La guerra non poteva essere impedita


“Chi ha seguito le vicende ucraine senza pregiudizi ideologici, e con un minimo di onestà intellettuale, sa che al momento della dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina era una potenza economica, la terza potenza industriale dell’Unione Sovietica dopo Russia e Bielorussia, oltre che il suo granaio. Questa repubblica sovietica possedeva industrie aerospaziali, automobilistiche e di macchine utensili, i suoi settori minerario, metallurgico e agricolo erano ben sviluppati, come i suoi impianti nucleari e petrolchimici, le sue infrastrutture turistiche e commerciali. Ospitava inoltre il più grande cantiere navale dell’URSS.
A partire dal 1991, anno della sua indipendenza, il PIL dell’Ucraina è rimasto indietro rispetto al livello raggiunto in epoca sovietica, la capacità industriale si è notevolmente ridotta e la popolazione è diminuita di circa 14,5 milioni di persone in 30 anni a causa dell’emigrazione e del più basso tasso di natalità in Europa. Non solo, l’Ucraina è anche diventata il terzo debitore del FMI e il Paese più povero d’Europa. Questi record negativi non possono essere imputati solo alla corruzione sistemica e spaventosa dell’Ucraina: le reti di corruzione che hanno spremuto l’Ucraina sono transnazionali.
L’Ucraina è stata vittima di due rivoluzioni colorate finanziate dagli Stati Uniti che hanno portato a un cambio di regime e ad una guerra civile che l’hanno separata a forza dal suo principale partner economico, la Russia. La sua storia è stata cancellata e riscritta, le ricette neoliberali hanno distrutto il suo tessuto economico e sociale instaurando una forma di governo neocoloniale.
L’Ucraina è entrata a far parte del nefasto Partenariato Orientale dell’UE nel 2009 e, fin dalla sua indipendenza, è stata invasa da ONG, consulenti economici e politici occidentali. Lo stato di soggezione del Paese ostaggio degli interessi anglo-americani si è cementato dopo che l’ultimo governo ucraino che si era opposto alle dure condizioni del FMI è stato rovesciato dal colpo di Stato sponsorizzato dagli Stati Uniti nel 2014.
Il 10 dicembre 2013, il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva dichiarato che le condizioni poste dal FMI per l’approvazione del prestito erano inaccettabili: “Ho avuto una conversazione con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, mi ha detto che la questione del prestito del FMI è stata quasi risolta, ma gli ho ripetuto che se le condizioni fossero rimaste tali non avremmo avuto bisogno di tali prestiti”. Yanukovich ha quindi interrotto i negoziati con il FMI e si è rivolto alla Russia per ottenere assistenza finanziaria. Era la cosa più sensata da fare, ma gli è costata cara. Non è possibile rompere impunemente le catene del FMI: questo fondo a guida americana concede prestiti a Paesi con l’acqua alla gola in cambio della solita shock therapy fatta di austerità, deregolamentazione e privatizzazione, e prepara in questo modo il terreno per gli avvoltoi della finanza internazionale, quasi sempre angloamericani.
Se si permette a coloro che hanno distrutto un Paese di essere coinvolti nella sua ricostruzione, essa sarà inevitabilmente solo un punto sul continuum di conquista, occupazione e saccheggio, anche se viene imbellettato. La distruzione produce quella tabula rasa su cui l’occupante può scrivere le proprie regole: “Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace”. Tacito conosceva bene sia la realtà che la propaganda dell’imperialismo romano. Ci si può solo chiedere se coloro che parlano di “ricostruzione”, “ripresa”, “riforma”, “ordine fondato sulle regole”, “reset” o qualsiasi altra espressione di moda al momento, siano consapevoli di questa realtà brutale o credano veramente alla propria propaganda. In ogni caso, promettono un’utopia futura per la quale vale la pena uccidere e morire.
(…) Vendere una guerra richiede un impegno a tutto campo, ed è per questo che i think tank e gli specialisti di marketing sono stati coinvolti fin dalle prime fasi. Essi generano narrazioni che contribuiscono a plasmare lo spazio discorsivo, a creare una percezione di sostegno universale per l’Ucraina, a fornire punti di discussione e versioni della verità sia ai politici che ai media. Devono motivare gli ucraini affinché continuino a combattere e i vassalli europei affinché continuino a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina, indipendentemente dalle devastanti perdite umane ed economiche che ciò comporta.
(…) I politici europei, mentre sono alle prese con i costi sempre più crescenti di una guerra per procura degli Americani nel loro continente, come meccanismo di compensazione sostengono l’idea assurda che una soluzione di pace in Ucraina minaccerebbe la sicurezza europea e non sarebbe nell’interesse del Vecchio Continente. La retorica della ricostruzione, intrecciata all’illusione di una vittoria dell’Ucraina, permette al partito transatlantico della guerra di presentarsi come una forza del bene e un motore di crescita futura. I promotori della ricostruzione hanno cercato aggressivamente di occupare il terreno morale estromettendo i costruttori di pace e per farlo hanno spinto la tesi che la guerra non poteva essere impedita né fermata.”

Da Promuovere la ricostruzione in Ucraina per alimentare la guerra, di Laura Ruggeri.

Sovranismi strabici

“All’interno di quello che “The Economist” definisce il nascente ‘ordine mondiale alternativo’ è utile interrogarsi a quali degli attori della sfida globale giovi maggiormente il sovranismo o meglio i diversi sovranismi nazionalisti, quello anti-UE e filo-NATO e quello anti-UE e anti-NATO. Il primo, il sovranismo di destra ed estrema destra che esercita una richiesta di riappropriazione di sovranità nei confronti dell’UE ed evidenzia un posizionamento geopolitico atlantista, risulta funzionale al completo assoggettamento dell’Europa agli Stati Uniti ed è, pertanto, un fattore di mantenimento dell’ordine mondiale unipolare a guida americana. Il sovranismo nazionale anti-UE e anti-NATO si colloca in una prospettiva che mira a distaccare la nazione dai legami istituzionali con l’UE e dalla sudditanza geopolitica agli Stati Uniti. Anche questo ramo del sovranismo resta meramente nazionalista e non si attiva in senso europeista, in quanto identifica l’Europa con l’UE che considera lo strumento istituzionale e burocratico del globalismo.
Non è questa la sede per approfondire le diverse anime interne alle istituzioni europee, specie in materia di difesa comune, e il dibattito tra una minoranza che richiede autonomia strategica ed una maggioranza che concepisce l’Europa come parte dell’universo euro-americano; ciò che è rilevante in questa sede è che il sovranismo anti-UE e anti-NATO percepisce l’UE come irriformabile. Se nell’attuale scenario di guerra la presa di distanza e la critica serrata alla NATO, accusata, secondo una prospettiva mearsheimeriana, di aver accerchiato la Russia con una vera e propria minaccia militare, si traduce in una richiesta di rottura della sudditanza nazionale verso Stati Uniti, la mancanza di una proposta aggregativa europeista rischia di lasciare tale approccio in una situazione di fragilità e irrealizzabilità rispetto alla forza cultural-mediatica euro-atlantista e alla vasta presenza dell’atlantismo a livello parlamentare.
A parte la Germania che, col suo piano di riarmo da decifrare in termini geopolitici (riarmo autonomo, europeo collaborato o legato all’industria bellica americana?), preoccupa gli Stati Uniti, molte nazioni, anche qualora la prospettiva sovranista anti-UE e anti-NATO riscuotesse un elevato, ma ad oggi alquanto improbabile, successo elettorale, finirebbero per trovarsi in una condizione di fragilità rispetto al dominus americano. Se, dunque il sovranismo anti-UE e filo-NATO è direttamente funzionale all’unipolarismo americano, il sovranismo anti-UE e anti-NATO non sembra potersi attivare in proposte geopolitiche alternative all’unipolarismo e potrebbe condurre piuttosto all’isolamento tipico dei sovranismi nazionali.
Per i sostenitori dell’unipolarismo a guida americana il sovranismo nazionalista di matrice atlantista è ovviamente un alleato e/o uno strumento al tempo stesso, mentre il sovranismo anti-UE e anti-NATO, qualora non riscuotesse maggiori consensi elettorali, potrebbe anche essere lasciato prosperare come accettabile avversario incapace di proporre una strategia geopolitica alternativa.
Ciò che minerebbe o rappresenterebbe una minaccia per l’unipolarismo americano e le sue certezze di controllo geopolitico del continente europeo sarebbe, invece, un sovranismo europeista che reclami un’autonomia geopolitica, di difesa e di relazioni internazionali e proponga una riforma dell’UE su basi europeiste e un distacco dalla dominante prospettiva euro-americana. Le leve cardine a disposizione degli Stati Uniti per procrastinare l’unipolarismo a guida americana e impedire l’autonomia strategica europea sono fondamentalmente due. Il congelamento delle istituzioni europee all’attuale condizione di euro-americanismo e lo stimolo dei sovranismi nazionali che reiterino le divisioni del continente e le conflittualità nazionalistiche. Si può, pertanto, asserire che nell’attuale quadro geopolitico, caratterizzato dal passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo e dal riemergere di una guerra fredda Ovest-Est, il sovranismo nazionalista può rappresentare uno degli strumenti della geopolitica statunitense, anche accettando un comodo avversario come il sovranismo anti-UE e anti-NATO che, pur criticando gli Stati Uniti e il loro imperialismo, mantiene una prospettiva dividente per il quadrante europeo e quindi a suo modo funzionale a frammentazione e depotenziamento dell’Europa.”

