Quando la CIA rapì Moro

A via Fani operò una squadra di forze speciali addestratissime, formatasi in super-scuole militari. Solo due erano allora a quel livello: l’ebraico Mossad e il sovietico Spetsnaz. A via Fani, soprattutto, Aldo Moro non c’era! Prima della strage l’aveva rapito un’eliambulanza. L’unica cosa certa è che poi venne ucciso. Ma non da chi siamo abituati a credere. Questo noir di fantapolitica, appassionante e iperrealistico, risponde a molti interrogativi ancora senza risposta. E ne propone altri inquietanti anche a distanza di quasi mezzo secolo. Il racconto è preceduto da un ampio reportage introduttivo sull’affaire-Moro.

L’autore
Amedeo Lanucara è un giornalista nato sulle aspre Murge pugliesi, con un piede professionale a Roma ed uno a Milano. Giramondo e appassionato di storia del Vicino Oriente. Già inviato e/o capo-servizio al Globo di Antonio Ghirelli e Mario Pirani, a Il Sole-24 Ore, ad Avvenire e ai settimanali ex-Rusconi con Pietro Zullino. Free-lance alla Rai tv. E’ stato direttore di periodici istituzionali e de La Voce del Cittadino. Suo il libro Berlinguer segreto. Vive alle porte di Roma, sul Lago degli Etruschi.

Intelligenza artificiale e sicurezza informatica, le agenzie di intelligence prendono ordini dai giganti dell’Hi-Tech

È una Spectre globale, come nei film di 007. Il suo compito è difendere l’umanità, almeno così dicono, dai rischi dell’intelligenza artificiale.

Con questo obiettivo in mente, le agenzie di sicurezza informatica dei cinque continenti si sono prima incontrate a novembre in Gran Bretagna e poi hanno redatto un documento congiunto firmato all’unanimità: “Linee guida per lo sviluppo di sistemi di IA (intelligenza artificiale) sicuri”. Il progetto è stato ideato dal National Cyber ​​Security Centre del governo britannico ma il documento è stato approvato e condiviso dai principali centri di comando della cyber security “atlantici”: Stati Uniti in prima fila con la National Security Agency (NSA) e il Federal Bureau of Investigation (FBI), seguito e accompagnato da Australian Cyber ​​Security Centre, Canadian Centre for Cyber ​​Security, New Zealand National Cyber ​​Security Center, CSIRT del governo del Cile, la National Cyber ​​and Information Security Agency della Repubblica Ceca, la Information System Authority estone, il Centro nazionale per la sicurezza informatica dell’Estonia, l’Agenzia francese per la sicurezza informatica, l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza informatica, la Direzione nazionale informatica israeliana, l’Agenzia nazionale italiana per la sicurezza informatica, il Centro nazionale giapponese per la preparazione agli incidenti e la strategia per la sicurezza informatica, il Segretariato giapponese per la scienza, la tecnologia e le politiche di innovazione, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo della tecnologia informatica della Nigeria, il Centro nazionale norvegese per la sicurezza informatica, il Ministero degli affari digitali polacco, l’Istituto nazionale di ricerca NASK della Polonia, il Servizio di intelligence nazionale della Repubblica di Corea, l’Agenzia per la sicurezza informatica di Singapore. In breve, la crema dell’intelligence occidentale.
A cosa serve quel documento? Quali benefici intende introdurre nel complesso e spesso incomprensibile mondo dell’intelligenza artificiale? E soprattutto, quali limiti le agenzie di intelligence intendono conferire ad una tecnologia che secondo alcuni dei suoi principali ideatori sta per diventare un rischio per l’umanità, grazie a nuovi algoritmi capaci di decidere autonomamente quali calcoli effettuare?
Il documento redatto a Londra spiega che “esso raccomanda linee guida per i fornitori di qualsiasi sistema che utilizzi l’intelligenza artificiale (IA), sia che tali sistemi siano stati creati da zero o costruiti su strumenti e servizi forniti da altri. L’implementazione di queste linee guida aiuterà i fornitori a costruire sistemi di intelligenza artificiale che funzionino come previsto, siano disponibili quando necessario e funzionino senza rivelare dati sensibili a parti non autorizzate. Questo documento è rivolto principalmente ai fornitori di sistemi di intelligenza artificiale che utilizzano modelli ospitati da un’organizzazione o utilizzano interfacce di programmazione di applicazioni esterne. Esortiamo tutte le parti interessate (compresi esperti dei dati, sviluppatori, manager, decisori e proprietari del rischio) a leggere queste linee guida per aiutarli ad assumere decisioni informate su progettazione, sviluppo, implementazione e funzionamento dei loro sistemi di intelligenza artificiale”.
Secondo i guru della sicurezza informatica, ci sono quattro pilastri su cui costruire un mondo digitale ottimale: affidabilità (copre la comprensione dei rischi e la modellazione delle minacce, nonché argomenti specifici e compromessi da considerare nella progettazione di sistemi e modelli); sviluppo che offra certezze (relativo al ciclo di vita, compresa la sicurezza della catena di approvvigionamento, la documentazione, e la gestione dei patrimoniale e del debito tecnico); implementazione efficace (protezione dell’infrastruttura e dei modelli da compromissioni, minacce o perdite, sviluppo di processi di gestione degli incidenti e rilascio responsabile); funzionamento e manutenzione garantiti (fornire linee guida sulle azioni particolarmente rilevanti una volta che un sistema è stato implementato, compresi la registrazione e il monitoraggio, la gestione degli aggiornamenti e la condivisione delle informazioni).
Ciò che più sorprende di questo documento è l’elenco delle aziende e delle istituzioni che hanno contribuito alla sua stesura. In quell’elenco troviamo Amazon, Google, Google DeepMind, IBM, Microsoft, OpenAI, oltre ad alcune istituzioni come la Georgetown University, da sempre fucina di grandi talenti per le agenzie di intelligence statunitensi. Ma non è una buona notizia se il controllato diventa il controllore.
Piero Messina

Fonte – traduzione a cura di Old Hunter

Lo “schema Seberg”

Per capire come funziona il mondo dell’informazione nell’“Occidente libero degli amanti della democrazia” utilizzerò lo “schema Seberg”. Jean Seberg era un’attrice nordamericana, musa di diversi registri francesi della cosiddetta “Nouvelle Vague”, da Godard (con il quale girò “À bout de souffle”, vero e proprio manifesto del movimento) a Chabrol. La Seberg aveva un “difetto”, simpatizzava per il Black Panthers Party al quale faceva puntualmente generose donazioni. Ora, in questo contesto non ci interessa discutere le idee politiche della Seberg, se queste fossero valide o meno. Ciò che importa è tenere a mente che questa sua simpatia politica non era affatto gradita all’FBI che su di lei scatenò una vera e propria campagna “mediatica” volta a screditarla sia come personalità pubblica che come attrice. La strategia dell’FBI, nello specifico, si fondava sull’imporre ai giornali scandalistici dell’epoca di pubblicare articoli, scritti sotto dettatura degli agenti di Edgar J. Hoover, concernenti aspetti privati della vita dell’attrice che potessero mettere la stessa in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica. Poco importa che quanto venisse scritto fosse vero o meno, tanto, anche se l’attrice avesse sporto denuncia, la verità sarebbe venuta a galla solo quando non sarebbe importato più niente a nessuno.
Adesso, proviamo ad applicare tale schema alle relazioni internazionali tenendo bene a mente anche quanto dichiarò il giornalista tedesco Udo Ulfkotte (anche’egli oggetto di campagne denigratorie piuttosto gravi): ovvero, che i principali mezzi di informazione occidentali (storicamente) pubblicano materiale che viene loro servito da agenzie legate alla CIA o da uomini addestrati dalla stessa (si pensi, in questo caso, alle rivelazioni di Wikileaks sul ruolo della Stratfor Enterprise). Si prenda ad esempio il motivo scatenante dell’aggressione alla Serbia (ex Jugoslavia) nel 1999: il presunto massacro di Račak, quando i miliziani kosovari dell’UCK raccolsero alcuni loro compagni caduti in battaglia per poi vestirli con abiti civili e spararli alla testa onde dare l’idea della fossa comune e di una pulizia etnica portata avanti dalle forze serbe. Si prenda, inoltre, ad esempio il motivo scatenante dell’attacco all’Iraq nel 2003: la sceneggiata di Colin Powell alle Nazioni Unite con lo sventolio in diretta mondiale della fialetta contenente le prove della costruzione di armi chimiche da parte di Saddam. E si prenda ancora ad esempio il motivo che scatenò l’aggressione NATO alla Libia: nessuno, eccetto una violenta campagna nei mezzi di informazione occidentali che parlavano apertamente di migliaia di morti, fosse comuni e di genocidio del popolo libico da parte del “regime di Gheddafi”. Le prove di suddetto genocidio, ovviamente, non vennero mai mostrate per il semplice motivo che non esistevano. Ed anche Human Rights Watch fu costretta ad ammettere che le rivolte dei primi mesi del 2011 portarono alle morte di 373 persone (tra l’altro, in larga parte membri delle forze di sicurezza libiche). Senza considerare che la risoluzione ONU 1973/2011 prevedeva la creazione di una “zona di interdizione al volo” e “misure per proteggere i civili”. Non prevedeva affatto l’inizio di un vero e proprio conflitto contro la Libia (come venne interpretata molto fantasiosamente da Francia, Regno Unito e USA). Dunque, non importa che quanto viene detto sia vero o meno. La cosa importante è la reazione che scatena nel pubblico. In altri termini, la verità è sostituita dalla “sentimentalità”, o dalla sua teatralizzazione. Oggi, non esiste alcuna prova che i miliziani di Hamas abbiano decapitato 40 bambini (così come non c’era alcuna prova che i soldati russi si fossero macchiati di crimini nella cittadina ucraina di Bucha, altra questione passata in cavalleria che nessuno ricorda più). Eppure, i mezzi di informazione continuano a propinare tale notizia come “verità inattaccabile” per preparare l’opinione pubblica ad un nuovo massacro o per la guerra a oltranza.
Daniele Perra

[Fonte – collegamenti inseriti a cura della redazione]

Strage di Ustica e strage di Bologna

L’ipotesi del collegamento

“Troppe coincidenze, troppi indizi, troppi nessi legano i missili che il 27 giugno 1980 hanno abbattuto il DC9 Itavia e la bomba che il 2 agosto, appena 36 giorni dopo, esplode alla stazione di Bologna. L’accanimento con cui i servizi segreti hanno cercato di sviare le indagini sull’eccidio alla stazione si spiegherebbe con una sola ipotesi: chi ha messo o ha favorito che venisse messa la bomba a Bologna sapeva esattamente ciò che era avvenuto nei cieli del Tirreno appena un mese prima. Dal momento che prima o poi la tesi del cedimento strutturale dell’aereo Itavia sarebbe (per forza di cose) venuta meno, meglio far credere che il disastro del DC9 decollato da Bologna ed esploso in volo fosse dovuto a un attentato dinamitardo, proprio come poi avvenne alla stazione della medesima città.
Se lo scopo era quello di nascondere un complotto internazionale di cui il DC9 era rimasto vittima, una strage, magari soltanto dimostrativa (gli atti hanno dimostrato che non fu l’esplosivo a provocare l’orrenda carneficina, ma l’onda d’urto che, rimbalzando su un convoglio fermo sul primo binario, provocò il crollo di parte del tetto della stazione e quindi la tragedia; senza quell’accidentale circostanza, l’attentato si sarebbe ridotto ad un atto pressoché dimostrativo, come le bombe del luglio 1993 – per intenderci), che invece ebbe effetti terrificanti, poteva essere messa nel conto per convincere l’opinione pubblica che un gruppo di maniaci bombaroli, con epicentro a Bologna, stava attentando ai trasporti aerei e ferroviari italiani.
Pochi giorni dopo la strage di Ustica, ma prima di quella alla stazione di Bologna, un alto ufficiale del SISMI, il colonnello Giuseppe Belmone, su incarico del generale Pietro Musumeci si reca a Vieste, in Puglia. La sua, in apparenza, è una visita di cortesia a un vecchio amico, il maresciallo Francesco Sanapo, a cui propone di collaborare con il servizio segreto militare. Subito dopo la strage di Bologna, Belmonte torna di nuovo a Vieste e consegna a Sanapo un’informativa preconfezionata, ovviamente falsa, che il maresciallo deve recapitare alla magistratura di Bologna come se fosse farina del suo sacco. L’informativa parla di una base del gruppo neofascista dei NAR a Taranto, dove in effetti Giusva Fioravanti, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini hanno un alloggio. La base, che dal maggio del 1980 era già stata individuata dai servizi, non viene trovata ma qualche mese dopo, nel gennaio del 1981, sul treno Taranto-Milano, quando il convoglio si ferma alla stazione di Bologna, viene scoperta una valigia piena di armi e di esplosivo. Nella valigia ci sono anche due biglietti aerei che conducono la magistratura proprio sulle tracce dei neofascisti e di altri terroristi stranieri. Quel misterioso trasporto dovrebbe fare parte dell’operazione “terrore sui treni” ordita da gruppi armati di estrema destra. La valigia, in realtà, come poi nel 1984 scoprirà il giudice romano Domenico Sica, era stata messa sul treno dagli stessi uomini del SISMI.
Perché?
Per due scopi: far imboccare ai magistrati bolognesi la pista del neofascismo e stabilire, attraverso l’esplosivo (il T4), una contiguità fra l’esplosione del DC9 e quella alla stazione di Bologna.
Ma anche questa volta i Servizi commettono degli errori: innanzitutto fanno partire l’operazione da Taranto, dove, caso quasi unico nel Meridione, esiste un deposito di armi di Gladio; poi, appena trovata la valigia, si affrettano a far sapere alla magistratura che l’esplosivo contenuto nella valigia è uguale a quello usato per la strage di Bologna; circostanza, questa, che i periti del tribunale accerteranno, è vero, ma solo il 6 dicembre del 1981. Come facevano i servizi segreti a conoscere con quasi un anno di anticipo sui periti di Bologna e con più di due anni su quelli dell’inchiesta di Ustica che era proprio il T4 l’esplosivo utilizzato per la strage di Bologna e che compariva anche nella strage di Ustica?
Ma quale movente avrebbero avuto i Servizi per prefigurarsi e realizzare la strage di Bologna? L’unico movente possibile può essere ricercato in un fatto altrettanto grave: la neceesità di nascondere la verità su Ustica.
Per nascondere ciò che realmente accadde al DC9 Itavia occorreva in qualunque modo e a qualsiasi costo sostenere e confermare la tesi della bomba sull’aereo.
Tesi che diveniva verosimile solo se inserita in un contesto stragista voluto ed attuato da quegli stessi ambienti ai quali, da Piazza Fontana in poi, furono sempre attribuite le stragi – peraltro mai rivendicate dai loro presunti autori.
Questo potrebbe spiegare la morte, in circostanze strane, di numerose persone in qualche modo collegate a Ustica e a Bologna.”

Da Strage di Ustica e strage di Bologna: e se fossero collegate?, a cura del Centro Studi Orion, Società Editrice Barbarossa, 1997, pp. 55-57 (il collegamento inserito è a cura della redazione).

Klarenberg come Assange

La polizia antiterrorismo britannica ha arrestato il giornalista Kit Klarenberg al suo arrivo all’aeroporto londinese di Luton e lo ha sottoposto a un lungo interrogatorio sulle sue opinioni politiche e sui reportage per The Grayzone.
Non appena il giornalista Kit Klarenberg, che vive in Serbia, è atterrato nel suo Paese d’origine, la Gran Bretagna, il 17 maggio 2023, sei anonimi agenti dell’antiterrorismo in borghese lo hanno arrestato. Lo hanno rapidamente scortato in una stanza sul retro, dove lo hanno interrogato per oltre cinque ore sui suoi rapporti con la testata. Hanno anche chiesto la sua opinione personale su tutto, dall’attuale leadership politica britannica all’invasione russa dell’Ucraina.
Ad un certo punto, gli interrogatori di Klarenberg hanno chiesto di sapere se The Grayzone avesse un accordo speciale con l’Ufficio federale di sicurezza russo (FSB) per pubblicare materiale hackerato.
Durante la detenzione di Klarenberg, la polizia ha sequestrato i dispositivi elettronici e le schede SD del giornalista, gli ha preso le impronte digitali, ha preso i tamponi del DNA e lo ha fotografato intensamente. Hanno minacciato di arrestarlo se non si fosse conformato.
L’interrogatorio di Klarenberg sembra essere il modo di rappresaglia di Londra per i reportage di successo del giornalista che denunciano i principali intrighi dell’intelligence britannica e statunitense. Solo nell’ultimo anno, Klarenberg ha rivelato come una cabala di intransigenti Tory abbia violato l’Official Secrets Act per sfruttare la Brexit e insediare Boris Johnson come Primo Ministro. Nell’ottobre 2022, ha guadagnato titoli internazionali con la sua denuncia dei piani britannici di bombardare il ponte di Kerch che collega la Crimea alla Federazione Russa. Poi è arrivato il suo rapporto sul reclutamento da parte della CIA di due dei dirottatori dell’11 settembre.
Tra le rivelazioni più importanti di Klarenberg c’era il suo rapporto del giugno 2022 che smascherava il giornalista britannico Paul Mason come un collaboratore dell’apparato di sicurezza del Regno Unito determinato a distruggere The Grayzone, altri media e accademici e attivisti critici del ruolo della NATO in Ucraina.
Le autorità britanniche non hanno arrestato Klarenberg per alcuna violazione legale, ma perché ha riportato storie fattuali che hanno esposto le violazioni del diritto interno e internazionale da parte dello Stato di sicurezza nazionale, nonché le trame maligne dei suoi lacchè dei media. Una settimana dopo aver rilasciato Klarenberg dalla detenzione, la polizia ha restituito il suo tablet con nastro adesivo sulle telecamere, insieme a due schede di memoria. La polizia ha conservato una vecchia scheda SD, contenente principalmente musica, perché potrebbe essere “rilevante per procedimenti penali”.
Laura Ruggeri

Le vie dei Signori sono infinite

Ucraina, le bare dei mercenari uccisi usate per il traffico di droga

Questa notizia non ve la darà nessuno anche se è quella che sta circolando nel resto del mondo. Non verrà data nemmeno come “voce” perché essa rappresenta in maniera icastica come si diceva un tempo, prima che tutto fosse sostituito da wow, vocabolo simbolo della stupidità contemporanea, la cattiva coscienza dell’occidente, la scomparsa di qualsiasi etica e confutazione della retorica della guerra: le bare con cui tornano in patria i mercenari della NATO vengono utilizzate per il traffico di droga. Il 14 aprile scorso la bara che trasportava i resti di un mercenario polacco è stata accidentalmente danneggiata durante il trasporto ed è stata perciò sostituita, ma durante l’operazione si è visto che assieme ai resti del mercenario c’era anche un carico di 30 chili di droga confezionata in sacchetti sigillati. Qualche giorno dopo dentro un container che trasportava i corpi di contractor inglesi è stata rinvenuta altra droga in quantità ancora maggiore. È diventato chiaro che esiste uno schema consolidato per il trasferimento di droga dall’Ucraina alla Polonia e da lì all’Europa. E l’impresa di pompe funebri ucraina che trasporta le salme dei mercenari è di fatto un “hub” attraverso il quale le sostanze stupefacenti vengono trasportare alle “filiali” di tutta il continente. Lì, la droga viene recuperata per arrivare ai mercati locali.
Vari tipi di droga sono prodotti in laboratori sul territorio dell’Ucraina visto che l’esercito fa grande uso di questa sostanze per trasformare i soldati in truppe kamikaze e vengono tenute solitamente nei magazzini dove sono stipale trovano le armi americane, cosa che di certo non può stupire visto che il commercio di droga è l’attività bellica di maggior successo delle truppa USA dovunque esse operino. Poi viene imballata nelle bare dei mercenari morti che sono ormai moltissimi e spedito in tutto il continente: il circuito è affidabile, i container con i corpi solo rarissimamente vengono sottoposte a ispezioni sommarie e viaggiano a velocità sostenuta, la stessa riservata ai trasporti delle munizioni, quindi è difficile che il traffico venga scoperto se non per eventi casuali come appunto è accaduto per la bara danneggiata. Scoperto si fa per dire visto che l’Ucraina e la Polonia, protagoniste principali di questo traffico , stanno facendo di tutto per mettere a tacere questo scandalo e impedire che la notizia si diffonda visto che addenserebbe ulteriori ombre su questa guerra santa. Particolarmente attivo su questo fronte è e il controspionaggio polacco SKE (Służba Kontrwywiadu Wojskowego) che deve evitare qualunque scetticismo della popolazione in merito alla scellerata opera del governo di Varsavia che nel tentativo di impadronirsi del territorio ucraino di Leopoli non si ferma nemmeno di fronte alla possibilità di nuclearizzazione del conflitto. Tuttavia è proprio dalla SKE che sono arrivate le indiscrezioni sulla droga trovata nelle bare, segno che c’è qualche resistenza ai sogni bagnati del governo.
Inoltre una notizia del genere sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso nel momento in cui la perdita di Artemovsk sarà definitiva e non si potrà più nascondere la sconfitta con resistenza suicida delle truppe in pochi quartieri. L’ ennesima sconfitta provocherà un terremoto a Kiev e Zelensky non può illudersi di controbilanciare questo con l’annuncio di attacchi terroristici in territorio russo anche perché questo darebbe a Mosca il destro di distruggere completamente le infrastrutture del Paese, cosa che finora ha tentato di evitare. Ormai è chiaro che il fronte NATO è nella più grande confusione resa ancora peggiore dall’aver incautamente pompato la mitica controffensiva che probabilmente nemmeno ci sarà. Quindi figuriamoci se arrivasse la notizia che i caduti occidentali in questa guerra servono come via della droga: sarebbe come evidenziare simbolicamente tutto il marcio che c’è dietro questo conflitto, ideato, finanziato e armato dalla NATO. I cui capi sono probabilmente i primi consumatori delle sostanze che arrivano nelle bare.

(Fonte)

Il processo a Julian Assange

Uno stupratore, un terrorista e una spia che ha sulle mani il sangue di innocenti. Con queste pesantissime accuse Julian Assange – giornalista che con la sua organizzazione WikiLeaks ha rivelato al mondo le prove di crimini di guerra, torture e altri sporchi segreti dei potenti – da oltre un decennio è al centro di una feroce e sistematica persecuzione politica: indagato in Svezia per stupro e negli Stati Uniti per spionaggio, rifugiato per sette anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, dal 2019 Assange è rinchiuso nel famigerato carcere di massima sicurezza di Belmarsh, la Guantánamo britannica, in attesa della decisione sull’estradizione richiesta dagli Stati Uniti, dove l’attivista australiano rischia fino a 175 anni di carcere.
In questo libro appassionante e inquietante Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, presenta i risultati della sua rigorosa indagine sul caso Assange, documentando nei dettagli come i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Svezia ed Ecuador abbiano messo illegalmente a tacere il fondatore di WikiLeaks. Le sue rivelazioni sono esplosive: Assange ha dovuto affrontare gravi violazioni del diritto a un giusto processo, prove manipolate, tortura psicologica, sorveglianza costante, diffamazioni e intimidazioni. Un vero e proprio calvario che Daniel Ellsberg, whistleblower dei Pentagon Papers, ha definito “lo scandalo giudiziario del secolo”.

