La polizia antiterrorismo britannica ha arrestato il giornalista Kit Klarenberg al suo arrivo all’aeroporto londinese di Luton e lo ha sottoposto a un lungo interrogatorio sulle sue opinioni politiche e sui reportage per The Grayzone.
Non appena il giornalista Kit Klarenberg, che vive in Serbia, è atterrato nel suo Paese d’origine, la Gran Bretagna, il 17 maggio 2023, sei anonimi agenti dell’antiterrorismo in borghese lo hanno arrestato. Lo hanno rapidamente scortato in una stanza sul retro, dove lo hanno interrogato per oltre cinque ore sui suoi rapporti con la testata. Hanno anche chiesto la sua opinione personale su tutto, dall’attuale leadership politica britannica all’invasione russa dell’Ucraina.
Ad un certo punto, gli interrogatori di Klarenberg hanno chiesto di sapere se The Grayzone avesse un accordo speciale con l’Ufficio federale di sicurezza russo (FSB) per pubblicare materiale hackerato.
Durante la detenzione di Klarenberg, la polizia ha sequestrato i dispositivi elettronici e le schede SD del giornalista, gli ha preso le impronte digitali, ha preso i tamponi del DNA e lo ha fotografato intensamente. Hanno minacciato di arrestarlo se non si fosse conformato.
L’interrogatorio di Klarenberg sembra essere il modo di rappresaglia di Londra per i reportage di successo del giornalista che denunciano i principali intrighi dell’intelligence britannica e statunitense. Solo nell’ultimo anno, Klarenberg ha rivelato come una cabala di intransigenti Tory abbia violato l’Official Secrets Act per sfruttare la Brexit e insediare Boris Johnson come Primo Ministro. Nell’ottobre 2022, ha guadagnato titoli internazionali con la sua denuncia dei piani britannici di bombardare il ponte di Kerch che collega la Crimea alla Federazione Russa. Poi è arrivato il suo rapporto sul reclutamento da parte della CIA di due dei dirottatori dell’11 settembre.
Tra le rivelazioni più importanti di Klarenberg c’era il suo rapporto del giugno 2022 che smascherava il giornalista britannico Paul Mason come un collaboratore dell’apparato di sicurezza del Regno Unito determinato a distruggere The Grayzone, altri media e accademici e attivisti critici del ruolo della NATO in Ucraina.
Le autorità britanniche non hanno arrestato Klarenberg per alcuna violazione legale, ma perché ha riportato storie fattuali che hanno esposto le violazioni del diritto interno e internazionale da parte dello Stato di sicurezza nazionale, nonché le trame maligne dei suoi lacchè dei media. Una settimana dopo aver rilasciato Klarenberg dalla detenzione, la polizia ha restituito il suo tablet con nastro adesivo sulle telecamere, insieme a due schede di memoria. La polizia ha conservato una vecchia scheda SD, contenente principalmente musica, perché potrebbe essere “rilevante per procedimenti penali”.
Laura Ruggeri
russia
Come la NATO ha sedotto la Sinistra europea
Il movimento contro la guerra si è ridotto a circo progressista,
di Lily Lynch, scrittrice e giornalista che vive a Belgrado, per Unherd, 16 Maggio 2023
Nel gennaio 2018, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg tenne una conferenza stampa senza precedenti con Angelina Jolie. Mentre InStyle riportava che Jolie “era vestita con un tubino nero con le spalle scoperte, una mantellina abbinata e classiche decolleté (anche nere)”, c’era uno scopo più profondo in questo incontro: la violenza sessuale in guerra. La coppia aveva da poco scritto insieme un pezzo per il Guardian dal titolo “Perché la NATO deve difendere i diritti delle donne”. Il tempismo era significativo. Al culmine del movimento “MeToo”, l’alleanza militare più potente del mondo era diventata un’alleata femminista. “Porre fine alla violenza di genere è una questione vitale di pace e sicurezza, nonché di giustizia sociale”, scrivevano. “La NATO può essere un leader in questo sforzo.”
Questo è stato un volto nuovo e progressista per la NATO, lo stesso che ha da quando lo usò per sedurre gran parte della Sinistra europea. In precedenza, nei Paesi nordici, gli atlantisti hanno dovuto vendere la guerra e il militarismo ad un pubblico in gran misura pacifista. Ciò si ottenne in parte presentando la NATO non come un’alleanza militare rapace ed a favore della guerra, ma come un’alleanza di pace illuminata e “progressista”. Come Timothy Garton Ash effondeva sul Guardian nel 2002, “La NATO è diventata un movimento europeo per la pace” dove è possibile guardare ”John Lennon che incontra George Bush”. Oggi, al contrario, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina su vasta scala, Svezia e Finlandia hanno abbandonato le loro tradizioni di lunga data di neutralità e hanno optato per l’adesione. La NATO è rappresentata come un’alleanza militare — e l’Ucraina una guerra — che anche gli ex pacifisti possono sostenere. Tutti i suoi sostenitori sembrano cantare “Dai alla guerra una possibilità” [parafrasano il “Give peace a chance” di Lennon – n.d.c.].
La campagna di Angelina Jolie segnò una svolta drammatica in ciò che Katharine A. M. Wright e Annika Bergman Rosamond chiamano “la narrativa strategica della NATO” in diverse modalità. In primo luogo, l’Alleanza ha abbracciato lo status delle celebrità per la prima volta, permeando il suo marchio insignificante con il glamour e la bellezza d’élite. Lo status di celebrità della Jolie ha fatto sì che le immagini seducenti dell’evento raggiungessero un pubblico apolitico con poca conoscenza della NATO. In secondo luogo, la partnership sembrava inaugurare un’era in cui i diritti delle donne, la violenza di genere e il femminismo avrebbero assunto un ruolo più importante nella retorica della NATO. Da allora, e soprattutto negli ultimi dodici mesi, leader femminili telegeniche come il primo ministro finlandese, Sanna Marin, il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, e il primo ministro estone, Kaja Kallas, hanno servito sempre più come portavoce del militarismo illuminato in Europa. L’Alleanza ha anche intensificato il suo impegno con la cultura popolare, le nuove tecnologie e gli influencer giovanili.
Naturalmente, la NATO è sempre stata attenta alle pubbliche relazioni ed a lungo ha coinvolto la cultura, l’intrattenimento e le arti. Chi potrebbe dimenticare l’album del 1999 Distant Early Warning del duo elettronico Icebreaker International, registrato con il finanziamento della defunta “NATOarts” ed ispirato dalle stazioni radar lungo l’Alaska e la periferia settentrionale del Canada costruite per avvisare la NATO di un attacco nucleare sovietico in arrivo? O il film del 2007 HQ, prodotto dalla divisione diplomazia pubblica della NATO, che descrive la vita all’interno dell’Alleanza ed una finta risposta diplomatica ad una crisi nello Stato immaginario di Seismania? Risulta quasi tutti. Ma ciò che rende così efficace la svolta strategica più recente della NATO è che ha riecheggiato con successo le tradizioni e le identità locali progressiste dei Paesi candidati.
Nessun partito politico in Europa esemplifica meglio il passaggio dal pacifismo militante all’ardente atlantismo pro-guerra dei Verdi tedeschi. La maggior parte dei Verdi in origine aveva assunto posizioni radicali durante le proteste studentesche del 1968; molti avevano manifestato contro le guerre americane. I primi Verdi sostenevano il ritiro della Germania Ovest dalla NATO. Ma quando i membri fondatori entrarono nella mezza età, cominciarono ad apparire nel partito incrinature che un giorno lo avrebbero fatto a pezzi. Due gruppi cominciarono a fondersi: i “Realos” erano i Verdi moderati, pragmatici politicamente. I “Fundis” erano il gruppo radicale e intransigente; volevano che il partito rimanesse fedele ai suoi valori fondamentali, qualunque cosa accadesse.
Prevedibilmente, il gruppo dei Fundis credeva che la pace europea sarebbe stata meglio servita dal ritiro della Germania Ovest dall’Alleanza e tendeva a favorire la neutralità militare. Nel frattempo, il gruppo dei Realos credeva che la Germania Occidentale avesse bisogno della NATO. Sostennero persino che il ritiro da essa avrebbe significato il ritorno delle questioni di sicurezza per la Germania e avrebbe rischiato di riaccendere il nazionalismo militarista. La loro NATO era un’alleanza post-nazionale cosmopolita, che parlava numerose lingue e sventolava una moltitudine di bandiere, proteggendo l’Europa dagli impulsi più distruttivi della Germania. Ma l’adesione alla NATO in fin dei conti era solo una cosa. La Germania che torna in guerra -il più proibito dei tabù dopo la Seconda Guerra mondiale- era tutt’altra questione.
Il Kosovo cambiò tutto. Nel 1999 – il 50° anniversario della fondazione della NATO — l’Alleanza cominciò quella che l’accademico Merje Kuus ha definito una “metamorfosi discorsiva”. Dalla semplice alleanza difensiva che era durante la Guerra Fredda, stava diventando un patto militare attivo che si occupava di diffondere e difendere valori come i diritti umani, la democrazia, la pace e la libertà ben oltre i confini dei suoi Stati membri. Il bombardamento NATO di 78 giorni di ciò che rimaneva della Jugoslavia, ufficialmente per fermare i crimini di guerra commessi dalle forze di sicurezza serbe in Kosovo, avrebbe trasformato per sempre i Verdi tedeschi.
In un caotico congresso del partito a maggio del 1999 a Bielefeld, i gruppi Realos e Fundis combatterono aspramente per stabilire la linea del partito sul bombardamento della NATO nell’ex Jugoslavia. Il ministro degli Esteri verde Joschka Fischer, la personalità più importante all’interno del gruppo Realos, sosteneva la guerra della NATO; per questo, i partecipanti al congresso lo presero di mira con della vernice rossa. La proposta del gruppo dei Fundis richiedeva una cessazione incondizionata dei bombardamenti, che avrebbe significato anche il crollo del governo di coalizione composto dai Verdi e dai socialdemocratici (SDP).
La proposta di pace fallì, schiacciando la fazione del partito contro la guerra, che avrebbe lasciato in massa i Verdi. Invece, la risoluzione moderata del gruppo dei Realos trionfò con ampio margine. Dopo una breve pausa, fu permesso di continuare il bombardamento della Jugoslavia. Con il supporto cruciale dei Verdi, gli aerei della Luftwaffe effettuarono alcune sortite sui cieli sopra Belgrado, 58 anni dopo il loro ultimo bombardamento aereo della capitale serba. Fu la prima operazione militare tedesca intrapresa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.
