un deficiente non capisce che quando Zelensky annuncia un cambio di strategia nella guerra di aggressione per procura contro la Russia intende adottare lo stile israeliano in voga a Gaza, là dove si bombardano asili, ospedali, centro rifugiati e persino cimiteri. Infatti, ieri ha cominciato a bombardare le panetterie causando 20 morti di Ucraini russofoni in fila a comprare il pane. Per implementare questa nuova strategia, Zelensky vuole estromettere l’attuale capo di stato maggiore sostituendolo con il capo dei servizi segreti, l’artefice degli attentati terroristici in territorio russo, quindi anche in Crimea.
Solo un deficiente non comprende cosa ha in testa Netanyahu e come andrà a finire, al di là delle chiacchiere di mercato degli atlantisti.
Solo un deficiente non ammette che il modello di sviluppo demoliberale è una catastrofe che ha generato nel mondo milioni di diseredati, altrettanti milioni di popolazione della classe media resa schiava di un inalienabile processo consumistico che la rende succube e ricattabile, creando al contempo un clan di plurimiliardari che determinano ovunque le politiche degli Stati asserviti all’egemonia americana.
Solo un deficiente non capisce che l’equazione “democrazia occidentale” uguale a libertà è un ossimoro.
Solo un deficiente non capisce che siamo sotto il tallone di un totalitarismo politico, economico, culturale chiamato liberismo.
Solo un deficiente può pensare “accada quel che accada, tanto io me la cavo”…
Deficienti ne abbiamo? Sì, milioni di milioni e nessun deficiente se la caverà. Certo, anche chi deficiente non è rischia (e magari anche senza “rischia”) di non cavarsela, ma quantomeno si riserva la prerogativa di cadere in piena consapevolezza, da uomo libero e verticale avendo ben chiaro il volto del boia.
Maurizio Murelli

(Fonte)

27 gennaio, una giornata particolare


Ieri i TG hanno passato la notizia che a Mosca, presso la statua del milite ignoto, una ventina di donne hanno deposto un fiore e chiesto che Putin ritiri l’esercito dall’Ucraina. La notizia è stata “vestita” con abiti foschi e fatta passare come riprova di un grande dissenso nei confronti dell’autocrate del Cremlino.
Contemporaneamente, attraverso agenzie di stampa americana, i canali extra mainstream ci fanno sapere che in USA è scaduto l’ultimatum di Biden allo Stato del Texas con il quale viene intimata la rimozione del filo spinato al confine con il Mexico. La risposta del governatore Abott è stata: “Vieni tu a toglierlo…” affermando che il suo Stato è pronto a un conflitto con le forze federaliste e non si tirerà indietro. Oltre 25 governatori repubblicani e i loro Stati si impegnano a sostenere il diritto del Texas a difendere il proprio territorio a dispetto del governo federale e 10 di loro si impegnano ad inviare in Texas la propria guardia nazionale. In pratica viene dichiarata la disponibilità ad un conflitto armato nel caso Biden invii in Texas le truppe federali per imporre la risoluzione della Corte Suprema USA ispirata da Biden. Insomma, si potrebbe legittimamente pensare al prodomo di una guerra civile dentro i confini dell’Impero del Male. Qualcuno di voi ha visto rilanciare dai media italici questa notizia che a tutti gli effetti è una “notiziona”? No, passa quella di 20 contestatrici moscovite che tra l’altro più che contestare, invocavano un ritorno a casa dei loro uomini. Non sto neppure qui a raccontarvi su chi sta “manipolando” e strumentalizzando il sentimento di queste donne. Diamo il tutto per genuino. Resta il fatto dell’evidente diversità di peso tra quanto sta accadendo in Texas e quanto a Mosca, e resta in tutta evidenza la palese dimostrazione del servilismo mediatico.
Sempre ieri scoppia il caso dei 12 funzionari ONU che secondo Israele avrebbero preso parte attiva all’operazione del 7 ottobre condotta da Hamas. Senza alcuna verifica e vaglio dell’accusa, gli USA subito sospendono i contributi a sostegno dei profughi palestinesi subito imitati dal Canada e a poi da altri Stati del cortile imperiale USA. L’Italia, sfoderando la ruota del pavone, fa sapere che già li aveva già sospesi il 7 ottobre. L’orgoglio del “Italiani prima”. Chiunque abbia un minimo di buon senso, capisce bene che se anche fosse vero che 12 funzionari ONU palestinesi abbiano partecipato all’operazione del 7 ottobre, penalizzare e sabotare l’intera organizzazione ONU è vile e pretestuoso. Sarebbe come se beccati 12 carabinieri a partecipare ad un’operazione mafiosa venissero sospesi i fondi a favore dell’Arma. Ma tant’è.
Ahh, sì, poi c’è anche la “Giornata della Memoria”, talmente sacra da poter interdire qualsiasi altra manifestazione non a tono (e non quindi per motivi di ordine pubblico) manifestazioni che magari si potrebbero svolgere anche a Natale o Pasqua ma non il 27 gennaio. Giornata impegnata da politici, imbonitori e sedicenti storici a strologare su antisemitismo, antisionismo, “nazifascismo” (sic!!!), revisionismo e quant’altro, omettendo accuratamente, per esempio, di segnalare il fatto storico che il 27 gennaio è il giorno in cui le truppe russe facevano ingresso al campo di concentramento di Auschwitz. Innestandosi sulla lezione del film “La vita è bella” di Benigni vorrai mica citare i Russi come liberatori eh? Qui è meglio che mi taccio.
Sì, è stata proprio una giornata particolare quella del 27 gennaio, una giornata nel corso della quale mentre gli oligarchi mediatici e politici si impegnavano nella loro paciosa narrazione, le masse si impegnavano indifferenti nel loro abituale shopping del sabato attestando ancora una volta lo scollamento tra i mezzadri del potere e i loro fondamentali interessi consumistici. Insomma, mentre il Titanic affonda, l’orchestra continua a suonare…
Maurizio Murelli

P.S: Dimenticavo: a Lucca, sempre ieri, è stata interdetta la conferenza organizzata da “Il Vento dell’Est” sul Donbass. Con metodi mafiosi sono state fatte pressioni sull’albergatore che aveva messo a disposizione la sala conferenze affinché l’autorizzazione la ritirasse: “Diversamente troveremo il modo di farti chiudere l’attività”. Complimenti!

(Fonte)

A proposito di censura e libertà d’espressione

Un bizzarro comunicato dei giornalisti Rai sulla censura

Leggo e ascolto in tutti i Tg Rai il comunicato stampa dei giornalisti dell’Usigrai contro la censura. Finalmente direte voi…
“Care lettrici, cari lettori…
Il 19 dicembre scorso la Camera dei deputati ha approvato una modifica del codice di procedura penale per vietare la pubblicazione delle ordinanze cautelari, integrali o per estratto, fino al termine dell’udienza preliminare.
Per la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, le associazioni regionali di Stampa e i comitati di redazione, il provvedimento in discussione rappresenta l’ennesimo bavaglio all’informazione, oltre che uno squilibrio del nostro sistema giuridico e costituzionale.
Se anche il Senato dovesse approvare il testo, ci troveremmo di fronte a un provvedimento che va al di là delle disposizioni europee, viola l’articolo 21 della Costituzione e compromette l’autonomia dei giornalisti.
Da qui la richiesta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di non firmare una legge con una norma di questo tipo.
Diciamo no alla censura di stato e siamo pronti a mobilitarci con tutta la categoria, fino allo sciopero generale, per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione ma soprattutto per il diritto di cittadine e cittadini di avere una giusta e corretta informazione.”
Bavaglio all’informazione? Non ce ne eravamo accorti, durante tutto il periodo in cui chiunque ponesse dubbi sul lasciapassare per godere dei propri diritti costituzionali era bandito e denigrato dalla Rai….
E non ce ne siamo accorti, quando l’informazione sulla crisi ucraina imponeva e impone ancora il mantra “c’è un aggressore e un aggredito”.
Quando, dalla Rai, è stata bandita qualsiasi analisi storica, è stato censurato qualsiasi tentativo di pensiero critico, laddove lo Storico Barbero, il classicista Canfora, il Professore Orsini, tra gli altri, sono stati trattati come paria, come folli putiniani, se osavano avvisare che non è inviando armi che si agevola la Pace…
E non ce ne siamo accorti neppure adesso, quando tutti i TG Rai aprono soffermandosi solo sulle condizioni degli ostaggi israeliani senza mai, dico mai, informare sul genocidio del popolo palestinese, senza mai condannare lo sterminio di donne e bambini (in questo momento viene ucciso un bambino palestinese al minuto).
Quanto tempo ha dedicato la Rai alla denuncia del Sudafrica contro il genocidio perpetrato da Israele alla Corte Internazionale di Giustizia?
E quanti servizi, invece, ha imbastito sul mandato di arresto del tribunale dell’Aja contro Putin?
Potrei andare avanti all’infinito, ma ogni lettore può riportare esempi e statistiche.
“Diciamo no alla censura di stato e siamo pronti a mobilitarci con tutta la categoria, fino allo sciopero generale, per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione ma soprattutto per il diritto di cittadine e cittadini di avere una giusta e corretta informazione”.
Così si conclude il comunicato rivoluzionario dell’Usigrai di fronte alla regola di non poter pubblicare le ordinanze cautelari prima del termine dell’udienza preliminare.
Sono sbalordita: oltre alle ordinanze cautelari finalmente potremo ascoltare e vedere in Rai, servizio pubblico, anche le testimonianze degli abitanti del Donbass?
Sapremo quali danni reali hanno causato le sanzioni alla Russia?
Conosceremo le condizioni del popolo palestinese e sentiremo parlare di sionismo senza essere accusati di antisemitismo?
Finalmente vedremo le piazze piene in tutto il mondo che chiedono lo stop al genocidio o magari un piccolo accenno alla rivolta degli agricoltori in Germania?
Agata Iacono