«La persecuzione spietata a cui è stato sottoposto Julian Assange e il tradimento vergognoso della giustizia e dei diritti umani dimostrato da tutti i governi coinvolti sono più che indecenti: minano a fondo la credibilità, l’integrità e la sostenibilità della democrazia occidentale e dello Stato di diritto. La persecuzione di Assange stabilisce un precedente che non solo consentirà ai potenti di tenere segreti i loro crimini, ma renderà persino perseguibile per legge la rivelazione di quei crimini. Nel momento in cui dire la verità sarà diventato un crimine, vivremo tutti nella tirannia».

La guerra mediatica occidentale cancella la verità

Ecco come i media hanno manipolato il discorso della principessa Vittoria Alliata a Mosca
Di Piero Messina per Southfront, 29 marzo 2023

Ci sono guerre che si combattono con le armi, ci sono guerre che si combattono con le armi e con i media. Dal 24 febbraio dell’anno scorso, l’Occidente ha dichiarato una guerra mediatica totale contro la Russia. Ogni voce libera viene repressa, ogni dissenso viene ridicolizzato. In Europa e negli Stati Uniti è quasi vietato non essere contro Putin.
Da oltre un anno, la macchina dell’informazione globale ha costruito una narrazione unificata, identificando il conflitto tra Russia e Ucraina come una guerra tra il bene e il male. Non si possono avere dubbi, perché i dubbi non sono ammessi. La Russia è il male e deve essere distrutta. Amen.
In questa guerra asimmetrica, tra le armi a disposizione dell’Occidente, i media mainstream sono il dispositivo più letale: perché sono uno strumento che manipola le coscienze, cambia la narrazione, cancella la storia e la riscrive. Dieci anni di repressione della popolazione filorussa del Donbass da parte del governo di Kiev sono stati letteralmente cancellati. Non se ne dovrebbe parlare. Quegli eventi non sono mai accaduti e le quasi quarantamila vittime di quella guerra civile non appartengono più alla storia.
A metà marzo si è tenuto a Mosca il primo incontro del Movimento Russofilo. I delegati sono giunti nella capitale russa da 40 Paesi, inclusi gli Stati Uniti d’America. Al dibattito hanno partecipato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova.
Cosa hanno detto i media occidentali di quell’appuntamento che voleva essere un dibattito all’insegna del dialogo e della riflessione politica?
I media occidentali hanno demolito le riflessioni fornite dagli oratori occidentali. I loro discorsi sono stati manipolati, distorti e rielaborati per farli apparire fuori contesto e senza senso. La regola è semplice: chiunque non contesta la Russia e non dica che Putin è pazzo va emarginato.
Tra le “vittime” di questo oblio della verità c’è anche Vittoria Alliata di Villafranca. Scrittrice, giornalista, arabista, Vittoria Alliata ha partecipato all’incontro di Mosca raccontando la sua verità.
I media di tutto il mondo hanno violentato il suo discorso, manipolandolo e cancellando pezzi importanti di storia contemporanea. Dal britannico “The Guardian” ai principali quotidiani italiani, si è fatto a gara per stravolgere il pensiero della raffinata intellettuale italiana.
Ecco cosa aveva realmente detto la principessa di origini siciliane.
“Un anno fa, quando l’insegnamento di Dostoevskij è diventato un problema nelle università italiane e il più grande soprano e direttore d’orchestra viventi al mondo furono costretti a denunciare la loro patria russa od a perdere i loro lavori, ho pensato “Benvenuti a bordo!”. La russofobia è solo l’ultima delle tante fobie costruite appositamente per le moderne formule di colonizzazione. Il suo manifesto può essere considerato il testamento con cui Cecil Rhodes, il fondatore della Rhodesia, stabilì la supremazia degli anglosassoni e il loro diritto a dominare il mondo e a sfruttarne le risorse”.
A Vittoria Alliata viene anche contestato un passaggio del suo discorso relativo al ruolo dell’intelligence e dell’esercito americano nell’aver favorito la mafia siciliana alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Alliata ha pronunciato queste parole: “Vengo dalla Sicilia, un’isola multiculturale del Mediterraneo che è stata – per millenni – crocevia di raffinate civiltà che costruirono un glorioso patrimonio ancora molto vivo. Eppure negli ultimi 70 anni la Sicilia è conosciuta soprattutto per le malefatte di un gruppo criminale, la mafia, riportato in auge dall’esercito americano quando sbarcò sull’isola per liberare l’Europa dal nazismo. È stata la prima ISIS, un’organizzazione terroristica che commette liberamente ogni sorta di abusi e massacri e simula una forte appartenenza religiosa. Nonostante gli eroici siciliani di ogni estrazione sociale l’abbiano combattuta, la grande industria cinematografica ha costruito un’immagine svilente della mia terra, tesa a legittimare la sua occupazione con enormi basi militari che operano in prima linea contro la Russia e il mondo arabo”.
Ma per il mainstream occidentale questo non è vero. Eppure documenti storici e analisi approfondite corroborate anche da indagini giudiziarie hanno stabilito l’esistenza di un preciso legame tra i sistemi criminali mafiosi in Sicilia, l’esercito e l’intelligence statunitense. Un legame che è continuato negli anni, culminando persino in quel periodo storico – gli anni ’60/70 del secolo scorso – che in Italia viene chiamato “strategia della tensione”. Per dare torto a coloro come Vittoria Alliata che vogliono promuovere il dialogo tra Occidente e Russia, la storia, quella vera, deve essere cancellata.
Nel suo discorso al Forum di Mosca, Vittoria Alliata ha anche sottolineato la vera natura della russofobia, paragonando questo sentimento politico alla campagna di demonizzazione del mondo arabo.
“La russofobia non è altro che la post-produzione di un progetto a lungo termine: quello di distruggere la Russia esattamente per le stesse ragioni per cui tanti Paesi arabi sono stati distrutti o sono attualmente sotto attacco, come il Libano. E queste ragioni non sono soltanto il petrolio, la ricchezza e le questioni geostrategiche, ma anche la loro capacità di aderire a vari modelli di società multiculturali tradizionali”.
Vittoria Alliata ha concluso il suo intervento ricordando Daria Dugina, la giornalista uccisa in un attentato terroristico lo scorso anno: “Come l’Occidente ha costruito un’icona di Lady Diana per la sua eleganza e il suo stile, noi dobbiamo fare di Daria Dugina il simbolo di tutte quelle donne che ancora lottano costantemente per il rispetto di un mondo tradizionale multipolare. Dobbiamo dare loro la forza di difendere la loro posizione. Non tutte le donne possono essere un’eroina come Daria Dugina. Ma ogni donna può dare un po’ del suo amore per costruire un mondo migliore”.
Nessun giornale europeo ha dedicato una nota o un ricordo a Daria Dugina. Al contrario, c’è stato un accanimento contro quella donna fatta a pezzi da una bomba criminale. Il più importante quotidiano italiano ha raccontato la storia di quell’attentato con un articolo il cui incipit recitava così: “Tale padre, tale figlia”, con un evidente riferimento al professor Aleksandr Dugin. Nessuna pietà nemmeno di fronte al corpo maciullato di una giovane donna. Così va il mondo.

Traduzione a cura della redazione

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha controllato i ‘vaccini’ COVID fin dall’inizio nell’ambito di un programma di sicurezza nazionale. Hanno mentito per tutto il tempo – non sono mai stati ‘sicuri ed efficaci’

Nuovi documenti rivelano che il Dipartimento della Difesa ha controllato il programma Covid-19 fin dall’inizio.
Il processo di approvazione del vaccino da parte di FDA era teatro.
Una combinazione di Atto Preparatorio, Autorizzazione all’Uso in Emergenza e Altre Transazioni d’Autorità hanno preservato da ogni responsabilità Big Pharma, agenzie governative ed enti medici che hanno distribuito vaccini non regolamentati.

Secondo la normativa approvata a livello congressuale, la ricerca di leggi attive e ulteriori dettagli ottenuti attraverso il Freedom of Information Act, il Dipartimento della Difesa possiede, implementa e supervisiona il programma del vaccino Covid-19 come “contromisura” agli attacchi stranieri. Mentre l’opinione pubblica veniva bombardata con un’orchestrata campagna propagandistica basata sulla paura, il governo degli Stati Uniti gestiva la risposta al Covid come una minaccia alla sicurezza nazionale.
La ricerca e i documenti sono stati ottenuti da una ex dirigente di una società di ricerca farmaceutica a contratto, Sasha Latypova, e dalla impegnata ricercatrice legale Katherine Watt.
Le Tre Fonti Primarie
L’operazione sotto copertura è stata orchestrata utilizzando tre cruciali procedure legali:
1. Autorizzazione all’Uso in Emergenza,
2. Atto Preparatorio,
3. Altre Transazioni emanate d’Autorità.
Il 13 marzo 2020, il Presidente Trump dichiarò un’Emergenza Sanitaria Pubblica ai sensi dello Stafford Act, ponendo il Consiglio di Sicurezza Nazionale a capo della politica riguardante il Covid. I vaccini Covid-19 sono “contromisure mediche” – una zona grigia di prodotti che non sono regolamentati come vaccini o farmaci.
“Misero il Consiglio di Sicurezza Nazionale al comando e trattarono ciò come un atto di guerra”, ha detto Sasha Latypova.
Secondo i rapporti dell’Operation Warp Speed [una partnership pubblico-privata avviata dal governo degli Stati Uniti e dall’allora presidente Donald Trump, per facilitare ed accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini, terapie e sistemi diagnostici per contrastare il Covid-19 – n.d.c.] e dell’ASPR [acronimo di Administration for Strategic Preparedness and Response, Amministrazione per la Risposta e Prontezza Strategica – n.d.c.], il Dipartimento della Difesa ordinò, supervisionò e gestì in modo rigoroso lo sviluppo, la produzione e la distribuzione delle contromisure riguardanti il Covid, utilizzando principalmente la rete di appaltatori e consorzi militari precedentemente costituita dal Dipartimento.
Il Dipartimento della Difesa, il BARDA [acronimo di Biomedical Advanced Research and Development Authority, Autorità per lo Sviluppo e la Ricerca Avanzata Biomedica – n.d.c.] e l’HHS [acronimo di US Department of Health and Human Services, Dipartimento USA della Salute e dei Servizi Sociali – n.d.c.] ordinarono tutte le contromisure riguardanti il Covid, compresi i “vaccini”, come prototipi dimostrativi di produzione su larga scala, evitando i regolamenti e la trasparenza secondo l’Altra Transazione di Autorità citata. In quanto prototipi utilizzati nell’ambito di un’Autorizzazione all’Uso in Emergenza durante un’Emergenza Sanitaria Pubblica, le contromisure Covid, compresi i “vaccini”, non sono tenute a rispettare le leggi statunitensi in materia di qualità di produzione, sicurezza ed etichettatura.
“L’implicazione è che il governo degli Stati Uniti autorizzò e finanziò il dispiegamento sugli Americani di materiali biologici non conformi senza chiarire il loro status legale di “prototipi”, rendendo i materiali non soggetti alla normale supervisione legale, il tutto mentre mantenevano una fraudolenta pseudo presentazione “regolamentare” al pubblico”, ha detto Sasha Latypova.
“La cosa più incredibile è il fatto che le attuali leggi promulgate dal Congresso degli Stati Uniti sembrano rendere le azioni di occultamento LEGALI!”.
Nello stato di Emergenza Sanitaria Pubblica, le contromisure mediche non sono regolamentate o tutelate come prodotti farmaceutici (21 USC 360bbb-3(k)).
Il popolo americano fu indotto a credere che FDA, CDC e figure di primo piano come Anthony Fauci avessero supervisionato il programma del vaccino Covid-19.
Il loro coinvolgimento fu un’orchestrata operazione di intelligence. Tutte le decisioni riguardanti la ricerca sul vaccino Covid-19, l’acquisizione dei materiali, la distribuzione e la condivisione delle informazioni furono strettamente controllate dal Dipartimento della Difesa.
Sono stati scoperti centinaia di contratti per le contromisure riguardanti il Covid. Molti particolari di essi sono stati oscurati. Tuttavia, Latypova e Watt hanno trovato le fonti per inserire i dettagli mancanti. Un esame di questi contratti indica un elevato grado di controllo da parte del governo statunitense (Dipartimento della Difesa/BARDA). Il contratto specifica l’ambito dei prodotti finali come “dimostrazioni” e “prototipi” solo escludendo le sperimentazioni cliniche ed il controllo di qualità della produzione dall’ambito del lavoro pagato dai contratti. Per garantire che le aziende farmaceutiche fossero libere di condurre le false sperimentazioni cliniche senza rischi finanziari, i contratti comprendono la rimozione di ogni responsabilità per i produttori ed eventuali appaltatori lungo la catena di fornitura e distribuzione ai sensi del PREP Act del 2005 e della correlata legislazione federale [il PREP Act, promulgato nel 2005, autorizza il Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) a rilasciare una Dichiarazione per fornire l’immunità di responsabilità a determinati individui ed enti contro qualsiasi richiesta di risarcimento causata da, derivante da, relativa a o risultante dalla produzione, distribuzione, somministrazione o uso di determinate contromisure mediche, ad eccezione delle richieste di risarcimento che comportano una “cattiva condotta intenzionale” – n.d.c.].
Perché non c’è nessuna iniziativa legale da parte degli enti di regolamentazione e dei tribunali? Secondo Sasha Latypova e Katherne Watt, una combinazione di legislazione approvata recentemente e di ordini esecutivi fa sì che sia legale mentire! Il Segretario del Dipartimento USA della Salute e dei Servizi Sociali non deve rendere conto a nessuno se l’Emergenza Sanitaria Nazionale continua a essere prorogata dal Congresso ogni tre mesi.
Una significativa operazione informativa fu messa in moto non appena il Covid-19 colpì. Il governo degli Stati Uniti, la comunità dei servizi segreti, i media e le Big Tech cospirarono per orchestrare ed attuare un’intensa campagna di pressione concepita per ottenere che il vaccino fosse legalmente designato secondo la Legge per l’Autorizzazione all’Uso in Emergenza, diffamando al contempo i medici dissenzienti, i critici ed i trattamenti alternativi praticabili. Questa designazione permise una rapida produzione priva dei protocolli standard di sicurezza e di salute pubblica.
Affinché un vaccino riceva la designazione ai sensi dell’Autorizzazione all’Uso in Emergenza, non possono esistere altri trattamenti o cure conosciuti. Pertanto, molti trattamenti comprovati, come l’ivermectina e l’idrossiclorochina, furono inseriti nella lista nera dei media e liquidati come “sverminatori per cavalli”, mentre in passato questi farmaci economici e prontamente reperibili erano stati acclamati per la loro efficacia.
Eminenti medici che trattano il Covid, come Peter M. McCullough e Pierre Kory, hanno affrontato attacchi senza precedenti alle loro credenziali mediche.
Qui c’è un tipico contratto di scopo per “vaccini”.

(Fonte – traduzione a cura della redazione)

Operazione Gladio

L’FBI e il laptop di Hunter Biden

Quella che segue è la traduzione integrale della settima puntata dei TwitterFiles. Finora il capitolo senza dubbio più esplosivo di tutta la saga dei TwitterFiles. Michael Shellenberger lo dedica interamente alla storia del laptop di Hunter Biden e a come essa è stata screditata non solo su Twitter, ma su tutte le piattaforme social e i principali media americani. L’FBI e la comunità dell’intelligence hanno iniziato a screditare l’ormai famoso articolo del New York Post addirittura prima che esso venisse pubblicato il 14 ottobre 2020. Per usare le parole di Shellenberger, vi fu “uno sforzo organizzato da parte della comunità dell’intelligence per spimgere Twitter e altre piattaforme” a screditare la credibilità dell’articolo, insinuando che si trattava di un’operazione di “hack and leak”, ossia in pratica di materiale “piantato” intenzionalmente nel portatile di Hunter Biden o frutto di una campagna di disinformazione russa. In realtà, non vi era alcuna informazione di intelligence che inducesse a pensare ciò e gli stessi dirigenti di Twitter per diverso tempo hanno smentito di aver individuato la presenza di qualsiasi influenza straniera sulla propria piattaforma. Ma alla fine Twitter ha ceduto alle pressioni dell’FBI, anche perché “a partire dal 2020, c’erano così tanti ex funzionari dell’FBI che lavoravano a Twitter che avevano creato il loro canale Slack privato e un modello di accoglienza per dare il benvenuto ai nuovi arrivati dall’FBI”. Dunque, l’FBI era in possesso da più di un anno del materiale inviatole dal riparatore di computer del Delaware, fingendo di lavorarci sopra, quando in realtà cercava solo di insabbiarlo. Quando ha saputo che il New York Post avrebbe reso pubblica la notizia, ha agito su tutte le piattaforme social e i media che controllava per fare in modo che la notizia venisse censurata o screditata”.

Fonte

La famiglia Biden in tutto il suo splendore a questo collegamento oppure qui in formato pdf.

 

Attenzione a Psiphon, uno strumento della CIA per assistere e alimentare le proteste a livello globale

Di Kit Klarenberg* per PressTV

Da quando a metà settembre in Iran sono scoppiate rivolte sostenute dall’estero, i notiziari occidentali hanno frequentemente richiamato l’attenzione sul ruolo di Psiphon, un’applicazione gratuita e open-source per smartphone e per programma informatico che consente agli utenti di aggirare le restrizioni sui siti web e sulle risorse online, aiutando i sobillatori ad organizzare e coordinare le loro attività e ad inviare e ricevere messaggi da e verso il mondo esterno.
In questo processo, Psiphon ha ricevuto una quantità incalcolabile di pubblicità gratuita altamente influente e alcuni Iraniani – assieme ai residenti dell’Asia occidentale più in generale – saranno stati senza dubbio incoraggiati a scaricare il software.
Comunque, nessuna fonte mainstream ad oggi ha riconosciuto le origini spettrali di Psiphon, per non parlare degli obiettivi maligni che persegue e degli scopi sinistri a cui può essere destinato dai suoi sponsor nella comunità dell’intelligence americana.
Psiphon fu lanciata nel 2009. Dichiaratamente destinata a sostenere gli elementi antigovernativi nei Paesi che l’azienda considera “nemici di Internet”, la risorsa impiega una combinazione di tecnologie di comunicazione sicura e di offuscamento, tra cui VPN, proxy web e protocolli Secure Shell (SSH), che consentono agli utenti di predisporre efficacemente i propri server privati in modo tale che il proprio governo non può effettuare attività di monitoraggio.
Nel corso della sua vita, Psiphon è stata finanziata e distribuita da diverse organizzazioni para spionistiche.
Ad esempio, per diversi anni è stato promossa da ASL19, fondata da un iraniano espatriato, Ali Bangi, nel 2013, per capitalizzare l’ampio flusso di finanziamenti statunitensi per le iniziative di “libertà di Internet” sulla scia della Primavera araba.
Un’indagine del New York Times del giugno 2011 sulla spinta di Washington per la “libertà di Internet” concluse che tutti questi sforzi servono a “dislocare sistemi ‘ombra’ di Internet e di telefonia mobile che i dissidenti possono usare per comunicare al di fuori della portata dei governi in Paesi come Iran, Siria e Libia”.
La vicinanza di Bangi al governo degli Stati Uniti è stata resa ampiamente evidente quando nel 2016 partecipò alla celebrazione annuale del Nowruz alla Casa Bianca, una sorta di ballo delle debuttanti che avviene regolarmente per gli attivisti sponsorizzati del “cambio di regime” facenti parte dell’élite di Stato.
Tali apparizioni di alto livello, insieme al suo status di presenza fissa alle conferenze tecnologiche e agli eventi sui diritti digitali, cementarono il suo posto come una personalità da “rockstar” all’interno della comunità della diaspora iraniana.
Bangi fu tuttavia costretto a dimettersi dalla ASL19 nel 2018, dopo essere finito in tribunale in Canada con l’accusa di violenza sessuale e detenzione forzata.
Secondo un profilo pubblicato dalla rivista del settore tecnologico The Verge Bangi avrebbe favorito una cultura di uso diffuso di droghe, sessismo, molestie e bullismo all’interno dell’organizzazione, con le dipendenti donne come bersaglio particolare delle sue ire. In diverse occasioni è stato aggressivo e persino violento nei confronti del personale.
Con Bangi e l’ASL19 fuori dai giochi, nel 2019 Psiphon iniziò a ricevere milioni dall’Open Technology Fund (OTF), creato sette anni prima da Radio Free Asia (RFA), che a sua volta fu fondata dalla CIA nel 1948 dopo essere stata ufficialmente autorizzata a impegnarsi in “operazioni segrete”, tra cui propaganda, guerra economica, sabotaggio, sovversione e “assistenza ai movimenti di resistenza clandestini”.
Nel 2007, il sito web della CIA classificò la RFA e altre iniziative di “guerra psicologica” come Radio Free Europe e Voice of America fra le “campagne più longeve e di maggior successo per le operazioni sotto copertura” che abbia mai messo in atto.
Oggi la RFA è una risorsa dell’Agenzia statunitense per i media globali (USAGM), finanziata dal Congresso degli Stati Uniti con centinaia di milioni di dollari all’anno. Il suo amministratore delegato ha riconosciuto che le priorità dell’organizzazione “riflettono gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
L’OTF è stata una delle numerose iniziative scaturite dalla summenzionata pressione di Washington per la “libertà di Internet”.
Le persone intimamente coinvolte nella realizzazione di questo desiderio non si fanno illusioni sulla vera ragion d’essere del loro servizio. Nel febbraio 2015, Jillian York, membro del comitato consultivo dell’OTF, dichiarò che credeva “fondamentalmente” che la “libertà di Internet” era “in fondo un programma di cambiamento di regime”.
L’OTF, essendo la creazione di una piattaforma di “guerra psicologica” concepita dall’intelligence statunitense, illumina uno degli scopi chiave di Psiphon: garantire che i cittadini dei Paesi nel mirino dei continui “sforzi di cambiamento di regime” guidati dagli Stati Uniti possano continuare ad accedere alla propaganda di Stato occidentale.
Una scheda informativa dell’Agenzia statunitense per i media globali del novembre 2019 sugli “strumenti supportati dall’OTF” dà il massimo risalto a Psiphon.
“L’OTF fornisce alle reti USAGM l’assistenza necessaria per proteggere i loro contenuti online e per garantire che siano resistenti alla censura. Ad esempio, quando i siti di notizie dell’USAGM sono stati improvvisamente bloccati in Pakistan, l’OTF creò dei siti specchio per garantire che i contenuti dell’USAGM rimanessero disponibili per i principali destinatari… L’OTF fornisce un supporto di emergenza ai media indipendenti e ai giornalisti che subiscono attacchi digitali per tornare online e mitigare gli attacchi futuri”, si legge.
Un rapporto dell’OTF del maggio 2020 sui “punti salienti e le sfide” dell’anno fino ad oggi rileva allo stesso modo che il “fornitore veterano di strumenti di elusione” Psiphon assicura che i contenuti pubblicati dall’USAGM – che includono Voice of America in lingua farsi – possano raggiungere il pubblico nei Paesi in cui sono vietati.
Similarmente, una sezione dedicata del sito web della BBC, a seguito del divieto dell’emittente di Stato britannica in Russia, a marzo offriva una guida esplicativa su come i residenti locali possono scaricare l’app tramite Android, Apple e Windows.
Nel caso in cui gli utenti “trovassero difficoltà” ad accedere a Psiphon attraverso gli app store tradizionali, sono invitati a inviare un messaggio vuoto a un indirizzo e-mail indicato per ricevere “un link per il download diretto e sicuro”.
In Iran, tale utilità è senza dubbio altrettanto preziosa, dato il fatto che i media ostili come la BBC e RFA dipingono un quadro totalmente unilaterale dei disordini in corso, inquadrando come pacifiche le azioni violente e incendiarie degli elementi anti-governativi, mentre ignorano completamente le manifestazioni popolari pro-governative di gran lunga più ampie.
Un altro punto di forza principale di Psiphon dal punto di vista del potere occidentale è che incanala tutti i dati degli utenti verso e attraverso server centralizzati di proprietà dell’azienda stessa.
Mentre le attività degli individui sulla rete potrebbero essere protette dagli occhi indiscreti del loro governo, Psiphon può tracciare i siti che visitano e le loro comunicazioni in tempo reale.
Ciò consente agli attori stranieri di tenere un occhio fisso addestrato sui manifestanti e sui movimenti di protesta e rispondere di conseguenza.
L’ingerenza di Psiphon in Iran è ormai una questione di pubblico dominio da lungo tempo. Nel 2013, l’azienda pubblicò un blog in cui salutava “particolarmente il grande impatto” che aveva avuto nel Paese, “in coincidenza con le elezioni presidenziali (iraniane)”.
Pur riconoscendo che Teheran “è sempre stata una grande sfida per noi”, Psiphon si vantava del fatto che il suo software “era rimasto disponibile” costantemente durante questo periodo, nonostante i ripetuti tentativi di “limitare fortemente” il funzionamento
Il fatto che nessuno di questi retroscena sia emerso in alcuno degli ossequiosi articoli mainstream su Psiphon è scioccante, ma non sorprendente.
Dopotutto, le testate giornalistiche occidentali stanno a beneficiare materialmente di un racket di protezione gestito dagli Stati Uniti che proietta in segreto la loro agitazione propagandistica a innumerevoli milioni di persone.
E diventando attivamente complici di un’operazione di “cambio di regime” da parte degli Stati Uniti, i giornalisti mainstream hanno meno probabilità di riconoscere la realtà di ciò che sta accadendo a Teheran, il perché e chi beneficia materialmente della destituzione del governo. Questo, comunque, è un sogno assurdo delle potenze occidentali.