Da I sovranismi alla prova della guerra in Ucraina, di Nicola Guerra, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, n. 1/2023, pp. 42-44.

Ancora largo alla paura, “contagio catastrofico”

Di Peter Koenig per Global Research, 3 gennaio 2023

Ricordate l’evento 201 del 18 ottobre 2019 a New York, ospitato dal Johns Hopkins Center for Health Security, in collaborazione con il WEF (World Economic Forum) e la Bill & Melinda Gates Foundation?
Naturalmente era presente anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e così pure tutti gli attori chiave a livello globale, tra cui la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ed effettivamente l’ONU e molte delle sue sotto-organizzazioni. Guardate qui.
Si trattava di una simulazione “teorica”, come la chiamano loro, di una pandemia da coronavirus che avrebbe potuto colpire l’intera popolazione mondiale “uno di questi giorni”…
Successe meno di tre mesi dopo. Il resto è storia.

*

Ora, gli stessi personaggi sospetti, sostituendo ufficialmente il Forum Economico Mondiale con l’OMS come sponsor chiave, hanno usato l’evento Grand Challenges Annual Meeting tenutosi a Bruxelles in Belgio il 23 ottobre 2022, per un’analoga esercitazione “teorica”, questa volta chiamata “Contagio catastrofico” – vedere qui.
È una coincidenza che la sede di questo evento sia stata Bruxelles, quartier generale dell’UE e della NATO?
È strano che questo sia emerso solo ora. E siate certi che il Forum Economico Mondiale era onnipresente.
Infatti, senza il Forum Economico Mondiale non sarebbe successo nulla di simile. Perché il Forum Economico Mondiale è il ramo esecutivo della Grande Finanza/dell’Alta Finanza – il complesso aziendale finanziario-digitale-militare che tutto insieme dirige il mondo all’ombra del consenso di Washington.
È strano che per quasi due mesi non sia emerso quasi nulla di questo evento. Perché è stato tenuto segreto finora?
Ebbene, invece di, o in aggiunta alle organizzazioni vassalle delle Nazioni Unite e alle istituzioni finanziarie controllate da Washington, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, essi invitarono uno straordinario gruppo di partecipanti, composto da 10 attuali ed ex Ministri della Salute e alti funzionari della sanità pubblica provenienti da Senegal, Ruanda, Nigeria, Angola, Liberia, Singapore, India, Germania. Di particolare interesse sono i Paesi africani.
Non ci sono coincidenze. Mentre scriviamo queste righe, l’Assemblea dei Ministri della Sanità dell’OMS, a porte chiuse, sta discutendo l’ignobile Trattato Pandemico. Presto voteranno su questo nefasto “Trattato”. Il Trattato Pandemico, come sappiamo, se votato a favore con una maggioranza di due terzi, scavalcherà tutte le autorità nazionali in materia di salute; e a partire dal 1° gennaio 2024 avrà giurisdizione al di sopra degli Stati nazionali sovrani dei 194 Paesi membri dell’OMS.
Ciò significa che avremo una tirannia sanitaria a livello mondiale. Si veda questo breve video (5:45 min) di un addetto ai lavori dell’OMS, il dottor Vincent Carroll (18 marzo 2022).
Perché i Paesi africani sono stati invitati a questa simulazione di un terribile contagio catastrofico davvero spaventoso? – Un gruppo di Paesi africani costituisce una forte opposizione – ha rifiutato finora il Trattato Pandemico. Gli Africani sanno cosa significa. E sanno persino meglio cosa significa dopo aver sperimentato la bufala del covid, che per alcuni dei loro presidenti si rivelò mortale. Poiché – alcuni presidenti africani e uno caraibico – si opposero all’agenda vaccinale mondiale, finirono per morire in strane circostanze.
Perché la presenza della Germania?
La Germania ha attualmente il governo più oppressivo d’Europa. La Germania, una superpotenza economica e intellettuale dell’UE, ha anche i movimenti di resistenza più forti d’Europa – resistenza contro la narrativa riguardante il covid e l’agenda (falsamente) verde sul clima. Resistenza contro il patto suicida per l’Europa del direttorio UE-Bruxelles, che prevede il collasso programmato dell’economia tedesca.
L’irriducibile Dr. Karl Lauterbach prestò giuramento come Ministro federale della Sanità, circa un anno fa, l’8 dicembre 2021. Riuscirà a convincere gli Africani, i Singaporiani e gli Indiani del grande bene del Trattato Pandemico per i loro Paesi e per il resto del mondo?
Ci sarà qualche incentivo speciale in termini di “denaro per lo sviluppo” in attesa dietro le quinte per i Paesi africani? Difficile dirlo. Ma tutto è possibile. Nel nostro mondo orwelliano, la distopia è diventata da tempo la nuova normalità.
Una cosa è certa: se il Trattato Pandemico dell’OMS verrà approvato, il mondo sarà in guai seri. Madre Terra potrebbe trasformarsi in una prigione sanitaria; questo, insieme alle valute digitali delle banche centrali, sarà la fine di ciò che una volta chiamavamo “libertà” e, sotto l’attenta supervisione e il pugno di ferro dell’Agenda Verde, potrebbe significare un confinamento permanente.
L’uscita dall’OMS sarà quindi nell’ordine delle cose, insieme all’abbandono del sistema monetario occidentale così come lo conosciamo. Le monete parallele, legate alle comunità esistono da tempo e possono crescere ancora, così come i sistemi sanitari basati sulle persone e sulla natura. Ci sono molti medici bravi e onesti che praticano una medicina alternativa che renderà l’umanità più sana.
Può sembrare la fine dei giochi. Ma la fine dei giochi potrebbe essere ancora sotto esame, e dalla sua polvere potrebbe sorgere una nuova società.