(Fonte)

Sionismo criminale

“Gli autori della Bibbia hanno fatto del genocidio un’azione religiosa, un atto di devozione, poiché il popolo oggetto di sterminio si trova sulla terra che gli Ebrei considerano di loro appartenenza. Vedremo che ciò ha un’importanza considerevole nella politica israeliana, in quanto oggi sono i Palestinesi e gli Arabi in generale (Ismaele) che rappresentano l’ostacolo da eliminare, il popolo da distruggere, da espellere e sterminare secondo l’esempio fornito da Giosuè.
(…) La modalità operativa seguita nel massacro degli abitanti del villaggio di Dar Yasin (nel 1948) è esattamente, su scala ridotta, quella descritta nel Libro di Giosuè. Il progetto israeliano è di far scomparire gli abitanti della terra promessa, in un modo o nell’altro, a meno che non accettino la condizione di servi. I Palestinesi rappresentano un problema che i dirigenti israeliani devono imperativamente risolvere. E questa non è una novità. Dalla creazione del “focolare nazionale ebraico” negli anni Venti del Novecento, i Palestinesi vedono che la loro terra viene rosicchiata e che loro sono progressivamente, incessantemente espropriati. Ce lo ricordano l’espulsione di 700.000 Palestinesi nel 1948, il numero di morti nelle guerre asimmetriche tra Israele e i Palestinesi e la colonizzazione insidiosa dei territori occupati. Questo metodo deve evidentemente essere applicato al fine di realizzare il Grande Israele dal Nilo all’Eufrate, mitiche frontiere dell’antico regno di Israele secondo la Torah.
(…) La creazione, agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, di quel “focolare ebraico” in Palestina che nel 1948 diventò lo Stato d’Israele è avvenuta secondo il modello offerto dal Libro di Giosuè. Le somiglianze sono straordinarie: inizialmente vi furono piccoli gruppi che svolsero il ruolo di avanguardie e di spie dietro le linee ottomane, come nel Libro di Giosuè (cap. 2). Dopo averli accolti, i Palestinesi furono espropriati, scacciati e massacrati in gran numero, prima che il piccolo “focolare” si ingrandisse a danno degli autoctoni. In seguito il regno d’Israele venne creato, come lo Stato d’Israele nel 1948, sulle rovine della popolazione autoctona. Se il Libro di Giosuè presenta un resoconto mitico della conquista della terra santa, il modo in cui fu fondato il moderno Stato d’Israele ricalca meticolosamente lo schema del racconto biblico. Attraverso guerre ed espropri incessanti, il territorio di Israele si estende continuamente dal 1920, così come descritto dal Libro di Giosuè. Il luogo in cui Israele si insedia e il modo in cui lo fa, costituiscono una fedele applicazione pratica del racconto biblico.”

Da Origini bibliche della strategia israeliana di conquista, di Youssef Hindi, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, n. 1/2024, pp. 41 e 43.
L’autore è uno storico delle religioni, specialista del messianismo e delle sue implicazioni storiche, politiche e geopolitiche.

Il mito del “ritorno” del popolo ebraico nella sua patria biblica

“In un libro che all’epoca provocò un certo scalpore, il filosofo francese Roger Garaudy sottopose ad una critica spietata quelli che egli definiva “Les mythes fondateurs de la politique israélienne”. Garaudy usava la parola mito nel senso estensivo che essa riveste allorché designa un racconto o un concetto suggestivo (il linguaggio odierno direbbe “una narrazione” o ancor peggio “una narrativa”), insomma: un racconto fornito di credito e prestigio – che però è possibile smentire (e smontare) per mezzo dell’analisi razionale.
In particolare, con l’espressione “miti fondatori” Garaudy indicava quelle menzogne prestigiose che, assegnando un’origine antica e nobile ad un’istituzione o ad una pratica recente, ne rafforzano la legittimità o addirittura creano attorno ad essa un’aura di sacralità. I “miti fondatori della politica israeliana” vengono distinti da Garaudy in due categorie: i “miti teologici” e i “miti del XX secolo”. I “miti teologici”, nati dalla lettura dell’Antico Testamento fatta dal sionismo, o almeno dalla corrente religiosa del sionismo, sono: 1) il mito della “terra promessa”, 2) il mito del “popolo eletto”, 3) il mito dello “sterminio sacro” (della “pulizia etnica”, se volessimo usare un’espressione meno teologica, più secolarizzata e di uso più corrente). I “miti del XX secolo”, invece, sono: il mito dell’antifascismo sionista, il mito della “giustizia” di Norimberga, il mito dell’Olocausto, il mito di una “terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Tuttavia Garaudy ha trascurato un mito fondatore che possiamo considerare come preliminare rispetto ai “miti teologici” da lui sottoposti a critica: il mito del “ritorno”, ovvero del “ritorno del popolo ebraico nella sua patria biblica”.
“Ritorno”, qualora occorresse ricordarlo, significa rientro nel luogo di provenienza. Quindi, accettando il concetto di “ritorno” (nella “terra d’Israele”, erez Israel), si dà per scontato che, con l’immigrazione sionista in Palestina e con l’instaurazione di un regime d’occupazione coloniale denominato “Stato d’Israele”, il popolo ebraico (o comunque una parte di esso) è ritornato nella sua antica patria dopo una “diaspora” durata circa diciannove secoli. (Tra parentesi, anche questo concetto della “diaspora” – dal greco διασπορά, “disseminazione”, “dispersione” – andrebbe sottoposto ad una radicale revisione critica, dal momento che non fu certo la distruzione del Tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. al tempo dell’Imperatore Tito a provocare la dispersione degli Ebrei, per la semplice ragione che questi si trovavano già da tempo disseminati in tutto il bacino del Mediterraneo).
Ciononostante, stando alla tesi sionista, ad essere “ritornato” in Palestina sarebbe il “popolo ebraico”. Ma qui diventa necessario porsi un’altra domanda: gli Ebrei sono propriamente un popolo?
Secondo Shlomo Sand, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Tel Aviv ed autore di un libro intitolato The Invention of the Jewish People, la risposta a tale interrogativo può essere data solo se si sottopone a revisione critica la storia ufficiale, la quale, a suo parere, è stata costruita e avallata da studiosi che, indotti da un pregiudizio ideologico, hanno manipolato le fonti per creare una visione unitaria e coerente del passato ebraico. Miti fondativi dalla storicità dubbia, come l’esilio babilonese, la conquista della terra di Canaan o la monarchia unita di Davide e Salomone, – dice lo storico israeliano – sono diventati le colonne portanti di una ricostruzione della storia degli Ebrei presentata come un percorso ininterrotto che dall’epoca biblica si dipana senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri. Ma, egli si chiede, esiste veramente un “popolo ebraico” omogeneo, costretto all’esilio dai Romani nel primo secolo d.C., un gruppo etnico la cui purezza sarebbe sopravvissuta a due millenni, una nazione che finalmente ritorna nella sua patria? Niente affatto, sostiene Shlomo Sand. Gli Ebrei discendono da una massa etnicamente disomogenea di individui e gruppi convertiti al giudaismo, appartenenti alle più diverse nazioni del Vicino Oriente e dell’Europa orientale. L’“invenzione del popolo ebraico”, come la chiama Shlomo Sand, è l’invenzione di una storiografia di stampo nazionalista, che intendeva fornire un fondamento e una giustificazione alla colonizzazione sionista della Palestina.”

Da Il mito sionista del “ritorno” di Claudio Mutti, editoriale di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, n. 1/2024.

Intelligenza artificiale e sicurezza informatica, le agenzie di intelligence prendono ordini dai giganti dell’Hi-Tech

È una Spectre globale, come nei film di 007. Il suo compito è difendere l’umanità, almeno così dicono, dai rischi dell’intelligenza artificiale.