*Giornalista investigativo e collaboratore di MintPresss News che esplora il ruolo dei servizi di intelligence nel plasmare la politica e le percezioni. Il suo lavoro è apparso precedentemente su The Cradle, Declassified UK, Electronic Intifada, Grayzone e ShadowProof. Seguitelo su Twitter @KitKlarenberg.

Dis-servizi discreti

Questo libro tenta di ricostruire l’evoluzione del sistema criminale integrato e di offrire al lettore la possibilità di studiare i meccanismi fondamentali sui quali si basa oggi il mondo delle relazioni internazionali.
L’Italia è un narcostato deviazionista, governato da un sistema illecito di potere che prende il nome di ”sistema criminale integrato”. Detto sistema è composto da servizi segreti, massoneria e criminalità organizzata.
Dagli omicidi di Falcone e Borsellino, il ”sistema Italia”, concernente finanza e mega aziende di Stato (al tempo ENI, Telecom e Finmeccanica), ha utilizzato le mafie, in primis la ‘Ndrangheta, per espandere la propria egemonia e rafforzare i rispettivi mercati, in un contesto di competizione atlantico e globalista.
La ‘Ndrangheta, così come i vari associazionismi criminali, è diventata massoneria oltre che proiezione della nostra intelligence, arrivando a conquistare competenze in materia d’antiterrorismo, di gestione delle emergenze sanitarie e della vita pubblica.
Le istituzioni e la politica hanno ceduto il passo al sistema criminale integrato, allo stesso modo dei principali Paesi europei appartenenti al blocco atlantico. L’Italia, tuttavia, conserva (per ora) una peculiarità: la ”Cosa Nuova”, l’entità criminale risultante dall’unione di tutti gli associazionismi per delinquere nostrani, è autonoma ed è gelosa delle sue prerogative, tanto da scontrarsi apertamente con l’intelligence degli Stati Uniti.

***

A seguire, un’estratto dall’intervista introduttiva all’autore Chris Barlati, contenuta nel testo.

Perché hai deciso di scrivere questo libro?
Sono oramai diversi anni che raccolgo informazioni. Forse quattro, non ricordo bene. Ho seguito da vicino le vicende di mafia, nello specifico di Cosa Nostra. Il primo lavoro è stato una tesi di laurea, in cui ho trattato la transizione della Prima Repubblica verso la Seconda, con un focus specifico su Mani Pulite e Tangentopoli. Ho potuto conoscere tanta gente e ascoltare tanti politici oltre che agenti speciali, giornalisti e massoni.
Col tempo ho iniziato a indagare per conto mio. Volevo scoprire chi avesse ucciso Falcone e
Borsellino, e credo di essere arrivato a una conclusione. Nomi e cognomi dei colpevoli sono tanti, poiché parliamo di una decisione imposta dall’alto, inevitabile, di cui erano consapevoli le stesse vittime, e che ha conosciuto l’approvazione, o meglio la tacita accettazione, di un numero incalcolabile di individui.

Chi sono i principali responsabili?
I colpevoli non sono solo gli apparati dei Servizi italiani, quelli che hanno premuto il bottone del dispositivo che fece saltare in aria, nei pressi di Capaci, un pezzo dell’autostrada A29. E non sono nemmeno gli ”utili idioti” dei corleonesi, un branco di esaltati ignoranti, manipolati a piacimento dalla massoneria angloamericana. I veri colpevoli sono gli Stati Uniti, che hanno preso accordi con l’intelligence italiana.
Più che intelligence, è corretto utilizzare la definizione di sistema criminale integrato (abbreviato SCI), poiché l’attentato vide il coinvolgimento delle imprese di Stato, del mondo della finanza, della politica e dell’economia (il famoso filone del Gruppo Ferruzzi). Anche la definizione di ”Servizi Segreti” non è corretta, poiché parliamo di una sezione maggioritaria che prese il nome di Falange Armata, e che agì di concerto con la criminalità organizzata e la massoneria ai danni dello Stato della Prima Repubblica, e per mero tornaconto corporativo/personale.

Insomma, un ”deep state” italiano?
Esatto.

Che ruolo ebbero Berlusconi e Andreotti?
Berlusconi poco c’entra in tutta questa faccenda, poiché il Cavaliere venne obbligato da Craxi a
”scendere in campo” per arrestare le rivendicazioni autonomiste della Falange. I politici della Prima Repubblica, in primis Andreotti, tentarono di mediare, di rimanere al potere, di impedire alla finanza statunitense ed alla CIA di imporre i propri uomini.
Inizialmente, dopo la caduta del muro di Berlino e l’inizio di Mani Pulite, i politici della Prima
Repubblica tentarono di eliminare l’apparato atlantico-mafioso, di smobilizzarlo, per ricostruirsi una verginità mai posseduta, ma quest’ultimo reagì. Andreotti si servì di Falcone, e Falcone ne era consapevole. Il sistema criminale integrato italiano era troppo grande, e non voleva farsi da parte, e contrattaccò imponendosi come potere decisionale, sentendosi tradito sia dalla propria classe politica che dall’intelligence statunitense (per le quali il Sistema criminale aveva trafficato). Vi sono anche ragioni storico-politiche internazionali che favorirono l’ascesa al potere non solo dell’intelligence italiana, ma di una sezione ben specifica che io chiamo Disservizio.
Il piano originario della massoneria, di cui faceva parte Cosa Nostra, prevedeva l’indipendenza del Sud Italia. Un piano del genere non poteva avvenire senza un consenso d’oltreoceano, essendo le basi NATO del nostro Meridione le più importanti del bacino Mediterraneo.
L’accordo tra Falange e massoneria statunitense (democratica e repubblicana) avrebbe previsto la divisione in due dell’Italia:
• Al Nord la finanza (massoneria democratica) avrebbe privatizzato le imprese e conquistato il
territorio sino a Roma.
• Al Sud l’apparato criminale (massoneria conservatrice), il Disservizio, avrebbe trasformato la
base dello Stivale nell’oasi della criminalità internazionale. Un piccola Svizzera, con paradisi
fiscali e assenza di qualsiasi codice punitivo antimafia.
Andreotti cercò di mettere insieme ciò che rimaneva della Prima Repubblica e di salvarne l’eredità (la politica dell’amante araba e dell’ipocrisia di Stato). Fu così che i vecchi dinosauri della Prima ora occuparono i ruoli ”strategici” nella gestione dei relativi mercati ”strategici”: Cossiga, D’Alema, De Gennaro, Violante, Scotti, ecc… . Ritroviamo detti personaggi alla guida delle mega aziende di Stato (Violante), nella vendita di armamenti e tecnologie ai paesi in via di sviluppo (D’Alema), e nella formazione universitaria del personale d’intelligence (Scotti).
Quelli che furono, e che per certi aspetti rimasero, alla guida del Paese, subito dopo Mani Pulite,
possiamo oggi definirli come i ”sopravvissuti”. Costoro, nonostante le passate differenze ideologiche, lavorarono armonicamente per garantire, nei limiti del possibile, l’interesse dei grandi marchi italiani e lo sviluppo della grande finanza di Stato, seppur in un marco chiaramente di matrice democratica, europeista ed atlantista.
Per ritornare al nostro discorso, il Divo Giulio tentò di resistere e di mitigare il trapasso verso un mundus novus; seppure Mani Pulite e Tangentopoli spazzarono via, senza alcuna pietà, DC e PSI. La politica della Prima Repubblica, nella sua componente fondamentale, dovette forzosamente scendere a compromesso con la Falange. Gli uomini di Andreotti, come il noto faccia da mostro, giocarono un ruolo prioritario nell’omicidio di Falcone e Borsellino, e non per chissà quale trama andreottiana, ma perché i due giudici eroi dovevano morire, proprio come Aldo Moro, per ordine d’oltreoceano.
I Servizi e gli USA avevano già deciso l’eliminazione di Falcone, e Andreotti dovette dar prova di
fiducia, crudeltà ed efficienza, così da spaventare e allo stesso tempo compiacere gli Stati Uniti. La bomba di Capaci manifestò la potenza che avrebbe potuto scatenare la Falange, la quale avrebbe potuto colpire, all’occorrenza, anche le basi NATO presenti in Sicilia e nel resto d’Italia.
Fu così che venne sancita la triangolazione tra Servizi Segreti italiani, la Seconda Repubblica e gli Stati Uniti d’America, suggellata con il sangue del giudice e della sua scorta.
Quello stato di deterrenza si mantiene ancor oggi. Più o meno.

Perché questo titolo? Cos’è il Disservizio di cui parli?
Dis-Servizio discreto fa riferimento a due concetti: il primo è quello di ”Servizio”. Il secondo è quello di ”segreto” (nel senso generico di segretezza).
Un Servizio è tale se agisce unicamente in funzione dello Stato. Poniamo un esempio.
Un uomo delle istituzioni, al pari di un pompiere, un carabiniere o un medico, attua, il più delle volte, con azioni violente per proteggere l’individuo e la collettività:
• In caso di incendio, un pompiere può e deve abbattere la porta di ingresso di una casa per
salvare il proprietario dalle fiamme e da morte certa.
• Un medico, nell’operare in condizioni di urgenza, deve lacerare le carni del paziente, strapparne gli indumenti, dunque danneggiare irreversibilmente la proprietà, l’estetica e l’integrità dei tessuti per evitarne il decesso.
• Un carabiniere, in caso di indiscutibile pericolosità, deve poter aprire il fuoco ed uccidere un
pericoloso delinquente.
Nessuno mai oserebbe denunciare un pompiere o un medico per avergli arrecato un ”danno”. A morte certa viene sempre preferito il male minore, sia esso una porta, una cicatrice o l’eliminazione di un pericoloso criminale.
La necessità muove l’azione di suddetti organismi dello Stato, e lo stesso vale per i Servizi. Non è la legalità, pertanto, il fondamento che giustifica l’operato dell’intelligence, ma la necessità che molto spesso, o quasi sempre, travalica i confini del legale, con omicidi, traffici e depistaggi di varia natura.
Qualora simili interventi vengano compiuti per il bene dell’Italia, si può parlare di Servizio vero e proprio, nel senso anche letterale di prestazione offerta nei riguardi del singolo e della collettività (appunto, servizio di pubblico interesse). Laddove le menzionate gesta danneggino la sovranità, l’autonomia e gli interessi dello Stato, non possiamo definire l’organismo in questione come un Servizio, ma l’opposto: un Disservizio. Un tumore, che divora dall’interno il Paese e le istituzioni al pari di un parassita.
Per quanto concerne il secondo punto, il concetto di segreto, dobbiamo dichiarare che un Servizio, in quanto tale, non può essere completamente ”segreto”. Se così fosse, sarebbe pericoloso, inservibile e alienato da ogni realtà. Un Servizio deve godere di canali di comunicazione con la politica, la società e il mondo esterno, poiché il suo compito principale è la raccolta informazioni, che consente l’intervento tempestivo delle autorità in caso di immediato pericolo.
Un certo grado di riservatezza è, quindi, necessario per la sicurezza dell’Istituzione e il benessere dei cittadini. In virtù di ciò, si giustificata l’apposizione del segreto di Stato.
Se non assolutamente occulto, un Servizio, per prestare un efficace ed efficiente ‘servizio’ alla
comunità, deve essere ”discreto”, in altre parole contenuto, moderato, conoscitore dei limiti, non invadente, presente e attivo nella prevenzione delle catastrofi.

E con rispetto a quanto accaduto in Italia?
Il Disservizio italiano, per dirla in breve, è il contrario del Servizio Segreto. E’ la parte militare del sistema criminale integrato, ed agisce non per la tutela dello Stato ma per la sua distruzione.
Arrivati a questo punto, dobbiamo introdurre il concetto di sistema criminale integrale di cui è parte il Disservizio, e che è composto da criminalità organizzata, massoneria ed intelligence. Detto così può sembrare strano, ma bisogna analizzare le tre componenti per capire di cosa si tratti.

Prego.
Nel libro inizio parlando del processo ‘Ndrangheta Stragista, nello specifico del primo grado di
giudizio, con alcuni brevi riferimenti ad altri processi ed inchieste. La storia della ‘Ndrangheta è esemplificativa di come un’organizzazione criminale organizzata raggiunga lo status di massoneria e poi, legalizzandosi, di potere decisionale. Per molti aspetti, la storia dell’Onorata Società è analoga a quella di Cosa Nostra statunitense che, da organizzazione malavitosa partita dalla Sicilia, arrivò negli Stati Uniti divenendo il fulcro della finanza criminale occidentale di Wall Street.

Cosa c’entra la criminalità organizzata calabrese con il Disservizio italiano?
Nella prima parte di questo libro parlerò del ruolo assunto dalla ‘Ndrangheta dopo gli anni della guerra allo Stato (guerra mossa dalla Falange contro la morente Prima Repubblica). Perdonerai la pretesa di verità delle mie affermazioni, ma vi sono circa 400 pagine per convincersi della validità delle argomentazioni a supporto delle mie tesi.
Dopo che Cosa Nostra agì per destabilizzare ciò che rimaneva della Prima Repubblica, la ‘Ndrangheta acquisì poco a poco il ruolo della Mano Nera. L’organizzazione calabrese venne iniziata nella massoneria democratica di stampo europeista e si trasformò in una mafia finanziaria legata alle grandi imprese di Stato quali Telecom, Finmeccanica ed Eni. La ‘Ndrangheta, in poche parole, seguendo una tendenza internazionale, si trasformò nel braccio armato dello Stato; di quello Stato oggi espressione dei granchi marchi privati, anima e corpo dei mercati strategici: petrolio, armi e telecomunicazioni.
Con la caduta del muro di Berlino, cambiò il paradigma della gestione della vita. La politica fu
sostituita dall’economia e con essa i principi condizionanti della società. Si inaugurò l’avvento di un mundus novus che avrebbe dovuto unire non solo la Germania, ma l’intera Europa sotto il comando di una finanza statunitense ed un esercito a stelle e strisce.

(…)

Ritorniamo al discorso ‘Ndrangheta e intelligence.
Nel secondo dopoguerra, Cosa Nostra gradualmente assunse funzioni di intelligence, trafficando uranio ed equipaggiamenti per conto dei Democristiani in Medio Oriente o nei paesi sotto embargo come l’Iran. Attualmente, la ‘Ndrangheta è una sezione autonoma, parte integrante del sistema criminale integrato italiano, che vede la partecipazione delle aziende di Stato e delle sezioni di intelligence ”formali”. Ritroviamo la ‘Ndrangheta nelle truffe Telecom, in Africa nelle miniere di uranio, diamanti e nei pozzi petroliferi dell’Eni, sino ad arrivare al finanziamento dei guerriglieri nel Continente nero per sottrarre risorse ad Inglesi e Francesi (i peggiori terroristi di sempre).
La notizia più sconcertante degli ultimi mesi ha riguardato il boss ”Brendo”, narcotrafficante bulgaro legato alla ‘Ndrangheta, condannato a 20 anni di carcere in Italia. Il criminale in questione ha ricevuto da Zelensky la cittadinanza ucraina, che gli ha garantito la mancata estradizione e la latitanza.

Spero di aver capito bene. La ‘Ndrangheta è una sezione dei nostri Servizi Segreti che agisce con funzioni di politica estera?
Assolutamente, sì. Oltre ad essere anche massoneria europeista e democratica (in buona parte), la ‘Ndrangheta condivide affiliazioni, addestramento e modus operandi delle associazioni Stay Behind. Le consorterie criminali da tempo si sono unite in un’unica entità, e ciò non è passato inosservato. Non si parla più da decenni di singole organizzazioni siciliane o calabresi, ma di una Cosa Nuova: un livello unicamente massonico.
Seppur formata da correnti alla volte in conflitto, la Cosa Nuova è viva e uno dei suoi capi dovrebbe essere Matteo Messina Denaro.

(…)

Il Disservizio è una realtà prettamente italiana?
Il Disservizio e il sistema criminale integrato esistono in tutti i maggiori paesi atlantici. In Italia, Stato e Sistema criminale sono due entità diverse, nei paesi del Nord Europea, invece, sono una cosa sola (notiamo una comprovata tendenza verso la reductio ad unum). Germania, Olanda e Belgio sono narcostati privi di definizioni antimafia, dove i loro servizi segreti si occupano, alla luce del sole, dei traffici internazionali di droga ed armi. A differenza di casa nostra, la loro classe politica evita direttamente di parlarne, la magistratura non procede a giudizio per mancanza di leggi, e i loro corpi di polizia ne sono consapevoli ma non si oppongono.
E’ possibile constatare le mie affermazione in vecchi giornali e articoli in lingua olandese e francese, ovviamente riportati a mo’ di fonte nelle pagine del libro, caduti nel dimenticatoio.
Molti credono che l’Italia sia un paese di fessi. Non lo dubito. Ma nulla da togliere alle popolazioni del Nord, rovinate da molti più anni e in modo irreversibile.
La loro popolazione non reagisce, poiché totalmente inebetita dalla televisione, da un’inesistente educazione e da costumi sociali volti all’utilizzo di droghe ed alcol. Mi spingo oltre: nemmeno conoscono cosa sia la mafia. La degenerazione raggiunta in termini di sviluppo dell’intelletto è
devastante. Malgrado studi e statistiche manipolate (prive di fondamento), basta dare una rapida lettura alle cronache di questi paesi per fasi un’idea della follia raggiunta. Succedono cose allucinanti, da ”favela” dell’America Latina.
Lo stesso copione si sta attuando anche qui in Italia, e sta funzionando alla grande.

Alcuni esempi concreti?
In Francia non esiste la definizione di mafia o di associazione per delinquere organizzato. Lì troviamo l’espressione ”banditismo”, che fa riferimento a sodalizi dis-organizzati accomunati esclusivamente dalla caratteristica di commettere una serie di reati in quanto tali. Per i francesi la mafia è tale solo in Italia, poiché in Francia i diversi gruppi criminali (stando alla loro opinione) sarebbero privi di coordinazione. Chi conosce un minimo le cronache d’oltralpe sa che tutto ciò non è vero, poiché la storia dei marsigliesi, della criminalità parigina e della Corsica lo dimostra.
La classe dirigente francese è riuscita ad eliminare dalla memoria e dalla coscienza dei cittadini le menzionate vicissitudini, con un lavoro di manipolazione del pensiero devastante.
Dal punto di vista istituzionale, la Francia scende quotidianamente a patti con la criminalità africana e marocchina. Non esistono corpi speciali antimafia e le relazioni documentali dei rispettivi corpi di intelligence sono riservati (le relazioni, invece, della nostra DIA sono pubbliche). Qualora qualche giornalista insorga, si nega prontamente l’evidenza, si accusa di complottismo, si cambia discorso, o si denuncia l’autore ribelle. Eppure, non mancano inchieste di corruzione che investono l’Eliseo ed i corpi di polizia.
In Germania le istituzioni denunciano e condannano per calunnia chi osa parlare di mafia, e si è arrivati, nientemeno, a negare la Strage di Duisburg, eseguita dalla ‘Ndrangheta nel 2007, definita a più riprese come una mera fantasia della stampa italiana. La Germania ha un patto con la ‘Ndrangheta, e poco a poco anche i giornalisti antimafia tedeschi hanno iniziato a capirlo.
Nel Regno Unito, in termini antimafia e di prevenzione degli illeciti, siamo ai limiti del ridicolo. Bambini di due anni aprono aziende che sono intestate a loro volta a persone che ancora non sono nate. ”Alì Babà”, ”Il ladro di galline”, ”truffatore” sono solo alcuni dei nominativi che ritroviamo nelle documentazioni ufficiali, necessarie per aprire un’impresa e riciclare denaro. Documentazioni che, badiamo bene, non vengono passate al vaglio dei controllori poiché fondate sulla ”buona fede”.
In Olanda e Belgio non ne parliamo. Meglio leggere direttamente quello che è riportato nei capitoli del mio libro, sennò non mi credete.

Ci sono prove di tutto ciò?
Assolutamente, sì. Vi sono autori che ne parlano da decenni, collaboratori di giustizia e una pletora di prove, documenti, testimonianze ed inchieste internazionali, che coinvolgono diversi Paesi e istituzioni. Il problema è un altro: se non esistono leggi e qualsiasi condotta viene permessa, come si può combattere il fenomeno mafioso?
In Belgio e Olanda non si contano gli scandali di corruzione concernenti le autorità di intelligence; e la parola mafia non viene mai citata. Quando si indaga su di un presunto associazionismo mafioso, arriva il fermo dagli uffici centrali con la giustificazione istituzionale di ”mancanza di interesse nazionale”. Te lo dicono pure in faccia che a loro la mafia non interessa. Anzi, le conviene. Poiché sono soldi che vengono investiti nelle loro banche e nelle loro economie.
Una piccola puntualizzazione. All’estero vengono preferiti gli immigrati agli autoctoni, poiché
facilmente manipolabili. E se si parla di organizzazioni criminali, ecco che si viene accusati di
razzismo.
Vi sono casi di minacce, censure e licenziamenti che hanno riguardato politici e giornalisti che hanno osato denunciare summenzionato degrado. Parliamo di esponenti politici di sesso femminile e di fede musulmana che sono stati accusati, in Olanda, di razzismo, e che sono state costrette a lasciare il Paese a causa di un accanimento delle istituzioni, che ha messo più volte a repentaglio la loro vita.
In Italia il modus operandi degli Stati del Nord si sta implementando inesorabilmente. Anche con la costituzione di una legione straniera di criminali provenienti prevalentemente dalla Nigeria.