Il Ponte sullo Stretto come il MUOS di Niscemi e Sigonella

Non prova neanche a mimetizzarlo il suo punto vista, Lucio Caracciolo, sul ponte sullo Stretto. Ne ha parlato in un pezzo scritto per La Stampa il 7 dicembre scorso. Per lui sono secondari gli argomenti, e gli scontri, sugli aspetti ingegneristici, economici, ambientali dell’infrastruttura d’attraversamento. Ciò che conta è la sua valenza strategica, geopolitica, militare. Per questa ragione assimila il ponte sullo Stretto al MUOS di Niscemi, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina militare USA per governare i conflitti globali del XXI secolo, “senza dimenticare le strutture di Sigonella e Pantelleria”. Perché ciò che conta è il valore strategico della Sicilia, il suo collocarsi in un’area che Limes chiama Caoslandia, nel Mediterraneo “allargato” che è tornato ad essere centrale per i flussi commerciali provenienti da Oriente e per l’intervento politico, militare, economico di Cina, Russia e Turchia.
Limes aveva già insistito in altre occasioni su questo tema. Proprio un anno fa la rivista di geopolitica, i cui redattori, dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sono stabilmente sui canali tv nazionali, aveva pubblicato un numero speciale sulla Sicilia. “L’Italia senza la Sicilia non esiste”, questo era l’argomento. Per questa ragione la Sicilia non può “annegare” nel Mediterraneo. E nel pezzo pubblicato su La Stampa Caracciolo è esplicito fino al didascalico. “Se non lo volete capire la Sicilia è la Frontiera e senza la difesa della Frontiera gli Stati periscono”, sembra dire, perché dallo Stretto di Sicilia (così quelli di Limes chiamano il Canale di Sicilia per sottolineare la esigua distanza che separa l’Isola dall’Africa) passa la principale rotta migratoria, perché da lì passa la via della seta cinese, perché “i turchi e i russi della Wagner si sono acquartierati sul lato africano dello Stretto”, perché quel tratto di mare è attraversato dai cavi sottomarini transcontinentali della Rete.
Caracciolo ci ricorda che la Sicilia fu il luogo dell’invasione alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quella volta gli invasori erano i “liberatori americani” e ce la cavammo, ma stavolta chi potrebbe essere il nuovo invasore? Per questo l’Italia (ma a questo punto perché non l’Europa o l’Occidente?) senza la Sicilia non esiste. Perché la Sicilia deve essere la piattaforma militare nel Mediterraneo, la difesa dell’Occidente dalle armate dei Bruti o degli Extranei. Noi siamo la Barriera costruita a difesa. Questo è il nostro destino. Lucio Caracciolo si spinge fino a lamentare la scarsa presenza militare nell’area” e ad auspicare una “più incisiva presenza della Marina e delle altre Forze armate nelle acque” di quello che insiste a chiamare il “mare nostro”. L’ennesima ode al militarismo e al riarmo a cui gli analisti mainstream ci hanno abituato nell’ultimo anno di fratricida guerra in Ucraina. Ipocrita narrazione di una “Isola indifesa” quando è sotto gli occhi di tutti il devastante e invasivo processo di militarizzazione che ha investito ogni angolo della Sicilia e delle sue isole minori e l’abnorme presenza statunitense nella stazione aeronavale di Sigonella, “capitale mondiale dei droni”. Per questo il ponte serve, per Caracciolo: per la sicurezza, per stabilizzare le aree di frontiera e per collegare militarmente l’Italia, l’Europa, l’Occidente alla Sicilia, non viceversa.
In passato avevamo già invitato a guardare ai rischi che il ponte portava con sé anche sotto questo profilo. Ci avevano guardati un po’ perplessi. Il ponte ci metterebbe in pericolo, farebbe da traino ad una ulteriore forte militarizzazione e ad un più asfissiante controllo del territorio proprio perché naturale obbiettivo strategico in caso di conflitto. Eccoci serviti. Lucio Caracciolo ce lo sbatte in faccia senza neanche prepararci con parole di circostanza. E a chi pensa che con il ponte i propri figli non emigrerebbero più potremmo consigliare di arruolarli, che forse lì di lavoro ne troverebbero.
Ciò che è incredibile è che il ritorno del Mediterraneo come luogo centrale e l’importanza della Sicilia per la sua collocazione geografica debba essere necessariamente declinato sotto il profilo della guerra. La Sicilia, che nelle vecchie carte appariva più estesa di quanto lo fosse proprio per l’importanza che assumeva nei commerci mondiali, la Sicilia raccontata da sempre dai viaggiatori, deve essere piattaforma di guerra? E perché, invece, non potrebbe essere piattaforma di pace? Perché gli abitanti dell’isola non potrebbero trarre “vantaggio” dall’affacciarsi della propria terra su un continente africano in crescita? Perché non possiamo pensare di crescere insieme con le popolazioni africane che lavorano, viaggiano, portano avanti le loro famiglie, socializzano e trasferiscono risorse e conoscenza? Il nostro No al ponte è anche questo. Un No alle logiche di guerra, alle militarizzazioni dei territori e del mare, ai muri armati innalzati tra Nord e Sud. E’ il nostro Sì, forte, per la Pace, il Disarmo e la Giustizia tra i Popoli.
Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo

(Fonte – il collegamento inserito nel testo è a cura della redazione)

NewsGuard e la censura dell’informazione politicamente scorretta


“Un’agenzia creata negli Stati Uniti da uno dei personaggi più potenti della Borsa di Wall Street, come espressione diretta dei gangli del potere USA e con riferimenti diretti a NSA, CIA e Council of Foreign Relations, ha il potere di dare bollini di “verità” a chi fa informazione in Italia. Questa agenzia, NewsGuard, lavora a stretto contatto con la Commissione europea, con il gruppo mediatico Gedi della Famiglia Agnelli-Elkann, con browser, motori di ricerca e social che filtrano l’informazione, può indirizzare i proventi della pubblicità online e riceve “autopremi” da un Consolato USA.
Non si tratta di presunti hacker russi da San Pietroburgo o fantasmagoriche interferenze cinesi secondo fonti che vogliono restare anonime del Dipartimento di Stato USA. Stiamo parlando di un’agenzia statunitense reale alla quale, nei fatti, è stato impunemente dato il potere di bloccare chi porta avanti una visione di mondo diversa da quella decisa a Washington. Il suo operato è chiaramente inconciliabile con i dettami della nostra Costituzione.
Vi abbiamo scritto come uno dei campioni della propaganda atlantista, Open, ha il potere di censurare direttamente (non passando per gli algoritmi) le pagine Facebook di giornali regolarmente registrati come quella de l’AntiDiplomatico. Pensate – e noi abbiamo dovuto rileggerlo varie volte per crederci – che nonostante questo record in materia di fake news, per il Caronte (USA) delle notizie il giornale di Mentana non solo è da “bollino verde”, è il “sito più attendibile in Italia”. Ci sarebbe da ridere per ore se non fosse tutto così tragico.
Nell’assordante, religioso e coloniale silenzio di tutti i partiti del Parlamento italiano, anche questo articolo subirà la censura di browser, motori di ricerca e social, grazie al “filtro” di un’agenzia che lavora da e per conto di Washington.”

Alessandro Bianchi, presidente della “L.A.D. Gruppo Editoriale ETS” e direttore editoriale de l’AntiDiplomatico, descrive le modalità della censura esercitata ai danni della sua testata.
Qui l’articolo completo.

L’FBI e il laptop di Hunter Biden

Quella che segue è la traduzione integrale della settima puntata dei TwitterFiles. Finora il capitolo senza dubbio più esplosivo di tutta la saga dei TwitterFiles. Michael Shellenberger lo dedica interamente alla storia del laptop di Hunter Biden e a come essa è stata screditata non solo su Twitter, ma su tutte le piattaforme social e i principali media americani. L’FBI e la comunità dell’intelligence hanno iniziato a screditare l’ormai famoso articolo del New York Post addirittura prima che esso venisse pubblicato il 14 ottobre 2020. Per usare le parole di Shellenberger, vi fu “uno sforzo organizzato da parte della comunità dell’intelligence per spimgere Twitter e altre piattaforme” a screditare la credibilità dell’articolo, insinuando che si trattava di un’operazione di “hack and leak”, ossia in pratica di materiale “piantato” intenzionalmente nel portatile di Hunter Biden o frutto di una campagna di disinformazione russa. In realtà, non vi era alcuna informazione di intelligence che inducesse a pensare ciò e gli stessi dirigenti di Twitter per diverso tempo hanno smentito di aver individuato la presenza di qualsiasi influenza straniera sulla propria piattaforma. Ma alla fine Twitter ha ceduto alle pressioni dell’FBI, anche perché “a partire dal 2020, c’erano così tanti ex funzionari dell’FBI che lavoravano a Twitter che avevano creato il loro canale Slack privato e un modello di accoglienza per dare il benvenuto ai nuovi arrivati dall’FBI”. Dunque, l’FBI era in possesso da più di un anno del materiale inviatole dal riparatore di computer del Delaware, fingendo di lavorarci sopra, quando in realtà cercava solo di insabbiarlo. Quando ha saputo che il New York Post avrebbe reso pubblica la notizia, ha agito su tutte le piattaforme social e i media che controllava per fare in modo che la notizia venisse censurata o screditata”.

Fonte

La famiglia Biden in tutto il suo splendore a questo collegamento oppure qui in formato pdf.

 

USAID aumenta i finanziamenti alle ONG e ai media dei Paesi della CSI per ridurre l’influenza russa

È improbabile che Washington riesca a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se falsamente descriverà alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo.