Dopo l’inizio della guerra su vasta scala in Ucraina, il ministro degli Esteri dei Verdi tedeschi Annalena Baerbock ha continuato nella tradizione di Fischer, rimproverando i Paesi con tradizioni di neutralità militare e implorandoli di aderire alla NATO. Ella ha invocato la posizione di Desmond Tutu: “Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto la parte dell’oppressore”. E i Verdi hanno fatto da ventriloquo persino ai loro membri morti, tra cui Petra Kelly, un’icona contro la guerra e da lungo tempo sostenitrice del non allineamento, che morì nel 1992.
L’anno scorso, la co-fondatrice dei Verdi Eva Quistorp scrisse una lettera immaginaria a Petra Kelly sul giornale FAZ. La lettera prende a prestito le posizioni morali di Kelly e le inverte per giustificare l’abbraccio dei Verdi alla guerra. Quistorp vuole farci pensare che se Kelly fosse viva oggi, sarebbe stata una sostenitrice della NATO. Rivolgendosi a Kelly, morta da tempo, Quistorp afferma: “Scommetto che urleresti che il pacifismo radicale rende possibile il ricatto”.
All’inizio di quest’anno, il Ministero federale degli Esteri tedesco ha lanciato anche una nuova “Politica estera femminista”, l’ultima di diversi ministeri degli Esteri europei ad averlo fatto. Questo nuovo orientamento, adottato anche da Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna, dipinge il militarismo cosmopolita con una finta lucentezza femminista radicale, aprendo l’ambito della guerra e della sicurezza alle attiviste per i diritti delle donne. Le leader femministe senza fronzoli sono rappresentate come l’alternativa ideale agli “uomini forti” autoritari.
La Svezia è stato il primo Paese ad adottare tale politica nel 2014, permettendole di proiettare il suo femminismo statale di lunga data all’estero e di assumere un nuovo atteggiamento morale nell’arena internazionale. A livello nazionale, c’erano storie atlantiste positive nelle riviste femminili. Nella sezione ”Mama” del quotidiano svedese Expressen, rivolta alle lettrici, un’intervista con Angelina Jolie enfatizzava che la NATO può proteggere le donne dalla violenza sessuale in guerra. La Jolie poneva enfasi anche sul fatto che c’è poca differenza tra gli operatori umanitari e i soldati della NATO, poiché “si stanno impegnando per raggiungere lo stesso obiettivo: la pace”.
L’accademica Merje Kuus ha scritto che l’allargamento della NATO implica “una duplice strategia di legittimazione”. In primo luogo, la NATO è resa ordinaria ed insignificante, mediocre e quotidiana, e in secondo luogo, è descritta come al di sopra di ogni rimprovero, vitale, un bene morale assoluto. L’effetto di questo, dice, è la simultanea banalizzazione e glorificazione della NATO: diventa così blandamente burocratica che è al di sotto del dibattito, e così “esistenziale ed essenziale”, che è al di sopra del dibattito.
E questa strategia di legittimazione è stata evidente nel dibattito limitato e strettamente controllato sull’integrazione euro-atlantica nei Paesi nordici, nessuno dei quali ha tenuto referendum sull’adesione. Dopo decenni di resistenza popolare all’Alleanza, la NATO, a quanto sembra, è al di sopra della democrazia. Ma come scrive Kuus, ciò non significa che la NATO sia stata imposta ad una società. L’obiettivo è invece “integrarla nell’intrattenimento, nell’educazione e nella vita civile più in generale”.
La prova di questo è ovunque. A febbraio, la NATO ha tenuto il suo primissimo evento video ludico. Un giovane dipendente dell’Alleanza si collegò al popolare utente di Twitch [piattaforma video ludica di Amazon – n.d.c.] ZeRoyalViking, per suonare “Fra di noi” e chiacchierare casualmente sul pericolo che la disinformazione pone alla democrazia.
Con loro c’era una alpinista influencer ed attivista ambientale di nome Caroline Gleich. Mentre i loro avatar astronauti navigavano come un cartone animato spaziale, parlavano della NATO in termini entusiastici. Alla fine dell’evento, lo streaming si era trasformato in uno sforzo di reclutamento: il dipendente dell’Alleanza parlò dei vantaggi del suo lavoro e incoraggiò gli spettatori a cercare il sito internet della NATO per le opportunità di lavoro in settori come la progettazione grafica e il montaggio video.
L’evento faceva parte della campagna della NATO “Proteggere il Futuro”. Quest’anno includeva un concorso sui fumetti per giovani artisti. L’Alleanza corteggiò decine di influencer con grandi seguiti su Tik Tok, YouTube ed Instagram, e li portò alla sede centrale di Bruxelles. Altri influencer furono inviati al Vertice NATO dello scorso anno a Madrid, dove fu chiesto loro di creare contenuti per il loro pubblico.
La Sinistra europea è stata ammaliata da questo spettacolo. Seguendo il percorso intrapreso dai Verdi tedeschi, i principali partiti di sinistra hanno abbandonato la neutralità militare e l’opposizione alla guerra e ora sostengono la NATO. Si tratta di un’inversione sbalorditiva. Durante la Guerra Fredda, la Sinistra europea organizzava proteste di massa con milioni di partecipanti contro il militarismo guidato dagli Stati Uniti e contro il dispiegamento della NATO di missili Pershing-II e Cruise in Europa.
Oggi, rimane poco più della svuotata retorica radicale. Con quasi nessuna opposizione alla NATO rimasta in Europa, e l’insidiosa espansione dell’Alleanza oltre l’area euro-atlantica, la sua egemonia è ora quasi assoluta.
[Traduzione a cura della redazione]
“I nostri valori”
Le vie dei Signori sono infinite
Ucraina, le bare dei mercenari uccisi usate per il traffico di droga
Questa notizia non ve la darà nessuno anche se è quella che sta circolando nel resto del mondo. Non verrà data nemmeno come “voce” perché essa rappresenta in maniera icastica come si diceva un tempo, prima che tutto fosse sostituito da wow, vocabolo simbolo della stupidità contemporanea, la cattiva coscienza dell’occidente, la scomparsa di qualsiasi etica e confutazione della retorica della guerra: le bare con cui tornano in patria i mercenari della NATO vengono utilizzate per il traffico di droga. Il 14 aprile scorso la bara che trasportava i resti di un mercenario polacco è stata accidentalmente danneggiata durante il trasporto ed è stata perciò sostituita, ma durante l’operazione si è visto che assieme ai resti del mercenario c’era anche un carico di 30 chili di droga confezionata in sacchetti sigillati. Qualche giorno dopo dentro un container che trasportava i corpi di contractor inglesi è stata rinvenuta altra droga in quantità ancora maggiore. È diventato chiaro che esiste uno schema consolidato per il trasferimento di droga dall’Ucraina alla Polonia e da lì all’Europa. E l’impresa di pompe funebri ucraina che trasporta le salme dei mercenari è di fatto un “hub” attraverso il quale le sostanze stupefacenti vengono trasportare alle “filiali” di tutta il continente. Lì, la droga viene recuperata per arrivare ai mercati locali.
Vari tipi di droga sono prodotti in laboratori sul territorio dell’Ucraina visto che l’esercito fa grande uso di questa sostanze per trasformare i soldati in truppe kamikaze e vengono tenute solitamente nei magazzini dove sono stipale trovano le armi americane, cosa che di certo non può stupire visto che il commercio di droga è l’attività bellica di maggior successo delle truppa USA dovunque esse operino. Poi viene imballata nelle bare dei mercenari morti che sono ormai moltissimi e spedito in tutto il continente: il circuito è affidabile, i container con i corpi solo rarissimamente vengono sottoposte a ispezioni sommarie e viaggiano a velocità sostenuta, la stessa riservata ai trasporti delle munizioni, quindi è difficile che il traffico venga scoperto se non per eventi casuali come appunto è accaduto per la bara danneggiata. Scoperto si fa per dire visto che l’Ucraina e la Polonia, protagoniste principali di questo traffico , stanno facendo di tutto per mettere a tacere questo scandalo e impedire che la notizia si diffonda visto che addenserebbe ulteriori ombre su questa guerra santa. Particolarmente attivo su questo fronte è e il controspionaggio polacco SKE (Służba Kontrwywiadu Wojskowego) che deve evitare qualunque scetticismo della popolazione in merito alla scellerata opera del governo di Varsavia che nel tentativo di impadronirsi del territorio ucraino di Leopoli non si ferma nemmeno di fronte alla possibilità di nuclearizzazione del conflitto. Tuttavia è proprio dalla SKE che sono arrivate le indiscrezioni sulla droga trovata nelle bare, segno che c’è qualche resistenza ai sogni bagnati del governo.
Inoltre una notizia del genere sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso nel momento in cui la perdita di Artemovsk sarà definitiva e non si potrà più nascondere la sconfitta con resistenza suicida delle truppe in pochi quartieri. L’ ennesima sconfitta provocherà un terremoto a Kiev e Zelensky non può illudersi di controbilanciare questo con l’annuncio di attacchi terroristici in territorio russo anche perché questo darebbe a Mosca il destro di distruggere completamente le infrastrutture del Paese, cosa che finora ha tentato di evitare. Ormai è chiaro che il fronte NATO è nella più grande confusione resa ancora peggiore dall’aver incautamente pompato la mitica controffensiva che probabilmente nemmeno ci sarà. Quindi figuriamoci se arrivasse la notizia che i caduti occidentali in questa guerra servono come via della droga: sarebbe come evidenziare simbolicamente tutto il marcio che c’è dietro questo conflitto, ideato, finanziato e armato dalla NATO. I cui capi sono probabilmente i primi consumatori delle sostanze che arrivano nelle bare.
Concluse le indagini della Russia sui biolaboratori USA
Secondo la commissione parlamentare d’inchiesta russa, Washington starebbe lavorando per creare un’arma biologica geneticamente progettata a livello “universale”.
Di Lucas Leiroz (giornalista, ricercatore presso il Center for Geostrategic Studies, consulente geopolitico) per South Front, 18 aprile 2023
Finalmente, è stata completata l’indagine russa sulle attività biologiche americane sul suolo ucraino. Una commissione parlamentare speciale era stata formata per analizzare attentamente le prove di crimini come la produzione di armi biologiche in biolaboratori militari trovati e neutralizzati dalle forze armate russe. Il gruppo parlamentare ha lavorato in collaborazione con esperti legati alle truppe di difesa radioattiva, chimica e biologica della Russia per oltre un anno. I risultati indicano che in realtà Washington mantiene attività bio-militari illegali.