E meno male che eravamo noi i mafiosi. In questo libro, comunque, sembra che tu prenda in
analisi solo la parte berlusconiana, per così dire, del sistema criminale integrato. Per quale
motivo?
La vera mafia oramai gravita attorno a ciò che si definisce erroneamente ”la sinistra”. Il Partito Democratico, Magistratura Democratica, ONG immigrazioniste, stampa e comunicazione de
benedettiana: sono loro il vero sistema criminale integrato proiezione degli Stati Uniti. Sono loro, o meglio i loro precedessori, che hanno ammazzato Falcone e Borsellino. Proiezione di questa corrente è Giorgio Napolitano, il nuovo referente del patto transatlantico tra Italia e Stati Uniti, uomo della CIA in Italia e primo massone comunista a volare negli USA con il visto presidenziale.
Non è un caso che, in materia di patto tra Stato e Mafia, Berlusconi e Napolitano siano alleati nella contro i giudici del processo sulla ”trattativa”; ed efferati nemici in politica nazionale.

Come te lo spieghi?
Ala conservatrice e ala progressista hanno pattato con i Disservizi italiani. Se uno dei due parla troppo e non sta ai patti, iniziano gli attentati. Il caso italiano andrebbe studiato bene, poiché permette di desumere delle leggi universali inerenti l’utilizzo di determinati mercati illeciti per l’avallo di operazioni parastatali. Berlusconi e la sua squadra sono partiti dal basso, per poi ascendere poco a poco competendo con un altro sistema criminale integrato, quello che direzionò gli omicidi di Falcone e Borsellino, e che possiamo ricollegare all’espressione democratica e sionista di Carlo De Bendetti, la tessera numero uno del Partito Democratico (la sigla ”democratico” ricorre sempre come definizione distintiva).
Il primo sistema criminale integrato in quanto tale, di natura finanziaria, è stato quello della mafia italoamericana. I mafiosi degli anni ’70 avevano raggiunto la perfezione: avevano legalizzato le loro strutture ed erano entrati nelle amministrazioni presidenziali passando per Wall Street. Le famiglie italoamericano agivano come veri e propri istituti di credito, ed avevano un potere lobbystico impressionante.
Cosa Nostra italiana, invece, raggiunse il livello finanziario grazie al mafioso e massone Stefano
Bontade, che venne ucciso da Totò Riina quando quest’ultimo decise di rubargli i contatti di cui
disponeva all’interno della massoneria. Un’informazione che pochi conoscono è che i vertici della ‘Ndrangheta appartenevano a Cosa Nostra, come quelli della Camorra, i particolare i casalesi, i cui massimi esponenti erano tutti membri di logge massoniche coperte.
Berlusconi fa la sua comparsa quando questo sistema misto di criminalità decide di prendere il potere, tradito sia dagli Stati Uniti che dai politici della Prima Repubblica.

Ci si attiva per l’indipendenza del Sud Italia, ma ecco che si arriva ad un accordo.
Piano originario della CIA era l’eliminazione del sistema criminale italiano, da sempre troppo
autonomo e imprevedibile, ma Cosa Nostra seppe giocare la carta della destabilizzazione delle basi NATO, che avevano il loro centro nevralgico in Sicilia, hot spot delle comunicazioni di tutto il
Mediterraneo. Alla Falange, pertanto, venne affidato lo status di curare l’intelligence, la futura
protezione dal terrorismo, nonché i mercati della droga e dell’immigrazione.
Berlusconi ebbe il compito di mediare tra la Falange Armata e la politica della Prima Repubblica, e ci riuscì, diventandone il referente. Ecco il famoso patto tra Stato e Mafia, meglio noto come ”accordo tra sistema criminale integrato, intelligence panmediterranea e statunitensi”.

(…)

Qual è la situazione attuale?
L’Italia è un narcostato e il Disservizio non sembra molto felice di muover guerra alla Russia.
Esistono legami tra il Disservizio e i mercati strategici russi (come per tutti del resto), ma, allo stesso modo, dalla guerra e dall’impoverimento del nostro Paese la super struttura criminale ha solo da guadagnarci, come dal contrabbando di armi che vengono inviate da Mario Draghi in Ucraina.
Concludendo, alcuni autori locali siciliani si sono attivati nel denunciare una presunta e remota
possibilità che gli abitanti/criminalità dell’Isola, a causa delle alte temperature e del cambio climatico, potrebbero perdere la testa, chiedere armi a Putin ed iniziare un conflitto per l’indipendenza della Sicilia.
Quanto enunciato può sembrare un sintomo inequivocabile di pazzia, ma ci sono articoli consultabili in internet che riportano esattamente ciò che vi sto raccontando. Dette ”pazzie” altro non sono, stando a scienza d’intelligence e antimafia, che un messaggio rivolto alle organizzazioni criminali; messaggio che le intima ad occuparsi solo ed esclusivamente di contrabbandare armi in un’unica direzione, pena nuove confessioni di collaboratori di giustizia, blitz ed arresti improvvisi. Personalmente, interpreto il tutto come un avvertimento diretto a Cosa Nostra più che a Cosa Nuova nella sua totalità, considerate le passate distensioni del Movimento 5 Stelle nei confronti di Matteo Messina Denaro e del sistema criminale integrato.

Pronostici per il futuro?
L’Italia è condannata ad essere un narcostato per colpa degli Stati Uniti, che hanno creato e finanziato dalla Seconda guerra mondiale ad oggi una contraddizione di per sé già esistente, per limitare la sovranità italiana e la realizzazione di una vera democrazia (i numerosi patti tra USA e mafia).
In questi ultimi anni, il governo 5 Stelle ha stipulato da qui al prossimo futuro l’acquisto di numerosi aerei spia statunitensi, dotati di programmi di spionaggio israeliani, che dovrebbero viaggiare ininterrottamente 24 ore al giorno per intercettare e decriptare informazioni di natura digitale al fine di prevenire eventuali minacce terroristiche. Allo stesso tempo, i 5 Stelle sono stati i primi ad aprire le porte al 5G cinese.
Ex esponenti dei mondi massonici conservatori li ritroviamo a scrivere articoli contro succitata totale acquisizione dei mercati di intelligence da parte degli israeliani, ma non per ciò che attiene il 5G, attaccato da altri schieramenti (un assurdo controsenso).
L’Italia sarebbe dovuta diventare il punto di equilibrio iperbolico delle relazioni internazionali in termini di spionaggio tra Oriente e Occidente, come dimostra il livello estremo di contraddizioni raggiunto tra strutture democratiche e conservatrici, amiche e nemiche, a seconda delle circostanze, di Russia e Cina.
Questo bilanciarsi venne meno con Mario Draghi, che impose di fatto l’esclusivo controllo degli
apparati italici in direzione della sezione democratica statunitense.
Non vedo futuro, a meno che non si decida di occupare le basi NATO. Ma credo che prima salteranno in aria il Colosseo e la Torre di Pisa. Vox populi sostiene che i missili nucleari israeliani siano puntati sui nostri patrimoni storici e artistici. Che speranza possiamo mai avere di essere liberi?
Solo con la conquista dell’Europa e del mondo da parte di Cina e Russia potremmo sperare nella costituzione di un governo sovrano e indipendente. O almeno, nel peggiore dei casi, in una condizione di dignitosa sottomissione.

La lezione francese

Conoscere è distinguere.
(H. von Foerster)

L’opposizione fittizia e il nuovo soggetto politico in Italia

La recente rielezione politica di Emmanuel Macron a presidente della Francia (con un 28% circa di astenuti tra gli aventi diritto al voto), se da un lato ci dimostra l’enorme e incontrastato (finora) potere dei media, nel manipolare l’opinione pubblica a favore dell’élite al governo (cosa resa possibile dal loro monopolio dell’informazione e della disinformazione, quest’ultima particolarmente grave in Italia), dall’altro porta nuovamente alla ribalta anche un fenomeno relativamente recente, che conviene prendere in considerazione.
Mai come oggi, infatti, l’opposizione fittizia (d’ora in poi: OFI) ha fatto così tanti danni come la, e anzi più della, grandine. Milioni di persone per mesi e mesi nelle strade e nelle piazze di Francia e nessuna formazione, spontanea o organizzata, di un nuovo soggetto politico: un partito, un movimento di massa, una coalizione, un fronte unito ecc. Come è stato possibile? Un recente articolo di Claude Janvier ci aiuta a capire meglio la realtà .
A dispetto del fatto che la politica economico-sociale di Macron sia stata, nei passati 5 anni della sua presidenza, dice Janvier, «una catastrofe» per i suoi effetti sulla popolazione civile (aumento della disoccupazione, diminuzione del PIL, aumento dell’inflazione, crisi degli alloggi ecc.), una parte consistente dell’elettorato ha votato per lui. Come si spiega questo fatto? Continua a leggere

La geopolitica vaccinale strumento di controllo USA sull’Europa

“La geopolitica vaccinale, con il dominio semi-monopolistico del gruppo Pfizer (amministrato da un “good friend” di Joe Biden, l’ebreo “greco” Albert Bourla) sull’Occidente, al pari del colpo di Stato atlantista in Ucraina nel 2014, si è dimostrata uno strumento assai efficace per riaffermare il controllo nordamericano sull’Europa. E lo stesso avvento al potere in Italia (tra il giubilo della quasi totalità della classe politica e del mondo dell’informazione generalista) dell’ex banchiere di Goldman Sachs Mario Draghi (già in ottimi rapporti con l’avanguardia politico-economica dell’atlantismo, il Gruppo Bilderberg creato da CIA ed MI6) deve necessariamente essere interpretato alla luce di questi fatti. Il suo ruolo è sì quello di “curatore fallimentare” di uno Stato in evidente sfacelo socioeconomico ed ormai privo di qualsiasi autonomia strategica. Tuttavia, allo stesso tempo, questo “curatore” deve fare in modo che le rimanenti risorse italiane vengano (s)vendute in modo corretto; e che tale (s)vendita avvenga in modo controllato e concentrando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’invasività dell’evento pandemico con tutte le sue sfaccettature: dal certificato verde al corollario di scienziati (o pseudo tali) che dicono tutto ed il contrario di tutto, fino alla sterilissima polemica novax/provax che evita scientemente di rimarcare il portato geopolitico dell’affermazione di un modello di capitalismo della sorveglianza che si presenta come naturale evoluzione del modello occidentale (quello impiantato in Europa dopo il 1945) e non come instaurazione di un qualcosa ad esso estraneo.

Non sorprende che, dal momento del suo insediamento, il governo Draghi (spinto anche dal ministro ultratlantista della Lega Giancarlo Giorgetti) abbia utilizzato lo strumento del Golden Power ben tre volte per evitare l’acquisizione da parte di gruppi cinesi di aziende italiane che operano in specifici settori. L’ultimo caso è quello della Zhejiang Jingsheng Mechanical, alla quale è stato impedito di acquisire il ramo italiano di Applied Materials, azienda che opera nel settore dei semiconduttori. Nel marzo del 2021, sempre nel settore dei microchip, aveva impedito l’acquisizione del 70% di Lpe da parte del gruppo Shenzen Invenland Holding, mentre ad ottobre il Golden Power era stato esercitato per impedire gli sforzi del colosso agrochimico Syngenta per assumere la guida del gruppo agroalimentare romagnolo Verisem.

Al contempo, il governo italiano non ha palesato nessuna particolare preoccupazione di fronte al tentativo di acquisizione di TIM da parte del fondo nordamericano KKR & Co. Cofondatore del gruppo è l’ebreo statunitense Henry Kravis, ben inserito nel già citato Gruppo Bilderberg (insieme ai proprietari dell’importante gruppo editoriale italiano GEDI). Non c’è da stupirsi se al KKR fa riferimento anche l’Axel Springer Group, che possiede i giornali tedeschi (apertamente anticinesi) Die Welt e Bild. Inoltre, non è da dimenticare il ruolo che all’interno dello stesso KKR ha avuto l’ex generale e direttore della CIA David Petraeus e la partecipazione del gruppo al programma Timber Sycamore di finanziamento e assistenza logistica dei “ribelli” siriani.

Così come non vi è stato nessun particolare sussulto di orgoglio nel momento in cui Fincantieri, fermata da un patto anglo-australiano che ha fatto da apripista al più celebre (ed allargato agli USA) AUKUS, ha perso una commessa di 23 miliardi per la fornitura di fregate Fremm alla Royal Australian Navy.

Il ruolo di Draghi come agente degli interessi atlantisti in Europa è di lunga data. Quando era guida della BCE, il suo compito fu quello di contrastare la potenza della più grande banca centrale europea, la Bundesbank. L’obiettivo, neanche troppo velato, era quello di porre un freno al “problema” del surplus commerciale tedesco che costituiva un fattore indesiderato di non poco rilievo nel progetto di riaffermazione dell’egemonia nordamericana sull’Europa. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’appoggio statunitense alla creazione di una moneta unica europea venne garantito proprio dalla speranza che costringere la Germania a rinunciare al Marco potesse impedirne un eccessivo rafforzamento. Al contrario, Berlino è stata comunque capace di creare un enorme ed integrato blocco manifatturiero che include tutte le regioni industriali vicine ai confini tedeschi. Ha approfittato e tratto vantaggi notevoli dai cambi depressi rispetto all’Euro vigenti nei Paesi dell’est ed ha scaricato su di essi e sull’area mediterranea il costo della moneta unica, favorendo al contempo le esportazioni tedesche.

In questa operazione di controllo della Germania (sia in termini di eccessivo potere all’interno dell’Europa che in termini di aspirazioni alla costruzione di un rapporto privilegiato con la Russia) deve essere inserito anche il recente Trattato del Quirinale tra Francia e Italia sotto la supervisione del Segretario di Stato USA Antony Blinken. A questo proposito è bene sottolineare il fatto che il ruolo di ago della bilancia tra Germania e Francia era stato storicamente riservato alla Gran Bretagna. Nel corso dei secoli, il Regno Unito si è alleato a seconda della propria convenienza con l’una o l’altra sempre al preciso scopo di impedire una reale unificazione continentale: ciò che le potenze talassocratiche (Regno Unito prima e Stati Uniti poi) hanno sempre considerato come una minaccia esistenziale nei confronti dei rispettivi disegni egemonici.

Oggi, dopo la Brexit (nonostante la Gran Bretagna continui ad esercitare il suo nefasto ruolo in diversi teatri, dalla Polonia all’Ucraina), si è voluto attribuire questo compito all’Italia di Mario Draghi, che, assieme alla Francia, eserciterà anche un ruolo di controllo all’interno del Mediterraneo per fare in modo che l’egemone reale possa concentrare i propri sforzi nel contenimento della Cina (sempre più capace di intervenire anche nel “cortile interno” degli USA, come dimostrato dall’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Taiwan e Nicaragua). Nell’articolo 2 del Trattato si legge: “le Parti s’impegnano a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate, sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature, e a sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ogni qual volta i loro interessi strategici coincidano. Così facendo, esse contribuiscono a salvaguardare la sicurezza comune europea e rafforzare le capacità dell’Europa della Difesa, operando in tal modo anche per il consolidamento del pilastro europeo della NATO”.

Di fatto, il Trattato del Quirinale altro non è che l’ennesima biforcazione interna alle strutture di potere dell’atlantismo.”

Da Geopolitica del draghismo, di Daniele Perra.

L’Occidente, simulacro di libertà

L’Occidente ha cercato con ogni mezzo di mettere a tacere i cittadini che ne hanno rivelato la reale politica del dopo-11 Settembre e che vi si sono opposti.

Nel 2002 pubblicavo L’Effroyable imposture [L’incredibile menzogna, ed. Fandango], un saggio di scienze politiche di denuncia della versione ufficiale degli attentati di New York, Washington e Pennsylvania, nonché di anticipazione della nuova politica USA che ne sarebbe seguita: sorveglianza generalizzata dei cittadini e dominio sul Medio Oriente Allargato. Dopo un articolo del New York Times, che si stupiva del mio impatto in Francia, il dipartimento USA della Difesa incaricò il Mossad di eliminarmi. Il presidente Jacques Chirac, dopo aver fatto verificare all’Intelligence le mie tesi, prese le mie difese. In un colloquio telefonico, Chirac informò il primo ministro israeliano Ariel Sharon che ogni atto contro di me, eventualmente compiuto non solo in Francia ma ovunque nel territorio dell’Unione Europea, sarebbe stato interpretato come atto ostile alla Francia. Il presidente incaricò inoltre un suo collaboratore di occuparsi del mio caso e d’informare gli Stati non-europei che mi avessero invitato che avrebbero dovuto assumersi la responsabilità della mia sicurezza. In effetti in tutti i Paesi dove tenni conferenze mi venne assegnata una scorta armata.

Nel 2007 Nicolas Sarkozy successe al presidente Chirac. Secondo l’alto funzionario incaricato da Chirac della mia sicurezza, il nuovo presidente aderì alla richiesta di Washington di ordinare alla DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure, Direzione Generale per la Sicurezza Esterna, ndt) di eliminarmi. Avvisato, senza indugio feci le valige e lasciai la Francia. Due giorni dopo arrivai a Damasco, dove mi venne assegnata la protezione di Stato.

Alcuni mesi dopo decisi di trasferirmi in Libano e di accettare la proposta di realizzare una trasmissione settimanale in francese su Al-Manar, canale televisivo dello Hezbollah. Il progetto non fu mai realizzato. Al-Manar rinunciò a trasmettere in francese, sebbene fosse lingua ufficiale del Libano. Fu allora che la ministra francese della Giustizia, Michèle Alliot-Marie, emise una rogatoria contro di me, prendendo a pretesto l’accusa di diffamazione di un giornalista che contro di me già aveva scritto un libro. Da trent’anni non c’erano più state richieste giudiziarie di questo tipo indirizzate al Libano. La polizia mi consegnò una convocazione da cui potei desumere che secondo il diritto francese la rogatoria non aveva alcun fondamento. Lo Hezbollah mi protesse e mi resi irreperibile. Pochi mesi dopo, in seguito al tentativo del primo ministro libanese Fouad Siniora di disarmare la Resistenza, lo Hezbollah rovesciò i rapporti di forza. Mi presentai quindi al giudice, applaudito dalla polizia che solo tre giorni prima mi ricercava. Il giudice mi comunicò che Alliot-Marie aveva aggiunto di proprio pugno sulla rogatoria la richiesta all’omologo libanese di arrestarmi e tenermi in prigione il più a lungo possibile, frattanto che la vicenda avrebbe seguito il suo corso in Francia. Era il medesimo principio soggiacente alle lettres de cachet [lettere che recavano un ordine del re, chiuse con il suo sigillo, ndt] dell’Ancien Régime: la facoltà d’imprigionare senza processo gli oppositori politici. Il magistrato mi lesse la rogatoria e m’invitò a rispondere per iscritto. Nella replica precisai che, secondo il diritto francese nonché libanese, l’articolo incriminato era prescritto da tempo e che in ogni caso non era affatto diffamatorio. Copia della lettera della ministra Alliot-Marie e della mia risposta furono depositate alla Corte di Cassazione di Beirut.

Alcuni mesi dopo fui invitato a una cena organizzata da un’alta personalità libanese. Vi partecipava anche un collaboratore del presidente Sarkozy, di passaggio in Libano. Ci confrontammo duramente sui rispettivi concetti di laicità. Questo signore assicurò ai convitati di non volersi sottrarre al dibattito, ma subito si congedò per prendere un aereo e rientrare all’Eliseo. Il giorno successivo ero convocato da un giudice per un problema amministrativo: quando mi trovavo a non più di due minuti d’auto dal luogo dell’appuntamento, il gabinetto del principe Talal Arslane mi avvertì telefonicamente che secondo lo Hezbollah stavo per cadere in una trappola e che dovevo immediatamente invertire la rotta. Risultò poi che quel giorno, anniversario della nascita di Maometto, i funzionari, salvo alcune eccezioni, non erano al lavoro. In compenso, sul posto c’era una squadra della DGSE incaricata di prelevarmi e consegnarmi alla CIA. L’operazione era stata organizzata dal consigliere presidenziale con cui avevo cenato la sera prima.

Seguirono numerosi altri tentativi di uccisione, di cui mi fu difficile stabilire il mandante.

Per esempio, durante una conferenza al ministero della Cultura del Venezuela, la guardia del presidente Chàvez mi raggiunse sul palco da cui parlavo. Un ufficiale mi prelevò di forza e mi spinse verso le logge. Ebbi soltanto il tempo di vedere nella sala uomini estrarre le armi. Due fazioni si minacciavano a vicenda. Uno sparo e sarebbe stata una carneficina. Altro fatto, pure accaduto a Caracas: fui invitato con il mio compagno di battaglie a una cena. Quando ci portarono i piatti, constatai che il mio era stranamente meno abbondante degli altri. Sicché, con discrezione, lo scambiai con quello del mio compagno, che aveva poco appetito. Rientrati in albergo, il mio amico fu improvvisamente preso da convulsioni, perse conoscenza, si rotolò a terra con la bava alla bocca. All’arrivo, i medici furono categorici: quest’uomo è stato avvelenato. Fu salvato in tempo. Due giorni dopo una delegazione di una decina di ufficiali in alta uniforme della SEBIN (servizi segreti) venne a scusarsi e a dirci che era stato identificato l’agente straniero che aveva organizzato l’operazione. Il mio amico, costretto in carrozzina, impiegò sei mesi a rimettersi.

In una fase successiva, cominciata nel 2010, gli attacchi contro la mia persona videro sempre coinvolti degli jihadisti. Un esempio: un discepolo dello sceicco Ahmed al-Assir tese un’imboscata al mio compagno di battaglie e tentò di ucciderlo. Fu salvato da un intervento del PSNS [Partito Nazionalista Sociale Siriano, ndt]. L’aggressore fu arrestato dallo Hezbollah, consegnato all’esercito libanese, giudicato e infine condannato.

Nel 2011 la figlia di Muammar Gheddafi, Aisha, m’invitò in Libia. Mi aveva visto su una televisione araba concionare contro il padre. Voleva che andassi in Libia per constatare quanto fosse errato il mio giudizio. Accettai l’invito. Un passo dopo l’altro finii con l’unirmi al governo libico e venni incaricato di preparare l’intervento all’Assemblea Generale dell’ONU. Quando la NATO attaccò la Jamahiriya Araba Libica mi trovavo all’hotel Rixos, dove alloggiava la stampa straniera. La NATO esfiltrò i giornalisti che collaboravano con l’Alleanza, ma non riuscì a evacuare quelli che si trovavano al Rixos, difeso da Khamis, il figlio più giovane di Gheddafi. Quest’ultimo si trovava nell’interrato dell’hotel, i cui ascensori erano stati sbarrati. Gli jihadisti libici, che in seguito formeranno l’Esercito Siriano Libero comandati da Mahdi al-Harti e inquadrati da soldati francesi, assediarono l’hotel, uccidendo chi s’avvicinava alle finestre.