Di Ahmed Adel, ricercatore di geopolitica ed economia politica che fa base a Il Cairo, per South Front, 5 dicembre 2022

L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha finanziato nella seconda metà del 2022 il cosiddetto “sostegno alla democrazia” per un importo di 248 milioni di dollari nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). In confronto, i “falchi umanitari”, come l’amministratore dell’USAID Samantha Power descrive l’agenzia, investirono solo 243 milioni di dollari nell’intero 2021.
La CSI, che comprende gli ex Stati sovietici quali Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan, è un blocco di Paesi per il quale gli Stati Uniti si sono a lungo sforzati per espandere al loro interno la propria influenza e il proprio soft power. Per questa ragione, l’USAID ha significativamente aumentato i suoi investimenti nella regione, con Armenia, Georgia e Moldavia, Stati periferici della CSI, che risultano essere i più grandi beneficiari delle nuove sovvenzioni, specialmente per quelle riguardanti le Ong e i media.
L’USAID ha stanziato 15 milioni di dollari a scopi educativi per la sola Georgia nella seconda metà di quest’anno, con un’enfasi particolare posta sulla necessità di abolire la presunta discriminazione di genere. Gli Americani intendono plasmare l’istruzione georgiana secondo il loro stampo, riqualificando gli insegnanti; per questo motivo fu assegnata una sovvenzione di 250.000 dollari a professori di giornalismo provenienti dalle università locali che soddisfano i loro criteri. Nel 2021, l’USAID lanciò un programma quinquennale in Georgia del costo di 330 milioni di dollari.
Nella seconda metà del 2022, l’USAID ha concesso due sostanziose sovvenzioni – rispettivamente del valore di 120 e 4 milioni di dollari – per lo “sviluppo della democrazia” e l'”indipendenza dei media” in Armenia. Questo aiuto è stato criticato perché non fornisce l’assistenza umanitaria necessaria per assistere 100.000 Armeni sfollati a causa della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.
Il fatto stesso che nella seconda metà del 2022 siano stati concessi 124 milioni di dollari di aiuti, un importo considerevole per un Paese che nel 2021 aveva un PIL di 13,86 miliardi di dollari, per influenzare i media e la società civile invece di assistere gli sfollati armeni, dimostra la volontà di mantenere quella situazione, o in effetti che l’amplificazione del necessario grado di retorica antirussa nei mass media locali è uno degli obiettivi principali del lavoro dell’USAID nei Paesi post-sovietici.
Comunque, in Moldavia e nei Paesi dell’Asia centrale, l’agenzia americana pone particolare enfasi sul finanziamento dell’economia. Ovvero, stanno cercando di indebolire i legami economici che questi Paesi hanno con la Russia e di riorientare i flussi di merci e i flussi finanziari. Nell’ultimo semestre, l’USAID ha stanziato 50 milioni di dollari per la Moldavia, la maggior parte dei quali si presume saranno spesi per espandere il commercio con l’Unione Europea e creare un’adeguata infrastruttura di trasporti e logistica.
A ottobre USAID annunciò che intende investire 15,2 milioni di dollari nel commercio in Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, poiché Washington vuole “aiutare la regione ad abbandonare la dipendenza” da Mosca.
“Ridurre la dipendenza dell’Asia centrale dai mercati e dalle rotte di esportazione russe, fornendo alternative, era una priorità a lungo termine, ma ora è una necessità impellente e un’opportunità dato che cerchiamo di aiutare la regione ad allontanare la dipendenza dalla Russia”, diceva il documento di USAID
Secondo il documento dell’USAID, la guerra in Ucraina e le sanzioni anti-russe hanno un “enorme impatto” sull’economia dell’intera regione. Le sanzioni e il ritiro delle aziende occidentali dalla Russia “hanno portato a una contrazione dell’economia russa, che probabilmente continuerà a lungo termine”, ma da cui risulterà anche una diminuzione delle importazioni russe dall’Asia centrale.
“Le aziende della regione hanno urgentemente bisogno di trovare nuovi mercati per le loro esportazioni, sia di beni che di servizi”, aggiungeva il documento.
Il programma è pensato per “rispondere alle conseguenze economiche” causate dalla guerra in Ucraina, come il calo delle rimesse, il deflusso dei lavoratori immigrati dalla Russia, la svalutazione della moneta, l’inflazione e la perdita di rotte e mercati di esportazione. Si spera che ai Paesi della regione verrà fornito un “supporto tecnico” per incrementare il commercio sui mercati internazionali e per aiutare le imprese nelle questioni logistiche.
In precedenza, il vicedirettore dell’USAID, Anjali Kaur, affermava che l’obiettivo della politica statunitense dovesse essere la separazione delle economie dell’Asia centrale e della Russia. In questo modo, Washington non cerca nemmeno di nascondere le sue nefaste azioni anti-Russia in una regione che è forse una delle più lontane dal continente nordamericano, e non solo in termini geografici, ma anche per cultura, tradizioni e storia.
Incrementando i finanziamenti alle Ong e ai media in Moldavia, Georgia e Armenia, l’USAID cerca di trovare qualche successo. Tale successo sarebbe per la maggior parte da attribuire alla vicinanza di questi Paesi all’Europa occidentale e alla loro comune identità cristiana, rendendo così molto più facile la penetrazione dell’influenza liberale dell’Occidente.
Tuttavia, è estremamente improbabile che Washington riuscirà a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se rappresenterà falsamente alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo. Questo perché la Russia è una grande potenza economica e militare da cui l’Asia Centrale non ha alcun buon motivo per separarsi.

Attenzione a Psiphon, uno strumento della CIA per assistere e alimentare le proteste a livello globale