Con questo obiettivo in mente, le agenzie di sicurezza informatica dei cinque continenti si sono prima incontrate a novembre in Gran Bretagna e poi hanno redatto un documento congiunto firmato all’unanimità: “Linee guida per lo sviluppo di sistemi di IA (intelligenza artificiale) sicuri”. Il progetto è stato ideato dal National Cyber ​​Security Centre del governo britannico ma il documento è stato approvato e condiviso dai principali centri di comando della cyber security “atlantici”: Stati Uniti in prima fila con la National Security Agency (NSA) e il Federal Bureau of Investigation (FBI), seguito e accompagnato da Australian Cyber ​​Security Centre, Canadian Centre for Cyber ​​Security, New Zealand National Cyber ​​Security Center, CSIRT del governo del Cile, la National Cyber ​​and Information Security Agency della Repubblica Ceca, la Information System Authority estone, il Centro nazionale per la sicurezza informatica dell’Estonia, l’Agenzia francese per la sicurezza informatica, l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza informatica, la Direzione nazionale informatica israeliana, l’Agenzia nazionale italiana per la sicurezza informatica, il Centro nazionale giapponese per la preparazione agli incidenti e la strategia per la sicurezza informatica, il Segretariato giapponese per la scienza, la tecnologia e le politiche di innovazione, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo della tecnologia informatica della Nigeria, il Centro nazionale norvegese per la sicurezza informatica, il Ministero degli affari digitali polacco, l’Istituto nazionale di ricerca NASK della Polonia, il Servizio di intelligence nazionale della Repubblica di Corea, l’Agenzia per la sicurezza informatica di Singapore. In breve, la crema dell’intelligence occidentale.
A cosa serve quel documento? Quali benefici intende introdurre nel complesso e spesso incomprensibile mondo dell’intelligenza artificiale? E soprattutto, quali limiti le agenzie di intelligence intendono conferire ad una tecnologia che secondo alcuni dei suoi principali ideatori sta per diventare un rischio per l’umanità, grazie a nuovi algoritmi capaci di decidere autonomamente quali calcoli effettuare?
Il documento redatto a Londra spiega che “esso raccomanda linee guida per i fornitori di qualsiasi sistema che utilizzi l’intelligenza artificiale (IA), sia che tali sistemi siano stati creati da zero o costruiti su strumenti e servizi forniti da altri. L’implementazione di queste linee guida aiuterà i fornitori a costruire sistemi di intelligenza artificiale che funzionino come previsto, siano disponibili quando necessario e funzionino senza rivelare dati sensibili a parti non autorizzate. Questo documento è rivolto principalmente ai fornitori di sistemi di intelligenza artificiale che utilizzano modelli ospitati da un’organizzazione o utilizzano interfacce di programmazione di applicazioni esterne. Esortiamo tutte le parti interessate (compresi esperti dei dati, sviluppatori, manager, decisori e proprietari del rischio) a leggere queste linee guida per aiutarli ad assumere decisioni informate su progettazione, sviluppo, implementazione e funzionamento dei loro sistemi di intelligenza artificiale”.
Secondo i guru della sicurezza informatica, ci sono quattro pilastri su cui costruire un mondo digitale ottimale: affidabilità (copre la comprensione dei rischi e la modellazione delle minacce, nonché argomenti specifici e compromessi da considerare nella progettazione di sistemi e modelli); sviluppo che offra certezze (relativo al ciclo di vita, compresa la sicurezza della catena di approvvigionamento, la documentazione, e la gestione dei patrimoniale e del debito tecnico); implementazione efficace (protezione dell’infrastruttura e dei modelli da compromissioni, minacce o perdite, sviluppo di processi di gestione degli incidenti e rilascio responsabile); funzionamento e manutenzione garantiti (fornire linee guida sulle azioni particolarmente rilevanti una volta che un sistema è stato implementato, compresi la registrazione e il monitoraggio, la gestione degli aggiornamenti e la condivisione delle informazioni).
Ciò che più sorprende di questo documento è l’elenco delle aziende e delle istituzioni che hanno contribuito alla sua stesura. In quell’elenco troviamo Amazon, Google, Google DeepMind, IBM, Microsoft, OpenAI, oltre ad alcune istituzioni come la Georgetown University, da sempre fucina di grandi talenti per le agenzie di intelligence statunitensi. Ma non è una buona notizia se il controllato diventa il controllore.
Piero Messina

Fonte – traduzione a cura di Old Hunter

Una guerra per le nostre menti

Ho amici che stanno crollando, non riescono a dormire la notte dopo aver visto le immagini dei corpi martoriati dei civili, molti dei quali bambini, che vengono massacrati a Gaza. Sono scioccati dall’entità della devastazione e dall’impunità di coloro che commettono crimini di guerra davanti al mondo intero. Provano livelli di ansia molto elevati e si sentono impotenti a fermare il genocidio dei palestinesi. Sembra che l’Occidente stia perseguendo non solo la distruzione di Gaza, ma anche la distruzione della nostra fiducia nell’umanità e stia cercando di spezzare la nostra volontà di resistenza. Pretende la sottomissione totale. L’Occidente genocida è in guerra con chi non si sottomette, e non solo in Medio Oriente. Per resistere è necessario praticare l’igiene mentale e dissipare la paura dell’ impotenza. Questa è una guerra anche per le nostre menti ed è per questo che dobbiamo proteggerci. Leggete di più sull’antimperialismo, sulle sue vittorie e non solo sulle sue battute d’arresto. Imparate dai palestinesi, la cui resistenza non è stata spezzata da nessuno dei massacri che hanno subito dal 1948 ad oggi. Per nostra fortuna, il numero di Paesi che rifiutano di sottomettersi all’Occidente collettivo è in costante aumento. E’ una lunga marcia e tutti noi dobbiamo essere sufficientemente in forma per continuare a combattere su più fronti. Siamo dalla parte giusta della storia, quella che resta umana.
Laura Ruggeri

Fonte

Ti scatto una fotografia

Che cos’è l’Occidente?
I bambini massacrati a Gaza senza pietà.
Che cos’è l’Occidente?
Hitler e il nazismo.
Che cos’è l’Occidente?
L’Olocausto.
Che cos’è l’Occidente?
La bomba atomica.
Che cos’è l’Occidente?
Il colonialismo e lo sterminio di intere civiltà.
Che cos’è l’Occidente?
600.000 civili massacrati in Iraq in una guerra illegale.
Che cos’è l’Occidente?
La Commissione Europea e la Casa Bianca che sostengono lo sterminio dei Palestinesi a Gaza.
Che cos’è l’Occidente?
Il ministro israeliano Ben-Gvir ammiratore del terrorista Baruch Goldstein
Che cos’è l’Occidente?
La convinzione che i bambini a Gaza vengano uccisi da Hamas.
Che cos’è l’Occidente?
I proiettili sparati nel cranio dei bimbi palestinesi in Cisgiordania come Mohammed Haitham al-Tamimi (tre anni, 5 gugno 2023).
Che cos’è l’Occidente?
La violazione sistematica del diritto internazionale e dei diritti umani.
Che cos’è l’Occidente?
La convinzione di essere una civiltà superiore.
L’Occidente non è soltanto tutto questo, per fortuna.
Ma tutto questo prende quasi tutto l’obiettivo.
Se però la foto è scattata dagli editorialisti del Corriere della Sera, vedrete tanti bimbi sorridenti che giocano felici.
Alessandro Orsini

Fonte

La strategia di Israele è il genocidio

Israele sta perdendo la battaglia. Non può permettersi di mantenere la mobilitazione così a lungo, anche con il sostegno finanziario illimitato degli Stati Uniti. Si stima che, nonostante i voli siano ridotti, più di 250mila Israeliani abbiano lasciato il Paese. Questo è anche il numero di chi ha dovuto evacuare gli insediamenti sia nel sud in un ampio raggio intorno a Gaza, sia nel nord in un’ampia fascia lungo il confine con il Libano.
Israele non è abituato a questo, con le sue armi sofisticate si aspettava una vittoria rapida e schiacciante. Il problema è che non la raggiunge. Hamas è troppo ben trincerato e Hezbollah è troppo forte. Entrambi hanno un arsenale sofisticato, nonostante l’assenza di marina e aviazione. La loro strategia è stata quella di rendere le forze aeree e navali ampiamente inutili contro di loro grazie a una vasta e ben attrezzata rete di tunnel rinforzati, sigillati e ben difesi. La loro strategia è quella del logoramento: far durare il conflitto più a lungo di quanto gli Israeliani siano disposti o in grado di sopportare. Sembra funzionare. Gli Israeliani stanno subendo perdite a un ritmo a cui non sono abituati. Questo li sta rendendo più lenti e cauti, tranne che quando attaccano dal cielo, e stanno sconvolgendo la vita dei civili in una misura senza precedenti. Le forze di resistenza dei Palestinesi e dei loro alleati hanno pianificato uno scontro di durata illimitata, mentre Israele pianifica solo attacchi brevi e massicci, finalizzati a una vittoria rapida e decisiva, che in questo caso è illusoria. Questo è il motivo principale per cui hanno scelto il genocidio come tattica.
Ritengono che la morte massiccia e orribile di civili inermi, soprattutto donne e bambini, costringerà Hamas, Hezbollah e i loro alleati a correre rischi e a esporsi. Ma il genocidio non funziona. E anche se non funziona, la risposta di Israele è quella di continuare con il genocidio. Gaza è in gran parte senza cibo, medicine, elettricità, carburante o acqua potabile. Israele sta cercando di costringere una popolazione in preda al panico ad andarsene o a morire. Se se ne andranno, sarà nel Sinai, per non tornare mai più nel loro Paese. Questo va bene per Israele, ma non per l’Egitto, che ha schierato una solida fila di carri armati lungo il confine per evitare di essere costretto ad accogliere la popolazione palestinese.
Israele sta ricorrendo a bombardamenti su ospedali, scuole, moschee e persino sulle poche chiese della comunità cristiana che ha aperto le porte ai fratelli e alle sorelle musulmani in cerca di rifugio.
La strategia israeliana sembra essere quella di far sì che quando gli scheletri di bambini e i cadaveri inizieranno a diventare centinaia di migliaia o più, i combattenti cederanno per disperazione e/o la comunità internazionale costringerà l’Egitto ad aprire le sue porte. La strategia potrebbe ritorcersi contro.
La comunità internazionale potrebbe inorridire a tal punto che nessuna hasbara [media amici] funzionerà. Invece, i loro alleati più fedeli potrebbero essere costretti ad abbandonarli e altre potenze potrebbero scendere in campo dalla parte dei Palestinesi. A quel punto, le conseguenze diventano imprevedibili. Ci sono già imponenti manifestazioni in tutto il mondo. Una voce di spicco in Israele ha addirittura suggerito l’opzione nucleare.
La richiesta di un cessate il fuoco si fa sempre più forte, ma Israele la vede come una vittoria dei Palestinesi e le fazioni palestinesi non hanno molta voglia di tornare allo status quo ante, che significa confinamento in campi di concentramento o in “riserve”. Volontari di tutto il mondo stanno iniziando a mobilitarsi per cercare di consentire, come minimo, l’arrivo di aiuti umanitari, del carburante, dell’elettricità e dell’acqua alla popolazione di Gaza assediata, affamata, assetata, malata e ferita.
Questo è solo l’inizio. La situazione potrebbe cambiare rapidamente in meglio o in peggio.
Paul Larudee