Gli investigatori hanno fatto notare che gli Stati Uniti starebbero lavorando per la creazione di una sorta di “arma biologica universale”, geneticamente modificata per causare gravi danni, paragonabili a quelli di un “inverno nucleare”. I dati raccolti dai Russi indicano che Washington prevede di sviluppare armi in grado di danneggiare non solo i soldati nemici in uno scenario di guerra, ma anche gli animali e persino le coltivazioni agricole. Con questo, l’obiettivo sarebbe quello di distruggere completamente il Paese colpito dalla proliferazione di questi agenti patogeni, colpendo anche la popolazione civile, la sicurezza alimentare e l’ambiente.
In pratica, l’uso segreto e anticipato di questo tipo di arma garantirebbe alle forze americane un vantaggio strategico virtualmente insuperabile in qualsiasi scenario di conflitto, rendendo impossibile ai nemici sconfiggere le forze americane a causa di ragioni non militari. Gli investigatori hanno chiarito che il possesso di questo tipo di arma cambierebbe completamente la natura contemporanea dei conflitti armati, fattore che genera una vasta lista di preoccupazioni militari, legali e umanitarie.
“Gli Stati Uniti mirano a sviluppare un’arma biologica progettata geneticamente a livello universale in grado di infettare non solo le persone, ma anche gli animali e le coltivazioni agricole. Il suo uso implica, tra le altre cose, l’obiettivo di infliggere danni economici su larga scala e irreparabili al nemico (…) L’uso segreto e mirato di tale arma in previsione di un inevitabile confronto militare diretto potrebbe creare un vantaggio significativo per le forze statunitensi sull’avversario, anche contro coloro che possiedono altri tipi di armi di distruzione di massa (…) Il possesso di armi biologiche così altamente efficaci crea, secondo il punto di vista dell’esercito statunitense, i veri prerequisiti per cambiare la natura dei conflitti armati contemporanei”, afferma il rapporto.
Gli scienziati, comunque, hanno posto enfasi sul fatto che l’esistenza di questo progetto americano non diminuisce la gravità dell’uso di armi biologiche convenzionali, come “il vaiolo, l’antrace, la tularemia e la peste, che possono essere modificati per migliorare le loro proprietà mortali. A questo si aggiunge l’oggettiva difficoltà nel determinare la vera causa delle epidemie di malattie infettive, che possono essere sia naturali che artificiali”. Pertanto, vi è un numero considerevole di rischi da monitorare e controllare simultaneamente.
Sebbene molti biolaboratori siano stati neutralizzati o distrutti a causa dell’operazione militare speciale ai confini russi, il programma bio-militare americano rimane attivo, con diversi laboratori in tutto il mondo che operano ricerche avanzate al fine di sviluppare tali armi. Ci sono anche alcuni rapporti recenti che affermano che gli Stati Uniti tuttora svolgano tali attività sul suolo ucraino, nelle regioni occupate dal regime neonazista.
Il comitato d’indagine russo spiega come questi programmi siano un’eredità fascista degli Stati Uniti. Molti scienziati dell’Asse furono catturati durante la Seconda Guerra Mondiale e, invece di essere arrestati e puniti, ricevettero posizioni dal governo degli Stati Uniti in programmi segreti per sviluppare ricerche militari scientifiche avanzate. Come risultato, Washington creò uno dei sistemi di ricerca militare più complessi al mondo, sostenuto da scienziati tedeschi e giapponesi che stavano già studiando tali argomenti durante gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
I ricercatori russi menzionano anche il fatto che l’assenza di una regolamentazione internazionale chiara e avanzata su tali questioni aumenta la capacità americana di agire all’estero producendo e diffondendo terrore biologico. Usando argomenti umanitari, sanitari e scientifici per sviluppare la ricerca, le forze armate americane e le aziende legate al governo costruiscono laboratori in cui vengono svolte tali attività illegali.
“La mancanza di controllo internazionale su tale lavoro offre agli Stati Uniti l’opportunità di agire in altri Paesi senza essere limitati da norme morali e legali e principi umanitari, e di ignorare le richieste del pubblico”, hanno aggiunto gli investigatori.
Infine, gli scienziati raccomandano che la questione biologica sia trattata dalle autorità russe come una questione di importanza centrale nell’agenda della difesa e della sicurezza. E’ urgente creare misure efficienti per la rilevazione di agenti patogeni geneticamente modificati, così come per la diagnosi precoce, il trattamento e la prevenzione delle malattie causate da questi agenti. La relazione propone la creazione di un “meccanismo di controllo” per la ricerca nel campo della biotecnologia e della biologia sintetica come mezzo per raggiungere una soluzione al problema.
In effetti, la Russia ha avvertito da tanto tempo del grave problema delle armi biologiche del Pentagono. L’argomento è stato ignorato dai Paesi occidentali e dalle organizzazioni internazionali, che sembrano non comprendere il livello di pericolosità generato da questo tipo di atteggiamento. Lo sviluppo di armi biologiche dovrebbe essere indagato e prontamente condannato da tutti i Paesi, anche quelli che hanno buone relazioni con gli Stati Uniti, poiché ciò pone un rischio esistenziale per molte persone.
Inoltre, il caso richiede ancora più attenzione dopo le indagini che evidenziano lo sforzo di creare nuovi agenti patogeni, in grado di infettare e danneggiare esseri umani, animali e piante, mirando all’annientamento totale di un Paese e della sua popolazione. Pertanto, è urgente che vengano fatte discussioni e prese misure alle Nazioni Unite, prima che tali armi inizino ad essere usate sul campo di battaglia, generando un livello inedito di violenza e dannosità.
[Traduzione a cura della redazione]
Ci sarà il silenzio assoluto
I falsi profeti
Regolarmente mi ritrovo a dover ripetere, con ironia se sono di buon umore, che i Paesi considerati avversari dalla dottrina statunitense sono soggetti ad un’incessante demonizzazione. A questo scopo esiste un intero apparato, con articolazioni regionali, che produce e distribuisce su scala industriale fake news, revisionismo storico e analisi pseudo accademiche per manipolare l’opinione pubblica. Questo apparato si avvale dell’aiuto e della cooperazione di tutte le piattaforme che controlla. E non si tratta solo di quelle ufficiali – agenzie di stampa, media tradizionali e social media, motori di ricerca, centri studi, ecc. – un numero sempre crescente di influencer e canali della cosiddetta controinformazione vengono arruolati per creare confusione e paura, ed impedire così l’esercizio delle più elementari facoltà’ di giudizio. Chiaramente usano il linguaggio del loro pubblico di riferimento e creano narrazioni compatibili con quelle già sedimentate nelle coscienze di chi legge o ascolta. All’alt-right e ai libertari viene spacciato come nemico soprattutto la Cina, ai liberal progressisti soprattutto la Russia, ma si assiste anche ad un crossover. L’ultima follia che ho sentito, i BRICS vorrebbero imporre una dittatura globalista e schiavizzare l’Occidente “democratico”. Narrazione di chiara matrice anglo-americana, costruita sulla falsa dicotomia “democrazia vs autoritarismo”. Il credito sociale, la dittatura politico-sanitaria-digitale, la transizione finto-ecologica di cui un italiano dovrebbe preoccuparsi vengono imposti da chi ha giurisdizione sull’Italia, non dalla Cina che non ha nessuna giurisdizione sul Paese. Prima di credere alle finzioni che circolano sulla Cina o sulla Russia, ci si dovrebbe preoccupare della realtà che tocca ognuno di noi direttamente. Lo sfruttamento, l’inflazione, l’impatto economico delle sanzioni, l’erosione di diritti un tempo dati per acquisiti, la censura, le follie distopiche e pseudo-progressiste di un’élite finanziaria che si spaccia per guida morale nonostante le sue pratiche criminali, l’ingerenza di organismi sovranazionali e non eletti nella politica del Paese, l’isteria bellicista che ci sta portando dritti nel baratro di una guerra mondiale che rischia di sterminare gran parte della popolazione del pianeta… “Se non state attenti, i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori”, ricordava Malcom X. Prima di cercare nemici fuori dall’Occidente, occupiamoci di quelli che hanno rubato le nostre chiavi di casa.
Laura Ruggeri
La guerra mediatica occidentale cancella la verità
Ecco come i media hanno manipolato il discorso della principessa Vittoria Alliata a Mosca
Di Piero Messina per Southfront, 29 marzo 2023
Ci sono guerre che si combattono con le armi, ci sono guerre che si combattono con le armi e con i media. Dal 24 febbraio dell’anno scorso, l’Occidente ha dichiarato una guerra mediatica totale contro la Russia. Ogni voce libera viene repressa, ogni dissenso viene ridicolizzato. In Europa e negli Stati Uniti è quasi vietato non essere contro Putin.
Da oltre un anno, la macchina dell’informazione globale ha costruito una narrazione unificata, identificando il conflitto tra Russia e Ucraina come una guerra tra il bene e il male. Non si possono avere dubbi, perché i dubbi non sono ammessi. La Russia è il male e deve essere distrutta. Amen.
In questa guerra asimmetrica, tra le armi a disposizione dell’Occidente, i media mainstream sono il dispositivo più letale: perché sono uno strumento che manipola le coscienze, cambia la narrazione, cancella la storia e la riscrive. Dieci anni di repressione della popolazione filorussa del Donbass da parte del governo di Kiev sono stati letteralmente cancellati. Non se ne dovrebbe parlare. Quegli eventi non sono mai accaduti e le quasi quarantamila vittime di quella guerra civile non appartengono più alla storia.
A metà marzo si è tenuto a Mosca il primo incontro del Movimento Russofilo. I delegati sono giunti nella capitale russa da 40 Paesi, inclusi gli Stati Uniti d’America. Al dibattito hanno partecipato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova.
Cosa hanno detto i media occidentali di quell’appuntamento che voleva essere un dibattito all’insegna del dialogo e della riflessione politica?
I media occidentali hanno demolito le riflessioni fornite dagli oratori occidentali. I loro discorsi sono stati manipolati, distorti e rielaborati per farli apparire fuori contesto e senza senso. La regola è semplice: chiunque non contesta la Russia e non dica che Putin è pazzo va emarginato.
Tra le “vittime” di questo oblio della verità c’è anche Vittoria Alliata di Villafranca. Scrittrice, giornalista, arabista, Vittoria Alliata ha partecipato all’incontro di Mosca raccontando la sua verità.