Di Kit Klarenberg* per PressTV

Da quando a metà settembre in Iran sono scoppiate rivolte sostenute dall’estero, i notiziari occidentali hanno frequentemente richiamato l’attenzione sul ruolo di Psiphon, un’applicazione gratuita e open-source per smartphone e per programma informatico che consente agli utenti di aggirare le restrizioni sui siti web e sulle risorse online, aiutando i sobillatori ad organizzare e coordinare le loro attività e ad inviare e ricevere messaggi da e verso il mondo esterno.
In questo processo, Psiphon ha ricevuto una quantità incalcolabile di pubblicità gratuita altamente influente e alcuni Iraniani – assieme ai residenti dell’Asia occidentale più in generale – saranno stati senza dubbio incoraggiati a scaricare il software.
Comunque, nessuna fonte mainstream ad oggi ha riconosciuto le origini spettrali di Psiphon, per non parlare degli obiettivi maligni che persegue e degli scopi sinistri a cui può essere destinato dai suoi sponsor nella comunità dell’intelligence americana.
Psiphon fu lanciata nel 2009. Dichiaratamente destinata a sostenere gli elementi antigovernativi nei Paesi che l’azienda considera “nemici di Internet”, la risorsa impiega una combinazione di tecnologie di comunicazione sicura e di offuscamento, tra cui VPN, proxy web e protocolli Secure Shell (SSH), che consentono agli utenti di predisporre efficacemente i propri server privati in modo tale che il proprio governo non può effettuare attività di monitoraggio.
Nel corso della sua vita, Psiphon è stata finanziata e distribuita da diverse organizzazioni para spionistiche.
Ad esempio, per diversi anni è stato promossa da ASL19, fondata da un iraniano espatriato, Ali Bangi, nel 2013, per capitalizzare l’ampio flusso di finanziamenti statunitensi per le iniziative di “libertà di Internet” sulla scia della Primavera araba.
Un’indagine del New York Times del giugno 2011 sulla spinta di Washington per la “libertà di Internet” concluse che tutti questi sforzi servono a “dislocare sistemi ‘ombra’ di Internet e di telefonia mobile che i dissidenti possono usare per comunicare al di fuori della portata dei governi in Paesi come Iran, Siria e Libia”.
La vicinanza di Bangi al governo degli Stati Uniti è stata resa ampiamente evidente quando nel 2016 partecipò alla celebrazione annuale del Nowruz alla Casa Bianca, una sorta di ballo delle debuttanti che avviene regolarmente per gli attivisti sponsorizzati del “cambio di regime” facenti parte dell’élite di Stato.
Tali apparizioni di alto livello, insieme al suo status di presenza fissa alle conferenze tecnologiche e agli eventi sui diritti digitali, cementarono il suo posto come una personalità da “rockstar” all’interno della comunità della diaspora iraniana.
Bangi fu tuttavia costretto a dimettersi dalla ASL19 nel 2018, dopo essere finito in tribunale in Canada con l’accusa di violenza sessuale e detenzione forzata.
Secondo un profilo pubblicato dalla rivista del settore tecnologico The Verge Bangi avrebbe favorito una cultura di uso diffuso di droghe, sessismo, molestie e bullismo all’interno dell’organizzazione, con le dipendenti donne come bersaglio particolare delle sue ire. In diverse occasioni è stato aggressivo e persino violento nei confronti del personale.
Con Bangi e l’ASL19 fuori dai giochi, nel 2019 Psiphon iniziò a ricevere milioni dall’Open Technology Fund (OTF), creato sette anni prima da Radio Free Asia (RFA), che a sua volta fu fondata dalla CIA nel 1948 dopo essere stata ufficialmente autorizzata a impegnarsi in “operazioni segrete”, tra cui propaganda, guerra economica, sabotaggio, sovversione e “assistenza ai movimenti di resistenza clandestini”.
Nel 2007, il sito web della CIA classificò la RFA e altre iniziative di “guerra psicologica” come Radio Free Europe e Voice of America fra le “campagne più longeve e di maggior successo per le operazioni sotto copertura” che abbia mai messo in atto.
Oggi la RFA è una risorsa dell’Agenzia statunitense per i media globali (USAGM), finanziata dal Congresso degli Stati Uniti con centinaia di milioni di dollari all’anno. Il suo amministratore delegato ha riconosciuto che le priorità dell’organizzazione “riflettono gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
L’OTF è stata una delle numerose iniziative scaturite dalla summenzionata pressione di Washington per la “libertà di Internet”.
Le persone intimamente coinvolte nella realizzazione di questo desiderio non si fanno illusioni sulla vera ragion d’essere del loro servizio. Nel febbraio 2015, Jillian York, membro del comitato consultivo dell’OTF, dichiarò che credeva “fondamentalmente” che la “libertà di Internet” era “in fondo un programma di cambiamento di regime”.
L’OTF, essendo la creazione di una piattaforma di “guerra psicologica” concepita dall’intelligence statunitense, illumina uno degli scopi chiave di Psiphon: garantire che i cittadini dei Paesi nel mirino dei continui “sforzi di cambiamento di regime” guidati dagli Stati Uniti possano continuare ad accedere alla propaganda di Stato occidentale.
Una scheda informativa dell’Agenzia statunitense per i media globali del novembre 2019 sugli “strumenti supportati dall’OTF” dà il massimo risalto a Psiphon.
“L’OTF fornisce alle reti USAGM l’assistenza necessaria per proteggere i loro contenuti online e per garantire che siano resistenti alla censura. Ad esempio, quando i siti di notizie dell’USAGM sono stati improvvisamente bloccati in Pakistan, l’OTF creò dei siti specchio per garantire che i contenuti dell’USAGM rimanessero disponibili per i principali destinatari… L’OTF fornisce un supporto di emergenza ai media indipendenti e ai giornalisti che subiscono attacchi digitali per tornare online e mitigare gli attacchi futuri”, si legge.
Un rapporto dell’OTF del maggio 2020 sui “punti salienti e le sfide” dell’anno fino ad oggi rileva allo stesso modo che il “fornitore veterano di strumenti di elusione” Psiphon assicura che i contenuti pubblicati dall’USAGM – che includono Voice of America in lingua farsi – possano raggiungere il pubblico nei Paesi in cui sono vietati.
Similarmente, una sezione dedicata del sito web della BBC, a seguito del divieto dell’emittente di Stato britannica in Russia, a marzo offriva una guida esplicativa su come i residenti locali possono scaricare l’app tramite Android, Apple e Windows.
Nel caso in cui gli utenti “trovassero difficoltà” ad accedere a Psiphon attraverso gli app store tradizionali, sono invitati a inviare un messaggio vuoto a un indirizzo e-mail indicato per ricevere “un link per il download diretto e sicuro”.
In Iran, tale utilità è senza dubbio altrettanto preziosa, dato il fatto che i media ostili come la BBC e RFA dipingono un quadro totalmente unilaterale dei disordini in corso, inquadrando come pacifiche le azioni violente e incendiarie degli elementi anti-governativi, mentre ignorano completamente le manifestazioni popolari pro-governative di gran lunga più ampie.
Un altro punto di forza principale di Psiphon dal punto di vista del potere occidentale è che incanala tutti i dati degli utenti verso e attraverso server centralizzati di proprietà dell’azienda stessa.
Mentre le attività degli individui sulla rete potrebbero essere protette dagli occhi indiscreti del loro governo, Psiphon può tracciare i siti che visitano e le loro comunicazioni in tempo reale.
Ciò consente agli attori stranieri di tenere un occhio fisso addestrato sui manifestanti e sui movimenti di protesta e rispondere di conseguenza.
L’ingerenza di Psiphon in Iran è ormai una questione di pubblico dominio da lungo tempo. Nel 2013, l’azienda pubblicò un blog in cui salutava “particolarmente il grande impatto” che aveva avuto nel Paese, “in coincidenza con le elezioni presidenziali (iraniane)”.
Pur riconoscendo che Teheran “è sempre stata una grande sfida per noi”, Psiphon si vantava del fatto che il suo software “era rimasto disponibile” costantemente durante questo periodo, nonostante i ripetuti tentativi di “limitare fortemente” il funzionamento
Il fatto che nessuno di questi retroscena sia emerso in alcuno degli ossequiosi articoli mainstream su Psiphon è scioccante, ma non sorprendente.
Dopotutto, le testate giornalistiche occidentali stanno a beneficiare materialmente di un racket di protezione gestito dagli Stati Uniti che proietta in segreto la loro agitazione propagandistica a innumerevoli milioni di persone.
E diventando attivamente complici di un’operazione di “cambio di regime” da parte degli Stati Uniti, i giornalisti mainstream hanno meno probabilità di riconoscere la realtà di ciò che sta accadendo a Teheran, il perché e chi beneficia materialmente della destituzione del governo. Questo, comunque, è un sogno assurdo delle potenze occidentali.

*Giornalista investigativo e collaboratore di MintPresss News che esplora il ruolo dei servizi di intelligence nel plasmare la politica e le percezioni. Il suo lavoro è apparso precedentemente su The Cradle, Declassified UK, Electronic Intifada, Grayzone e ShadowProof. Seguitelo su Twitter @KitKlarenberg.

Le guerre illegali della NATO

Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, con l’istituzione nel 1945 delle Nazioni Unite allo scopo di mantenere la pace, la guerra è stata bandita dalla politica internazionale. Uniche due eccezioni a tale divieto: il diritto all’autodifesa o un’azione bellica su mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Tuttavia, la realtà è stata tragicamente ben diversa e la responsabilità è in massima parte dell’Occidente e del suo strapotere militare.
Come documenta con rigorosa chiarezza lo storico Daniele Ganser in questo libro, negli ultimi settant’anni sono stati i Paesi della NATO – la più grande alleanza militare del mondo, guidata dagli Stati Uniti – ad aver avviato in molti casi guerre illegali per garantire e ampliare il predominio dell’impero americano, ignorando il divieto dell’uso della forza stabilito dall’ONU e riuscendo sempre a farla franca.
Ganser, attraverso l’analisi puntuale di tredici di questi conflitti – Iran, Guatemala, Egitto, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina, Yemen e Siria – e delle loro disastrose conseguenze per i popoli, evidenzia come la NATO abbia sistematicamente sabotato le regole delle Nazioni Unite, trasformandosi da alleanza locale con finalità difensive in un’alleanza aggressiva globale, fino a diventare un pericolo per la pace nel mondo.
«Se fosse lungimirante», scrive Carlo Rovelli nella prefazione, «l’Occidente, che è il mio mondo e a cui tengo, lavorerebbe – per il suo proprio bene – per la stabilità e la legalità internazionali, per un mondo multipolare dove gli interessi degli altri siano presi in considerazione e le soluzioni siano cercate nella politica e non nelle armi. Questo libro mostra in maniera inequivocabile che oggi non è così».
Rivelando le menzogne, le ipocrisie e i crimini delle guerre illegali della NATO, Ganser fornisce un contributo prezioso per costruire un futuro di pace.