Fonte

L’Italia tradisce la Palestina e la propria tradizione filo-araba

“Le immagini che abbiamo visto mostrano qualcosa di più di una semplice guerra, mostrano il desiderio di cancellare gli Ebrei da questa regione ed è un atto di antisemitismo. E noi dobbiamo combatterlo, oggi come ieri. Difendiamo il diritto di Israele di esistere, di difendere la sicurezza dei suoi cittadini. Siamo assolutamente consapevoli che si tratta di un atto di terrorismo che deve essere combattuto. Pensiamo e crediamo che siate in grado di farlo nel modo migliore, perché siamo diversi da quei terroristi. Dobbiamo sconfiggere questa barbarie: è una battaglia tra le forze della civiltà e mostri barbari che hanno ucciso, mutilato, stuprato, decapitato, bruciato persone innocenti. È una prova, una prova di civiltà. E noi la vinceremo”.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non perde occasione per dimostrarsi la più atlantista tra gli atlantisti. In missione a Tel Aviv per incontrare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, la Presidente del Consiglio italiana ha recitato più o meno lo stesso copione già recitato quando incontrò Zelensky all’epoca della SMO russa in territorio ucraino. È un modello che funziona molto bene per il mainstream italiano.
Certo, poi, partecipando alla Conferenza del Cairo – il cui risultato è stato uno zero assoluto – ha dovuto cambiare tono e registro, invitando Israele a non cercare “vendetta”. Ma l’effetto cane da guardia era già arrivato sulle prime pagine di tutti i giornali. Nemmeno una parola sui quasi cinquemila Palestinesi uccisi dal fuoco dell’IDF. Per il governo italiano, quelli sono solo danni collaterali.
La politica estera italiana si riduce a una finta esibizione di globalismo filo-Washington, senza alcuna attenzione per la storia italiana e la sua lunga tradizione filo-araba e filo-palestinese. Perché l’Italia non è stata così. Negli ultimi sessant’anni, le relazioni politiche tra Italia e Palestina sono cambiate, parallelamente a cambiamenti più profondi nella politica italiana e palestinese. Per decenni, l’Italia è stata considerata il Paese dell’Europa occidentale più favorevole ai Palestinesi.
Tutto è cambiato all’inizio degli anni Novanta. L’ennesimo cadeau della fine della Guerra Fredda. Il sostegno politico italiano ai Palestinesi ha subito un graduale ma costante cambiamento. L’Italia, infatti, è oggi uno dei più stretti “amici” europei di Israele. Due sono i fattori principali alla base di questo riposizionamento politico. Uno è la trasformazione politica e sociale dell’Italia – il lungo processo di “integrazione” culturale, economica e politica nelle politiche neoliberali globalizzate, strettamente legate all’agenda neo-imperialista – che ha portato ad una drastica revisione degli affari esteri italiani.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha prestato grande attenzione al mondo arabo. Il governo ha cercato di avere un ruolo attivo nella regione, ben consapevole della necessità di stabilire relazioni forti e durature, sfruttando la sua posizione favorevole di “ponte” tra il Medio Oriente e l’Europa. L’Italia ha storicamente cercato di trarre vantaggio dalla sua vicinanza geografica alla regione per stabilire una presenza economica nell’area mediterranea. Ciò è stato evidente nei tentativi di espansione coloniale diretta. In effetti, anche se la politica estera italiana è stata decisamente limitata nel mezzo della crescente polarizzazione tra gli Stati Uniti e la sfera sovietica negli anni ’50, i suoi interessi nel Mediterraneo sono rimasti.
Mentre negli anni Cinquanta e Sessanta ci furono solo timidi tentativi di giocare un ruolo attivo nella questione arabo-israeliana, negli anni Settanta l’Italia deviò verso una posizione più decisamente filo-palestinese. Sotto la guida dell’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro, l’Italia promosse diverse iniziative a favore della causa palestinese. Ad esempio, insieme alla Francia, sostenne la partecipazione di Arafat all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974. Anche il governo italiano dell’epoca espresse solidarietà per il dramma palestinese, non solo con dichiarazioni e comunicati, ma anche al punto da consentire la presenza ufficiale dell’OLP in Italia nel 1974.
La diplomazia nazionale mirava a garantire che la tensione tra i militanti palestinesi e l’intelligence israeliana non si acuisse in Italia. Con un patto segreto, noto come “Lodo Moro”, l’Italia assicurava ad alcuni gruppi palestinesi la libertà di coordinare e organizzare le loro attività sul territorio italiano in cambio della garanzia che le azioni non si sarebbero poi svolte in Italia. Tuttavia, nel corso degli anni sono emerse molte ricostruzioni secondo le quali sembra che la stessa politica del “far finta di non vedere” fosse rivolta al Mossad.
Sappiamo cosa è successo ai politici italiani che hanno sostenuto la causa araba e palestinese. Aldo Moro (1978) fu rapito dalle Brigate Rosse e ucciso in circostanze non ancora del tutto chiarite. Bettino Craxi fu travolto dall’ondata moralizzatrice di Tangentopoli, lo scandalo che cancellò l’intera classe politica italiana in coincidenza con la fine della Guerra Fredda, e morì esule in Tunisia. Ora la politica estera italiana non è altro che una dipendenza di Washington.

Fonte, tradotto in Italiano da comedonchisciotte.org

Pulire i vetri dell’ambasciata americana

Cara Elly Schlein, hai presente la Francia in Algeria ai tempi del colonialismo? Ecco, Israele è la stessa cosa in Palestina. Israele è uno Stato coloniale che brutalizza e disumanizza i dominati. E i dominati si ribellano. Soltanto un sistema stracorrotto dell’informazione come quello italiano può far iniziare la storia del conflitto israelo-palestinese dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023. Le potenze coloniali, cioè Israele e Stati Uniti, fanno sempre iniziare la storia del conflitto israelo-palestinese dall’ultimo attentato terroristico in opposizoone alla logica dell’indagine scientifico-sociale che suggerisce ben altra impostazione metodologica. Però l’informazione sulla politica internazionale in Italia funziona come nelle dittature quindi, purtroppo per noi, quasi tutti i conduttori televisivi, gli speaker radiofonici e i direttori di giornali, sono corrotti perché tradiscono la loro missione professionale che prevede di non ingannare le persone mentendo spudoratamente e distorcendo i fatti. Quindi, per favore, non venirmi a dire che la soluzione è di rilanciare il dialogo per avere due Stati. La soluzione è sbattere Israele fuori dai territori che occupa illegalmente colpendo Netanyahu con le sanzioni e chiedendo alla corte penale internazionale che spicchi un mandato di cattura contro questo criminale di guerra per i crimini disumani che sta commettendo a Gaza.
Un tempo i leader di sinistra dicevano queste cose perché si battevano per un mondo migliore.
Oggi la cosa più rivoluzionaria che sappiano fare i leader di sinistra è pulire i vetri dell’ambasciata americana.
Pulisci oggi pulisci domani, ti ritrovi tutta sporca.
Alessandro Orsini

Fonte

Gli Ebrei sono un “popolo eletto”?

“Gli ideologi del sionismo T. Herzl, L. Pinsker, B. Borukhov, M. Hess, A. Hamm ed altri hanno intensamente popolarizzato la concezione nettamente razzista secondo cui gli “Ebrei sono il popolo eletto da Dio”, gli “Ebrei sono un popolo dal destino storico e dalle peculiarità di carattere non propri ad altri popoli”. Il noto esponente sionista Naum Sokolov ha affermato, ad esempio, che gli “Ebrei, senza dubbio, sono la razza più pura tra tutte le nazioni civili del mondo”. Uno dei dirigenti del sionismo mondiale, Max Nordau, ha dichiarato categoricamente: “L’ebreo rivela una maggiore intraprendenza e maggiori capacità rispetto all’Europeo medio, senza parlare degli inerti Asiatici ed Africani”. Gli odierni sociologi e storici sionisti S. Eisenstadt, L. Fein, B. Khalperin, O. Miker ed altri tentano invano di dimostrare la “eccezionalità” dello Stato di Israele e del suo sviluppo, la “originalità” e la “perfezione” della cosiddetta “variante israeliana del sionismo”:
Ma, come ha mostrato la prassi, tutte le pretese dei sionisti alla “eccezionalità” non sono state confermate dalla storia e vengono confutate dalla realtà. A suo tempo Marx ed Engels avevano sventato il mito della “nazione ebraica” quale unicum della società umana: Marx scriveva della “nazionalità chimerica dell’ebreo”, “una casta, e non una nazione”, come l’ha definita Lenin, mentre egli caratterizzava la teoria della sua “eccezionalità” come “assolutamente falsa e reazionaria nella sua essenza”. La realtà di oggi prova che il sionismo è una corrente ideologica e politica tipicamente nazionalista e reazionaria, che serve gli interessi della grossa borghesia ebrea ed imperialistica, mentre Israele è uno Stato borghese stereotipato, che si serve del sionismo per ingannare la propria popolazione e gli Ebrei di altri Paesi del mondo.”

Da La svalutazione delle idee del sionismo, di Vladimir Lysenkov, libero docente in scienze storiche.
L’articolo, apparso in origine sulla Novosti e tradotto in Italiano per URSS oggi (bollettino dell’Ambasciata dell’URSS), n. 13, luglio 1977, è stato ripubblicato in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, n. 4/2023.