I media di tutto il mondo hanno violentato il suo discorso, manipolandolo e cancellando pezzi importanti di storia contemporanea. Dal britannico “The Guardian” ai principali quotidiani italiani, si è fatto a gara per stravolgere il pensiero della raffinata intellettuale italiana.
Ecco cosa aveva realmente detto la principessa di origini siciliane.
“Un anno fa, quando l’insegnamento di Dostoevskij è diventato un problema nelle università italiane e il più grande soprano e direttore d’orchestra viventi al mondo furono costretti a denunciare la loro patria russa od a perdere i loro lavori, ho pensato “Benvenuti a bordo!”. La russofobia è solo l’ultima delle tante fobie costruite appositamente per le moderne formule di colonizzazione. Il suo manifesto può essere considerato il testamento con cui Cecil Rhodes, il fondatore della Rhodesia, stabilì la supremazia degli anglosassoni e il loro diritto a dominare il mondo e a sfruttarne le risorse”.
A Vittoria Alliata viene anche contestato un passaggio del suo discorso relativo al ruolo dell’intelligence e dell’esercito americano nell’aver favorito la mafia siciliana alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Alliata ha pronunciato queste parole: “Vengo dalla Sicilia, un’isola multiculturale del Mediterraneo che è stata – per millenni – crocevia di raffinate civiltà che costruirono un glorioso patrimonio ancora molto vivo. Eppure negli ultimi 70 anni la Sicilia è conosciuta soprattutto per le malefatte di un gruppo criminale, la mafia, riportato in auge dall’esercito americano quando sbarcò sull’isola per liberare l’Europa dal nazismo. È stata la prima ISIS, un’organizzazione terroristica che commette liberamente ogni sorta di abusi e massacri e simula una forte appartenenza religiosa. Nonostante gli eroici siciliani di ogni estrazione sociale l’abbiano combattuta, la grande industria cinematografica ha costruito un’immagine svilente della mia terra, tesa a legittimare la sua occupazione con enormi basi militari che operano in prima linea contro la Russia e il mondo arabo”.
Ma per il mainstream occidentale questo non è vero. Eppure documenti storici e analisi approfondite corroborate anche da indagini giudiziarie hanno stabilito l’esistenza di un preciso legame tra i sistemi criminali mafiosi in Sicilia, l’esercito e l’intelligence statunitense. Un legame che è continuato negli anni, culminando persino in quel periodo storico – gli anni ’60/70 del secolo scorso – che in Italia viene chiamato “strategia della tensione”. Per dare torto a coloro come Vittoria Alliata che vogliono promuovere il dialogo tra Occidente e Russia, la storia, quella vera, deve essere cancellata.
Nel suo discorso al Forum di Mosca, Vittoria Alliata ha anche sottolineato la vera natura della russofobia, paragonando questo sentimento politico alla campagna di demonizzazione del mondo arabo.
“La russofobia non è altro che la post-produzione di un progetto a lungo termine: quello di distruggere la Russia esattamente per le stesse ragioni per cui tanti Paesi arabi sono stati distrutti o sono attualmente sotto attacco, come il Libano. E queste ragioni non sono soltanto il petrolio, la ricchezza e le questioni geostrategiche, ma anche la loro capacità di aderire a vari modelli di società multiculturali tradizionali”.
Vittoria Alliata ha concluso il suo intervento ricordando Daria Dugina, la giornalista uccisa in un attentato terroristico lo scorso anno: “Come l’Occidente ha costruito un’icona di Lady Diana per la sua eleganza e il suo stile, noi dobbiamo fare di Daria Dugina il simbolo di tutte quelle donne che ancora lottano costantemente per il rispetto di un mondo tradizionale multipolare. Dobbiamo dare loro la forza di difendere la loro posizione. Non tutte le donne possono essere un’eroina come Daria Dugina. Ma ogni donna può dare un po’ del suo amore per costruire un mondo migliore”.
Nessun giornale europeo ha dedicato una nota o un ricordo a Daria Dugina. Al contrario, c’è stato un accanimento contro quella donna fatta a pezzi da una bomba criminale. Il più importante quotidiano italiano ha raccontato la storia di quell’attentato con un articolo il cui incipit recitava così: “Tale padre, tale figlia”, con un evidente riferimento al professor Aleksandr Dugin. Nessuna pietà nemmeno di fronte al corpo maciullato di una giovane donna. Così va il mondo.
Traduzione a cura della redazione
Minima moralia
Siccome l’idea di spiccare un mandato di cattura contro Putin è probabilmente l’idea più cretina della storia universale, unitamente all’idea di processarlo per crimini di guerra, cioè di processare per crimini di guerra il presidente in carica di uno Stato che ha diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU e 6000 testate nucleari, abbiamo il problema di rispondere alla domanda: perché? Com’è possibile che l’Unione Europea sia caduta così in basso al punto da farci vergognare tutti? Perché Ursula von der Leyen e Roberta Metsola si umiliano attraverso una produzione così copiosa di idee cretine? La risposta è semplice: per nascondere il fatto di non contare niente. Siccome non contano niente; siccome la Commissione europea è un gruppo di passacarte di Biden; siccome non è in grado di proteggere nemmeno i propri gasdotti bombardati da un Paese alleato, allora cercano di gettare fumo negli occhi con iniziative talmente cretine da far apparire intelligenti persino iniziative come la designazione della Russia come Stato sponsor del terrorismo (respinta pure dagli USA). Ci penseranno poi i propagandisti delle radio e delle televisioni italiane a far passare un’idiozia gigantesca per un’idea intelligente da applaudire. Ecco che cosa intendo dire quando dico che la classe dirigente europea è completamente corrotta in senso paretiano. Ursula von der Leyen appartiene semplicemente a una classe dirigente morta. Era morta ben prima del 24 febbraio 2022, altrimenti gli accordi di Minsk 2 non sarebbero naufragati e l’Ucraina non sarebbe una base della NATO da molti anni. L’invasione della Russia ha semplicemente reso evidente la decomposizione di un corpo che si è spento di nascosto. Quando pensate alla Commissione europea, pensate a un gruppo di falliti politici. Pensate alla Commissione europea come la più grande vergogna della civiltà europea. Pensate a un corpo morto che, essendo pesantissimo, ci porta tutti a fondo.
Forza, Commissione europea, proponi o sostieni un’altra idea cretina.
Facci ridere.
Alessandro Orsini
Liriche di Darya Dugina
I proventi della vendita di questo volume saranno devoluti alle associazioni che sostengono il progetto per la costruzione di un parco giochi per bambini, con attrezzature ludiche e sportive, nella città di Alchevsk (regione di Lugansk) e per l’adozione di bambini orfani del Donbass.
Il testo può essere ordinato qui.
Milano, 25 marzo 2023
Modena, 18 marzo 2023
Non guardate il dito
Non guardate ai fallimenti bancari, pensate al blocco produttivo occidentale a seguito delle sanzioni alla Russia, pensate agli Arabi, ai Russi, ai Cinesi che nella primavera del 2022 se ne andarono dalle banche inglesi. Pensate alla Truss, che si dimise per questo motivo, non essendoci più, come ai tempi della Thatcher, la City. Pensate alle banche svizzere, che perdevano capitalizzazioni. Pensate ai BRICS, che nel 2022 superavano di PIL il G7. Pensate ai porti cinesi, bloccati per lockdown, pensate ai lockdown occidentali, che hanno provocato un cortocircuito produttivo mondiale. Pensate al PNRR, tutto fondato su digitale e green, i pacchi del XXI secolo per i quali ci siamo indebitati. Pensate ai convegni di banchieri, politici, industriali, consulenti pagati profumatamente sulla transizione digitale ed ecologica, pensate a me, la cui moglie ha un auto di 20 anni fa e non sappiamo cosa sia Musk. Pensate ai colossi high tech americani, che negli ultimi mesi annunciavano migliaia di licenziamenti. Pensate alla confisca delle riserve valutarie russe, alla conseguente non fiducia mondiale, per il quale si aumentarono i tassi di interesse in USA, UK, UE, con la scusa dell’inflazione che era da offerta. Pensate al servizio del debito dei proletari occidentali a seguito di ciò, all’aumento stratosferico delle bollette a seguito di sanzioni. Insomma, pensate all’imbecillità umana e troverete il famoso Occidente.
Pasquale Cicalese
8 marzo 2023
La guerra non poteva essere impedita
“Chi ha seguito le vicende ucraine senza pregiudizi ideologici, e con un minimo di onestà intellettuale, sa che al momento della dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina era una potenza economica, la terza potenza industriale dell’Unione Sovietica dopo Russia e Bielorussia, oltre che il suo granaio. Questa repubblica sovietica possedeva industrie aerospaziali, automobilistiche e di macchine utensili, i suoi settori minerario, metallurgico e agricolo erano ben sviluppati, come i suoi impianti nucleari e petrolchimici, le sue infrastrutture turistiche e commerciali. Ospitava inoltre il più grande cantiere navale dell’URSS.
A partire dal 1991, anno della sua indipendenza, il PIL dell’Ucraina è rimasto indietro rispetto al livello raggiunto in epoca sovietica, la capacità industriale si è notevolmente ridotta e la popolazione è diminuita di circa 14,5 milioni di persone in 30 anni a causa dell’emigrazione e del più basso tasso di natalità in Europa. Non solo, l’Ucraina è anche diventata il terzo debitore del FMI e il Paese più povero d’Europa. Questi record negativi non possono essere imputati solo alla corruzione sistemica e spaventosa dell’Ucraina: le reti di corruzione che hanno spremuto l’Ucraina sono transnazionali.
L’Ucraina è stata vittima di due rivoluzioni colorate finanziate dagli Stati Uniti che hanno portato a un cambio di regime e ad una guerra civile che l’hanno separata a forza dal suo principale partner economico, la Russia. La sua storia è stata cancellata e riscritta, le ricette neoliberali hanno distrutto il suo tessuto economico e sociale instaurando una forma di governo neocoloniale.
L’Ucraina è entrata a far parte del nefasto Partenariato Orientale dell’UE nel 2009 e, fin dalla sua indipendenza, è stata invasa da ONG, consulenti economici e politici occidentali. Lo stato di soggezione del Paese ostaggio degli interessi anglo-americani si è cementato dopo che l’ultimo governo ucraino che si era opposto alle dure condizioni del FMI è stato rovesciato dal colpo di Stato sponsorizzato dagli Stati Uniti nel 2014.