“Il neocolonialismo è morto”

“Pubblichiamo la traduzione di questa lunga intervista a Mohamed Hassan – curata da Grégoire Lalieu del collettivo Investig’Action e co-autore di La Strategie du chaos e Jihad made in USA – pubblicata il 26 ottobre sul sito del collettivo.
Paesi che si rifiutano di tagliare i ponti con la Russia. I dirigenti turchi che sfidano le minacce di Washington. L’Arabia Saudita che disobbedisce a Biden. L’America Latina che vira “a sinistra”. Una parte dell’Africa che volta le spalle ai suoi vecchi e nuovi “padrini” neo-coloniali. È chiaro che il mondo sta cambiando. E Mohamed Hassan ci aiuta a vederlo più chiaramente, anche per le prospettive “rivoluzionarie” che si aprono per le classi subalterne europee, oltre che per i popoli del Tricontinente.
Questo in una situazione in cui anche gli Stati Uniti non solo stanno perdendo la propria egemonia all’esterno, ma soffrono una crisi sociale che avrà dei precisi riflessi anche nelle vicine elezioni 
Mid-term dell’8 novembre.
Afferma giustamente Hassan: “O
ggi ci sono 500.000 senzatetto per le strade degli Stati Uniti e il loro tasso di mortalità è salito alle stelle. Ci sono anche due milioni di prigionieri su un totale di undici milioni in tutto il mondo. Il tasso di povertà infantile è del 17%, uno dei più alti del mondo sviluppato secondo il Columbia University Center on Poverty and Social Policy. L’imperialismo sta distruggendo gli Stati Uniti dall’interno e non ha impedito ai due grandi rivali, Russia e Cina, di conquistare potere. Questo aumento di potere indebolisce le posizioni dell’imperialismo statunitense nel mondo”.
Un mondo è al crepuscolo, un altro sta sorgendo sullo sfondo di uno scontro sempre acuito tra un blocco euro-atlantico ed i suoi satelliti ed uno euro-asiatico in formazione.
Ai comunisti che lavorano dentro lo sviluppo delle contraddizioni in Occidente, “per linee interne” al movimento di classe – a volte tutto da ricostruire – si apre nuovamente la possibilità di giocare un ruolo nella Storia, con la S maiuscola e lasciarsi dietro le spalle le proprie sconfitte..
Si pone nuovamente l’attualità della Rivoluzione in Occidente e dello sviluppo del Socialismo nel XXI Secolo, se non si viene schiacciati dalle chiacchiere dei ciarlatani al soldo degli apparati ideologici dominanti.
L’ex diplomatico etiope, specialista di geopolitica, analizza le ripercussioni della guerra in Ucraina, che segna una svolta storica. In che modo gli Stati Uniti hanno perso influenza? Perch
é l’Africa si oppone alle potenze occidentali? Quale futuro per l’Europa? Che ruolo possono avere i lavoratori?
In La strategia del caos Mohamed Hassan aveva parlato della transizione verso un mondo multipolare. Undici anni dopo, quella che ai tempi era solo la prefigurazione di una tendenza, ora è una realtà in atto, ed in questa intervista ne fa un bilancio.”

Il testo integrale dell’intervista è qui.

Il gruppo musicale sloveno Laibach rende omaggio al cantautore Leonard Cohen (1934-2016), reinterpretando una sua canzone pre-apocalittica denominata The Future, risalente al 1992. Questa versione rende chiaro che il futuro previsto da Cohen assomiglia moltissimo al nostro presente.

La strada per Mosca passa da Kiev

Il testo seguente fu pubblicato originariamente quale appendice del libro di Mahdi Darius Nazemroaya intitolato “La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate”, edito da Arianna Editrice nel 2014, alla cui traduzione collaborammo.
Ringraziando l’editore per la gentile autorizzazione, riteniamo utile riproporlo all’attenzione dei nostri lettori.

La presa del potere a Kiev dell’opposizione è un colpo di Stato eseguito con la forza, che ignora almeno la metà della popolazione ucraina. Eppure, non lo si saprebbe ascoltando i media e le reti come CNN o Fox News, o leggendo i titoli di Reuters e della British Broadcasting Corporation (BBC). Gli eventi a Kiev vengono ingannevolmente presentati da questi media e dai cosiddetti governi “occidentali” che li supportano, direttamente o indirettamente, come il trionfo del potere del popolo e della democrazia in Ucraina.
L’ipocrisia assoluta è all’opera. Continua a leggere

La Russia ci minaccia!

“Oh, la Russia ci minaccia, urlano all’unisono gli organi del Minculpop! Non ci vuole più dare il gas e il petrolio, su cui noi, uomini giusti, per altro sputiamo tutti i giorni.
Noi riforniamo di armi i fascistoidi di Kiev per ammazzare i soldati russi e più che altro i civili russofili o solamente russofoni (nella sola DNR, che ha meno abitanti di Roma, in 200 giorni sono stati uccisi dai bombardamenti ucraini 369 civili di cui 19 bambini), e Putin ci taglia il gas. Cattivo, cattivo, cattivo.
In realtà il Cremlino sa che le forniture di armi della NATO all’Ucraina da un lato impoveriscono l’Occidente e dall’altro non possono spostare di una virgola l’esito della guerra: Donbass conquistato/liberato assieme a Odessa. Punto. Quel che rimarrà dell’Ucraina non avrà più sbocchi sul Mar Nero e sul mare di Azov e non avrà più risorse industriali e minerarie. Sarà un Paese dimezzato, quasi solo agricolo e per giunta con le terre arabili in mano alle multinazionali americane ed europee. Un Paese fallito.
Eppure c’era un modo per Kiev di evitare questa catastrofe. Bastava rinunciare ad entrare nella NATO e mettere in galera i caporioni nazisti. Ma questo era proprio quanto Washington gli impediva di fare, usando, per l’appunto, i nazisti come pretoriani.
Poi, ovviamente, siete liberi di pensare che Azov, Settore Destro, la Legione Bianca eccetera, non sono affatto nazisti ma combattenti per la libertà, che non leggono Hitler ma Kant (come riferisce la Repubblica) e che la svastica è solo un simbolo solare (come riferisce il Corriere della Sera).
Prima ancora, la UE avrebbe potuto evitare di esigere dall’Ucraina, per l’associazione, lacrime e sangue, i sempiterni e odiosi “aggiustamenti strutturali” che arricchiscono le élite finanziarie e impoveriscono la società tutta. Il presidente Janukovich avrebbe così potuto accettare di entrare nella UE e il pretesto per la Maidan non ci sarebbe stato. Ma tutto si tiene, volontà di potenza economica e volontà di potenza politica. I loro meccanismi si intrecciano, le cose vanno come vanno e i grandi commentatori, i grandi economisti, i grandi politologi, i grandi giornalisti fanno la figura dei cioccolatai quando non dei propagandisti e basta.
(…) L’altro giorno Maria Zacharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che gli USA stanno spingendo l’Italia al suicidio economico: E’ una cosa che tutti sanno perché si vede a occhio nudo, ma la compagnia di giro di politici e media ha dichiarato che è “una provocazione”. Anzi, qualcuno si è spinto ad affermare che l’unica possibilità per il “disperato Putin” è spaventare l’Europa.
Perché “disperato”? Perché il Rublo è ai massimi storici? Perché il saldo commerciale è ai massimi storici? Perché la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo, tra cui le due più grandi e in ascesa, non applica le sanzioni e ha rapporti amichevoli con Mosca? Perché ha le armi più potenti del mondo? Perché col 10% delle sue forze armate sta sconfiggendo un esercito tre volte più numeroso e sostenuto da tutta la NATO?
Sono dati di fatto, sia che Putin piaccia o non piaccia. Io penso che se fossi Russo non voterei per Putin. Ma per questo devo mettermi le fette di salame sugli occhi?
Perché “disperato”? Può essere, ma vorrei vedere le motivazioni e i dati che sostengono le motivazioni. Non le urla tribali.
Ma no, non c’è niente da fare: Maria Zacharova è solo una provocatrice! Stiamo andando a gonfie vele con solo qualche difficoltà (come dice Draghi). E avremo ancor più il vento in poppa.
Come no? Già dall’autunno si vedranno sequenze drammatiche (e si capirà che tutte le rassicurazioni del governo in scadenza sono fandonie).
Il futuro governo di centrodestra se la vedrà molto brutta. La Meloni, che è la più sveglia – e anche la più seria – dei tre leader della coalizione, è preoccupata fin da adesso. Sa che avrà grossi problemi, anche interni, perché dovrà gestire un’enorme e devastante crisi e non lo potrà fare nei termini che la sua ideologia – e quella dei suoi – vorrebbe (sovranità, tradizione, ordine sociale), ma nei termini che vorranno i signori della guerra e della finanza anglosassoni e nelle circostanze sociali che si produrranno. Che saranno circostanze di duri conflitti.
Si badi bene che a causa dell’abbandono della sinistra della conflittualità sociale per sposare gli interessi dei più forti, questi conflitti avranno delle caratterizzazioni politiche inedite, non ben definite, così come inedite e non ben definite saranno le loro cause: si sta andando verso la crisi di un sistema che è stato da una parte mitizzato da cialtroni e dall’altro scarsamente analizzato in modo serio nelle sue implicazioni economiche, sociali e ideologiche.
Potremo vedere nella stessa piazza chi è incazzato perché è stato licenziato dalla fabbrica o la sta perdendo a maggior gloria della concentrazione e centralizzazione del capitale e chi è incazzato perché non può più farsi l’happy hour quotidiano. Lo si è già visto durante la pandemia. Si mischieranno ideologie e persino etiche, con quella del lavoro che rischia di essere marginalizzata.
Grande confusione, quindi, in cui si spera che qualcuno a sinistra cerchi di capire prima di proferire anatemi.
Posso anche ipotizzare che l’incarico a Giorgia Meloni sia come la briscola chiamata. Si faranno alcuni giri di prova, magari una mano, ma alla fine salterà fuori una sorta di ammucchiata Draghi allargata. Che ovviamente peggiorerà ancor di più la situazione. Ma cosa importa? A quel punto saremo bene allenati a cascare dal peskov.”