Domande indiscrete

Di Alberto B. Mariantoni

È possibile che il mio punto di vista sull’annoso e luttuoso conflitto Israelo-Palestinese non sia molto oggettivo. Come diceva Bachelard, “L’esprit scientifique n’est jamais jeune car il a l’àge de ses préjugés”… (“lo spirito scientifico non è mai giovane, poiché ha l’età dei suoi pregiudizi”).
Resta comunque il fatto che avendo fortunatamente o sfortunatamente passato qualche anno della mia vita e della mia attività professionale nel Vicino-Oriente (all’incirca 29 anni…), credo mi spetti in qualche modo il diritto di porre in proposito qualche domanda. Indiscreta, naturalmente, e “politically incorrect”, come è mio costume:
1. Per quale ragione -ad esempio- le specifiche “rappresaglie” SS di “Oradour-sur-Glàne” (F), di “Marzabotto”, delle “Ardeatine” (I), ecc., continuerebbero ad essere un crimine di guerra e/o un crimine contro l’umanità; mentre invece quelle che da più di mezzo secolo vengono quotidianamente praticate dall’esercito israeliano, dalla “Unità 101”, dallo Shin-Bet (Sherutei Bittahon) a discapito dei civili palestinesi, sono semplicemente degli atti di banale “legittima difesa” e/o di “normale belligeranza”, oppure semplici “provvedimenti di polizia”, contro il “terrorismo” palestinese?
2. Per quale motivo, la figura del “partigiano” resistente all’occupazione militare Germanica dell’Europa nel corso della Seconda guerra mondiale -oppure quella dell'”insorto israelita” della Zydowska Organizacja Bojowa (Organizzazione Ebraica Militante) all’interno del “Getto di Varsavia”- equivarrebbe a quella di un patriota e di un eroe, mentre invece quella incarnata dai membri della resistenza palestinese (Hamas, Gihad, FPLP, Fatah, ecc.) all’occupazione militare Israeliana, coinciderebbe con quella di semplici assassini, vili delinquenti, pazzi furiosi e/o terroristi sanguinar! che metterebbero in pericolo la sicurezza di quella “povera comunità indifesa” (con più di 300 testate nucleari a disposizione… e vastissimi arsenali di armi di distruzione di massa a base chimica, biologica e batteriologica!) che risponde al nome di Stato d’Israele?
3. Come mai l’autorizzazione ad esercitare un Governo Autonomo Israelita (Judenrat) all’interno del “Ghetto di Varsavia” nel contesto del Governatorato Generale del III Reich in Polonia sarebbe degradante ed inaccettabile per la dignità degli Israeliti che vi erano racchiusi, mentre l’analoga situazione vigente all’interno dei cosiddetti “Territori Autonomi” gentilmente concessi (e, per di più, costantemente rimessi in discussione da Tel Aviv) alla Palestinian National Authority, nel contesto della sovranità territoriale israeliana, è senz’altro tollerabile e sopportabile?
4. In rapporto a quale riflessione, l’annessione di Danzica, dei Sudeti e/o dell’Austria, da parte del regime hitleriano, sarebbe inammissibile da un punto di vista del Diritto Internazionale, mentre invece le annessioni della Gerusalemme araba e del Golan siriano da parte del Governo israeliano non evocano nessuna violazione dello stesso diritto e non suscitano nessuna reazione o commento né da parte dell’OONU, né da parte degli Stati Uniti, né da parte dell’Unione Europea?
5. Per quale recondito raziocinio, da un punto di vista dei “Diritti dell’Uomo”, sarebbe razzista ed inaccettabile apporre sul petto degli israeliti (sotto occupazione Germanica) il segno distintivo della “stella di David”, mentre invece è senz’altro ammissibile e comprensibile che il Governo israeliano imponga dal 1967 alle popolazioni dei tenitori occupati la “targa di colore verde” per i veicoli dei cittadini palestinesi, in contrapposizione a quelle di colore giallo riservate ai cittadini israeliani?
6. In forza a quale logica, i “numeri di matricola” tatuati sull’avambraccio dei detenuti Israeliti dei Campi di concentramento nazisti (1941-1945), sarebbero un trattamento avvilente e mortificante per la personalità di quegli innocenti proscritti, mentre analoghi “tatuaggi di identificazione” (anche se praticati con speciali inchiostri indelebili…), attualmente inflitti da Tsahal alla maggior parte dei civili palestinesi arbitrariamente rastrellati per le strade dei centri abitati e nei campi profughi della Cisgiordania e di Gaza, sarebbero semplicemente un valido e moderno espediente per meglio accertare e distinguere, in futuro, le generalità dei possibili “terroristi”?
7. Sulla base di che criterio, gli “arresti domiciliari” imposti dai nazisti nel 1942 all’allora presidente della Judenrat del “Getto di Varsavia”, Adam Czerniaków, e la pretesa da parte dell’allora Gestapo di farsi consegnare da quest’ultimo i responsabili israeliti dei numerosi e cruenti atti di sabotaggio e di terrorismo perpetrati ai danni dell’occupante germanico, sarebbero delle arbitrarie e criminali punizioni e delle inammissibili ed inumane pretese, mentre analoghi “arresti” ed equivalenti “sussieghi” imposti dal premier israeliano Sharon al leader dell’OLP Yasser Arafat, non solo sarebbero tollerabili e scusabili ma, favorirebbero prima o poi la fine degli scontri armati ed il sicuro e rapido ritorno al dialogo tra le parti in conflitto?
8. Grazie a quale tipo di analisi, il non rispetto delle convenzioni internazionali da parte del regime di Hitler alla vigilia della Seconda guerra mondiale, continuerebbe ad essere un’insolente e tracotante oltraggio al desiderio di pace dei popoli, nonché un deprecabile, deleterio e funesto esempio di aperta ed arrogante sfida al buon senso delle Nazioni civili del mondo, mentre invece il sistematico rifiuto di sottomettersi alle 32 risoluzioni dell’ONU da parte di Israele (tra queste, mi permetto di ricordare: la risoluzione 181 che determinava i territori della Palestina che dovevano costituire lo Stato ebraico e lo Stato arabo nel 1948. La risoluzione 194, dell’1 dicembre 1948, che fissava il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi. La risoluzione 242, del 22 novembre 1967, che dichiarava inammissibile l’acquisizione di territori arabi con la forza. La risoluzione 2649, del 30 novembre 1970, che riconosceva il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, o la risoluzione 338, d’ottobre 1973, che reclamava l’applicazione della 242 e la realizzazione di condizioni favorevoli ad una pace duratura nel Medioriente. La risoluzione 3236, del 22 novembre 1974, che ricordava il diritto alla sovranità ed all’indipendenza nazionale per il popolo palestinese. Senza dimenticare la risoluzione 112, del 29 luglio 1980, che domandava il ritiro d’Israele dai territori occupati, prima del 15 novembre 1980, o la risoluzione 478, del 1° marzo 1980, che condannava Israele, sia per la sua violazione della legge internazionale a Gerusalemme che per la sua politica di colonizzazione all’interno dei tenitori occupati, ecc.), è senz’altro accettabile e comprensibile, ed in tutti casi non così grave… da provocare scandali internazionali o bellicose “levate di scudi” da parte delle sempre attente e vigili “immacolate concezioni” dei nostri regimi democratici?
9. In ordine a quale particolare dettame, i “bombardamenti indiscriminati”, le “demolizioni sistematiche dì abitazioni private e di infrastrutture civili”, la “politica del terrore imposta ad intere popolazioni”, “l’espropriazione e la colonizzazione di terre conquistate con la forza delle armi” sarebbero dei vergognosi e riprovevoli atti di pura e gratuita barbarie quando portano il “labello nazista”, mentre invece quando sono praticati all’ombra della “stella di Davide” faciliterebbero senz’altro il ritorno dei “contendenti” (sic!) al tavolo dei negoziati ed, allo stesso tempo, spianerebbero la strada ad un più accelerato ristabilimento della pace e della connivenza civile tra i popoli del Vicino Oriente?
10. Lo stesso dicasi per le “torture” e le “umiliazioni corporee” imposte ai prigionieri politici, “gli arresti indiscriminati”, le “deportazioni e le espulsioni”, “le detenzioni arbitrarie e senza processo”, i “documenti” ed i “titoli di viaggio selettivi e discriminanti” (simili a quelli praticati da Berlino negli anni ’30 con l’apposizione nei confronti degli Israeliti della famigerata “J” = Juden) imposti ai Druzi, ai Circassi, ai Cristiani ed ai Musulmani di nazionalità israeliana in Israele, ecc.
Il giorno che mi saranno chiaramente, lealmente ed onestamente spiegate le differenze, cambierò senz’altro la mia opinione sul conflitto Israelo-Palestinese. Fino a quel giorno, invece, scusatemi ma continuerò imperterrito a credere che nessuno, in nessuna parte del mondo, è l’esclusivo depositario del “male assoluto”. Nemmeno il tanto deprecato regime di Hitler che ci hanno descritto negli ultimi 57 anni….
Come ebbe a dire Jean-Paul Sartre, nel 1958, “l’occasion decide seule: selon l’occasion, n’importe qui, n’importe quand, deviendra victime ou bourreau”. (“È l’occasione che decide da sola: secondo l’occasione, chiunque, in qualunque momento, diventerà vittima o boia”).
Anche Israele, mi permetto di constatare!

[Pubblicato sul quotidiano “Rinascita” in data 11/7/2003)