Il 10 dicembre 2013, il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva dichiarato che le condizioni poste dal FMI per l’approvazione del prestito erano inaccettabili: “Ho avuto una conversazione con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, mi ha detto che la questione del prestito del FMI è stata quasi risolta, ma gli ho ripetuto che se le condizioni fossero rimaste tali non avremmo avuto bisogno di tali prestiti”. Yanukovich ha quindi interrotto i negoziati con il FMI e si è rivolto alla Russia per ottenere assistenza finanziaria. Era la cosa più sensata da fare, ma gli è costata cara. Non è possibile rompere impunemente le catene del FMI: questo fondo a guida americana concede prestiti a Paesi con l’acqua alla gola in cambio della solita shock therapy fatta di austerità, deregolamentazione e privatizzazione, e prepara in questo modo il terreno per gli avvoltoi della finanza internazionale, quasi sempre angloamericani.
Se si permette a coloro che hanno distrutto un Paese di essere coinvolti nella sua ricostruzione, essa sarà inevitabilmente solo un punto sul continuum di conquista, occupazione e saccheggio, anche se viene imbellettato. La distruzione produce quella tabula rasa su cui l’occupante può scrivere le proprie regole: “Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace”. Tacito conosceva bene sia la realtà che la propaganda dell’imperialismo romano. Ci si può solo chiedere se coloro che parlano di “ricostruzione”, “ripresa”, “riforma”, “ordine fondato sulle regole”, “reset” o qualsiasi altra espressione di moda al momento, siano consapevoli di questa realtà brutale o credano veramente alla propria propaganda. In ogni caso, promettono un’utopia futura per la quale vale la pena uccidere e morire.
(…) Vendere una guerra richiede un impegno a tutto campo, ed è per questo che i think tank e gli specialisti di marketing sono stati coinvolti fin dalle prime fasi. Essi generano narrazioni che contribuiscono a plasmare lo spazio discorsivo, a creare una percezione di sostegno universale per l’Ucraina, a fornire punti di discussione e versioni della verità sia ai politici che ai media. Devono motivare gli ucraini affinché continuino a combattere e i vassalli europei affinché continuino a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina, indipendentemente dalle devastanti perdite umane ed economiche che ciò comporta.
(…) I politici europei, mentre sono alle prese con i costi sempre più crescenti di una guerra per procura degli Americani nel loro continente, come meccanismo di compensazione sostengono l’idea assurda che una soluzione di pace in Ucraina minaccerebbe la sicurezza europea e non sarebbe nell’interesse del Vecchio Continente. La retorica della ricostruzione, intrecciata all’illusione di una vittoria dell’Ucraina, permette al partito transatlantico della guerra di presentarsi come una forza del bene e un motore di crescita futura. I promotori della ricostruzione hanno cercato aggressivamente di occupare il terreno morale estromettendo i costruttori di pace e per farlo hanno spinto la tesi che la guerra non poteva essere impedita né fermata.”
Da Promuovere la ricostruzione in Ucraina per alimentare la guerra, di Laura Ruggeri.
Start Up a War
“Start Up a War. Psicologia di un conflitto” è un documentario sul punto di vista di una psicologa che, nel 2016, esce dal suo studio per tornare su un fronte bellico, nella regione del Donbass. Attraverso la comprensione di quei meccanismi che si celano dietro allo scoppio di una guerra, con immagini e documenti inediti è messo in luce un modello psicologico che applica ai conflitti geo-politici strumenti di lettura propri dei conflitti relazionali tra individui.
Nella prima parte del documentario sono illustrate alcune tecniche mediatiche e di manipolazione di massa utilizzate durante la rivolta di Maidan, nella capitale ucraina di Kiev. Nella seconda parte si entra nel vivo della guerra del Donbass, attraverso la descrizione psicologica di un conflitto bellico narrato come un conflitto tra individui. Sono integrate opinioni di professionisti della psicologia, combattenti di battaglioni, rifugiati e superstiti, passando dai drammatici eventi di Kiev alla vita dei miliziani al fronte, dalla testimonianza di chi è sopravvissuto al massacro del 2 maggio a Odessa alla speranza nei momenti di festa nelle auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, in Donbass. Molteplici punti di vista accompagnano nella conoscenza di quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti bellici, così simili a quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti relazionali.
CREDITI
Regia, produzione e montaggio: Sara Reginella
Immagini: Sara Reginella, Ruptly video News Agency, Eliseo Bertolasi, Sergey Rulev
Con: Galina Zaporozhtseva – Psicologa, ex Prof. Accademia Ucraina di Polizia, Oleksiy Zhuravko – Ex deputato Parlamento ucraino, Piotr Biriukov “Arkadich” – Generale IV^ Brigata, già Comandante Battaglione Prizrak, Aleksey Markov “Dobrij” – Comandante XIV° Battaglione Prizrak, Yana Alekseenko – volontaria, Padre Alexander – Sacerdote Chiesa Ortodossa di Lugansk, Igor Nemodruk – Superstite strage del 2 maggio 2014 a Odessa
Voce commento: Giulia Poeta
Post-produzione video e color-grading: Michele Senesi
Post-produzione audio: Minestudio Recording
Musiche: Banda Bassotti e Oceans on the Moon
Per vedere il documentario, occorre l’iscrizione a YouTube.
La nostra inadeguatezza nella lotta alla guerra e nel conflitto sociale
Tra pochi giorni il primo anniversario della guerra in Ucraina e nella occasione vogliamo aprire una discussione dentro le realtà che si oppongono al conflitto, all’invio di armi all’Ucraina e alle politiche della NATO.
La prima considerazione riguarda la debolezza del movimento contro la guerra che ha portato nelle piazze numeri ridotti di manifestanti relegando al solo sindacalismo di base il compito, arduo, di indire scioperi contro le politiche di guerra che impongono tagli allo Stato sociale e sacrifici crescenti alle classi sociali meno abbienti. Invocare l’unità del popolo contro la guerra è anche un sintomo di debolezza perché a forza di creare ponti con posizioni contraddittorie e dettate dalla equidistanza e dalla negazione del conflitto di classe abbiamo scavato una fossa nella quale noi stessi stiamo sprofondando.
Per troppi anni abbiamo scisso le politiche economiche e sociali da quelle di guerra, l’assenza di una lettura oggettiva delle ragioni del conflitto spinge molti, troppi, a irrigidirsi sulle posizioni ideologiche e di principio perdendo di vista invece l’obiettivo di unificare il conflitto contro il nemico esterno e quello interno.
Se pensiamo alla Bussola europea è difficile trovare qualche analisi critica sulle strategie neokeynesiane di guerra della UE, come è ormai raro individuare qualche piazza apertamente schierata contro la NATO. La Bussola europea spinge l’Italia e il vecchio continente alla guerra, prima ce ne rendiamo conto meglio è.
La debolezza del movimento contro la guerra nasce a nostro avviso dalla debolezza di contrapporsi alle politiche economiche e sociali che le guerre alimentano, dalla debacle dei movimenti operai e conflittuali soprattutto in Italia.
Se pensiamo a quanto accade in GB, Francia e Spagna con milioni di manifestanti in piazza contro i tagli alla previdenza al welfare e contro le riforme previdenziali non possiamo che constatare quanto sia arretrato il conflitto in Italia e da qui comprendere anche i consensi elettorali alle destre.
Possiamo irrigidirci sulle parole d’ordine, possiamo inserire questa o quella frase per noi discriminante nei manifesti e nelle piattaforme di qualche iniziativa ma resta ineludibile il fatto che in Italia non ci si mobiliti contro la guerra, contro l’aumento delle spese militari e nello stesso tempo si assista passivamente alla ulteriore precarizzazione del lavoro e ai tagli al sociale.
Forse, con il beneficio del dubbio e senza certezze precostituite, è arrivato il momento di fare i conti con la nostra inadeguatezza e per farlo non servono posizionamenti ideologici ma una lettura della realtà oggettiva e pratiche politico sociali e sindacali conseguenti.
(Fonte)
“In Russia siamo abituati a giudicare in base ai fatti”
Lettera aperta dell’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Sergey Razov, al Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, Guido Crosetto
Ambasciata della Federazione Russa in Italia, 31 gennaio 2023
Egregio signor Ministro,
Il 30 gennaio di quest’anno Lei ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui, tra l’altro, ha affermato che l’Europa non deve chiudere le porte ai russi e percepire il popolo russo come un nemico. “Non ho mai condiviso chiusure verso gli artisti, gli sportivi, la popolazione civile. Dobbiamo lasciare dei canali di dialogo aperti” – ha detto. E ha aggiunto: “Perché negare i visti ai cittadini russi? Sarebbe meglio che le persone venissero in Europa anche per ascoltare una voce diversa”.
Concordiamo di rado con le Sue dichiarazioni e azioni soprattutto per quanto riguarda la fornitura di armi italiane all’Ucraina, ma credo che quasi tutti i cittadini russi sottoscriverebbero senza esitazione queste parole. E lo stesso farebbero, suppongo, anche in Italia. Ma in che misura tali parole corrispondono alla realtà? Esaminiamo i fatti concreti. Chi è che sta riducendo le opportunità di contatto e di dialogo tra i popoli dei nostri paesi?
La Russia, fondamentalmente per iniziativa del precedente governo italiano, è stata privata dell’accesso a 300 miliardi di dollari delle proprie riserve valutarie. Ora si discute della possibilità di uno scippo definitivo. E stiamo parlando dei soldi dei contribuenti russi.
L’Italia continua a sequestrare immobili, proprietà e altri beni di uomini d’affari russi dichiarati “oligarchi”. Su questa base, giuridicamente traballante, viene discriminata un’intera categoria di cittadini del nostro Paese che ha investito i propri capitali nello sviluppo dell’Italia.
Con pretesti inverosimili e con la scusa della “solidarietà”, sono stati ingiustificatamente espulsi dall’Italia 30 dipendenti dell’ambasciata russa a Roma (con i familiari: 72 in totale), persone che tanto si erano adoperate per sviluppare e rafforzare le relazioni bilaterali. Tra questi, anche coloro che, nel periodo più difficile della pandemia di coronavirus, hanno contribuito a organizzare l’operazione militare-umanitaria russa svoltasi in Italia nel marzo-maggio 2020 per aiutare le popolazioni colpite del Paese amico. In segno di “gratitudine”, l’Italia ha riconosciuto ai nostri diplomatici lo status di “persona non grata”.
Su impulso degli allora vertici del Ministero degli Esteri italiano, membri di spicco della società civile russa sono stati privati dei riconoscimenti statali italiani. Molti di loro erano stati premiati, tra l’altro, per la loro assistenza disinteressata nella ricostruzione della città dell’Aquila, colpita da un devastante terremoto nel 2009.