Alla fine, la Croce Rossa Internazionale ci prelevò e ci portò in un altro hotel, ove si stava formando il nuovo governo. Quando arrivammo all’albergo due Guardiani della Rivoluzione iraniani mi vennero incontro: erano stati mandati dal presidente Mahmud Ahmadinejad e dal vicepresidente Hamid Baghaie per mettermi in salvo. Le autorità iraniane erano in possesso di un rapporto su quanto deciso in una riunione segreta della NATO a Napoli, che prevedeva tra l’altro che venissi ucciso al momento della presa di Tripoli. Il documento attestava che al summit era presente il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, amico di mio padre. In seguito la segreteria di Juppé sosterrà che la riunione non ebbe luogo e che il ministro quel giorno si trovava in vacanza. Credendo risolto il problema, i Guardiani della Rivoluzione lasciarono la Libia. Ma in città era stato distribuito un manifestino con le foto di dodici persone ricercate: 11 libici e io. Un gruppo di “ribelli” iniziò a perquisire l’hotel per cercarmi. Dapprima fui salvato da un giornalista di RT, che mi nascose in camera sua e si rifiutò di fare entrare i “ribelli”, poi da altri colleghi, fra cui una giornalista di TF1. Dopo peripezie di ogni genere, dalle quali riuscii a uscire vivo svariate decine di volte, con altre quaranta persone fuggii come un clandestino a bordo di un piccolo peschereccio che navigava verso Malta, in mezzo a navi da guerra della NATO. A La Valletta ci attendevano il primo ministro e gli ambasciatori dei Paesi dei miei compagni di viaggio. Di tutti i Paesi tranne che della Francia.

Quando in Siria ebbe inizio la “primavera araba”, ossia l’operazione segreta dei britannici per piazzare al potere i Fratelli Mussulmani, come un secolo prima avevano fatto con i wahabiti, tornai a Damasco per aiutare chi mi aveva accolto quattro anni prima. Ovviamente ho corso più volte il rischio di morire, ma era la guerra. In un’occasione però fui bersaglio diretto degli jihadisti. Durante uno degli attacchi a Damasco, i “ribelli”, ufficialmente sostenuti dal presidente François Hollande, tentarono di assaltare la mia abitazione. L’esercito siriano installò sul tetto un mortaio e li respinse: un centinaio di “ribelli” contro cinque soldati. Ma dopo tre giorni ininterrotti di combattimenti i “ribelli” dovettero ritirarsi. Tra loro non c’erano siriani, solo pakistani e somali senza addestramento militare. Mi ricordo che prima di scagliarsi contro la casa cantavano ripetutamente e istericamente «Allah Akbar!». Ancora oggi, quando sento questo nobile grido mi viene la pelle d’oca.

Nel 2020 sono tornato in Francia per riunirmi alla famiglia. Molti miei amici mi avevano assicurato che, a differenza dei due predecessori, il presidente Emmanuel Macron non ricorreva agli assassinii politici. Ciononostante non godetti dei diritti di uomo libero. La dogana ricevette una segnalazione che il container marittimo che trasportava le cose personali mie e del mio compagno conteneva esplosivi e armi. Intercettarono il container e inviarono una quarantina di agenti a perquisirlo. Era una trappola di un servizio straniero. La dogana consentì a una società di riprendersi la merce contenuta nel container: impiegarono due giorni, il container fu saccheggiato, le nostre cose distrutte, i documenti spariti.

Il mio non è un caso isolato. Quando svelò il sistema Vault 7, che permette alla CIA di entrare in qualsiasi computer o telefono portatile, Julian Assange divenne bersaglio degli Stati Uniti. Il direttore della CIA Mike Pompeo orchestrò, con l’assenso del Regno Unito, diverse operazioni per rapire o uccidere Assange. E quando Edward Snowden pubblicò moltissimi documenti che attestavano come la NSA violasse la vita privata dei cittadini, tutti i Paesi membri della NATO si coalizzarono contro di lui. La Francia, credendo che Snowden fosse a bordo dell’aereo del presidente della Bolivia Evo Morales, si spinse sino a chiudere il proprio spazio aereo. Oggi Snowden è rifugiato in Russia.

La libertà non abita più in Occidente.

Thierry Meyssan

Consulente politico, presidente-fondatore della Rete Voltaire, l’ultima opera in italiano di Thierry Meyssan è Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba”. Dall’11 settembre a Donald Trump, Edizioni La Vela, 2018.

(Fonte)

Il gruppo di intelligence militare da “film di spionaggio” al centro dell’offensiva per il passaporto vaccinale in USA

Di Jeremy Loffredo e Max Blumenthal per The Grayzone, 26 Ottobre 2021

Descritta come “l’organizzazione più importante di cui non avete mai sentito parlare”, MITRE fa soldi a palate con enormi contratti statali per la fornitura di servizi per la sicurezza facendo da pioniere nella tecnologia di spionaggio invasiva. Ora è alla base di una campagna per implementare i passaporti vaccinali digitali.

Mentre i passaporti vaccinali sono stati commercializzati come una manna per la salute pubblica, promettendo sicurezza, riservatezza e convenienza per coloro che sono stati vaccinati contro il Covid-19, il ruolo cruciale che sta svolgendo un’ambigua organizzazione di intelligence militare nella spinta all’implementazione del sistema in forma digitale ha sollevato serie preoccupazioni per le libertà civili.

Conosciuta come MITRE, l’organizzazione è una società senza scopo di lucro guidata quasi interamente da professionisti dell’intelligence militare e sostenuta da ragguardevoli contratti con il Dipartimento della Difesa, l’FBI e il settore della sicurezza nazionale.

Lo sforzo “per espandere i passaporti vaccinali con codice QR al di là di Stati come la California e New York” ruota ora attorno a una partnership pubblico-privata nota come Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (Vaccine Credential Initiative, VCI). E il VCI ha riservato a MITRE un ruolo determinante nella sua coalizione

Descritto da Forbes come un “laboratorio misterioso [di ricerca e sviluppo]” che è “l’organizzazione più importante di cui non avete mai sentito parlare”, MITRE ha sviluppato alcune delle tecnologie di sorveglianza più invasive usate ad oggi dalle agenzie di spionaggio statunitensi. Fra i suoi prodotti più innovativi c’è un sistema creato per l’FBI che cattura le impronte digitali delle persone dalle immagini inserite sulle piattaforme delle reti sociali.

La coalizione paravento per il COVID-19, di cui fa parte la stessa Mitre, include In-Q-Tel, il ramo finanziario della CIA, e Palantir, un’azienda di spionaggio privata macchiata da scandali.

Elizabeth Renieris, il direttore fondatore dei laboratori di etica per la tecnologia di Notre Dame e della IBM, ha avvertito che “sebbene le società tecnologiche e di sorveglianza che dominano i mercati” come MITRE “perseguano nuovi flussi di ricavi nei servizi sanitari e finanziari… essendo di proprietà privata e avendo operato sui sistemi di identificazione digitale con modelli di business tesi alla massimizzazione dei profitti minacciano la riservatezza, la sicurezza e altri diritti fondamentali degli individui e delle comunità”.

Infatti, il coinvolgimento dell’apparato di intelligence militare nello sviluppo di un sistema di passaporto vaccinale digitale è l’ennesima indicazione del fatto che dietro la parvenza delle preoccupazioni per la salute pubblica, lo Stato di sorveglianza degli Stati Uniti potrebbe avere in programma di aumentare il suo controllo su una popolazione sempre più recalcitrante.

L’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, un veicolo neoliberista consigliato da professionisti dell’intelligence militare

Come dettagliato nella prima puntata di questa serie, gli  oligarchi dell’alta tecnologia come Bill Gates e centri nevralgici per la politica capitalista a livello globale come il World Economic Forum hanno mandato avanti sistemi  di identificazione digitale  e di  valuta elettronica in tutto il Sud del mondo per raccogliere dati e profitti da popolazioni che in precedenza erano fuori portata.

L’avvento dei passaporti vaccinali che forniscono accesso all’occupazione lavorativa e alla vita pubblica è diventato il vettore chiave per accelerare la loro agenda in Occidente. Come la  società di consulenza finanziaria, Aite-Novarica, dichiarò questo settembre, i passaporti  vaccinali digitali per il COVID-19 “espandono  gli argomenti a favore del sistema di identificazione digitale  oltre la sola vaccinazione COVID-19 e potenzialmente servono sia come sistema di identificazione  digitale che come fonte più completa e universale di informazioni sull’identità…”.

Sebbene i passaporti vaccinali escludano milioni in tutto l’Occidente, suscitando proteste furiose e scioperi selvaggi, il World Economic Forum sta lavorando con i suoi partner per implementarli in forma digitale.

Guidato dall’economista tedesco Klaus Schwab, che dice di essere propugnatore di una “Quarta rivoluzione industriale” che sta cambiando il modo in cui le persone “vivono, lavorano e si relazionano gli uni agli altri”, il World Economic Forum (Forum Economico Mondiale) è una rete internazionale di alcuni dei più ricchi e politicamente potenti individui del pianeta. Con sede a Davos, in Svizzera, il World Economic Forum si posiziona come punto di riferimento del capitalismo globale.

A Gennaio del 2021, diversi partner del World Economic Forum,  compresi Microsoft, Oracle, Salesforce e altre multinazionali, annunciarono una coalizione per lanciare l’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (Vaccine Credential Initiative, VCI), che mira a istituire passaporti vaccinali basati su codice QR negli Stati Uniti.

L’obiettivo dichiarato dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini è quello di implementare un’unica “tessera sanitaria SMART” che possa essere riconosciuta “oltre i confini organizzativi e giurisdizionali”.

Negli USA, alcuni Stati stanno già distribuendo tessere digitali sanitarie SMART sviluppate dall’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini. Queste tessere sanitarie SMART hanno posto le basi per uno standard nazionale di fatto riguardante le credenziali sui vaccini.

Un’organizzazione no-profit istituita dalla Rockfeller Foundation e denominata The Commons Project sta guidando la campagna di lobbying per le smart card digitali attraverso l’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini che ha co-fondato. E si dà il caso che il direttore generale di Commons Project, Paul Meyer, sia stato allevato nell’ambito del World Economic Forum come un “giovane leader”.

In qualità di volto pubblico dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, Meyer propugna l’agenda della campagna di lobbying nel linguaggio dell’inclusione progressista, martellando costantemente su temi come la “responsabilizzazione” nelle comunicazioni pubbliche.

“L’obiettivo dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini è facilitare alle persone   l’accesso digitale ai registri sul loro status vaccinale in modo che possano usare strumenti come Common Pass per tornare in sicurezza a viaggiare, lavorare, ad andare a scuola e alla loro vita, proteggendo al contempo la riservatezza dei loro dati”, sosteneva Meyer.

In un comunicato stampa che annunciava la creazione dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, MITRE faceva eco al linguaggio preoccupato di Meyer, dichiarando di aver aderito alla partnership “per garantire che le popolazioni svantaggiate abbiano accesso a questo tipo di verifica sul vaccino digitale.”

Ma cos’è MITRE, e perché un’organizzazione nota per la sorveglianza di massa e la tecnologia militare potrebbe essere al centro di un’iniziativa che offre la possibilità di un monitoraggio senza precedenti della popolazione globale? L’organizzazione non ha risposto alle domande inviate via e-mail da The Grayzone sulla sua partecipazione all’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, comunque, la sua storia documentata genera inquietanti pensieri.

Collaborazione nelle guerre al Vietnam e alla marijuana, sviluppo di tecnologia di spionaggio “straordinariamente agghiacciante”

Con sede nel nord della Virginia, MITRE è un think tank di esperti di intelligence militare finanziato per 2 miliardi di dollari l’anno da agenzie governative USA, compreso il Dipartimento della Difesa. È guidato quasi interamente da ex funzionari del Pentagono ed ex agenti dei servizi segreti.

MITRE fu fondato nel 1958 come progetto congiunto della US Air Force (Aeronautica militare statunitense) e del Massachusetts Institute of Technology (MIT) per sviluppare sistemi di “comando e controllo” per la guerra nucleare e convenzionale, come la rivista Science and Revolution metteva in evidenza.

Nel 1963, MITRE selezionò un giovane brillante linguista del MIT chiamato Noam Chomsky, per assistere allo “sviluppo di un programma per formare un linguaggio naturale che avesse funzione di linguaggio operativo per il comando e il controllo”. Dopo alcuni anni di lavoro su progetti come questi, Chomsky disse: “Non potevo più guardarmi allo specchio” e si lanciò nell’attivismo contro la guerra.

Alla fine degli anni ‘60, MITRE disse che “stava impegnando quasi un quarto delle sue risorse totali per i sistemi di comando, controllo e comunicazione necessari alla condotta del conflitto in Vietnam.”

La società finanziata da fonti militari venne presa di mira dagli attivisti contro la guerra quando sviluppò una “recinzione elettronica” composta principalmente di acustica e sensori progettati per localizzare i movimenti dei Vietcong e delle truppe nordvietnamite in modo tale che i militari statunitensi potessero prenderli di mira per distruggerli.

Inoltre alla fine degli anni ‘60, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America stipulò un contratto con MITRE per condurre una campagna di sradicamento aereo della cannabis in Messico. MITRE consigliò agli agenti statunitensi di spruzzare ampi tratti della campagna messicana con un erbicida tossico chiamato paraquat, che veniva descritto come sicuro sulla base di una discutibile interpretazione dei test sugli animali. Quando il Dipartimento di Stato perseguì la strategia consigliata da MITRE, le coltivazioni alimentari divennero contaminate e la salute delle comunità contadine locali fu messa in pericolo.

Nel frattempo, la marijuana cominciò ad arrivare nelle strade americane inzuppata di paraquat, innescando una causa legale contro il Dipartimento di Stato da parte della Organizzazione Nazionale per la Riforma delle Leggi sulla Marijuana la quale sosteneva che l’erbicida avesse causato malattie respiratorie fra i fumatori di marijuana. Quando il Dipartimento di Stato perse la causa, accordò a MITRE un contratto di 255.211 dollari per produrre uno studio d’impatto sull’irrorazione di paraquat che in conclusione consigliava i fumatori di marijuana di mitigare gli effetti dell’erbicida consumandola con pipe ad acqua o sotto forma di dolcetti.

In anni recenti, MITRE ha progettato tecnologia di sorveglianza per l’FBI che raccoglie impronte umane dalle piattaforme delle reti sociali come Facebook, Instagram, e Twitter. Ha anche fornito assistenza all’FBI per istituire un sistema di Identificazione di Prossima Generazione, a quanto si dice il più grande database di informazioni biometriche del mondo, nonché il Database per l’Intelligence Modernizzato dell’agenzia federale.

Secondo l’ex vicedirettore dell’FBI William Bayse, il Database di Intelligence Modernizzato dell’FBI consentiva ai programmatori della polizia di collegare gli attivisti alle loro cause politiche, ai loro colleghi, datori di lavoro, alle loro fedine penali, foto segnaletiche e impronte, alle loro abitudini d’acquisto e persino ai loro dati fiscali.

Mediante centinaia di richieste basate sul Freedom of Information Act (FOIA) e interviste con attuali e precedenti funzionari di MITRE, Forbes è venuta a sapere che MITRE ha progettato “uno strumento prototipo che può violare smartwatch, fitness tracker e termometri da parete per scopi di sicurezza nazionale interna… e uno studio per determinare se la puzza di sudore di qualcuno possa rivelare che sta mentendo.”

MITRE è anche sede dello “ATT&CKProgram”, un modulo di sicurezza informatica che la società descrive come “una base di conoscenza accessibile globalmente di tattiche avversarie e tecniche di intelligence basate su osservazioni dal mondo reale”. Adam Pennington, capo del progetto ATT&CK di MITRE, “ha speso più di dieci anni con MITRE a studiare e predicare l’uso dell’inganno per la raccolta di informazioni”.

Il procuratore legale di ACLU (The American Civil Liberties Union), Nate Wessler, ha definito i progetti di sorveglianza di MITRE “straordinariamente agghiaccianti”, lanciando l’avvertimento che essi “sollevano seri problemi di riservatezza.”

Da parte sua, il materiale promozionale dell’appaltatore militare sembra vantarsi del suo lascito di innovazione nel settore della sorveglianza: “Potreste non saperlo ma MITRE entra nelle vostre vite ogni giorno.”

Mesi dopo che la pandemia per il nuovo coronavirus fu dichiarata nel marzo 2020, MITRE fece leva sulla sua competenza nel monitorare le popolazioni per produrre il sistema di tracciamento dei contatti Sara Alert. Un video pubblicitario di MITRE spiega come il sistema permetta alle autorità sanitarie pubbliche di tracciare gli utenti: “Le persone che sono contagiate dalla malattia saranno messe in isolamento a casa… Per le persone che sono esposte alla malattia ma non mostrano sintomi, Sara Alert li segue mentre sono in quarantena per 14 giorni”.

Il Sara Alert di MITRE entrò in uso in una manciata di Stati, con iscrizioni limitate. Se fosse stato implementato a livello nazionale, avrebbe potuto costringere una sostanziale parte di popolazione statunitense ad andare in autoquarantena su basi continue, persino se le persone non avessero presentato sintomi.

Come il Brookings Institute faceva notare in un articolo accademico mettendo in discussione l’utilità di app come Sara Alert, “Una persona lo può sopportare per una volta o due, ma dopo alcuni falsi allarmi e l’eccessivo inconveniente di autoisolamento protratto, prevediamo che molti ignoreranno gli avvertimenti”.

MITRE ha anche lavorato per sopprimere le narrative che potessero minare l’agenda delle agenzie governative che lo finanziano. L’applicazione del plugin per il browser detta SQUINT dell’appaltatore, per esempio “consente una rapida consapevolezza situazionale della disinformazione sulle reti sociali relativa al COVID-19 per i funzionari della sanità pubblica mediante una copertura basata su fonti collettive”, secondo il relativo materiale promozionale.

MITRE sta ora lavorando per implementare i passaporti vaccinali digitali negli Stati Uniti D’America, e non solo.

Società private di spionaggio e un’azienda della CIA fra le società facenti parte della coalizione di MITRE per il COVID-19

Come membro del gruppo direttivo al governo dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (VCI), MITRE gestisce la sua propria “Coalizione Sanitaria per il COVID-19” mentre si descrive come “un partner affidabile di lunga data per le comunità di intelligence e di difesa”.

Fra i membri della coalizione per il COVID-19 della stessa MITRE c’è Palantir, un’azienda privata di intelligence fondata nel 2003 da Peter Thiel, cofondatore di Paypal. Palantir si è consolidata come una società leader nei programmi di sorveglianza predittiva e faceva soldi a palate in lucrosi contratti con la CIA. L’azienda una volta partecipò in una campagna diffamatoria proposta contro attivisti contrari allo strapotere delle multinazionali e contro critici giornalistici, compreso Glenn Greenwald.

Avril Haines, l’attuale Direttore dell’Intelligence Nazionale e precedente Vicedirettore della CIA fu pagata 180.000 dollari come consulente per Palantir – un lavoretto cancellato dalla sua biografia.

Haines fu anche fra i principali partecipanti alla simulazione pandemica denominata “Event 201” avvenuta nell’Ottobre 2019 e sponsorizzata dalla Gates Foundation, dal World Economic Forum, e dal John Hopkins Center for Health and Security. Durante tale esercitazione, funzionari della salute pubblica e dell’intelligence nonché uomini d’affari simularono una ipotetica epidemia di coronavirus che avrebbe ucciso 65 milioni di persone nel mondo.

Haines enfatizzò ai colleghi relatori il bisogno di controbattere alle critiche rivolte alla gestione ufficiale della pandemia tramite “l’inondazione dello spazio informativo con fonti fidate” dei media e degli opinionisti “al fine di cercare di amplificare il messaggio che si vuole trasmettere”.

Palantir ha anche fornito la tecnologia per il tracciamento dei dati sul Covid al Ministero della Sanità del Regno Unito, insieme a Microsoft, Google e Amazon. Lo stratega politico britannico conservatore, Dominic Cummings, che gode di collegamenti con Palantir e fornì all’azienda un accesso speciale al gabinetto del Primo Ministro, ha consigliato Boris Johnson e il Gruppo Consultivo Scientifico per le Emergenze sulle politiche da attuare per la gestione del Covid.

Tornando a parlare degli Stati Uniti, Palantir è stato il fornitore per il Dipartimento della Sicurezza Nazionale e il Centro per il Controllo delle Malattie di varie tecnologie correlate al Covid.

L’azienda finanziaria della CIA, In-Q-Tel, è anche nella lista delle società facenti parte della Coalizione Sanitaria per il Covid-19 di MITRE.

Lo scorso settembre, il Vicepresidente del personale tecnico di In-Q-Tel, Dan Hanfling, fu citato dal Washington Post per aver sostenuto che alle persone non vaccinate dovrebbe essere negata l’assistenza sanitaria retrocedendole nel sistema di priorità al pronto soccorso: “Quel gruppo di persone che volontariamente hanno scelto di non vaccinarsi, per ragioni illegittime, sarebbe corretto metterli in fondo alla linea d’attesa”, ha asserito Hanfling….

Il Washington Post non fece notare l’affiliazione di Hanfling con la CIA; invece lo descrisse semplicemente come un “medico di pronto soccorso”.

In-Q-Tel non è affatto l’unica società collegata ai servizi di intelligence fra quelle che fanno parte dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini. C’è anche Oracle, membro fondatore della stessa iniziativa, che nacque come un progetto della CIA.

Uno sguardo al gruppo dirigente di MITRE mostra come l’organizzazione sia strettamente connessa con il più ampio settore dell’intelligence militare.

Falchi”, spie e fantasmi guidano MITRE

Il Presidente del consiglio di amministrazione di MITRE, Donald Kerr, è l’ex Vicedirettore principale dell’intelligence nazionale. Prima di questo ruolo, Kerr era stato Vicedirettore per la scienza e tecnologia presso la CIA, dove ricevette l’Illustre Medaglia CIA per alti servizi resi all’intelligence statunitense.

Il Vicepresidente del consiglio di amministrazione di MITRE, Mike Rogers, è l’ex Presidente repubblicano del comitato permanente di selezione sull’intelligence della Camera degli Stati Uniti. Prima di servire al Congresso, il signor Rogers era un ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti e un agente speciale dell’FBI.

Essendosi distinto al Congresso come uno dei più schietti oppositori della riservatezza digitale, accusando le comunicazioni crittografate di gravi attacchi terroristici, Rogers fu il conduttore e produttore esecutivo di una serie televisiva in sei parti intitolata “Desegretato: storie inedite di spie americane per la CNN”. Il programma era una pubblicità virtuale per l’apparato di intelligence degli Stati Uniti, “accurata descrizione di casi importanti, missioni e operazioni degli agenti dell’intelligence americana”, secondo la CNN.

Rogers è anche un illustre membro dell’Hudson Institute, un think tank neoconservatore con sede a Washington DC finanziato da Northrop Grumman, Lockheed Martin, gruppi farmaceutici impegnati in attività di lobbying e società tecnologiche supportate dalla CIA come Oracle.

Nei ruoli direttivi in MITRE ci sono ex funzionari di alto livello dell’intelligence e del Pentagono come Robert Work, che servì come Vice Segretario alla Difesa sotto tre diversi Segretari prima di passare attraverso la porta girevole al consiglio di amministrazione di Raytheon che è un gigante dell’industria degli armamenti.

Il membro del consiglio di amministrazione di MITRE Paul Kaminski è il Direttore Generale di Technovation, Inc., un’azienda di consulenza che “promuove l’innovazione, lo sviluppo del business e le strategie di investimento relative alla tecnologia della difesa”. Kaminski fu Sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione e la tecnologia dal 1994 al 1997 e fu due volte Presidente del comitato del Consiglio Scientifico della Difesa che collabora col Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

A Kaminski di Mitre è stato assegnato il “Premio di Direttore dell’Intelligence Centrale” che è dato a coloro che “incoraggiano l’obiettivo di un’eccezionale raccolta di intelligence umana e la segnalazione di informazioni di valore significativo per la comunità di intelligence degli Stati Uniti.”