Ecco perché sostengo i Palestinesi

Di Ilan Pappé

Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa.
È difficile mantenere la propria bussola morale quando la società a cui appartieni – sia i leader che i media – prende una posizione di superiorità morale e si aspetta che tu condivida la loro stessa furiosa colera con cui hanno reagito agli eventi di sabato scorso, 7 ottobre.
C’è solo un modo per resistere alla tentazione di aderirvi: se ad un certo punto della tua vita tu capissi – anche come cittadino ebreo di Israele – la natura coloniale del sionismo e fossi inorridito dalle sue politiche contro la popolazione indigena della Palestina.
Se avete raggiunto questa consapevolezza, allora non esiterete, anche quando i messaggi velenosi dipingeranno i Palestinesi come animali, o “animali umani”. Queste stesse persone insistono nel descrivere ciò che è avvenuto sabato scorso come un “Olocausto”, abusando così della memoria di una grande tragedia. Questi sentimenti vengono trasmessi, giorno e notte, sia dai media che dai politici israeliani.
È questa bussola morale che ha portato me, e altri nella nostra società, a sostenere il popolo palestinese in ogni modo possibile; e questo ci permette, allo stesso tempo, di ammirare il coraggio dei combattenti palestinesi che hanno preso il controllo di una dozzina di basi militari, sconfiggendo l’esercito più forte del Medio Oriente.
Inoltre, persone come me non possono non interrogarsi sul valore morale o strategico di alcune delle azioni che hanno accompagnato questa operazione.
Poiché abbiamo sempre sostenuto la decolonizzazione della Palestina, sapevamo che più fosse continuata l’oppressione israeliana, meno probabile sarebbe stata “sterile” la lotta di liberazione – come è avvenuto in ogni giusta lotta per la liberazione in passato, in qualsiasi parte del mondo.
Ciò non significa che non dovremmo tenere d’occhio il quadro generale, nemmeno per un minuto. Il quadro è quello di un popolo colonizzato che lotta per la sopravvivenza, in un momento in cui i suoi oppressori hanno eletto un governo, determinato ad accelerare la distruzione, di fatto l’eliminazione, del popolo palestinese – o anche la sua stessa rivendicazione di essere un popolo.
Hamas doveva agire, e in fretta.
È difficile dar voce a queste contro-argomentazioni perché i media e i politici occidentali hanno accettato il discorso e la narrazione israeliana, per quanto problematica fosse.
Mi chiedo quanti di coloro che hanno deciso di vestire il Parlamento di Londra e la Torre Eiffel a Parigi con i colori della bandiera israeliana, capiscono veramente come questo gesto, apparentemente simbolico, viene interpretato in Israele.
Anche i sionisti liberali, con un minimo di decenza, leggono questo atto come un’assoluzione totale da tutti i crimini che gli Israeliani hanno commesso contro il popolo palestinese dal 1948; e quindi, come carta bianca per continuare il genocidio che Israele sta ora perpetrando contro il popolo di Gaza.
Per fortuna ci sono state anche diverse reazioni agli avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
Come in passato, ampi settori della società civile occidentale non si lasciano facilmente ingannare da questa ipocrisia, già manifesta nel caso dell’Ucraina.
Molti sanno che dal giugno 1967 un milione di Palestinesi sono stati incarcerati almeno una volta nella loro vita. E con la reclusione arrivano anche gli abusi, la tortura e la detenzione permanente senza processo.
Queste stesse persone conoscono anche l’orribile realtà che Israele ha creato nella Striscia di Gaza quando ha sigillato la regione, imponendo un assedio ermetico, a partire dal 2007, accompagnato dall’incessante uccisione di bambini nella Cisgiordania occupata. Questa violenza non è un fenomeno nuovo, poiché è stata il volto permanente del sionismo sin dalla fondazione di Israele nel 1948.
Proprio a causa di questa società civile, miei cari amici israeliani, il vostro governo e i vostri media alla fine verranno smentiti, poiché non saranno in grado di rivendicare il ruolo di vittime, ricevere sostegno incondizionato e farla franca con i loro crimini.
Alla fine, il quadro generale emergerà, nonostante i media occidentali intrinsecamente parziali.
La grande domanda, tuttavia, è questa: anche voi, amici israeliani, sarete in grado di vedere chiaramente questo stesso quadro generale? Nonostante anni di indottrinamento e ingegneria sociale?
E cosa non meno importante, sarete in grado di imparare l’altra importante lezione – che può essere appresa dagli eventi recenti – che la sola forza non può trovare l’equilibrio tra un regime giusto da un lato e un progetto politico immorale dall’altro?
Ma c’è un’alternativa. Infatti ce n’è sempre stata una: una Palestina desionizzata, liberata e democratica dal fiume al mare; una Palestina che accoglierà nuovamente i rifugiati e costruirà una società che non discrimini sulla base della cultura, della religione o dell’etnia.
Questo nuovo Stato si attiverebbe per correggere, il più possibile, i mali passati, in termini di disuguaglianza economica, furto di proprietà e negazione dei diritti. Ciò potrebbe annunciare una nuova alba per l’intero Medio Oriente.
Non è sempre facile attenersi alla propria bussola morale, ma se punta a nord – verso la decolonizzazione e la liberazione – allora molto probabilmente ci guiderà attraverso la nebbia della propaganda velenosa, delle politiche ipocrite e della disumanità, spesso perpetrate in nome dei ‘nostri comuni valori occidentali”.

[Fonte, con alcune lievi modifiche alla traduzione operate dalla redazione]

Lo “schema Seberg”

Per capire come funziona il mondo dell’informazione nell’“Occidente libero degli amanti della democrazia” utilizzerò lo “schema Seberg”. Jean Seberg era un’attrice nordamericana, musa di diversi registri francesi della cosiddetta “Nouvelle Vague”, da Godard (con il quale girò “À bout de souffle”, vero e proprio manifesto del movimento) a Chabrol. La Seberg aveva un “difetto”, simpatizzava per il Black Panthers Party al quale faceva puntualmente generose donazioni. Ora, in questo contesto non ci interessa discutere le idee politiche della Seberg, se queste fossero valide o meno. Ciò che importa è tenere a mente che questa sua simpatia politica non era affatto gradita all’FBI che su di lei scatenò una vera e propria campagna “mediatica” volta a screditarla sia come personalità pubblica che come attrice. La strategia dell’FBI, nello specifico, si fondava sull’imporre ai giornali scandalistici dell’epoca di pubblicare articoli, scritti sotto dettatura degli agenti di Edgar J. Hoover, concernenti aspetti privati della vita dell’attrice che potessero mettere la stessa in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica. Poco importa che quanto venisse scritto fosse vero o meno, tanto, anche se l’attrice avesse sporto denuncia, la verità sarebbe venuta a galla solo quando non sarebbe importato più niente a nessuno.
Adesso, proviamo ad applicare tale schema alle relazioni internazionali tenendo bene a mente anche quanto dichiarò il giornalista tedesco Udo Ulfkotte (anche’egli oggetto di campagne denigratorie piuttosto gravi): ovvero, che i principali mezzi di informazione occidentali (storicamente) pubblicano materiale che viene loro servito da agenzie legate alla CIA o da uomini addestrati dalla stessa (si pensi, in questo caso, alle rivelazioni di Wikileaks sul ruolo della Stratfor Enterprise). Si prenda ad esempio il motivo scatenante dell’aggressione alla Serbia (ex Jugoslavia) nel 1999: il presunto massacro di Račak, quando i miliziani kosovari dell’UCK raccolsero alcuni loro compagni caduti in battaglia per poi vestirli con abiti civili e spararli alla testa onde dare l’idea della fossa comune e di una pulizia etnica portata avanti dalle forze serbe. Si prenda, inoltre, ad esempio il motivo scatenante dell’attacco all’Iraq nel 2003: la sceneggiata di Colin Powell alle Nazioni Unite con lo sventolio in diretta mondiale della fialetta contenente le prove della costruzione di armi chimiche da parte di Saddam. E si prenda ancora ad esempio il motivo che scatenò l’aggressione NATO alla Libia: nessuno, eccetto una violenta campagna nei mezzi di informazione occidentali che parlavano apertamente di migliaia di morti, fosse comuni e di genocidio del popolo libico da parte del “regime di Gheddafi”. Le prove di suddetto genocidio, ovviamente, non vennero mai mostrate per il semplice motivo che non esistevano. Ed anche Human Rights Watch fu costretta ad ammettere che le rivolte dei primi mesi del 2011 portarono alle morte di 373 persone (tra l’altro, in larga parte membri delle forze di sicurezza libiche). Senza considerare che la risoluzione ONU 1973/2011 prevedeva la creazione di una “zona di interdizione al volo” e “misure per proteggere i civili”. Non prevedeva affatto l’inizio di un vero e proprio conflitto contro la Libia (come venne interpretata molto fantasiosamente da Francia, Regno Unito e USA). Dunque, non importa che quanto viene detto sia vero o meno. La cosa importante è la reazione che scatena nel pubblico. In altri termini, la verità è sostituita dalla “sentimentalità”, o dalla sua teatralizzazione. Oggi, non esiste alcuna prova che i miliziani di Hamas abbiano decapitato 40 bambini (così come non c’era alcuna prova che i soldati russi si fossero macchiati di crimini nella cittadina ucraina di Bucha, altra questione passata in cavalleria che nessuno ricorda più). Eppure, i mezzi di informazione continuano a propinare tale notizia come “verità inattaccabile” per preparare l’opinione pubblica ad un nuovo massacro o per la guerra a oltranza.
Daniele Perra

[Fonte – collegamenti inseriti a cura della redazione]

Un po’ di cosine poco simpatiche

Sapete che c’è? C’è che ora dico un po’ di cosine poco simpatiche. Mi dispiace se ci sarà qualcuno che si sentirà toccato, ma questo è quanto sto riscontrando in questi ultimi giorni.
La prima è che c’è tanta, ma tanta, ignoranza in Italia, e nello specifico nell’area del dissenso… Gente che non sa nemmeno in quale parte del mondo si trovi la Palestina che si permette di pontificare contro un popolo oppresso sotto assedio che subisce pulizia etnica, apartheid, torture, espropri da 80 anni.
La seconda è che ancora troppa gente pensa di essersi “risvegliata” solo perché negli ultimi 3 anni ha intuito che ci fosse qualcosa che non andava sulla gestione delle nostre vite, poi, per quanto riguarda quello che succede nemmeno troppo lontano da noi (l’altra sponda del Mediterraneo), si trova a sostenere lo stesso potere che è stato combattuto qui, a casa nostra, cos’è… dissonanza cognitiva?
Gente che non ha mai approfondito alcunché, si trova a parlare di Islam come se fosse satanismo, consapevole o no, che è esattamente ciò che l’Occidente imperial-sionista vuole, e si trova a criminalizzare un intero gruppo religioso perché il potere, lo stesso che gli voleva infilare a forza un ago nella pelle con una sostanza tossica e sperimentale, impone questa narrazione, la stessa gente che non conosce nemmeno la differenza tra la parola “arabo” e la parola “musulmano” e li confonde bellamente utilizzando uno come sostituto dell’altro, ignorando che gli Arabi possono essere musulmani, ebrei, atei, cristiani etc e che i musulmani non sono necessariamente arabi.
Gente che ha avversato il “potere” contro il green pass e ora si trova a fiancheggiarlo nella lotta combattuta dall’alto verso il basso, perché il potere stesso negli anni ha fatto in lavaggio del cervello in questo senso: il tuo nemico è quello che decidiamo noi per te, è chi sta peggio di te, che è diverso da te e in qualche modo ti fa paura. Gente che ha paragonato Hamas agli Azov, così, a caso, dimostrando di non conoscere un beneamato fico secco della storia. Canali e personaggi della contro – informazione che hanno preso ad abbeverarsi da fonti tipo New York Times, Corriere, BBC, etc, anche questo in palese dissonanza cognitiva. Questa cosa è avvilente.
Qui non bastano le notizie, bisognerebbe creare delle scuole e iniziare dalle basi, facendo i disegnini…
Ma se proprio costa fatica dover studiare e capire per poter leggere gli eventi che si susseguono ad una velocità impressionante, c’è un altro modo, una cartina al tornasole, ed è come tratta una notizia la stampa occidentale/italiana: dal momento in cui hanno sparato a zero in questi 4 anni contro chi divergeva dal pensiero dominante (dalla farsa pandemica, passando dalla guerra della NATO contro il Donbass per arrivare al cambiamento climatico)… come fate ancora a credere alle cazzate che dicono?
Ma le bastonate prese non sono bastate?
Ma quando pensate sia il caso di risvegliarsi anche da questo torpore?
Francesca Quibla