Su iniziativa della parte italiana, sono stati interrotti i collegamenti aerei diretti tra i nostri Paesi, riducendo così al minimo il turismo russo in Italia. I nostri connazionali che riescono a raggiungere il Belpaese devono affrontare complicate procedure di rilascio dei visti, il cui costo è più che raddoppiato, e una volta in Italia si scontrano con il rifiuto, da parte di alcune aziende, di vendere loro merci per un valore superiore ai 300 euro.
Il reale atteggiamento nei confronti degli esponenti del mondo culturale russo risulta evidente dai casi di annullamento delle esibizioni in Italia del direttore d’orchestra di fama mondiale V.Gergiev, della pianista V.Lisitza o del ballerino S.Polunin, annullamento determinato unicamente dalla loro posizione politica.
L’atteggiamento nei confronti dei contatti nel campo dello sport è illustrato in modo eloquente dal rifiuto delle autorità italiane, nel marzo 2022, di consentire l’organizzazione di un volo umanitario per trasportare una squadra di atleti paralimpici russi con disabilità, bloccati dalla chiusura dello spazio aereo.
Servizi bancari rifiutati senza motivo, chiusure forzate di conti correnti e altre restrizioni discriminatorie legate al possesso di passaporto russo o semplicemente all’indicazione sui documenti della Russia come luogo di nascita, sono diventati un fenomeno comune nella vita dei nostri connazionali presenti in Italia.
E questo non è assolutamente un elenco esaustivo dei passi compiuti dall’anno scorso da parte italiana per impedire unilateralmente i contatti, distruggere i canali di dialogo bilaterale attivi in precedenza. E qui, signor Ministro, sono sicuro che troverebbe molto difficile citare una qualsiasi iniziativa adottata nella stessa direzione da parte russa.
In Russia siamo abituati a giudicare in base ai fatti piuttosto che alle parole. E i fatti sono molto lontani dalle Sue parole, alla cui sincerità, pur volendolo, è difficile credere.
Rispettosamente,
S. Razov
Il Ponte sullo Stretto come il MUOS di Niscemi e Sigonella
Non prova neanche a mimetizzarlo il suo punto vista, Lucio Caracciolo, sul ponte sullo Stretto. Ne ha parlato in un pezzo scritto per La Stampa il 7 dicembre scorso. Per lui sono secondari gli argomenti, e gli scontri, sugli aspetti ingegneristici, economici, ambientali dell’infrastruttura d’attraversamento. Ciò che conta è la sua valenza strategica, geopolitica, militare. Per questa ragione assimila il ponte sullo Stretto al MUOS di Niscemi, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina militare USA per governare i conflitti globali del XXI secolo, “senza dimenticare le strutture di Sigonella e Pantelleria”. Perché ciò che conta è il valore strategico della Sicilia, il suo collocarsi in un’area che Limes chiama Caoslandia, nel Mediterraneo “allargato” che è tornato ad essere centrale per i flussi commerciali provenienti da Oriente e per l’intervento politico, militare, economico di Cina, Russia e Turchia.
Limes aveva già insistito in altre occasioni su questo tema. Proprio un anno fa la rivista di geopolitica, i cui redattori, dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sono stabilmente sui canali tv nazionali, aveva pubblicato un numero speciale sulla Sicilia. “L’Italia senza la Sicilia non esiste”, questo era l’argomento. Per questa ragione la Sicilia non può “annegare” nel Mediterraneo. E nel pezzo pubblicato su La Stampa Caracciolo è esplicito fino al didascalico. “Se non lo volete capire la Sicilia è la Frontiera e senza la difesa della Frontiera gli Stati periscono”, sembra dire, perché dallo Stretto di Sicilia (così quelli di Limes chiamano il Canale di Sicilia per sottolineare la esigua distanza che separa l’Isola dall’Africa) passa la principale rotta migratoria, perché da lì passa la via della seta cinese, perché “i turchi e i russi della Wagner si sono acquartierati sul lato africano dello Stretto”, perché quel tratto di mare è attraversato dai cavi sottomarini transcontinentali della Rete.
Caracciolo ci ricorda che la Sicilia fu il luogo dell’invasione alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quella volta gli invasori erano i “liberatori americani” e ce la cavammo, ma stavolta chi potrebbe essere il nuovo invasore? Per questo l’Italia (ma a questo punto perché non l’Europa o l’Occidente?) senza la Sicilia non esiste. Perché la Sicilia deve essere la piattaforma militare nel Mediterraneo, la difesa dell’Occidente dalle armate dei Bruti o degli Extranei. Noi siamo la Barriera costruita a difesa. Questo è il nostro destino. Lucio Caracciolo si spinge fino a lamentare la scarsa presenza militare nell’area” e ad auspicare una “più incisiva presenza della Marina e delle altre Forze armate nelle acque” di quello che insiste a chiamare il “mare nostro”. L’ennesima ode al militarismo e al riarmo a cui gli analisti mainstream ci hanno abituato nell’ultimo anno di fratricida guerra in Ucraina. Ipocrita narrazione di una “Isola indifesa” quando è sotto gli occhi di tutti il devastante e invasivo processo di militarizzazione che ha investito ogni angolo della Sicilia e delle sue isole minori e l’abnorme presenza statunitense nella stazione aeronavale di Sigonella, “capitale mondiale dei droni”. Per questo il ponte serve, per Caracciolo: per la sicurezza, per stabilizzare le aree di frontiera e per collegare militarmente l’Italia, l’Europa, l’Occidente alla Sicilia, non viceversa.
In passato avevamo già invitato a guardare ai rischi che il ponte portava con sé anche sotto questo profilo. Ci avevano guardati un po’ perplessi. Il ponte ci metterebbe in pericolo, farebbe da traino ad una ulteriore forte militarizzazione e ad un più asfissiante controllo del territorio proprio perché naturale obbiettivo strategico in caso di conflitto. Eccoci serviti. Lucio Caracciolo ce lo sbatte in faccia senza neanche prepararci con parole di circostanza. E a chi pensa che con il ponte i propri figli non emigrerebbero più potremmo consigliare di arruolarli, che forse lì di lavoro ne troverebbero.
Ciò che è incredibile è che il ritorno del Mediterraneo come luogo centrale e l’importanza della Sicilia per la sua collocazione geografica debba essere necessariamente declinato sotto il profilo della guerra. La Sicilia, che nelle vecchie carte appariva più estesa di quanto lo fosse proprio per l’importanza che assumeva nei commerci mondiali, la Sicilia raccontata da sempre dai viaggiatori, deve essere piattaforma di guerra? E perché, invece, non potrebbe essere piattaforma di pace? Perché gli abitanti dell’isola non potrebbero trarre “vantaggio” dall’affacciarsi della propria terra su un continente africano in crescita? Perché non possiamo pensare di crescere insieme con le popolazioni africane che lavorano, viaggiano, portano avanti le loro famiglie, socializzano e trasferiscono risorse e conoscenza? Il nostro No al ponte è anche questo. Un No alle logiche di guerra, alle militarizzazioni dei territori e del mare, ai muri armati innalzati tra Nord e Sud. E’ il nostro Sì, forte, per la Pace, il Disarmo e la Giustizia tra i Popoli.
Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo
(Fonte – il collegamento inserito nel testo è a cura della redazione)
USAID aumenta i finanziamenti alle ONG e ai media dei Paesi della CSI per ridurre l’influenza russa
È improbabile che Washington riesca a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se falsamente descriverà alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo.
Di Ahmed Adel, ricercatore di geopolitica ed economia politica che fa base a Il Cairo, per South Front, 5 dicembre 2022
L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha finanziato nella seconda metà del 2022 il cosiddetto “sostegno alla democrazia” per un importo di 248 milioni di dollari nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). In confronto, i “falchi umanitari”, come l’amministratore dell’USAID Samantha Power descrive l’agenzia, investirono solo 243 milioni di dollari nell’intero 2021.
La CSI, che comprende gli ex Stati sovietici quali Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan, è un blocco di Paesi per il quale gli Stati Uniti si sono a lungo sforzati per espandere al loro interno la propria influenza e il proprio soft power. Per questa ragione, l’USAID ha significativamente aumentato i suoi investimenti nella regione, con Armenia, Georgia e Moldavia, Stati periferici della CSI, che risultano essere i più grandi beneficiari delle nuove sovvenzioni, specialmente per quelle riguardanti le Ong e i media.
L’USAID ha stanziato 15 milioni di dollari a scopi educativi per la sola Georgia nella seconda metà di quest’anno, con un’enfasi particolare posta sulla necessità di abolire la presunta discriminazione di genere. Gli Americani intendono plasmare l’istruzione georgiana secondo il loro stampo, riqualificando gli insegnanti; per questo motivo fu assegnata una sovvenzione di 250.000 dollari a professori di giornalismo provenienti dalle università locali che soddisfano i loro criteri. Nel 2021, l’USAID lanciò un programma quinquennale in Georgia del costo di 330 milioni di dollari.
Nella seconda metà del 2022, l’USAID ha concesso due sostanziose sovvenzioni – rispettivamente del valore di 120 e 4 milioni di dollari – per lo “sviluppo della democrazia” e l'”indipendenza dei media” in Armenia. Questo aiuto è stato criticato perché non fornisce l’assistenza umanitaria necessaria per assistere 100.000 Armeni sfollati a causa della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.
Il fatto stesso che nella seconda metà del 2022 siano stati concessi 124 milioni di dollari di aiuti, un importo considerevole per un Paese che nel 2021 aveva un PIL di 13,86 miliardi di dollari, per influenzare i media e la società civile invece di assistere gli sfollati armeni, dimostra la volontà di mantenere quella situazione, o in effetti che l’amplificazione del necessario grado di retorica antirussa nei mass media locali è uno degli obiettivi principali del lavoro dell’USAID nei Paesi post-sovietici.
Comunque, in Moldavia e nei Paesi dell’Asia centrale, l’agenzia americana pone particolare enfasi sul finanziamento dell’economia. Ovvero, stanno cercando di indebolire i legami economici che questi Paesi hanno con la Russia e di riorientare i flussi di merci e i flussi finanziari. Nell’ultimo semestre, l’USAID ha stanziato 50 milioni di dollari per la Moldavia, la maggior parte dei quali si presume saranno spesi per espandere il commercio con l’Unione Europea e creare un’adeguata infrastruttura di trasporti e logistica.
A ottobre USAID annunciò che intende investire 15,2 milioni di dollari nel commercio in Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, poiché Washington vuole “aiutare la regione ad abbandonare la dipendenza” da Mosca.