L’amministratore delegato di MITRE è Jason Providakes. Secondo la sua biografia ufficiale fornita da MITRE, la carriera di Providakes “ha origine nella ricerca scientifica a sostegno della sicurezza nazionale”. Prima di diventare amministratore delegato, Providakes era stato Direttore Esecutivo per la “Divisione Tecnologica e Sistemi di Armamento” di MITRE, dove svolse un ruolo fondamentale per la trasformazione dell’esercito nel “digitalizzare il campo di battaglia”.

Gli intimi legami fra MITRE e l’apparato di intelligence militare degli Stati Uniti si estendono al lavoro della società sul COVID-19.

Il “borsista tecnico” di MITRE, Jay Crossler, è una guida dei dati esecutivi per la Coalizione Sanitaria sul COVID-19, definita quale “risposta collaborativa dell’industria privata” al Covid. Secondo MITRE, Crossler fra l’altro “progettò, costruì, schierò e mise in funzione il portale che il generale Stanley McChrystal aveva usato per gestire l’invasione dell’Afghanistan”.

Peraltro il Direttore Sanitario di MITRE, Jay Schnitzer, era stato in precedenza il direttore di Scienze della Difesa presso DARPA, l’unità di ricerca notoriamente segreta del Dipartimento della Difesa.

Dal discreditato e distruttivo modello di letalità per il COVID-19 all’offensiva per il passaporto digitale

Il 17 marzo 2020, praticamente poche ore dopo la dichiarazione di una pandemia globale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la divisione per il contrasto alle armi di distruzione di massa del Dipartimento della Sicurezza Nazionale stipulò un contratto con MITRE per “coinvolgere, informare e guidare” sindaci, governatori e funzionari impiegati nelle emergenze sulla risposta al COVID-19. Secondo Forbes, il Centro per il Controllo delle Malattie firmò pure un contratto da 16,3 milioni di dollari per stabilire “una durevole capacità nazionale di contenere il Covid-19”.

Un giorno dopo aver firmato il contratto con la divisione per il contrasto alle armi di distruzione di massa del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, MITRE sfornò un “libro bianco” che delineava l’impatto previsto del COVID-19 sulla popolazione degli Stati Uniti e forniva raccomandazioni per i funzionari locali e federali su una risposta alle emergenze.

Il documento di MITRE affermava in modo sicuro che il COVID-19 rappresentava “un’epidemia pericolosa all’incirca quanto l’influenza spagnola che infettò 500 milioni di persone e ne uccise 50 milioni in tutto il mondo”. Durante l’epidemia del 1918, quando la popolazione degli Stati Uniti era inferiore a 1/3 di quella che è oggi, morirono circa 675.000 americani. MITRE quindi sopravvalutò il bilancio delle vittime del 2020 di sei volte tanto.

Con il suo modello ormai screditato come giustificazione, MITRE chiese alle autorità di ridurre del 90% i contatti sociali tra i membri della popolazione statunitense, di imporre rigidi confinamenti, di chiudere praticamente tutte le attività commerciali, di sigillare i confini e “di mettere in quarantena negli hotel o in altre strutture, uno per stanza, con personale ridotto all’osso, i cittadini di ritorno” dall’estero.

Molti Stati degli USA seguirono una qualche versione di questo modello estremo, innescando una catastrofe sociale ed economica dalla quale la popolazione potrebbe non riprendersi mai del tutto.

Ora che i confinamenti sembrano essere finiti, MITRE è al centro dell’offensiva per i passaporti vaccinali digitali per mezzo dell’Iniziativa per le Credenziali sul Vaccino. Tuttavia l’influente organizzazione di intelligence militare rimane dietro le quinte, per lo più sconosciuta a un pubblico statunitense le cui vite potrebbero essere radicalmente alterate da uno dei suoi più importanti progetti.

Per leggere la prima puntata di questa serie sui passaporti vaccinali digitali a cura di Jeremy Loffredo and Max Blumenthal, cliccare qui.

(Traduzione a cura della redazione)

L’omicidio geopolitico di Alfred Herrhausen

Prima di intraprendere la carriera di banchiere e di entrare nelle grazie del cancelliere Helmut Kohl, Alfred Herrhausen aveva gestito con grande intelligenza la ristrutturazione di Daimler-Benz, alla quale aveva imposto un processo di diversificazione culminato con la trasformazione dell’azienda in un gruppo tecnologico integrato, dotato del know-how necessario ad operare nei settori strategici dell’aerospazio, della difesa, dell’elettronica e della tecnica ferroviaria. È nell’ambito del disegno di Herrhausen che la divisione Mercedes venne progressivamente affiancata dagli altri tre comparti fondamentali, costituiti dalla Dasa, rivolta all’aerospazio e alla difesa, dall’AEG, orientata sull’elettronica, e dalla Debis, concentrata sul ramo finanziario. Da buon industriale “prestato” al mondo della finanza, Herrhausen aveva pensato di smaltire i costi della riunificazione mettendo le elevate competenze degli ingegneri e dei lavoratori dell’ex Germania orientale al servizio di un progetto mirante al rilancio economico di tutta l’Europa dell’est. «Entro dieci anni – affermò Herrhausen – la Germania orientale diverrà il complesso tecnologicamente più avanzato d’Europa e il trampolino di lancio economico verso l’est, in modo tale che Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e anche la Bulgaria svolgano un ruolo essenziale nello sviluppo europeo» (1). In un articolo pubblicato sul quotidiano economico tedesco «Handelsblatt», Herrhausen denunciò che la politica debitoria adottata dalle banche, in particolare quelle statunitensi, nei confronti dei Paesi in difficoltà finanziarie era orientata a peggiorare le loro condizioni, e indicò nella forte riduzione della massa debitoria (fino al 70%) delle nazioni povere, nel taglio dei tassi di interesse a cinque anni e l’allungamento della durata dei presti le misure da adottare per conseguire una robusta ripresa economica dei Paesi in via di sviluppo. Una simile ricetta avrebbe infatti «permesso a queste nazioni di riassegnare alla ripresa economica le risorse finora destinate al servizio del debito» (2). La concezione di Herrhausen traeva ispirazione dall’accordo sul debito raggiunto a Londra del 1953, grazie al quale la Germania occidentale era riuscita a rilanciarsi poderosamente dal punto di vista industriale. Il banchiere considerava gli squilibri debitori un vero e proprio “rischio sistemico”, e propose pertanto di mitigarli attraverso l’istituzione a Varsavia di un organismo modellato sul calco del KFW, l’ente che aveva gestito con grande successo il rilancio dell’economia tedesca disintegrata dalla Seconda Guerra Mondiale. Un organismo alternativo a Banca Mondiale e FMI preposto all’erogazione dei prestiti nell’ambito di un “nuovo Piano Marshall” finalizzato al rilancio dei Paesi est-europei, e non alla loro conversione immediata al sistema neoliberale. Conformemente a questa “nuova Ostpolitik”, il banchiere tedesco premeva per l’abolizione del debito “intra-im¬prese”, un dato contabile che gravava sulle industrie ex comuniste (nel 1994 raggiunse i 200 miliardi di marchi) grazie al quale Banca Mondiale e FMI tenevano in pugno i Paesi dell’Europa orientale. Il presidente della Deutsche Bank arrivò persino a sottolineare che il rilancio economico dello spazio ex sovietico e la sua integrazione con l’assetto produttivo dell’Europa occidentale erano nell’interesse della Germania, che per realizzare tutto ciò avrebbe dovuto destinare risorse alla costruzione di linee ferroviarie veloci in grado di assicurare il rapido trasporto di materie prime dalla Russia ai poli industriali tedeschi. Si trattava proprio del tipo di progetto che Gran Bretagna prima e Stati Uniti poi avevano irriducibilmente ostacolato nel corso dei decenni precedenti, come ammesso candidamente dallo stesso Kissinger: «se le due potenze [Germania e Russia] si integrassero economicamente intrecciando rapporti più stretti, si verrebbe a creare il pericolo della loro egemonia» (3). Nella visione profondamente innovativa di Herrhausen, la Germania si sarebbe dovuta trasformare in un ponte fra est ed ovest e in motore della riconversione industriale dell’Europa orientale – della Polonia soprattutto, considerata la nazione chiave della regione. Mentre si prodigava per mettere in pratica i suoi piani, che comportavano l’affrancamento di tutto il “vecchio continente” dalla “tutela” statunitense esercitata sotto il profilo economico da Banca Mondiale e FMI, Herrhausen rivelò di essersi imbattuto in “massicce critiche” formulate soprattutto dal presidente di Citibank Walter Reed, specialmente dopo aver caldeggiato pubblicamente l’applicazione di una moratoria di qualche anno sul debito dell’Europa orientale. Nonostante le forti resistenze con cui era costretto a fare i conti, Herrhausen riuscì comunque ad allargare il campo d’azione di Deutsche Bank assorbendo la Banca d’America e d’Italia, le merchant bank Mdm (portoghese), Albert de Bary (spagnola) e Morgan Grenfell (prestigiosa banca d’investimento londinese). Il potenziamento di quello che si configurava già come il maggior istituto di credito tedesco risultava necessario a costituire un valido e potente polo economico che fungesse da contraltare ai grandi gruppi finanziari anglo-americani, i quali stavano portando avanti una vasta campagna di espansione monetaria mediante la concessione di crediti ad alto tasso di interesse ai Paesi poveri. Dal punto di vista di Washington, il disegno di Herrhausen rappresentava una minaccia particolarmente insidiosa perché metteva in discussione la presa statunitense sui Paesi in via di sviluppo (il presidente messicano Miguel de la Madrid, colpito dalle idee di Herrahusen, lo invitò a Città del Messico nel 1987 per analizzare le sue proposte) da cui dipendeva il mantenimento dell’ordine economico istituito nel periodo reaganiano. «I mercati finanziari e valutari globalizzati oggi sono una questione di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti» (4), dichiarò senza mezzi termini il direttore della CIA William Colby facendo eco al suo collega della CIA William Webster, secondo cui, con la caduta del Muro di Berlino, «gli alleati politici e militari dell’America sono ora [diventati] i suoi rivali economici» (5).L’1 dicembre 1989, un ordigno esplosivo dotato di innesco laser posizionato all’uscita dell’abitazione di Herrhausen di Bad Homburg (ricco sobborgo di Francoforte) fece saltare l’automobile blindata su cui il banchiere era appena salito. La responsabilità venne attribuita al gruppo terroristico di ispirazione comunista Rote Armee Fraktion (RAF), benché la sofisticazione dell’attentato suggerisse di allargare lo spettro delle indagini. Non a caso, i tre membri della “nuova generazione” della vecchia Baader-Meinhof che erano stati arrestati durante le prime indagini risultarono in seguito estranei alla consumazione del fatto. Ancora oggi la giustizia tedesca non è riuscita a individuare i colpevoli. Il colonnello Fletcher Prouty, veterano della CIA che in passato aveva dipinto al procuratore Jim Garrison lo sfondo politico sul quale si era materializzato l’assassinio di John F. Kennedy, rivelò che l’omicidio di Herrhausen era avvenuto «quattro giorni prima che [il banchiere] venisse negli Stati Uniti a pronunciare un discorso che avrebbe potuto cambiare i destini del mondo. Era crollato il Muro di Berlino ed Herrhausen voleva spiegare agli Americani i nuovi orizzonti dell’Europa […]. Herrhausen parlava di una grande Europa unita, senza più le interferenze della Banca Mondiale. Parlava di un progetto di integrazione tra est e ovest europeo. Un’operazione che avrebbe mutato i rapporti internazionali e che è stata freddata sul nascere» (6). Per questo, a detta di Prouty, l’assassinio del presidente della Deutsche Bank rientra nello stesso quadro generale in cui si sono verificati gli omicidi di Enrico Mattei e Aldo Moro.

Giacomo Gabellini

Note

1) Cfr. Engdahl, William, What went wrong with East’s Germany economy?, «Executive Intelligence Review», 2 ottobre 1992.

2) Herrhausen, Alfred, Die zeit ist reif. Schuldenkrise am wendepunkt, «Handelsblatt», 30 giugno 1989.

3) Cfr. Kissinger: «Der western mussß sich an das neue selbstbewußtsein der Deutschen gewöhnen», «Welt am Sonntag», 3 maggio 1992.

4) Cfr. Taino, Danilo, Belzebù sullo yacht, «Corriere della Sera», 10 marzo 1993.

5) Cfr. CIA director Webster targets US allies, «Executive Intelligence Review», 13 ottobre 1989.

6) Cfr. Cipriani, Antonio, Il colonnello Prouty: «Vi spiego chi governa il mondo», «L’Unità», 19 marzo 1992.

Fonte

Il potere segreto

Nella cella di una delle più famigerate prigio­ni di massima sicurezza del Regno Unito, un uomo lotta contro alcune delle più potenti istituzioni della Terra che da oltre un decen­nio lo vogliono distruggere. Non è un crimi­nale, è un giornalista. Si chiama Julian Assange e ha fondato WikiLeaks, un’organizzazione che ha profondamente cambiato il modo di fare informazione nel XXI secolo, sfruttan­do le risorse della rete e violando in maniera sistematica il segreto di Stato quando questo viene usato non per proteggere la sicurezza e l’incolumità dei cittadini ma per nascondere crimini e garantire l’impunità ai potenti. Non poteva farla franca, doveva essere punito e so­prattutto andava fermato. Infatti da oltre dieci anni vive prigioniero, prima ai domiciliari, poi nella stanza di un’ambasciata, infine in galera. È possibile che a un certo punto venga libera­to, oppure rimarrà in prigione in attesa di una sentenza di estradizione negli Stati Uniti e poi finirà sepolto per sempre in un carcere ameri­cano. Con lui rischiano tutti i giornalisti della sua organizzazione. L’obiettivo è distruggerli e farlo in modo plateale.
Stefania Maurizi è l’unica giornalista che ha lavorato fin dall’inizio, per il suo giornale, su tutti i documenti segreti di WikiLeaks, a stret­to contatto con Julian Assange, incontrandolo molte volte. Ha contribuito in maniera deci­siva alla ricerca della verità, citando in giudi­zio quattro governi – gli Stati Uniti, l’Inghil­terra, la Svezia e l’Australia – per accedere ai documenti del caso. Gli abusi e le irregolarità emersi da questo lavoro d’inchiesta sono en­trati nella battaglia legale tuttora in corso per la liberazione del fondatore di WikiLeaks.
In queste pagine ripercorre tutta la vicenda, con documenti inediti, una narrazione incal­zante e sempre puntuale. La storia di una ven­detta silenziosa ma feroce. Un libro cruciale su un caso decisivo del nostro tempo.

Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks,

di Stefania Maurizi, Chiarelettere, 2021

La NATO culturale

Di Federico Roberti

Nel pieno della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti destinò grandi risorse ad un programma segreto di propaganda culturale rivolto all’Europa occidentale, messo in atto con estrema riservatezza dalla CIA. L’atto fondamentale fu l’istituzione del Congress for Cultural Freedom (Congresso per la libertà della cultura), organizzato dall’agente Michael Josselson tra il 1950 ed il 1967. Al suo culmine, il Congresso aveva uffici in trentacinque Paesi (alcuni extraeuropei) ed a libro paga decine di intellettuali, pubblicava una ventina di prestigiose riviste, organizzava esposizioni artistiche, organizzava conferenze internazionali di alto livello e ricompensava musicisti ed altri artisti con premi e riconoscimenti vari. La sua missione consisteva nel distogliere gli intellettuali europei dall’abbraccio del marxismo, a favore di posizioni più compatibili con l’american way of life, facilitando il conseguimento degli interessi strategici della politica estera statunitense.

I libri di alcuni scrittori europei furono promossi nel mercato editoriale come parte di un esplicito programma anticomunista. Fra questi, in Italia, “Pane e Vino” di Ignazio Silone, il quale registrò così la prima di molte apparizioni sotto l’ala del governo statunitense. A dire il vero, durante il suo esilio svizzero in tempo di guerra, Silone era stato un contatto di Allen Dulles, allora capo dello spionaggio statunitense in Europa e nel dopoguerra ispiratore di Radio Free Europe, altra creazione CIA sotto la maschera del National Committee for a Free Europe; nell’ottobre 1944, Serafino Romualdi, un agente dell’OSS (Office of Strategic Services, il precursore della CIA), fu inviato sul confine franco-svizero con il compito di introdurre clandestinamente Silone in Italia.
Silone, insieme ad Altiero Spinelli e Guido Piovene, rappresentò l’Italia alla conferenza fondativa del Congresso tenutasi a Berlino nel 1950, per la quale Michael Josselson era riuscito ad ottenere un finanziamento di $ 50.000 dalle risorse del Piano Marshall. Essa fu sconfessata pubblicamente da Jean-Paul Sartre ed Albert Camus che, invitati, si rifiutarono di parteciparvi.

Inizialmente, fra i presidenti onorari del Congresso, tutti filosofi rappresentanti di un nascente pensiero euro-atlantico, accanto a Bertrand Russell troviamo Benedetto Croce. Egli, ad ottant’anni di età, era riverito in Italia come padre nobile dell’antifascismo avendo sfidato apertamente Mussolini. Sicuramente, all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia, era stato un utile contatto per William Donovan, allora il massimo responsabile dell’intelligence statunitense.

La sezione italiana del Congresso, denominata Associazione italiana per la libertà della cultura, fu istituita da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro propulsivo, anche e soprattutto sotto il profilo logistico ed economico, di una federazione di circa cento gruppi culturali quali l’Unione goliardica nelle università, il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, i Centri di Azione democratica, il movimento Comunità di Adriano Olivetti e vari altri.
Essa pubblicò la prestigiosa rivista “Tempo Presente” diretta dallo stesso Silone e da Nicola Chiaromonte, ed altre non meno conosciute come “Il Mondo”, “Il Ponte”, “Il Mulino” e, più tardi, “Nuovi Argomenti”. Nel suo gruppo dirigente, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio, figurava anche Ferruccio Parri, il padre della sinistra indipendente. Poi, in posizione più defilata, uomini politici di estrazione azionista e liberaldemocratica come Ugo La Malfa.
Uno degli uffici del Congresso era stato aperto a Roma nel palazzo Pecci-Blunt, dove Mimì, la padrona di casa, animava uno dei salotti più esclusivi e meglio frequentati della capitale. A due passi dalla storica dimora di palazzo Caetani che, prima di divenire tragicamente celebre per avere visto, sotto le sue finestre, l’ultimo atto del rapimento Moro, vedeva regnare un’altra regina dei salotti, la mecenate statunitense legata agli ambienti del Congresso Marguerite Chapin Caetani. Ella, con la sua rivista “Botteghe oscure”, promosse non pochi grandi nomi della letteratura e poesia italiana del Novecento. Suo genero era, guarda caso, Sir Hubert Howard, ex ufficiale dei servizi segreti alleati specializzato nella guerra psicologica ed in rapporti di fraterna amicizia con il nipote del presidente Roosevelt, quel Kermit Roosevelt che dapprima nell’OSS e poi, reclutato dalla CIA, fu tra i più convinti fautori del programma di guerra psicologica.
Una delle più strette collaboratrici della Caetani era Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, il cui marito Raimondo Craveri, agente dei servizi segreti partigiani, dopo la Liberazione indicava all’ambasciata statunitense i politici di cui fidarsi. Elena invece selezionava gli uomini di cultura con cui valeva la pena parlare. Nella loro casa si potevano intrecciare le relazioni più cosmopolite, incontrandovi Henry Kissinger così come il futuro presidente FIAT Gianni Agnelli, ma su tutti dominava il magnate della finanza laica italiana, fondatore di Mediobanca, (don) Raffaele Mattioli. Gli Americani si fidavano a tal punto del commendator Mattioli che nel 1944, a guerra evidentemente ancora in corso, avevano già discusso con lui i programmi per la ricostruzione. Oltre a finanziare abbondantemente la cultura, don Raffaele prestò le sue non disinteressate, pur se discrete, attenzioni anche al PCI, con il quale aveva canali aperti già durante il Ventennio.
Ecco, dunque, che in Italia, oltre alla P2 e Gladio, esisteva anche un anticomunismo altrettanto tenace ma illuminato, progressista e persino di sinistra. La rete del Congresso ne costituiva la facciata pubblica o, se si preferisce, presentabile.

Le risorse per la propaganda culturale euro-atlantica furono reperite in modo davvero geniale. Nei primi tempi del Piano Marshall, ciascun Paese beneficiario dei fondi doveva contribuire depositando nella propria banca centrale una somma equivalente al contributo americano. Poi un accordo bilaterale tra il Paese in questione e gli Stati Uniti permetteva che il 5% di tale somma diventasse proprietà statunitense: era proprio questa parte dei “fondi di contropartita” (circa 10 milioni di dollari all’anno su un totale di 200) che furono messi a disposizione della CIA per i suoi progetti speciali.
Così circa $ 200.000 di tali fondi, che già avevano giocato un ruolo cruciale nelle elezioni italiane del 1948, furono destinati a finanziare i costi amministrativi del Congresso nel 1951. La filiale italiana, ad esempio, riceveva mille dollari mensili che venivano versati sul conto di Tristano Codignola, dirigente della casa editrice La Nuova Italia.

La libertà culturale non venne a buon mercato. Nei diciassette anni successivi alla fondazione, la CIA avrebbe pompato nel Congresso ed in progetti collegati ben dieci milioni di dollari. Una caratteristica della strategia di propaganda culturale fu la sistematica organizzazione di una rete di gruppi privati “amici” in un consorzio ufficioso: si trattava di una coalizione di fondazioni filantropiche, imprese e privati che lavorava in stretto collegamento con la CIA per dare a quest’ultima copertura e canali finanziari al fine di sviluppare i suoi programmi segreti in territorio europeo. Nello stesso tempo, l’impressione era che questi “amici” agissero unicamente di propria iniziativa. Mantenendo il loro status di privati, essi apportavano il capitale di rischio per la Guerra Fredda, un po’ quello che fanno da un certo tempo a questa parte le ONG sostenute dall’Occidente in giro per il mondo.

L’ispiratore di questo consorzio fu Allen Dulles, che già nel maggio 1949 aveva diretto appunto la formazione del National Committee for a Free Europe, apparentemente iniziativa di un gruppo di privati cittadini americani, in realtà uno dei più ambiziosi progetti della CIA. “Il Dipartimento di Stato è molto lieto di assistere alla formazione di questo gruppo” annunciò il segretario di Stato Dean Acheson. Questa pubblica benedizione serviva ad occultare le vere origini del Comitato e che operasse sotto il controllo assoluto della CIA, che lo finanziava al 90%. Ironia della sorte, lo scopo specifico per il quale era stato creato, cioè fare propaganda politica, era categoricamente escluso da una clausola dell’atto costitutivo.
Dulles era ben cosciente che il successo del Comitato sarebbe dipeso dalla sua capacità “di apparire come indipendente dal governo e rappresentativo delle spontanee convinzioni di cittadini amanti della libertà”.