Fonte

La prigione più grande del mondo

Da oggi in libreria:
«Frutto di anni di ricerche, il nuovo lavoro di Pappé rappresenta probabilmente l’analisi più completa mai scritta sulla genesi dei Territori Occupati e sulla vita quotidiana all’interno di quella che l’autore definisce, appunto, “la prigione più grande del mondo”. Pappé analizza la questione da molteplici punti di vista: attraverso l’analisi di materiali d’archivio recentemente declassificati, ricostruisce sotto una luce nuova le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici israeliani – e lo stesso processo decisionale – che hanno gettato le basi dell’occupazione della Palestina; rivolgendo poi lo sguardo alle infrastrutture legali e burocratiche e ai meccanismi di sicurezza messi in atto dagli occupanti, rivela il modo in cui Israele è riuscito a imporre il suo controllo a oltre un milione di Palestinesi; infine, attraverso i documenti delle ONG che lavorano sul campo e i resoconti di testimoni oculari, Pappé denuncia gli effetti brutalizzanti dell’occupazione, dall’abuso sistematico dei diritti umani e civili ai blocchi stradali, dagli arresti di massa alle perquisizioni domiciliari, dal trasferimento forzato degli abitanti autoctoni per far spazio ai coloni al famigerato muro che sta rapidamente trasformando anche la stessa Cisgiordania in una prigione a cielo aperto».

Un rabbino israeliano ricorda chi sono i moderni eroi dell’Ucraina

Il rabbino Mikhail Finkel è stato invitato in televisione per esprimere la propria opinione sull’attuale situazione in Ucraina. Le sue affermazioni hanno sorpreso gli intervistatori i quali supponevano che egli avrebbe coperto il regime di Kiev. Il rabbino e scienziato politico Mikhail Finkel ha deciso di ricordare ai presenti in studio che solo sotto la presidenza Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite e firmato risoluzioni anti-israeliane in 36 occasioni. Egli ha ricordato agli spettatori che sono i moderni eroi dell’Ucraina:
“In 36 occasioni solo sotto Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite
I loro eroi sono Petlyura, che uccise 200.000 Ebrei. Questo è Shukhevych – un uomo delle SS, questo è Bandera! Questo è Stetsko, il quale disse che tutti gli Ebrei dovrebbero essere distrutti, Yaroslav Stetsko. Questo è Khmelnitsky, che assassinò 300.000 Ebrei.
Ogni anno a Kiev, si tiene una parata della divisione SS “Galizia” e il nostro Ministro degli Esteri protesta contro di essa. Questa è gentaglia, c’è un regime neo-nazista, de jure.
Dico così, metà della mia famiglia fu uccisa da Banderisti e Petliuravisti nei progrom di Petliura!
Questi sono gli eroi dell’Ucraina, a loro sono eretti monumenti e nominate strade.
Questa non è propaganda russa, ma parole del Ministro degli Esteri israeliano. Lo abbiamo detto molte volte, il nostro ambasciatore a Kiev lo ha detto: Bandera non è un eroe, ma un criminale!
Allo Yad Vashem, ognuno può vederlo, sta scritto: collaborazionista e criminale nazista. Cercate su YouTube: Bandera è un fascista.
Non sto giustificando la guerra direttamente. Io sono contro la guerra, contro la sofferenza di civili pacifici. Ma non rappresentate quali eroi gli assassini della mia gente e della mia famiglia.
E non c’è necessità di essere in disaccordo con un grande Paese le cui basi militari sono collocate in Siria e che può rivolgere Hezbollah, la Siria, la Giordania e molti altri Arabi contro di noi in un istante e con lo schiocco delle dita”.

(Fonte – traduzione a cura della redazione)

Anime belle

Una risposta data sui social a un pacifista dell’ultim’ora.

Peccato che tutte queste belle anime non l’abbia mai viste quando andavamo a protestare a Camp Darby contro le ingerenze USA e contro le atomiche stivate nella loro base, sotto i nostri piedi; peccato non aver visto queste anime belle strapparsi i capelli quando siamo andati ad Aviano a protestare contro i bombardamenti sui civili indifesi in Jugoslavia; peccato non abbia visto nessuna di queste anime pure in Iraq, quando, nel 2003, ci siamo offerti come scudi umani per difendere un Paese aggredito con false accuse (Colin Power docet) e una popolazione decimata da 15 anni di embargo.

Peccato che non abbia incontrato nessuno di queste belle anime quando, nel 2007, abbiamo cercato di entrare a Gaza da Eretz, per forzare il criminale assedio imposto ai Palestinesi. Peccato che non ho sentito nemmeno una di queste belle anime quando i francesi hanno bombardato la Libia e ucciso Gheddafi perché voleva una moneta africana, che portasse i giusti guadagni agli Africani nella vendita dei loro prodotti e che avrebbe distrutto quella francese. Peccato che non abbia sentito un gemito, provenire da tutte queste belle anime a sostegno della Siria, aggredita dai tagliagole al soldo USA.

Peccato non aver udito lo sdegno, di queste anime candide, contro i bombardamenti dello Yemen, da parte degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita. Peccato che in otto anni, non abbia mai sentito dire, da queste anime innocenti, una parola sui civili del Donbass, aggrediti da nazifascisti, torturati, bruciati e vessati.

E non ho mai sentito nessuna, di queste anime belle, dire una parola a favore di Assange, imprigionato come un criminale per aver fatto seriamente il suo lavoro di giornalista ed aver scoperto le bugie statunitensi dietro alle loro aggressioni. Le sento tutte ora, questa miriade di belle anime, che si straccia le vesti, i capelli, che compete su chi è più pacifista, naturalmente facendo collette e avallando un governo che invia armi in territorio di guerra. Ma vi rendete conto, anime belle, di quanto fate vomitare con la vostra infame retorica?

Maria Grazia Da Costa

(Fonte)

Donetsk, 14 marzo 2022

L’Occidente, simulacro di libertà

L’Occidente ha cercato con ogni mezzo di mettere a tacere i cittadini che ne hanno rivelato la reale politica del dopo-11 Settembre e che vi si sono opposti.

Nel 2002 pubblicavo L’Effroyable imposture [L’incredibile menzogna, ed. Fandango], un saggio di scienze politiche di denuncia della versione ufficiale degli attentati di New York, Washington e Pennsylvania, nonché di anticipazione della nuova politica USA che ne sarebbe seguita: sorveglianza generalizzata dei cittadini e dominio sul Medio Oriente Allargato. Dopo un articolo del New York Times, che si stupiva del mio impatto in Francia, il dipartimento USA della Difesa incaricò il Mossad di eliminarmi. Il presidente Jacques Chirac, dopo aver fatto verificare all’Intelligence le mie tesi, prese le mie difese. In un colloquio telefonico, Chirac informò il primo ministro israeliano Ariel Sharon che ogni atto contro di me, eventualmente compiuto non solo in Francia ma ovunque nel territorio dell’Unione Europea, sarebbe stato interpretato come atto ostile alla Francia. Il presidente incaricò inoltre un suo collaboratore di occuparsi del mio caso e d’informare gli Stati non-europei che mi avessero invitato che avrebbero dovuto assumersi la responsabilità della mia sicurezza. In effetti in tutti i Paesi dove tenni conferenze mi venne assegnata una scorta armata.

Nel 2007 Nicolas Sarkozy successe al presidente Chirac. Secondo l’alto funzionario incaricato da Chirac della mia sicurezza, il nuovo presidente aderì alla richiesta di Washington di ordinare alla DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure, Direzione Generale per la Sicurezza Esterna, ndt) di eliminarmi. Avvisato, senza indugio feci le valige e lasciai la Francia. Due giorni dopo arrivai a Damasco, dove mi venne assegnata la protezione di Stato.