“Ridurre la dipendenza dell’Asia centrale dai mercati e dalle rotte di esportazione russe, fornendo alternative, era una priorità a lungo termine, ma ora è una necessità impellente e un’opportunità dato che cerchiamo di aiutare la regione ad allontanare la dipendenza dalla Russia”, diceva il documento di USAID
Secondo il documento dell’USAID, la guerra in Ucraina e le sanzioni anti-russe hanno un “enorme impatto” sull’economia dell’intera regione. Le sanzioni e il ritiro delle aziende occidentali dalla Russia “hanno portato a una contrazione dell’economia russa, che probabilmente continuerà a lungo termine”, ma da cui risulterà anche una diminuzione delle importazioni russe dall’Asia centrale.
“Le aziende della regione hanno urgentemente bisogno di trovare nuovi mercati per le loro esportazioni, sia di beni che di servizi”, aggiungeva il documento.
Il programma è pensato per “rispondere alle conseguenze economiche” causate dalla guerra in Ucraina, come il calo delle rimesse, il deflusso dei lavoratori immigrati dalla Russia, la svalutazione della moneta, l’inflazione e la perdita di rotte e mercati di esportazione. Si spera che ai Paesi della regione verrà fornito un “supporto tecnico” per incrementare il commercio sui mercati internazionali e per aiutare le imprese nelle questioni logistiche.
In precedenza, il vicedirettore dell’USAID, Anjali Kaur, affermava che l’obiettivo della politica statunitense dovesse essere la separazione delle economie dell’Asia centrale e della Russia. In questo modo, Washington non cerca nemmeno di nascondere le sue nefaste azioni anti-Russia in una regione che è forse una delle più lontane dal continente nordamericano, e non solo in termini geografici, ma anche per cultura, tradizioni e storia.
Incrementando i finanziamenti alle Ong e ai media in Moldavia, Georgia e Armenia, l’USAID cerca di trovare qualche successo. Tale successo sarebbe per la maggior parte da attribuire alla vicinanza di questi Paesi all’Europa occidentale e alla loro comune identità cristiana, rendendo così molto più facile la penetrazione dell’influenza liberale dell’Occidente.
Tuttavia, è estremamente improbabile che Washington riuscirà a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se rappresenterà falsamente alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo. Questo perché la Russia è una grande potenza economica e militare da cui l’Asia Centrale non ha alcun buon motivo per separarsi.
Uniti per la pace ad Aviano
Tutte le balle sulla Russia
“Il neocolonialismo è morto”
“Pubblichiamo la traduzione di questa lunga intervista a Mohamed Hassan – curata da Grégoire Lalieu del collettivo Investig’Action e co-autore di La Strategie du chaos e Jihad made in USA – pubblicata il 26 ottobre sul sito del collettivo.
Paesi che si rifiutano di tagliare i ponti con la Russia. I dirigenti turchi che sfidano le minacce di Washington. L’Arabia Saudita che disobbedisce a Biden. L’America Latina che vira “a sinistra”. Una parte dell’Africa che volta le spalle ai suoi vecchi e nuovi “padrini” neo-coloniali. È chiaro che il mondo sta cambiando. E Mohamed Hassan ci aiuta a vederlo più chiaramente, anche per le prospettive “rivoluzionarie” che si aprono per le classi subalterne europee, oltre che per i popoli del Tricontinente.
Questo in una situazione in cui anche gli Stati Uniti non solo stanno perdendo la propria egemonia all’esterno, ma soffrono una crisi sociale che avrà dei precisi riflessi anche nelle vicine elezioni Mid-term dell’8 novembre.
Afferma giustamente Hassan: “Oggi ci sono 500.000 senzatetto per le strade degli Stati Uniti e il loro tasso di mortalità è salito alle stelle. Ci sono anche due milioni di prigionieri su un totale di undici milioni in tutto il mondo. Il tasso di povertà infantile è del 17%, uno dei più alti del mondo sviluppato secondo il Columbia University Center on Poverty and Social Policy. L’imperialismo sta distruggendo gli Stati Uniti dall’interno e non ha impedito ai due grandi rivali, Russia e Cina, di conquistare potere. Questo aumento di potere indebolisce le posizioni dell’imperialismo statunitense nel mondo”.
Un mondo è al crepuscolo, un altro sta sorgendo sullo sfondo di uno scontro sempre acuito tra un blocco euro-atlantico ed i suoi satelliti ed uno euro-asiatico in formazione.
Ai comunisti che lavorano dentro lo sviluppo delle contraddizioni in Occidente, “per linee interne” al movimento di classe – a volte tutto da ricostruire – si apre nuovamente la possibilità di giocare un ruolo nella Storia, con la S maiuscola e lasciarsi dietro le spalle le proprie sconfitte..
Si pone nuovamente l’attualità della Rivoluzione in Occidente e dello sviluppo del Socialismo nel XXI Secolo, se non si viene schiacciati dalle chiacchiere dei ciarlatani al soldo degli apparati ideologici dominanti.
L’ex diplomatico etiope, specialista di geopolitica, analizza le ripercussioni della guerra in Ucraina, che segna una svolta storica. In che modo gli Stati Uniti hanno perso influenza? Perché l’Africa si oppone alle potenze occidentali? Quale futuro per l’Europa? Che ruolo possono avere i lavoratori?
In La strategia del caos Mohamed Hassan aveva parlato della transizione verso un mondo multipolare. Undici anni dopo, quella che ai tempi era solo la prefigurazione di una tendenza, ora è una realtà in atto, ed in questa intervista ne fa un bilancio.”
Il testo integrale dell’intervista è qui.
Il gruppo musicale sloveno Laibach rende omaggio al cantautore Leonard Cohen (1934-2016), reinterpretando una sua canzone pre-apocalittica denominata The Future, risalente al 1992. Questa versione rende chiaro che il futuro previsto da Cohen assomiglia moltissimo al nostro presente.
La strada per Mosca passa da Kiev
Il testo seguente fu pubblicato originariamente quale appendice del libro di Mahdi Darius Nazemroaya intitolato “La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate”, edito da Arianna Editrice nel 2014, alla cui traduzione collaborammo.
Ringraziando l’editore per la gentile autorizzazione, riteniamo utile riproporlo all’attenzione dei nostri lettori.
La presa del potere a Kiev dell’opposizione è un colpo di Stato eseguito con la forza, che ignora almeno la metà della popolazione ucraina. Eppure, non lo si saprebbe ascoltando i media e le reti come CNN o Fox News, o leggendo i titoli di Reuters e della British Broadcasting Corporation (BBC). Gli eventi a Kiev vengono ingannevolmente presentati da questi media e dai cosiddetti governi “occidentali” che li supportano, direttamente o indirettamente, come il trionfo del potere del popolo e della democrazia in Ucraina.
L’ipocrisia assoluta è all’opera. Continua a leggere
Sabotaggio Nord Stream: chi è stato?
La Russia ci minaccia!
“Oh, la Russia ci minaccia, urlano all’unisono gli organi del Minculpop! Non ci vuole più dare il gas e il petrolio, su cui noi, uomini giusti, per altro sputiamo tutti i giorni.
Noi riforniamo di armi i fascistoidi di Kiev per ammazzare i soldati russi e più che altro i civili russofili o solamente russofoni (nella sola DNR, che ha meno abitanti di Roma, in 200 giorni sono stati uccisi dai bombardamenti ucraini 369 civili di cui 19 bambini), e Putin ci taglia il gas. Cattivo, cattivo, cattivo.
In realtà il Cremlino sa che le forniture di armi della NATO all’Ucraina da un lato impoveriscono l’Occidente e dall’altro non possono spostare di una virgola l’esito della guerra: Donbass conquistato/liberato assieme a Odessa. Punto. Quel che rimarrà dell’Ucraina non avrà più sbocchi sul Mar Nero e sul mare di Azov e non avrà più risorse industriali e minerarie. Sarà un Paese dimezzato, quasi solo agricolo e per giunta con le terre arabili in mano alle multinazionali americane ed europee. Un Paese fallito.
Eppure c’era un modo per Kiev di evitare questa catastrofe. Bastava rinunciare ad entrare nella NATO e mettere in galera i caporioni nazisti. Ma questo era proprio quanto Washington gli impediva di fare, usando, per l’appunto, i nazisti come pretoriani.
Poi, ovviamente, siete liberi di pensare che Azov, Settore Destro, la Legione Bianca eccetera, non sono affatto nazisti ma combattenti per la libertà, che non leggono Hitler ma Kant (come riferisce la Repubblica) e che la svastica è solo un simbolo solare (come riferisce il Corriere della Sera).
Prima ancora, la UE avrebbe potuto evitare di esigere dall’Ucraina, per l’associazione, lacrime e sangue, i sempiterni e odiosi “aggiustamenti strutturali” che arricchiscono le élite finanziarie e impoveriscono la società tutta. Il presidente Janukovich avrebbe così potuto accettare di entrare nella UE e il pretesto per la Maidan non ci sarebbe stato. Ma tutto si tiene, volontà di potenza economica e volontà di potenza politica. I loro meccanismi si intrecciano, le cose vanno come vanno e i grandi commentatori, i grandi economisti, i grandi politologi, i grandi giornalisti fanno la figura dei cioccolatai quando non dei propagandisti e basta.
(…) L’altro giorno Maria Zacharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che gli USA stanno spingendo l’Italia al suicidio economico: E’ una cosa che tutti sanno perché si vede a occhio nudo, ma la compagnia di giro di politici e media ha dichiarato che è “una provocazione”. Anzi, qualcuno si è spinto ad affermare che l’unica possibilità per il “disperato Putin” è spaventare l’Europa.
Perché “disperato”? Perché il Rublo è ai massimi storici? Perché il saldo commerciale è ai massimi storici? Perché la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo, tra cui le due più grandi e in ascesa, non applica le sanzioni e ha rapporti amichevoli con Mosca? Perché ha le armi più potenti del mondo? Perché col 10% delle sue forze armate sta sconfiggendo un esercito tre volte più numeroso e sostenuto da tutta la NATO?
Sono dati di fatto, sia che Putin piaccia o non piaccia. Io penso che se fossi Russo non voterei per Putin. Ma per questo devo mettermi le fette di salame sugli occhi?
Perché “disperato”? Può essere, ma vorrei vedere le motivazioni e i dati che sostengono le motivazioni. Non le urla tribali.
Ma no, non c’è niente da fare: Maria Zacharova è solo una provocatrice! Stiamo andando a gonfie vele con solo qualche difficoltà (come dice Draghi). E avremo ancor più il vento in poppa.