Il National Committee poteva vantare un insieme di iscritti di grandissimo rilievo pubblico, uomini d’affari ed avvocati, diplomatici ed amministratori del Piano Marshall, magnati della stampa e registi: da Henry Ford II, presidente della General Motors, alla signora Culp Hobby, direttrice del Moma; da C.D. Jackson della direzione di “Time-Life” a John Hughes, ambasciatore presso la NATO; da Cecil De Mille a Dwight Eisenhower. Tutti costoro erano “al corrente”, ossia appartenevano consapevolmente al club. Il suo organico, già al primo anno, contava più di 400 addetti, il suo bilancio ammontava a quasi due milioni di dollari.
Un bilancio separato di 10 milioni fu riservato alla sola Radio Free Europe, che nel giro di pochi anni avrebbe avuto 29 stazioni di radiodiffusione e trasmesso in 16 lingue diverse, fungendo anche da canale per l’invio di ordini alla rete di informatori presente al di là della Cortina di Ferro.

Il nome della sezione incaricata di reperire fondi per il National Committee era Crusade for Freedom e ne era portavoce un giovane attore di nome Ronald Reagan…

L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA, senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine. Nel 1976, una commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966, delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164 fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA. Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo stesso periodo nel campo delle attività internazionali.
Si riteneva che le fondazioni prestigiose, quali Ford, Rockfeller e Carnegie, assicurassero “la migliore e più credibile forma di finanziamento occulto. Questa tecnica risultava particolarmente opportuna per le organizzazioni gestite in modo democratico, dato che devono poter rassicurare i propri membri e collaboratori ignari, come pure i critici ostili, di essere in grado di contare su forme di finanziamento privato, autentico e rispettabile – sottolineava uno studio interno della stessa CIA risalente al 1966.
Addirittura, all’interno della Fondazione Ford venne istituita un’unità amministrativa specificamente addetta a curare i rapporti con la CIA, che avrebbe dovuto essere consultata ogni volta che l’agenzia avesse voluto usare la fondazione come copertura o canale finanziario per qualche operazione. Essa era formata da due funzionari e dal presidente della fondazione stessa, John McCloy il quale era già stato segretario alla Difesa e presidente, nell’ordine, della Banca Mondiale, della Chase Manhattan Bank di proprietà della famiglia Rockfeller e del Council on Foreign Relations, nonché legale di fiducia delle Sette Sorelle. Un bel curriculum, non c’è che dire.

Uno dei primi dirigenti della CIA ad appoggiare il Congresso per la libertà della cultura fu Frank Lindsay, veterano dell’OSS che nel 1947 aveva scritto uno dei primi rapporti interni in cui si raccomandava agli Stati Uniti di creare una forza segreta per la Guerra Fredda. Negli anni fra il 1949 ed il 1951, come vicedirettore dell’Office of Policy Coordination (OPC), dipartimento speciale creato all’interno della CIA per le operazioni segrete, Lindsay divenne responsabile dell’allestimento dei gruppi Stay Behind in Europa, meglio conosciuti in Italia come Gladio. Nel 1953 passò alla Fondazione Ford, senza per ciò perdere i suoi stretti contatti con gli ex colleghi dell’intelligence.

Quando, nel 1953, Cecil DeMille accettò di diventare consigliere speciale del governo statunitense per il cinema al Motion Picture Service (MPS), si recò all’ufficio di C.D. Douglas, il quale avrebbe poi scritto di lui: “ E’ completamente dalla nostra parte ed (…) è ben consapevole del potere che i film americani hanno all’estero. Ha una teoria, che condivido pienamente, secondo cui l’uso più efficace dei film americani si ottiene non con il progetto di un’intera pellicola che affronti un determinato problema, ma piuttosto con l’introduzione in un’opera “normale” di un certo dialogo appropriato, di una battuta, un’inflessione della voce, un movimento degli occhi. Mi ha detto che ogni volta che gli darò un tema semplice per un certo Paese o una certa regione, troverà il modo di trattarlo e di introdurlo in un film”.
Il Motion Picture Service, sommerso dai finanziamenti governativi tanto da diventare una vera e propria impresa di produzione cinematografica, dava lavoro a registi-produttori che venivano preventivamente esaminati ed assegnati al lavoro su film che promuovevano gli obiettivi degli Stati Uniti e che avrebbero dovuto raggiungere un pubblico sul quale bisognava agire attraverso il cinema. L’MPS forniva consulenze ad organismi segreti sulle pellicole appropriate per una distribuzione sul mercato internazionale; si occupava, inoltre, della partecipazione statunitense ai vari festival che si svolgevano all’estero e lavorava alacremente per escludere i produttori statunitensi ed i film che non sostenevano la politica estera del Paese.

Il principale gruppo di pressione per sostenere l’idea di un’Europa unita strettamente alleata agli Stati Uniti era il Movimento Europeo, cui facevano capo molte organizzazioni, e che copriva una serie di attività dirette all’integrazione politica, militare, economica e culturale. Guidato da Winston Churchill in Gran Bretagna, Paul Henri Spaak in Belgio ed Altiero Spinelli in Italia, il movimento era attentamente sorvegliato dall’intelligence statunitense e finanziato quasi interamente dalla CIA attraverso una copertura che si chiamava American Committee on United Europe. Braccio culturale del Movimento Europeo era il Centre Européen de la Culture, diretto dallo scrittore Denis de Rougemont. Fu attuato un vasto programma di borse di studio ad associazioni studentesche e giovanili, tra cui la European Youth Campaign, punta di diamante di una propaganda pensata per neutralizzare i movimenti politici di sinistra.
Per quanto poi riguarda quei liberali internazionalisti fautori di un’Europa unita intorno ai propri principi interni, e non conforme agli interessi strategici statunitensi, a Washington essi non erano considerati migliori dei neutralisti, anzi portatori di un’eresia da distruggere.

Nel 1962, la notorietà del Congresso per la libertà della cultura calamitò anche attenzioni tutt’altro che desiderate dai suoi ispiratori.
Durante un programma televisivo della “BBC”, That Was The Week That Was, il Congresso fu oggetto di una penetrante e brillante parodia ideata da Kenneth Tynan. Essa iniziava con la battuta: “E’ ora, le novità della Guerra Fredda nella cultura”. Poi continuava mostrando una mappa rappresentante il blocco culturale sovietico, dove ogni cerchietto indicava una postazione culturale strategica: basi teatrali, centri di produzione cinematografica, compagnie di danza per la produzione di missili “ballettistici” intercontinentali, case editrici che lanciano enormi tirature di classici a milioni di lettori schiavizzati, insomma dovunque si guardasse un massiccio indottrinamento nel suo pieno sviluppo. E si chiedeva: noi, qua in Occidente, abbiamo un’effettiva capacità di risposta?
Sì, era la risposta, c’è il buon vecchio Congresso per la libertà della cultura sostenuto dal denaro americano che ha allestito un certo numero di basi avanzate, in Europa e nel mondo, funzionanti come teste di ponte per rappresaglie culturali. Basi mascherate con nomi in codice, come “Encounter” – la più conosciuta delle riviste patrocinate dal Congresso – che è l’abbreviazione, si ironizzava, di Encounterforce Strategy.
Entrava allora in scena un portavoce del Congresso, con un mazzo di riviste che rappresentavano a suo dire una sorta di NATO culturale, il cui obiettivo era il contenimento culturale, cioè mettere un recinto intorno ai rossi. Con missione storica quella di raggiungere la leadership mondiale dei lettori, succeda quel che succeda, “noi del Congresso sentiamo come nostro dovere tenere le nostre basi in allarme rosso, ventiquattro ore su ventiquattro”.
Una satira mordace ed impeccabilmente documentata, che provocò notti insonni a Michael Josselson, organizzatore del Congresso.

Durante l’estate del 1964, sorse una questione assai preoccupante.
Nel corso di un’inchiesta parlamentare sulle esenzioni fiscali alle fondazioni private, diretta da Wright Patman, si verificò una fuga di notizie che identificava otto di queste come coperture della CIA. Esse sarebbero state nient’altro che buche per lettere cui corrispondeva solo un indirizzo, approntate dalla CIA per ricevere denaro dalla stessa, in modo apparentemente legale. Una volta che i soldi arrivavano, le fondazioni facevano una donazione ad un’altra fondazione largamente conosciuta per le sue legittime attività. Contributi, questi ultimi, che venivano debitamente registrati secondo la normativa fiscale vigente nel settore no profit, sui moduli denominati 990-A. L’operazione si concludeva infine con il versamento del denaro all’organizzazione che la CIA aveva previsto dovesse riceverlo.
Le notizie filtrate dalla commissione Patman aprirono, seppure solo per un breve momento, uno squarcio sulla sala macchine dei finanziamenti segreti. Alcuni giornalisti particolarmente curiosi, ad esempio quelli del settimanale “The Nation”, riuscirono a mettere insieme i pezzi del puzzle, chiedendosi se fosse legittimo che la CIA finanziasse, con questi metodi indiretti, vari congressi e conferenze dedicate alla “libertà culturale” o che qualche importante organo di stampa, sostenuto dall’agenzia, offrisse lauti compensi a scrittori dissidenti dell’Europa orientale.
Sorprendentemente (sorprendentemente?), non un solo giornalista pensò di indagare ulteriormente. La CIA eseguì una severa revisione delle sue tecniche di finanziamento, ma non ritenne opportuno riconsiderare l’uso delle fondazioni private come veicoli per il finanziamento delle operazioni clandestine. Anzi, secondo l’agenzia, la vera lezione da apprendere in seguito allo scandalo suscitato dalla commissione Patman era che la copertura delle fondazioni per erogare i finanziamenti doveva essere usata in maniera più estesa e professionale, innanzitutto sborsando fondi anche per i progetti realizzati sul suolo degli Stati Uniti.
Michael Josselson, dalla fine di quel anno, tentò di proteggere la sua creatura dalle rivelazioni, considerando pure di mutarne il nome, e cercò persino di recidere i legami economici con la CIA sostituendoli in toto con un finanziamento della Fondazione Ford.
Tutto ciò non valse a nulla se non a posticipare un esito ormai segnato. Il 13 maggio 1967 si tenne a Parigi l’assemblea generale del Congresso per la libertà della cultura che ne sancì la sostanziale fine, pur se le attività si trascinarono, stancamente ed in tono assai minore, fino alla fine degli anni settanta.

Era infatti successo che la rivista californiana “Ramparts”, nell’aprile 1967, aveva pubblicato un’inchiesta sulle operazioni segrete della CIA, nonostante una campagna di diffamazione lanciata a suo danno nel momento in cui l’agenzia era venuta a conoscenza del fatto che la rivista era sulle tracce delle sue organizzazioni di copertura. Le scoperte di “Ramparts” furono prontamente rilanciate dalla stampa nazionale e seguite da un’ondata di rivelazioni, facendo emergere le coperture anche al di fuori degli Stati Uniti, a cominciare dal Congresso e le sue riviste.
Già prima delle denunce di “Ramparts”, il senatore Mansfield aveva chiesto un’indagine parlamentare sui finanziamenti clandestini della CIA, alla quale il presidente Lyndon Johnson rispose istituendo una commissione di soli tre membri. La commissione Katzenbach, nella sua relazione conclusiva emessa il 29 marzo 1967, sanzionava ogni agenzia federale che avesse segretamente fornito assistenza o finanziamenti, in modo diretto od indiretto, a qualsiasi organizzazione culturale statale o privata, senza fini di lucro. Il rapporto fissava la data del 31 dicembre 1967 come limite per la conclusione di tutte le operazioni di finanziamento segreto della CIA, dandole così l’opportunità di concedere un certo numero di sostanziose assegnazioni finali (nel caso di Radio Free Europe, questo importo le avrebbe permesso di continuare a trasmettere per altri due anni).
In realtà, come si evince da una circolare interna poi emersa nel 1976, la CIA non vietava le operazioni segrete con organizzazioni commerciali statunitensi né i finanziamenti segreti di organizzazioni internazionali con sede in Paesi stranieri. Molte delle restrizioni adottate in risposta agli eventi del 1967, più che rappresentare un significativo ripensamento dei limiti alle attività segrete dell’intelligence, appaiono piuttosto misure di sicurezza volte ad impedire future rivelazioni pubbliche che potessero mettere a repentaglio delicate operazioni della stessa CIA.

Ne vogliamo riparlare?

N.B.: la fonte principale delle informazioni presentate in questo articolo è il libro “Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale” di Frances Stonor Saunders, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 ed in traduzione italiana da Fazi Editore nel 2004 nella collana “Le terre” e nel 2007 in quella “Tascabili saggi”.

Continente eurasiatico

La presentazione del nuovo libro di Marco Pondrelli, con prefazione dell’ambasciatore Alberto Bradanini, sull’attualità dell’emergente multipolarismo geopolitico, le prospettive di integrazione eurasiatica ed i tentativi di “contenimento” da parte dell’Occidente americanocentrico tramite i dispositivi militari, mediatici e d’intelligence atlantici.

Niente è come sembra

Questo libro propone una diversa versione della storia recente, la stessa che Julian Assange voleva che fosse esposta e per la quale sta pagando un caro prezzo.
Leggendolo, scoprirete che “niente è come sembra”. Che il “cattivo” non è tanto cattivo. Che il “buono” non è poi tanto buono. E che la storia non può essere raccontata in bianco e nero. Perché raccontata così, è soltanto una bugia.
Ma soprattutto scoprirete che la manipolazione dell’informazione è capillare al punto da farvi digerire la legittimità di una repressione diretta non più verso colui che commette un crimine, ma verso colui che lo denuncia.
La lotta di Assange non è solo una lotta per contrapporre la verità alla bugia e la trasparenza alla segretezza. E nemmeno solo una battaglia per la libertà di stampa e di espressione. La sua è una lotta per la sopravvivenza della stessa democrazia. È quindi una lotta per tutti noi.

Quel che Pasolini sapeva e perché fu ucciso

La verità ha un suono speciale.
Pier Paolo Pasolini (24/9/1975)

Pasolini scrittore, Pasolini poeta, regista, linguista, sceneggiatore. Meno nota e meno compresa è da sempre però la figura del Pasolini-Giornalista, che il Centro Studi ha pensato bene di approfondire lungo il corso di una serie di incontri svoltisi nel novembre 2017 e nell’aprile 2018 presso la sala consiliare del Municipio di Casarsa della Delizia e che ha visto gli interventi di diversi studiosi e giornalisti su quest’aspetto della professione intellettuale del Nostro, prolifica soprattutto, ma non soltanto, negli ultimi periodi della sua vita. Quegli incontri da noi organizzati si sono poi trasferiti in forma scritta in un volume edito nel 2019 e distribuito da Marsilio Gettiamo il nostro corpo nella lotta. Il giornalismo di Pier Paolo Pasolini (a cura di Luciano De Giusti e della compianta Angela Felice).
Uno degli interventi della giornalista Simona Zecchi L’ultimo linguaggio del poeta massacrato è parte di questa raccolta di saggi. L’autrice nel 2020 ha dato poi alle stampe per i tipi di Ponte alle Grazie il suo secondo libro-inchiesta sulla morte dello scrittore L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, e proprio la figura del Pasolini-giornalista è quanto più emerge da questo lavoro nuovo e complesso. L’autrice nel 2018 ha anche dato alle stampe per la nave di Teseo il libro-inchiesta La Criminalità servente nel Caso Moro. Per la precisione ciò che emerge nettamente da L’inchiesta spezzata è la figura del giornalista d’inchiesta, un’altra branca del giornalismo se vogliamo più nobile, che collega fatti apparentemente lontani tra loro, va alla ricerca di fonti (persone o documenti) e che non si limita nel passare in rassegna le carte giudiziarie o investigative che eventualmente caratterizzano una vicenda. Insomma il giornalista d’inchiesta cerca elementi o prove nuove, altre che possano svelare verità nascoste o mistificate.
Pasolini sapeva e ha ottenuto le prove secondo le indagini di Simona Zecchi.
A 45 anni dal suo omicidio, la sua inchiesta riapre di fatto il dibattito sul movente che condusse lo scrittore e il regista alla violenta morte quel 2 novembre del 1975 e svela ciò che sin qui era rimasto celato. Un dibattito da sempre incastrato tra due opposti: la versione ufficiale dell’omicidio maturato all’interno di un contesto di prostituzione maschile e quella tutta stretta dentro l’ambito del complotto (nello specifico nella sparizione dell’Appunto 21, capitolo a cui Pasolini in Petrolio rimanda, ma che non si è mai trovato, o che forse non è mai stato scritto).
Il libro L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, invece, porta, a sostegno della nuova tesi che ne risulta, una vasta serie di documenti, testimonianze, carteggi, storie ed analisi nuove che indicano come l’espediente utilizzato per condurlo al massacro (le bobine di Salò sottratte nell’agosto del 1975 e da lui tenacemente ricercate) avesse il preciso intento di spegnere definitivamente la sua voce e ancor di più la ricerca della verità sulle stragi, su tutte la strage di Piazza Fontana (1969). L’autrice, dopo aver mostrato nel libro Pasolini, massacro di un Poeta edito nel 2015 dallo stesso editore, come e da chi è stato ucciso l’intellettuale, cancellando per sempre la pista a sfondo sessuale riconosciuta dall’unico processo, ha qui ricucito le parti spezzate di una indagine che si scopre Pasolini stava svolgendo.
L’inchiesta spezzata…, dunque, ci accompagna fuori dal campetto di Ostia e dal «complotto» fine a sé stesso. È una indagine complessa e doppia questa, perché affronta sì il movente dell’omicidio ma ne sviluppa anche i contenuti, inoltrandosi nel territorio della strategia della tensione in modo inedito e inserendo al suo interno la figura del poeta-giornalista che negli anni invece è sempre stata sottratta dalle ricostruzioni di un periodo per certi versi ancora oscuro. Negli ultimi mesi della sua vita Pasolini indossa i panni dell’investigatore preferendoli a quelli dello scrittore per «ragioni pratiche», come scrisse già dal 1971, e arriva dritto al cuore politico e finanziario delle stragi: dove DC, Vaticano e CIA si incontrano.

(Fonte)

“Col sangue l’Italia è stata avvertita”


“Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire con la strage che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. Un posto di comparsa, di aiutante. Ci hanno fatto sapere col sangue che il nostro Paese non può pensare di muoversi da solo nel Mediterraneo. Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni. E noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvertimenti. I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così li hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perché non debbono difenderla. Sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità. Altro che strage fascista: è accaduto qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che pone il problema della nostra autonomia internazionale”.
Rino Formica è capogruppo dei deputati del PSI, il partito del Presidente del Consiglio. E’ stato commissario nell’indagine parlamentare sulla P2. Sa quello che il Parlamento conosce dell’ attività dei nostri servizi segreti. Sa quello che il governo davvero temeva prima della strage e soprattutto quello che il governo teme oggi. Ragiona sul macello del treno 904 e arriva a una conclusione che gli appare ferrea: “La strage è un avvertimento venuto da fuori ma questo non assolve nessuno. Anzi, evidenzia drammaticamente la debolezza del nostro Stato, la precarietà della nostra democrazia, la pigrizia mentale delle nostre forze politiche. Ci hanno avvertito e facciamo finta di non capire”.
Un momento, onorevole, chi ci ha avvertito?
“Da due anni abbiamo una presenza internazionale più autonoma. Con un atto di guerra ci hanno detto di smetterla”.
E’ solo una mezza risposta la sua. Le chiedo: anche lei parla di pista internazionale. Si riferisce alle minacce di vendetta degli estremisti islamici, a Paesi spesso tirati in ballo per atti di terrorismo come la Libia?
“Per carità, le vendette internazionali si consumano in modo mirato. Se qualcuno vuole che l’ Italia liberi i Libanesi che ha messo in carcere sequestra degli Italiani. Se qualcuno volesse punirci per fatti specifici fa presto a far fuori tecnici o diplomatici italiani. La pista internazionale di cui parlo io non è il folklore sui cattivi nel mondo. E’ purtroppo una cosa più seria”.
E allora ci dica dove porta questa pista.
“Voglio partire da quanto ho visto l’altro giorno in Parlamento, mentre si discuteva della strage: uno spettacolo desolante, un’assemblea stordita. Tutti contenti nel dire fascismo contro antifascismo, rifacciamo l’unità e stiamo a posto. Che pochezza emiliana. E allora io provo a ragionare. Abbiamo avuto due fenomeni terroristici: uno rosso che nasce dalla costola dell’ estremismo marxista e cattolico e che è stato qualcosa di carattere sostanzialmente nazionale, un terrorismo che mirava ai simboli, un terrorismo logico. L’altro crea paura di massa. Ma ci domandiamo cosa vuol dire: significa che non dobbiamo compiere passi azzardati, non dobbiamo andare oltre certi confini. Questo è il senso delle stragi. La strage è una decimazione indiscriminata. Può venire dall’interno se si è in presenza di una guerra civile. Altrimenti appartiene a una logica esterna, anche se può trovare pali, manovalanza e supporti in sede locale”.
Questa, onorevole, è la premessa di un ragionamento. Dove sta la conclusione?
“Ci arrivo, ci arrivo. Ma ancora qualche considerazione: la strage di Natale è così perfettamente copiata su quella dell’Italicus da avere dentro di sé le caratteristiche del depistaggio. Ce la prendiamo col fascista assassino così come abbiamo fatto per le altre stragi. E non a caso non abbiamo mai trovato nessun colpevole. Tranne in un caso: il 17 maggio del 1973 in via Fatebenefratelli Gianfranco Bertoli, ex informatore del SIFAR, lancia una bomba contro il presidente del Consiglio Rumor. Quattro morti, decine di feriti. Sedicente anarchico veniva da un kibbutz israeliano. Se lo sono dimenticato tutti, eppure è l’unico filo, l’ unico nome che abbiamo in materia di stragi”.
E allora?
“Allora vuol dire che non sappiamo o non vogliamo indagare e ragionare sulle stragi. Le voglio ricordare un’altra cosa: il 5 novembre del 1972 Forlani, il cauto Forlani, parlava della Rosa dei venti come del tentativo più pericoloso della destra italiana dal dopoguerra e aggiungeva: un tentativo ancora in corso. Un tentativo con collegamenti internazionali. Da allora Forlani non ne ha parlato più. Di Bertoli nessuno ha parlato più”.
E quale sarebbe la verità che nessuno in fondo vuol conoscere?
“Quella per cui le stragi servono per introdurre avvertimenti a fini interni e quella per cui il nostro Paese è troppo debole per difendersi”.
Torniamo alla domanda originaria. Difendersi da chi?
“Non puoi crescere in democrazia, non puoi accettare sfide mondiali, stare al centro di un’area di guerra come il Mediterraneo e avere dei servizi di sicurezza funzionali, nati e cresciuti per la subalternità internazionale. Non puoi essere fino in fondo autonomo all’interno delle alleanze se i nostri servizi di sicurezza nemmeno hanno la parità dei flussi d’informazione con quelli alleati”.
Insomma, qualcuno ci ha avvertito, dall’estero e col sangue, che stavamo diventando troppo autonomi. E i nostri servizi di sicurezza non sono serviti a nulla. E’ così?
“E’ così e io credo che vada rinegoziata l’integrazione dei sistemi di sicurezza con i servizi analoghi dei Paesi alleati”.
Onorevole Formica, l’avvertimento di cui lei parla, la richiesta che i nostri servizi di sicurezza siano messi su un piano di parità con quelli alleati, vogliono dire che quella bomba sul treno è stata messa per iniziativa di qualche servizio segreto straniero. Qualcosa che i nostri avrebbero potuto sapere e non hanno saputo.
“E’ plausibile che sia andata così”.
E quale servizio è plausibile che sia l’ organizzatore dell’ avvertimento?
“Forse l’ uno, forse l’ altro. A certi livelli si scambiano favori. Io questo non lo so ma so che i nostri non funzionano”.
Già, se non sanno quello che fa il KGB o la CIA o altri che ci stanno a fare?
“Le racconterò tra un attimo dei servizi. Ma prima voglio spiegare meglio perché ci mandano questi avvertimenti. A metà e alla fine degli anni Settanta ci dissero che non potevamo procedere speditamente ad un’evoluzione democratica perché questo metteva in circolo forze politiche di cui era discutibile la fedeltà internazionale”.
Si riferisce a quello che fu il tentativo di Moro?
“Anche. Quello che di Moro all’estero non potevano accettare era la sua disponibilità a stare con i comunisti. Potevano accettare dei comunisti al governo, come poi accadrà in Francia. Non potevano accettare una sorta di democrazia popolare in Occidente”.
E anche la morte di Moro fu un avvertimento?
“Questo non posso dirlo. Non posso stabilire rapporti di causa ed effetto. Posso dire che quel tentativo in parte ambiguo di autonomia nazionale fu osteggiato. Oggi però il problema è diverso”.
Oggi per che cosa ci hanno avvertiti?
“Perché stavamo diventando un Paese che cominciava a dire la sua. In campo economico, sullo scacchiere del Mediterraneo. Perché stavamo diventando nazione all’interno delle alleanze. E invece ci ricordano che al massimo possiamo mandare qualche corvetta da qualche parte. Oggi non è problema di questa o quella forza politica al governo. Chiunque comandi in Italia deve ricordarsi di stare al suo posto”.
E deve smettere di far girare ministri degli Esteri e presidenti del Consiglio nel Mediterraneo?
“Deve ricordarsi delle nostre dipendenze internazionali. Questo è l’avvertimento. In quest’area un’Italia protagonista dà fastidio sia ad Est che ad Ovest”.
Dicevamo dei nostri servizi segreti…
“Il giorno 20 dicembre viene Scalfaro in Parlamento. Dice: l’ Italia è un Paese senza frontiere, entra ed esce chi vuole, il libanese ammazzato a Roma non sappiamo come si chiama, come è venuto. Promette: metterò ordine negli stranieri all’Università di Perugia. Gli dico: bravo, ma ricordati che perfino i finti studenti di Perugia sono stati contrattati internazionalmente. Voglio dire che nei nostri servizi la devianza è certamente rilevante ma peggio è la loro inefficienza. Inefficienza voluta al loro atto di nascita sancita negli accordi. E nel buco nero dell’inefficienza nasce la devianza: Non potendo, non dovendo difendere il Paese, s’industriano a spiare i politici, a stendere dossier”.
Che vuol dire inefficienza?
“Vuol dire che quando gli Americani hanno deciso tempo fa di sospendere il flusso delle informazioni in loro possesso, siamo rimasti ad aspettare che cambiassero idea. Vuol dire che i sistemi di reclutamento sono incredibili. Poiché i servizi sono segreti, una delle garanzie di riservatezza è che ognuno tira dentro un parente. Vuol dire che riciclano le informazioni delle Questure. Vuol dire, un esempio: dieci anni fa segnalano Freda in Grecia. Si discute come andarlo a prendere. Si decide: lo rapiamo. Si appalta l’ operazione al camorrista Zaza in cambio di denaro e impunità. Zaza subappalta il rapimento. Il rapimento fallisce. Freda resta libero. Zaza vola via con i soldi. Ecco i nostri servizi”.
Ma non sono gli stessi servizi che avevano detto a Craxi che “signori con la valigia giravano per l’ Italia”?
“Ma quelle sono soffiate che arrivano a centinaia. Col senno di poi ci si ripensa. Ma se volessimo ascoltarle i treni bisognerebbe fermarli tutti ogni giorno. Quando ero ministro dei Trasporti il direttore generale mi diceva: fermiamo solo quando la telefonata arriva ai Carabinieri perché i Carabinieri si presentano in stazione, altrimenti potremmo chiudere tutte le linee per sempre”.
Craxi, perché non è andato a Bologna?
“Sbaglia chi critica la sua assenza. Non ha potuto, ma sarebbe stata una risposta vecchia. Altre sono le risposte: non smettere una politica di pace nel Mediterraneo…”.
Ignorare l’avvertimento?
“Possiamo fare solo due cose: o rientrare nei ranghi o dotare il Paese di sistemi di difesa e di sicurezza adeguati alle nostri ambizioni. Ci sarebbe una terza cosa da fare: diventare una democrazia compiuta, ma altri ci hanno messo secoli, noi ci proviamo da appena due generazioni. E purtroppo, nel dopoguerra si è scelta una democrazia del compromesso, una democrazia lenta”.
Onorevole, che vuol dire non smettere una politica di pace nel Mediterraneo?
“Vuol dire che una volta si sta con Israele e una volta no”.
E che vuol dire capire l’avvertimento senza subirlo?
“Vuol dire sofferenza per tutti i partiti. Perché significa imparare a discriminare il bene e il male sullo schieramento internazionale senza garanzie e certezze. Vuol dire diventare nazione. L’unità antifascista, purtroppo, non basta più né per capire né per fermare le stragi. E’ questo il dramma della pista internazionale, quella vera”.