Alcuni mesi dopo decisi di trasferirmi in Libano e di accettare la proposta di realizzare una trasmissione settimanale in francese su Al-Manar, canale televisivo dello Hezbollah. Il progetto non fu mai realizzato. Al-Manar rinunciò a trasmettere in francese, sebbene fosse lingua ufficiale del Libano. Fu allora che la ministra francese della Giustizia, Michèle Alliot-Marie, emise una rogatoria contro di me, prendendo a pretesto l’accusa di diffamazione di un giornalista che contro di me già aveva scritto un libro. Da trent’anni non c’erano più state richieste giudiziarie di questo tipo indirizzate al Libano. La polizia mi consegnò una convocazione da cui potei desumere che secondo il diritto francese la rogatoria non aveva alcun fondamento. Lo Hezbollah mi protesse e mi resi irreperibile. Pochi mesi dopo, in seguito al tentativo del primo ministro libanese Fouad Siniora di disarmare la Resistenza, lo Hezbollah rovesciò i rapporti di forza. Mi presentai quindi al giudice, applaudito dalla polizia che solo tre giorni prima mi ricercava. Il giudice mi comunicò che Alliot-Marie aveva aggiunto di proprio pugno sulla rogatoria la richiesta all’omologo libanese di arrestarmi e tenermi in prigione il più a lungo possibile, frattanto che la vicenda avrebbe seguito il suo corso in Francia. Era il medesimo principio soggiacente alle lettres de cachet [lettere che recavano un ordine del re, chiuse con il suo sigillo, ndt] dell’Ancien Régime: la facoltà d’imprigionare senza processo gli oppositori politici. Il magistrato mi lesse la rogatoria e m’invitò a rispondere per iscritto. Nella replica precisai che, secondo il diritto francese nonché libanese, l’articolo incriminato era prescritto da tempo e che in ogni caso non era affatto diffamatorio. Copia della lettera della ministra Alliot-Marie e della mia risposta furono depositate alla Corte di Cassazione di Beirut.

Alcuni mesi dopo fui invitato a una cena organizzata da un’alta personalità libanese. Vi partecipava anche un collaboratore del presidente Sarkozy, di passaggio in Libano. Ci confrontammo duramente sui rispettivi concetti di laicità. Questo signore assicurò ai convitati di non volersi sottrarre al dibattito, ma subito si congedò per prendere un aereo e rientrare all’Eliseo. Il giorno successivo ero convocato da un giudice per un problema amministrativo: quando mi trovavo a non più di due minuti d’auto dal luogo dell’appuntamento, il gabinetto del principe Talal Arslane mi avvertì telefonicamente che secondo lo Hezbollah stavo per cadere in una trappola e che dovevo immediatamente invertire la rotta. Risultò poi che quel giorno, anniversario della nascita di Maometto, i funzionari, salvo alcune eccezioni, non erano al lavoro. In compenso, sul posto c’era una squadra della DGSE incaricata di prelevarmi e consegnarmi alla CIA. L’operazione era stata organizzata dal consigliere presidenziale con cui avevo cenato la sera prima.

Seguirono numerosi altri tentativi di uccisione, di cui mi fu difficile stabilire il mandante.

Per esempio, durante una conferenza al ministero della Cultura del Venezuela, la guardia del presidente Chàvez mi raggiunse sul palco da cui parlavo. Un ufficiale mi prelevò di forza e mi spinse verso le logge. Ebbi soltanto il tempo di vedere nella sala uomini estrarre le armi. Due fazioni si minacciavano a vicenda. Uno sparo e sarebbe stata una carneficina. Altro fatto, pure accaduto a Caracas: fui invitato con il mio compagno di battaglie a una cena. Quando ci portarono i piatti, constatai che il mio era stranamente meno abbondante degli altri. Sicché, con discrezione, lo scambiai con quello del mio compagno, che aveva poco appetito. Rientrati in albergo, il mio amico fu improvvisamente preso da convulsioni, perse conoscenza, si rotolò a terra con la bava alla bocca. All’arrivo, i medici furono categorici: quest’uomo è stato avvelenato. Fu salvato in tempo. Due giorni dopo una delegazione di una decina di ufficiali in alta uniforme della SEBIN (servizi segreti) venne a scusarsi e a dirci che era stato identificato l’agente straniero che aveva organizzato l’operazione. Il mio amico, costretto in carrozzina, impiegò sei mesi a rimettersi.

In una fase successiva, cominciata nel 2010, gli attacchi contro la mia persona videro sempre coinvolti degli jihadisti. Un esempio: un discepolo dello sceicco Ahmed al-Assir tese un’imboscata al mio compagno di battaglie e tentò di ucciderlo. Fu salvato da un intervento del PSNS [Partito Nazionalista Sociale Siriano, ndt]. L’aggressore fu arrestato dallo Hezbollah, consegnato all’esercito libanese, giudicato e infine condannato.

Nel 2011 la figlia di Muammar Gheddafi, Aisha, m’invitò in Libia. Mi aveva visto su una televisione araba concionare contro il padre. Voleva che andassi in Libia per constatare quanto fosse errato il mio giudizio. Accettai l’invito. Un passo dopo l’altro finii con l’unirmi al governo libico e venni incaricato di preparare l’intervento all’Assemblea Generale dell’ONU. Quando la NATO attaccò la Jamahiriya Araba Libica mi trovavo all’hotel Rixos, dove alloggiava la stampa straniera. La NATO esfiltrò i giornalisti che collaboravano con l’Alleanza, ma non riuscì a evacuare quelli che si trovavano al Rixos, difeso da Khamis, il figlio più giovane di Gheddafi. Quest’ultimo si trovava nell’interrato dell’hotel, i cui ascensori erano stati sbarrati. Gli jihadisti libici, che in seguito formeranno l’Esercito Siriano Libero comandati da Mahdi al-Harti e inquadrati da soldati francesi, assediarono l’hotel, uccidendo chi s’avvicinava alle finestre.

Alla fine, la Croce Rossa Internazionale ci prelevò e ci portò in un altro hotel, ove si stava formando il nuovo governo. Quando arrivammo all’albergo due Guardiani della Rivoluzione iraniani mi vennero incontro: erano stati mandati dal presidente Mahmud Ahmadinejad e dal vicepresidente Hamid Baghaie per mettermi in salvo. Le autorità iraniane erano in possesso di un rapporto su quanto deciso in una riunione segreta della NATO a Napoli, che prevedeva tra l’altro che venissi ucciso al momento della presa di Tripoli. Il documento attestava che al summit era presente il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, amico di mio padre. In seguito la segreteria di Juppé sosterrà che la riunione non ebbe luogo e che il ministro quel giorno si trovava in vacanza. Credendo risolto il problema, i Guardiani della Rivoluzione lasciarono la Libia. Ma in città era stato distribuito un manifestino con le foto di dodici persone ricercate: 11 libici e io. Un gruppo di “ribelli” iniziò a perquisire l’hotel per cercarmi. Dapprima fui salvato da un giornalista di RT, che mi nascose in camera sua e si rifiutò di fare entrare i “ribelli”, poi da altri colleghi, fra cui una giornalista di TF1. Dopo peripezie di ogni genere, dalle quali riuscii a uscire vivo svariate decine di volte, con altre quaranta persone fuggii come un clandestino a bordo di un piccolo peschereccio che navigava verso Malta, in mezzo a navi da guerra della NATO. A La Valletta ci attendevano il primo ministro e gli ambasciatori dei Paesi dei miei compagni di viaggio. Di tutti i Paesi tranne che della Francia.

Quando in Siria ebbe inizio la “primavera araba”, ossia l’operazione segreta dei britannici per piazzare al potere i Fratelli Mussulmani, come un secolo prima avevano fatto con i wahabiti, tornai a Damasco per aiutare chi mi aveva accolto quattro anni prima. Ovviamente ho corso più volte il rischio di morire, ma era la guerra. In un’occasione però fui bersaglio diretto degli jihadisti. Durante uno degli attacchi a Damasco, i “ribelli”, ufficialmente sostenuti dal presidente François Hollande, tentarono di assaltare la mia abitazione. L’esercito siriano installò sul tetto un mortaio e li respinse: un centinaio di “ribelli” contro cinque soldati. Ma dopo tre giorni ininterrotti di combattimenti i “ribelli” dovettero ritirarsi. Tra loro non c’erano siriani, solo pakistani e somali senza addestramento militare. Mi ricordo che prima di scagliarsi contro la casa cantavano ripetutamente e istericamente «Allah Akbar!». Ancora oggi, quando sento questo nobile grido mi viene la pelle d’oca.

Nel 2020 sono tornato in Francia per riunirmi alla famiglia. Molti miei amici mi avevano assicurato che, a differenza dei due predecessori, il presidente Emmanuel Macron non ricorreva agli assassinii politici. Ciononostante non godetti dei diritti di uomo libero. La dogana ricevette una segnalazione che il container marittimo che trasportava le cose personali mie e del mio compagno conteneva esplosivi e armi. Intercettarono il container e inviarono una quarantina di agenti a perquisirlo. Era una trappola di un servizio straniero. La dogana consentì a una società di riprendersi la merce contenuta nel container: impiegarono due giorni, il container fu saccheggiato, le nostre cose distrutte, i documenti spariti.

Il mio non è un caso isolato. Quando svelò il sistema Vault 7, che permette alla CIA di entrare in qualsiasi computer o telefono portatile, Julian Assange divenne bersaglio degli Stati Uniti. Il direttore della CIA Mike Pompeo orchestrò, con l’assenso del Regno Unito, diverse operazioni per rapire o uccidere Assange. E quando Edward Snowden pubblicò moltissimi documenti che attestavano come la NSA violasse la vita privata dei cittadini, tutti i Paesi membri della NATO si coalizzarono contro di lui. La Francia, credendo che Snowden fosse a bordo dell’aereo del presidente della Bolivia Evo Morales, si spinse sino a chiudere il proprio spazio aereo. Oggi Snowden è rifugiato in Russia.

La libertà non abita più in Occidente.

Thierry Meyssan

Consulente politico, presidente-fondatore della Rete Voltaire, l’ultima opera in italiano di Thierry Meyssan è Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba”. Dall’11 settembre a Donald Trump, Edizioni La Vela, 2018.

(Fonte)

Continente eurasiatico

La presentazione del nuovo libro di Marco Pondrelli, con prefazione dell’ambasciatore Alberto Bradanini, sull’attualità dell’emergente multipolarismo geopolitico, le prospettive di integrazione eurasiatica ed i tentativi di “contenimento” da parte dell’Occidente americanocentrico tramite i dispositivi militari, mediatici e d’intelligence atlantici.