Da Cadere dal peskov, di Piero Pagliani.

Un errore strategico che mette a repentaglio i fondamenti del potere


“I principali detentori di titoli di debito USA all’estero sono Cinesi, Giapponesi, Arabi e Belgi. Il presupposto di tali acquisti è ovviamente la fiducia nelle istituzioni finanziarie americane: ed è proprio qui il punto nodale e l’errore tattico di fondo che incrina irrimediabilmente questa fiducia. E’ l’errore tattico che si traduce in disastro strategico. Immaginate che la vostra banca decida di congelare e sequestrare i vostri soldi, regolarmente depositati presso un conto corrente, perché avete preso a schiaffi il vostro vicino di casa e questi potrebbe reclamare un risarcimento danni. Certamente arriverà la Polizia per farvi smettere, e ci sarà un giudice che vi giudicherà per le vostre azioni e magari vi condannerà a un risarcimento dei danni. Dopodiché potrete fare appello contro la sentenza di condanna, e comunque per portarvi via i soldi si devono seguire certe regole stabilite dalla legge (esecutorietà dei titoli, pignoramenti, vendite forzate, eccetera). Insomma, che c’entra la vostra banca con la lite con il vostro vicino? Niente, anzi in genere le banche erano vicine ai loro clienti e cercavano di tutelarne gli interessi a tutti i costi, magari anche con comportamenti al limite o fuori dalla legge, per esempio nascondendo dietro scatole fumose i vostri soldi per sottrarli alle pretese dei terzi creditori. E invece qui, la vostra banca agisce per prima contro di voi sequestrandovi i soldi perché siete stato cattivo e perché domani potrà risarcire il vostro avversario. Se questa cosa capitasse a un vostro amico o conoscente, pensereste che non ci si può fidare di una banca così fatta e che è prudente togliergli i soldi dalle mani al più presto pere evitare che capiti anche a voi. Ora, immaginate che cosa hanno pensato i governanti di Cina, Arabia Saudita, Emirati, India e altri simili Paesi che sono gonfi di titoli del debito pubblico USA. Gli americani, ad esempio, potrebbero pensare domani che la guerra in Yemen è un crimine contro l’umanità (lo è, ma dato che finora è conforme ai loro interessi, si guardano bene dal dirlo), e sequestrare i fondi dell’Arabia Saudita depositati presso di loro. O imporre sanzioni ai Paesi dell’OPEC perché non buttano fuori la Russia dall’organizzazione o perché riducono la produzione per tenere alto il prezzo del petrolio. Il sequestro dei trecento miliardi di dollari che Elvira Nabiullina, Governatore delle Banca centrale Russa aveva (ingenuamente) depositato nelle istituzioni finanziarie occidentali fidando sul rispetto delle regole generali di fiducia tra le banche, ha scatenato il panico in tutto il resto del mondo. Ciascun Paese ha il suo “buco nero” per il quale può domani essere accusato dagli Americani e sottoposto a sanzioni ritrovandosi dalla sera alla mattina senza soldi per fare fronte alle proprie obbligazioni. Ed è cominciata non solo una lenta ma costante fuga dal dollaro, ma anche un’affannosa ricerca di un’alternativa ad esso come moneta di riferimento. Il dollaro è tuttora la moneta di riferimento per le transazioni internazionali, e non solo per le merci che provengono dagli USA, ma anche per le transazioni tra altri Paesi del mondo. Questo fatto, ovviamente, sostiene la domanda globale di dollari, ma sta venendo rapidamente meno: i paesi del BRICS stanno elaborando un sistema di pagamenti alternativi e nel frattempo un numero crescente di transazioni tra di loro viene effettuata in monete locali o in monete di Paesi amici, come il Yuan cinese, ad esempio. La facilità con cui le banche russe sono state estromesse dal sistema di pagamenti SWIFT, ha mostrato che gli Occidentali non si fanno scrupoli di utilizzare un meccanismo studiato per facilitare gli scambi mondiali come un’arma politica. Ma in fondo, lo SWIFT non è altro che un programma che può ben essere sostituito da un altro programma che sia sottratto all’uso politico di un Paese con pretese di dominazione globale. E se si riduce la domanda di dollari, c’è la conseguenza certa di un’implosione del debito pubblico americano e soprattutto del debito estero, con una forte inflazione interna e una svalutazione del dollaro e delle monete sue alleate, euro e Sterlina, soprattutto.
Aver rotto il patto di fiducia tra depositanti e banche comporta il rischio di un tracollo del sistema finanziario occidentale che si fonda proprio su questo patto di fiducia. Certamente, per comprare merci USA ed europee è necessario acquistare dollari e euro, ma anche per comprare merci cinesi o indiane è necessario acquistare Yuan e Rupie. E se le economie occidentali, sul piano finanziario valgono poco meno del 50% del PIL mondiale, esse contano per il 24% circa del PPA, ovvero del PIL per Potere di Acquisto, e il 13% circa della popolazione mondiale. E se le economie occidentali sono stagnanti o in recessione, le economie dei Paesi terzi sono invece in rapida crescita e alla fine le loro logiche finiranno per prevalere. A meno che non si faccia una guerra talmente devastante da inibire quella crescita e fondare il potere sulle cannoniere piuttosto che sulle monete. Già, appunto, la guerra.”

Da L’errore fatale del potere, di Domenico De Simone.

Com’è spudorato che gli Stati Uniti con basi militari in tutto il mondo si sentano “preoccupati” per la presenza di altri nel Pacifico