Intervista di Mino Fuccillo, 29 dicembre 1984

“Lei la pagherà cara”


Col sottotitolo Cabina di regia USA, Vaticano e apparati di Stato dietro l’affare Moro, “Lei la pagherà cara” (Edizioni Pendragon, Bologna, 380 pagine) è il secondo volume che noi di Faremondo dedichiamo ad uno dei tornanti decisivi della storia contemporanea del nostro Paese: in precedenza (2014), ci eravamo già occupati di questi ed altri aspetti dirimenti dell’operazione Moro attraverso lo scritto di un nostro collaboratore tanto prezioso quanto schivo ad apparire: Aurelio Macedonio Aldrovandi, il cui studio (353 pagine) venne allora pubblicato a nostra cura col titolo Friendly fire. Il sequestro Moro come false flag operation orchestrata dagli USA.
Nel 2019, appena doppiato il quarantennale dell’agguato militare di via Fani, ulteriori infauste vicende (in primis la parabola e gli esiti nefandi dell’ultima “commissione d’inchiesta” parlamentare), diverse importanti acquisizioni documentali e nuove ricerche di rilievo uscite nel frattempo, ci hanno spinto a rivolgere nuovamente lo sguardo verso questa cospicua e crucialissima parte del nostro presente su cui i mainstream media continuano a stendere pesanti inganni, false bandiere e plurimi veli di silenzio…
Non a caso la nostra disgraziatissima penisola era e rimane per i dominanti un laboratorio di manipolazione politica di prima grandezza a livello planetario. Per questo, nello scorrere dei decenni, dentro questo tipo specifico di presente l’affare Moro si conferma sempre più nitidamente quale vero pivot ineludibile e “punto più alto” di tutte le strategie psicologiche, politiche e criminali messe in campo a danno delle italiche genti dall’intero establishment (occidentale), con tutto il suo nutrito stuolo di perpetratori, la gerarchia dei suoi agenti, le schiere dei fiancheggiatori e degli esecutori ai vari livelli: un affare oggi più attuale e più significativo che mai, a riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, della longeva continuità dei disegni di potere dei dominanti di allora e di oggi, uniti in profondo dal loro “essere” funzionari del capitale.
Ad inizio 2020, proprio mentre stavamo mettendo in programma una serie di presentazioni del libro in diverse città, una rinnovata cabina di regia degli stessi dominanti ha preso a muovere i suoi innumerevoli asset subordinati sparsi per il mondo, inscenando le prime stanze della cosiddetta pandemia e promuovendo la prima incarcerazione domiciliare su scala globale che la storia della specie ricordi.
Saltate o congelate sine die le presentazioni del volume, ci siamo impegnati per mesi nell’analisi dei fatti e nella decifrazione degli eventi di quello che, mano a mano che si srotolano i papiri dell’agenda dei dominanti, si rivela essere, dopo e oltre l’11 settembre 2001, un inedito azzardo di portata planetaria volto alla risistemazione globale del mondo secondo i desiderata dei funzionari del capitale.
In una temperie di specie come questa, ci siamo detti, un nostro rinnovato e ancor meglio consapevole ritorno di attenzione sul “caso Moro” non potrebbe mai essere vissuto come un’operazione di depistaggio intellettuale. Τutto il contrario, semmai, se è vero come è vero, in profondità, che il pulviscolo di senso fatto alzare durante il sequestro dell’esponente democristiano (ma già in aria all’epoca dell’assassinio di J.F. Kennedy), è, pur nella differenza di scala fra gli eventi, fatto esso stesso della medesima grana di quello fatto spargere su Manhattan la mattina dell’11 settembre, che a sua volta è il diretto antecedente storico di quello attuale seminato in aria col nome di “nuovo coronavirus”.
Qui di seguito ci permettiamo quindi di proporre per la prima volta all’attenzione dei frequentatori del nostro sito-rivista una breve traccia che dia almeno una sommaria idea dei contenuti del volume, che può essere ordinato tanto sul sito dell’editore quanto sui portali di vendita dedicati.
«Lei la pagherà cara»: questo è il succo del sinistro avvertimento di Kissinger a Moro durante una sua visita negli Stati Uniti del 1974, quando era ministro degli esteri: la politica di avvicinamento al PCI e il recupero parziale di indipendenza da parte dell’Italia, pur sotto l’ombrello NATO e occidentale, son cose che non s’han da fare…
La macchina del “lucido superpotere” (Pecorelli) che porterà al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro è già in pista da tempo. Le sue componenti “operative” rispondono ed una mente, a registi made in USA che hanno a loro completa disposizione i grandi mezzi degli arcana imperii (la rete della loro Intelligence Community, CIA in testa), l’obbedienza cieca dei loro funzionari in loco (i servizi segreti italiani) e la manovalanza fabbricata ad arte (i brigatisti).
Se a questo si aggiungono la fedeltà atlantica di tutti gli apparati dello Stato e la subalternità collaborante dei principali partiti politici (DC, PCI, PSI), vediamo come nulla sia stato lasciato al caso nell’affare che più di tutte le altre stragi ha impresso il suo marchio funesto sulla storia del nostro Paese…
Dalla potenza sterminatrice del commando di professionisti in azione in via Fani – che non fu composto da brigatisti, relegati a comparse dell’agguato – all’esfiltrazione da manuale del sequestrato da via Casale de Bustis, con ogni probabilità via elicottero; dalla permanenza del prigioniero in due location in riva al mare, superprotette e off limit per gli investigatori (Palo Laziale e Fregene), all’epilogo macabro della sua lenta esecuzione maturata nel perimetro di palazzi nobiliari ad alta intensità di intelligence (palazzo Antici-Mattei e palazzo Caetani), da dove la famosa R4 rossa col cadavere di Moro percorse appena 50 metri prima di essere abbandonata in via Caetani…

Fonte

Editoria a stelle e strisce

L’opera silente ma efficiente dell’USIS (United States Information Service, poi Agency dal 1953) nell’Italia del dopoguerra

“Per quanto riguarda l’USIS in Italia, l’editoria italiana poté beneficiare delle attenzioni dell’agenzia fin dal principio delle sue attività: dai documenti emerge che già nel 1951 diverse opere furono pubblicate grazie all’intervento statunitense. Solo per citarne alcune, L’igiene mentale nella sanità pubblica di P. V. Lemkau e Imperialismo sovietico: la marcia della Russia verso il dominio del mondo di Ernest Carman per le edizioni Astrolabio; la Cappelli di Bologna pubblicò Storia degli Stati Uniti d’America di Charles e Mary Beard; per Longanesi venne pubblicato Ho scelto la libertà di Viktor Kravchenko; per Bompiani, Dentro l’America di John Gunther. Fra i resoconti delle attività dell’USIS è possibile individuare collaborazioni in Italia almeno fino al 1969. Non tutti i libri venivano inclusi nei programmi di sovvenzione: la diffusione di opere ritenute poco funzionali non era in alcun modo incoraggiata, come poté verificare l’editore vicentino Neri Pozza. Nel 1957 questi chiese l’intervento statunitense per dare alle stampe Common Sense di P. Henry Wicksteed; la risposta dell’agenzia fu affidata ad una lettera della responsabile dell’Ufficio culturale, Gertrude Hooker:
“Mi rendo conto del valore culturale e dell’importanza di una pubblicazione di Common Sense di P. H. Wicksteed in Italia, e al tempo stesso delle difficoltà di ordine finanziario inerenti ad un libro di grossa mole e di non grandi possibilità commerciali. Ci spiace però doverLe comunicare che, non trattandosi di un autore americano, non siamo in grado di fornirLe alcun contributo concreto.”
Pozza riuscì però a ottenere il supporto statunitense per la pubblicazione della collana “Tradizione Americana”: per ammissione dello stesso editore, libri che «nessun editore italiano s’è mai sognato di pubblicare». Titoli come L’uomo di fiducia di Herman Melville o Storia di New York di Washington Irving. Il contributo americano si concretizzava nell’acquisto – a un prezzo di favore – di una percentuale della tiratura di ogni volume oscillante fra il 30 e il 40%: dell’opera La Guerra civile di Miss Ravenel di John W. De Forest (1964) vennero acquisite dall’ente 800 copie su 3.000; per Strade maestre di Hamlin Garland (1965) l’acquisto fu di 800 copie su 2.000; per Storia di New York (1966) di 900 copie su 3.000 di tiratura complessiva.
I titoli pubblicati da Neri Pozza dovevano essere stati ritenuti meritevoli di supporto dagli addetti dell’Operations and Policy Research, un ente che si occupava della verifica dei testi per conto dell’USIA e provvedeva a suddividerli in sei categorie: “Maximum Promotion”, “High level normal use”, “Low level normal use”, “Normal use”, “Conditional use” e “Not suitable”. Le opere che rientravano nell’ultima categoria venivano così descritte:
“Libri mal scritti, di basso livello e lavori che distorcono i fatti e riportano conclusioni non supportate non hanno spazio nel programma. Libri che sono fortemente critici verso gli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti sarebbero un intralcio effettivo al programma. I libri che rientrano nella categoria sono quelli che invocano la distruzione delle istituzioni libere, promuovono o rafforzano la propaganda comunista, o sono osceni, di scarsa qualità e sensazionalisti.”
Vita di uno scrittore di Henry D. Thoreau – evidentemente, ben valutato dai revisori americani – venne promosso con solerzia dalla Hooker; nel carteggio con Neri Pozza il funzionario metteva in evidenza la convenienza economica dell’operazione: «Appena possibile la pregherei di farci conoscere i dati e le condizioni necessarie per la stesura di un contratto, tenendo presente che l’USIS ha già provveduto a compensare il traduttore e che quindi Lei non dovrà sostenere a questo riguardo alcuna spesa».
L’agenzia acquistò 700 copie dell’opera e contribuì alle spese di rilegatura. Neri Pozza fece parte del ristretto gruppo di editori che instaurarono relazioni con l’ente americano pur non operando a Milano o Roma, centri nevralgici della produzione libraria italiana. Oltre alla casa editrice veneta, l’USIS ebbe proficui rapporti con il Mulino e Cappelli a Bologna; con Salani e La Nuova Italia a Firenze; con Guanda a Parma; con Nistri-Lischi a Pisa e con Marietti, Taylor ed Einaudi a Torino. Più numerose le collaborazioni con le case editrici milanesi (Longanesi, Mondadori, Bompiani, ecc.) e romane (Opere Nuove, Mundus, Saturnia, ecc.), rapporti che fra il 1951 ed il 1969 portarono alla pubblicazione di oltre 250 opere. La maggior parte delle collaborazioni avvenne nell’ambito del Book Translation Program, ma un numero significativo di testi – almeno 30 fra il 1961 e il 1969 – vide la luce grazie al Public Law 480 Textbook Program. I referenti italiani per l’attuazione di tale programma furono il Mulino, che propose la collana “Classici della democrazia moderna”, e la casa editrice romana Opere Nuove, che grazie al sostegno statunitense pubblicò opere come Ormond il testimonio segreto di Charles Brockden Brown o Vecchio mondo creolo di George Washington Cable. Come negli altri Paesi, la presenza dell’agenzia in Italia si configurava su un duplice livello: agli accordi riservati con gli editori si affiancavano le attività di pubblico dominio, portate avanti tramite gli Information Center presenti su tutto il territorio; questi si occupavano della promozione e diffusione della lettura, proponendosi come un punto di riferimento culturale nelle comunità dove l’accesso ai libri era difficoltoso. In Italia gli Information Center erano 8, a Catania, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Bari.”

Da L’editoria e la United States Information Agency, di Andrea Marinello.
Nella foto, la sala lettura dell’Information Center USIS a Roma.

Il bipolarismo tecnologico


“Quando il 6 dicembre 2018 la direttrice finanziaria del gigante cinese Huawei, Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei, venne arrestata a Vancouver, in Canada, in base a un mandato di arresto emesso dagli Stati Uniti per una presunta violazione delle misure di embargo economico all’Iran, il genio uscì definitivamente dalla lampada. La guerra commerciale decretata dall’amministrazione Trump è stata l’utile foglia di fico con cui gli Stati Uniti hanno coperto un ben più cogente obiettivo geopolitico: isolare gradualmente la Cina, frenare l’ascesa tecnologica dell’Impero di Mezzo, ritardarne la scalata in terreni dalle applicazioni decisive per i futuri assetti di potere del pianeta. Vistasi indietro nella gara, Washington ha sdoganato le armi a disposizione: sanzioni commerciali, moniti agli alleati, non a caso divenuti sempre più espliciti poco prima dell’arresto di Meng, a non utilizzare tecnologie cinesi , sfruttamento delle armi del geodiritto, richiamo alla sbandierata “comunità di destino” contro la minaccia posta dalla Cina comunista.
Lo spartiacque del caso Huawei è decisivo, perché da un lato rappresenta il momento in cui lo scontro USA-Cina si fa realmente nuovo bipolarismo e dall’altro rende palese la valenza geopolitica dello scontro al resto del mondo, costringendo, d’altro canto, Washington a rendere palese ciò che negli apparati di potere era già noto, a far cadere la presunta immaterialità e neutralità dei colossi digitali della Silicon Valley, in realtà da sempre intrinseci alle logiche del potere globale statunitense. I campioni nazionali statunitensi sono stati rapidamente arruolati nella guerra a Huawei e al resto dei rivali cinesi. Il mondo della tecnologia, abdicando alla mitologia del paradiso libertario californiano, non può negare il suo sostegno ai programmi governativi, che rappresentano una fetta considerevole dei suoi introiti. La Casa Bianca, per irreggimentare i campioni nazionali statunitensi in una fase di confronto con la Cina, ribadisce la logica della scelta di campo, rilanciando con decisione la matrice statunitense della rete supposta come globale. Invitando i grandi del digitale a una nuova collaborazione con solidi argomenti economici, sotto forma di appalti dal valore di decine di miliardi di dollari e sconti fiscali a tutto campo, il governo federale aggiunge solidi argomenti alla focalizzazione sulla sicurezza nazionale.
(…) Nella tecnologia stiamo dunque parlando di un vero e proprio scenario di matrice bellica, di un conflitto sotterraneo ma continuo che amplifica gradualmente la faglia tra Stati Uniti e Cina, provocando da un lato la costruzione di paradigmi tecnologici paralleli a mano a mano che l’innovazione avanza in forma divergente sulle due sponde del Pacifico; e, dall’altro, producendo un contesto caotico che vede Washington estrarre su scala globale rendite di posizione dall’attuale egemonia dei suoi colossi digitali (Google, Amazon, Facebook e Apple gestiscono ancora l’80% dei dati su scala globale) e Pechino creare, gradualmente, i più efficaci standard del futuro.”

Dall’omonimo articolo a firma di Andrea Muratore, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici n. 4/2020, pp. 123-125.

Trump, la bioetica e un affare chiamato Guantanamo


18 anni dopo la sua apertura, il più infame dei “Luoghi Oscuri” e delle carceri infernali che gli USA possiedono nel mondo, è ancora aperto e Donald Trump promette di riportarlo alla sua “gloria” di un tempo e riempirlo di “cattivi soggetti”. Per questo il presidente USA ha eliminato, nel 2017, l’Ufficio dell’Inviato Speciale per la Chiusura di Guantanamo creato da Obama, e nel 2018 ha firmato un ordine esecutivo per mantenerlo aperto.
“Io ci farei qualcosa di molto peggio che il ‘sottomarino’ [l’annegamento simulato]…. Non ditemi che non funziona, la tortura funziona .. e anche se non funzionasse, se la meritano in ogni modo, per quello che ci stanno facendo” disse Trump quando era candidato, e una volta presidente nominò la coordinatrice delle sessioni di tortura in uno di questi “luoghi” statunitensi in Thailandia, la signora Gina Haspel, a capo della CIA. Continua a leggere

Millie Weaver e lo Shadow Gate

Con le accuse di furto e violenza domestica, la documentarista statunitense di area conservatrice Millie Weaver e suo marito sono stati arrestati lo scorso 14 agosto, poche ore prima della prevista pubblicazione di Shadow Gate, nel quale ella mostra gli elementi di una manovra orchestrata dai partiti Democratico e Repubblicano per destituire il presidente Donald Trump.
Il video del documentario-bomba è consultabile ai seguenti collegamenti:
bigchute.com
brighteon.com
banned.video

Aggiornamento del 19 agosto 2020
Millie Weaver è stata rilasciata senza pagamento di cauzione, lunedì 17, come risulta dagli atti giudiziari.
Causa dell’arresto subito sarebbe stata una lite con la madre risalente alla scorsa primavera, durante la quale quest’ultima, temporaneamente ospitata dalla figlia dopo la chiusura del proprio posto di lavoro per l’emergenza sanitaria, avrebbe subito violenza.
Allo stato attuale, quindi, non risultano oggettivi legami dell’arresto con l’attività politico-culturale svolta dalla Weaver.
Il suo documentario è comunque stato rimosso dai canali YouTube e Facebook dove era stato inizialmente reso disponibile, in quanto considerato “hate speech”.

Com’è NATO un golpe – il caso Moro

Il documentario ripercorre le ultime fasi di vita di Aldo Moro, dal viaggio negli USA del 1974, al rapimento, la detenzione e l’uccisione del Presidente della DC. Una narrazione condotta dal senatore Sergio Flamigni, dall’ex magistrato Carlo Palermo, dai giornalisti ed autori di testi inerenti Marcello Altamura, Rita Di Giovacchino, Carlo D’Adamo e dal perito balistico Martino Farneti.
Una narrazione che si contrappone con dati di fatto alla verità ufficiale del “memoriale”. Una nuova nuova analisi balistica per fare luce sulla dinamica dell’agguato, un filmato inedito di via Fani riguardante la 127 rossa, auto mai presa in considerazione dalle indagini e la fonte “Beirut2”, intervistata da Carlo Palermo, che riferisce di una foto scattata ad Aldo Moro in un cortile durante la prigionia, di come la Guerra Fredda era fattivamente diretta da gruppi che controllavano sia Washington sia il Cremlino, a conferma del fatto che Aldo Moro doveva morire e non per mano delle Brigate Rosse al fine di attuare un golpe in Italia.

Per essere aggiornati sulle proiezioni del documentario o per organizzarne una nella vostra città, potete consultare la seguente pagina.