Come no? Già dall’autunno si vedranno sequenze drammatiche (e si capirà che tutte le rassicurazioni del governo in scadenza sono fandonie).
Il futuro governo di centrodestra se la vedrà molto brutta. La Meloni, che è la più sveglia – e anche la più seria – dei tre leader della coalizione, è preoccupata fin da adesso. Sa che avrà grossi problemi, anche interni, perché dovrà gestire un’enorme e devastante crisi e non lo potrà fare nei termini che la sua ideologia – e quella dei suoi – vorrebbe (sovranità, tradizione, ordine sociale), ma nei termini che vorranno i signori della guerra e della finanza anglosassoni e nelle circostanze sociali che si produrranno. Che saranno circostanze di duri conflitti.
Si badi bene che a causa dell’abbandono della sinistra della conflittualità sociale per sposare gli interessi dei più forti, questi conflitti avranno delle caratterizzazioni politiche inedite, non ben definite, così come inedite e non ben definite saranno le loro cause: si sta andando verso la crisi di un sistema che è stato da una parte mitizzato da cialtroni e dall’altro scarsamente analizzato in modo serio nelle sue implicazioni economiche, sociali e ideologiche.
Potremo vedere nella stessa piazza chi è incazzato perché è stato licenziato dalla fabbrica o la sta perdendo a maggior gloria della concentrazione e centralizzazione del capitale e chi è incazzato perché non può più farsi l’happy hour quotidiano. Lo si è già visto durante la pandemia. Si mischieranno ideologie e persino etiche, con quella del lavoro che rischia di essere marginalizzata.
Grande confusione, quindi, in cui si spera che qualcuno a sinistra cerchi di capire prima di proferire anatemi.
Posso anche ipotizzare che l’incarico a Giorgia Meloni sia come la briscola chiamata. Si faranno alcuni giri di prova, magari una mano, ma alla fine salterà fuori una sorta di ammucchiata Draghi allargata. Che ovviamente peggiorerà ancor di più la situazione. Ma cosa importa? A quel punto saremo bene allenati a cascare dal peskov.”
Da Cadere dal peskov, di Piero Pagliani.
Io sono Darya
Un errore strategico che mette a repentaglio i fondamenti del potere
“I principali detentori di titoli di debito USA all’estero sono Cinesi, Giapponesi, Arabi e Belgi. Il presupposto di tali acquisti è ovviamente la fiducia nelle istituzioni finanziarie americane: ed è proprio qui il punto nodale e l’errore tattico di fondo che incrina irrimediabilmente questa fiducia. E’ l’errore tattico che si traduce in disastro strategico. Immaginate che la vostra banca decida di congelare e sequestrare i vostri soldi, regolarmente depositati presso un conto corrente, perché avete preso a schiaffi il vostro vicino di casa e questi potrebbe reclamare un risarcimento danni. Certamente arriverà la Polizia per farvi smettere, e ci sarà un giudice che vi giudicherà per le vostre azioni e magari vi condannerà a un risarcimento dei danni. Dopodiché potrete fare appello contro la sentenza di condanna, e comunque per portarvi via i soldi si devono seguire certe regole stabilite dalla legge (esecutorietà dei titoli, pignoramenti, vendite forzate, eccetera). Insomma, che c’entra la vostra banca con la lite con il vostro vicino? Niente, anzi in genere le banche erano vicine ai loro clienti e cercavano di tutelarne gli interessi a tutti i costi, magari anche con comportamenti al limite o fuori dalla legge, per esempio nascondendo dietro scatole fumose i vostri soldi per sottrarli alle pretese dei terzi creditori. E invece qui, la vostra banca agisce per prima contro di voi sequestrandovi i soldi perché siete stato cattivo e perché domani potrà risarcire il vostro avversario. Se questa cosa capitasse a un vostro amico o conoscente, pensereste che non ci si può fidare di una banca così fatta e che è prudente togliergli i soldi dalle mani al più presto pere evitare che capiti anche a voi. Ora, immaginate che cosa hanno pensato i governanti di Cina, Arabia Saudita, Emirati, India e altri simili Paesi che sono gonfi di titoli del debito pubblico USA. Gli americani, ad esempio, potrebbero pensare domani che la guerra in Yemen è un crimine contro l’umanità (lo è, ma dato che finora è conforme ai loro interessi, si guardano bene dal dirlo), e sequestrare i fondi dell’Arabia Saudita depositati presso di loro. O imporre sanzioni ai Paesi dell’OPEC perché non buttano fuori la Russia dall’organizzazione o perché riducono la produzione per tenere alto il prezzo del petrolio. Il sequestro dei trecento miliardi di dollari che Elvira Nabiullina, Governatore delle Banca centrale Russa aveva (ingenuamente) depositato nelle istituzioni finanziarie occidentali fidando sul rispetto delle regole generali di fiducia tra le banche, ha scatenato il panico in tutto il resto del mondo. Ciascun Paese ha il suo “buco nero” per il quale può domani essere accusato dagli Americani e sottoposto a sanzioni ritrovandosi dalla sera alla mattina senza soldi per fare fronte alle proprie obbligazioni. Ed è cominciata non solo una lenta ma costante fuga dal dollaro, ma anche un’affannosa ricerca di un’alternativa ad esso come moneta di riferimento. Il dollaro è tuttora la moneta di riferimento per le transazioni internazionali, e non solo per le merci che provengono dagli USA, ma anche per le transazioni tra altri Paesi del mondo. Questo fatto, ovviamente, sostiene la domanda globale di dollari, ma sta venendo rapidamente meno: i paesi del BRICS stanno elaborando un sistema di pagamenti alternativi e nel frattempo un numero crescente di transazioni tra di loro viene effettuata in monete locali o in monete di Paesi amici, come il Yuan cinese, ad esempio. La facilità con cui le banche russe sono state estromesse dal sistema di pagamenti SWIFT, ha mostrato che gli Occidentali non si fanno scrupoli di utilizzare un meccanismo studiato per facilitare gli scambi mondiali come un’arma politica. Ma in fondo, lo SWIFT non è altro che un programma che può ben essere sostituito da un altro programma che sia sottratto all’uso politico di un Paese con pretese di dominazione globale. E se si riduce la domanda di dollari, c’è la conseguenza certa di un’implosione del debito pubblico americano e soprattutto del debito estero, con una forte inflazione interna e una svalutazione del dollaro e delle monete sue alleate, euro e Sterlina, soprattutto.
Aver rotto il patto di fiducia tra depositanti e banche comporta il rischio di un tracollo del sistema finanziario occidentale che si fonda proprio su questo patto di fiducia. Certamente, per comprare merci USA ed europee è necessario acquistare dollari e euro, ma anche per comprare merci cinesi o indiane è necessario acquistare Yuan e Rupie. E se le economie occidentali, sul piano finanziario valgono poco meno del 50% del PIL mondiale, esse contano per il 24% circa del PPA, ovvero del PIL per Potere di Acquisto, e il 13% circa della popolazione mondiale. E se le economie occidentali sono stagnanti o in recessione, le economie dei Paesi terzi sono invece in rapida crescita e alla fine le loro logiche finiranno per prevalere. A meno che non si faccia una guerra talmente devastante da inibire quella crescita e fondare il potere sulle cannoniere piuttosto che sulle monete. Già, appunto, la guerra.”
Da L’errore fatale del potere, di Domenico De Simone.
“Azov del cervello”
“Azov del cervello” è un documentario con filmati esclusivi e testimonianze oculari. Contiene conversazioni registrate con militanti Azov catturati che si sono arresi a Mariupol e mercenari stranieri, nonché commenti di esperti e testimonianze di civili che sono stati torturati e maltrattati dai neonazisti.
Il film racconta l’ideologia dei battaglioni nazionalisti, le credenze neopagane che fioriscono nelle loro file e l’uso diffuso dei simboli nazisti.
L’autrice del film, la giornalista e conduttrice televisiva Marina Kim, ha visitato il luogo di detenzione temporanea dei militi Azov catturati vicino al villaggio di Olenivka (Repubblica Popolare di Donetsk) pochi giorni prima dell’attacco delle forze armate ucraine, inflitto dal lanciamissili americano Hi-mars, che ha ucciso più di 50 prigionieri di guerra.
Un rabbino israeliano ricorda chi sono i moderni eroi dell’Ucraina
Il rabbino Mikhail Finkel è stato invitato in televisione per esprimere la propria opinione sull’attuale situazione in Ucraina. Le sue affermazioni hanno sorpreso gli intervistatori i quali supponevano che egli avrebbe coperto il regime di Kiev. Il rabbino e scienziato politico Mikhail Finkel ha deciso di ricordare ai presenti in studio che solo sotto la presidenza Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite e firmato risoluzioni anti-israeliane in 36 occasioni. Egli ha ricordato agli spettatori che sono i moderni eroi dell’Ucraina:
“In 36 occasioni solo sotto Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite
I loro eroi sono Petlyura, che uccise 200.000 Ebrei. Questo è Shukhevych – un uomo delle SS, questo è Bandera! Questo è Stetsko, il quale disse che tutti gli Ebrei dovrebbero essere distrutti, Yaroslav Stetsko. Questo è Khmelnitsky, che assassinò 300.000 Ebrei.
Ogni anno a Kiev, si tiene una parata della divisione SS “Galizia” e il nostro Ministro degli Esteri protesta contro di essa. Questa è gentaglia, c’è un regime neo-nazista, de jure.
Dico così, metà della mia famiglia fu uccisa da Banderisti e Petliuravisti nei progrom di Petliura!
Questi sono gli eroi dell’Ucraina, a loro sono eretti monumenti e nominate strade.
Questa non è propaganda russa, ma parole del Ministro degli Esteri israeliano. Lo abbiamo detto molte volte, il nostro ambasciatore a Kiev lo ha detto: Bandera non è un eroe, ma un criminale!
Allo Yad Vashem, ognuno può vederlo, sta scritto: collaborazionista e criminale nazista. Cercate su YouTube: Bandera è un fascista.
Non sto giustificando la guerra direttamente. Io sono contro la guerra, contro la sofferenza di civili pacifici. Ma non rappresentate quali eroi gli assassini della mia gente e della mia famiglia.
E non c’è necessità di essere in disaccordo con un grande Paese le cui basi militari sono collocate in Siria e che può rivolgere Hezbollah, la Siria, la Giordania e molti altri Arabi contro di noi in un istante e con lo schiocco delle dita”.
(Fonte – traduzione a cura della redazione)