A cura di Global Times

Gli USA, la cui bandiera sventola su 750 basi militari in più di 80 Paesi e regioni, sembrano stare sulle spine dopo aver visto la Cina firmare UN solo accordo quadro di cooperazione in materia di sicurezza con le isole Salomone. Martedì [31 maggio u.s. – n.d.c.], ora locale, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden incontrò alla Casa Bianca il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern. La loro “preoccupazione condivisa” per l’accordo di sicurezza cinese e le “ambizioni della Cina nel Pacifico” sono state presto messe sotto i riflettori dei media occidentali.
Una frase nella loro dichiarazione congiunta, emessa dalla Casa Bianca, è stata diffusa al massimo nelle rassegne statunitensi: “La creazione di una presenza militare persistente nel Pacifico da parte di uno Stato che non condivide i nostri valori o interessi di sicurezza altererebbe fondamentalmente l’equilibrio strategico della regione e pone problemi di sicurezza nazionale a entrambe i nostri Paesi”.
Questa è logica da gangster. Implica che i Paesi sovrani nell’Oceano Pacifico meridionale non hanno il diritto di firmare accordi con altri Paesi. Altrimenti, la versione statunitense dell’”equilibrio strategico” verrà infranta.
“Non esiste il cosiddetto equilibrio strategico nell’Oceano Pacifico meridionale, ma solo l’egemonia e il dominio a lungo termine degli Stati Uniti e dell’Australia negli affari regionali. Considerano la regione del Pacifico meridionale come una propria intoccabile sfera di influenza e sono fortemente contrari ai programmi avviati dalla Cina”, ha detto al Global Times Xu Shanpin, ricercatore aggiunto presso l’Università cinese in Scienze Minerarie e Tecnologiche.
La regione del Pacifico meridionale era solita essere di importanza militare per Washington. Durante la seconda guerra mondiale, il personale militare americano occupò basi in tutta la regione sul fronte marittimo, effettuò numerosi test di bombe nucleari nella regione e vi seppellì scorie radioattive. “Dopo la fine della Guerra Fredda, l’importanza della regione nella strategia globale degli Stati Uniti crollò e Washington ritirò un gran numero di ambasciate, personale e aiuti economici”, ha detto Xu Shanpin.
Gli Stati Uniti hanno guardato con freddezza ai reali bisogni della regione del Pacifico negli ultimi tre decenni, ma improvvisamente si sentono scioccati quando vedono crescere la cooperazione dei Paesi della regione con la Cina in settori in espansione. Così è stata lanciata una tipica risposta degli Stati Uniti: fomentare i problemi, mettere zizzania diffamando le intenzioni della Cina e inscenare una cosiddetta minaccia alla sicurezza da parte della Cina.
Questa volta, la Nuova Zelanda è stata coinvolta dagli Stati Uniti. La visita di Ardern è stata vista da Washington come un’opportunità per trarre vantaggio dalla Nuova Zelanda e farle svolgere un ruolo più attivo nella strategia indo-pacifica degli Stati Uniti. Ardern ha la sua agenda per il viaggio: pubblicizzare i prodotti della Nuova Zelanda, attirare turisti americani e cercare più sostegno dagli Stati Uniti su questioni come la lotta al Covid e ai cambiamenti climatici. E’ come se si trovasse a fare una transazione quando ella ha ripetuto a pappagallo le “preoccupazioni per la sicurezza” degli Stati Uniti nella regione del Pacifico, come un modo per scambiare interessi economici con tali echi politici, ha detto al Global Times Chen Hong, direttore del New Zealand Studies Center e direttore esecutivo dell’Asia Pacific Studies Center della East China Normal University.
Dato che la Nuova Zelanda si è sforzata di mantenere la sua indipendenza politica con il proprio interesse nazionale come linea guida per le sue politiche diplomatiche e di sicurezza, Washington sembra aver trovato un buon tempismo per avvicinare Wellington alla sua orbita strategica proprio quando la Nuova Zelanda sta provando a districarsi dalla crisi economica, secondo Chen.
Comunque, l’Australia dovrebbe servire da vivido esempio per la Nuova Zelanda. Canberra ha incasinato i rapporti con Pechino. E il mercato cinese che ha perso è stato quasi in pochissimo tempo colto dagli Stati Uniti. Se rinuncia alla sua precedente saggezza politica, alla fine la Nuova Zelanda potrebbe perdere da entrambe le parti. Ci sono stati vari esempi di come gli Stati Uniti hanno ingannato e deluso i loro alleati.
Martedì [31 maggio u.s. – n.d.c.], Reuters riferì che un alto funzionario statunitense, che parlava a condizione di anonimato, aveva affermato che Biden e Ardern avevano discusso della necessità di aiutare i Paesi delle isole del Pacifico ad affrontare questioni come la pandemia da COVID-19 e il cambiamento climatico.
Con quale scusa gli Stati Uniti si sentono in diritto di accusare la Cina quando quest’ultima ha già iniziato la sua cooperazione con i Paesi insulari del Pacifico per aiutarli a far fronte a queste sfide, sviluppare l’economia locale e migliorare i mezzi di sussistenza della gente locale dopo che gli Stati Uniti hanno chiuso un occhio sulla regione per così tanto tempo? In ogni caso cosa possono offrire gli Stati Uniti, quando Washington sta affrontando un’economia disastrosa e una situazione caotica nella politica interna?
Ovunque gli Stati Uniti fissano la loro impronta, ci saranno disordini o addirittura guerre. Se gli Stati Uniti si preoccupano davvero della regione del Pacifico meridionale, le espressioni verbali di preoccupazione sono inutili. La regione necessita di un aiuto concreto e sincero.
La cooperazione tra Cina e Nuova Zelanda è produttiva e reciprocamente vantaggiosa. La cooperazione tra le due parti non prevede alcun prerequisito politico collegato. Lo stesso vale per la cooperazione della Cina con altri Paesi, in netto contrasto con gli Stati Uniti, che hanno sviluppato legami con altri Paesi sulla base del calcolo per i propri interessi politici.
Rispetto agli Stati Uniti, che hanno basi militari e hanno lanciato innumerevoli guerre in tutto il mondo, la Cina difficilmente può essere definita un Paese con “ambizioni”. D’altro canto, vale la pena notare che quando gli Stati Uniti tirano i loro alleati dalla propria parte frequentemente per esprimere “preoccupazioni”, significa che l’egemone sta diventando incapace nel farcela da solo.

(Traduzione a cura della redazione)

Massimo Giletti preso a sberle dalla maestra

Ieri sera [domenica 5 giugno – n.d.c.] ho assistito ad uno spettacolo indecoroso e potente insieme. Massimo Giletti è stato strapazzato come un bambino delle elementari dalla sua maestra, che gli ha impartito una poderosa lezione di storia in diretta televisiva. Il grande scoop di Giletti doveva essere un’intervista in diretta con Maria Zakharova, la portavoce del ministro degli esteri [russo – n.d.c.] Lavrov. Per fare questa intervista Giletti è andato addirittura personalmente a Mosca, nonostante l’intervista si sia svolta via skype, con la Zakharova comodamente seduta a casa sua (avrei potuto farla io, identica, seduto a casa mia). Ma a parte la messinscena inutile, è nei contenuti che Giletti ci ha fatto la figura del merlo. Prima di intervistare la Zakharova, infatti, Giletti era in collegamento con Massimo Cacciari, e durante lo scambio Giletti ha accennato alle polemiche che hanno preceduto questa sua intervista, dicendo che però secondo lui “il giornalista ha tutto il diritto di intervistare chi vuole, purché ponga all’intervistato delle domande scomode, e non gli offra una semplice passerella per fare propaganda.” Ma dal dire al fare… Giletti non conosce il mare.
Non appena iniziata l’intervista, infatti, si è capito che tipo di interlocutrice avesse davanti. Una donna con le idee chiare, ferma e impassibile, che rimandava seccamente al mittente ogni singola accusa, con tanto di interessi. All’accusa di “aver illegittimamente invaso un Paese sovrano”, Zakharova ha risposto che “anche voi della NATO avete fatto la stessa cosa con l’Iraq”. All’accusa di “essersi allargati troppo intervenendo in Siria”, Zakharova ha risposto che loro erano intervenuti su legittima richiesta del capo di Stato, Assad. E ha inoltre aggiunto che “quando la Russia ha proposto alle Nazioni Unite di combattere tutti insieme le bande dell’ISIS, è stata l’Unione Europea a dire di no e mettersi di traverso”. All’accusa di aver operato una sanguinosa repressione in Cecenia, Zakharova ha risposto che è stato l’Occidente a sobillare quelle rivolte. Insomma, non se ne usciva: ad ogni servizio tagliato del dilettante Giletti, il master Djokovic rispondeva con un dritto vincente.
A quel punto Giletti ha cambiato strategia. Ha fatto un passo indietro, e ha tentato la carta dell’emozione: “Va bene, ok, tutti abbiamo fatto errori nel passato – ha ammesso – però adesso mettiamoci una pietra sopra, trattiamo e poniamo fine a questa guerra, perché la gente sta morendo”. E qui è arrivata la valanga di sberle sulla testa del nostro importuno scolaretto: “Così parlano i bambini – ha detto la Zakharova – Nel mondo degli adulti, la prima cosa che bisogna fare per capire le cose è guardare alla storia. Dove eravate voi Italiani, quando otto anni fa gli Americani hanno messo in atto un colpo di Stato a Kiev, installando al potere il governo fascista di Poroshenko? Dove eravate, quando per otto anni il governo di Kiev ha bombardato incessantemente i suoi concittadini del Donbass?”. “Ma soprattutto – ha ricordato la Zakharova – lei viene adesso a parlarmi di trattare e di metterci d’accordo. Ma sono otto anni che Putin chiede all’Occidente di mettersi d’accordo sulla questione della NATO e degli equilibri internazionali. Ma voi in Occidente avete fatto tutti finta di niente, e adesso cercate di dare la colpa a noi per quello che succede?”. “Infine – è stata la sberla finale della Zakharova – voi occidentali dovete smetterla una volta tutte con questa vostra aria di superiorità intellettuale, come se foste voi quelli che hanno il diritto di impartire lezioni morali a tutti gli altri”. Ci mancava soltanto un “vergogna Giletti, fila dietro alla lavagna” e la lezione sarebbe stata completata.
Povera Italia, rappresentata all’estero da personaggi inconsistenti e impreparati come Giletti. Povera Italia, incapace di crescere, incapace di diventare adulta, incapace di uscire dalla sua ottica provinciale, incapace di assumersi una volta per tutte le proprie responsabilità con il resto del mondo. Lasciando così mano libera a chi ci comanda, a chi ci controlla, a chi ci tratta serenamente come schiavi da oltre settant’anni.
Massimo Mazzucco

Varate nuove sanzioni contro di noi

Draghi è quel signore che distrugge un Paese e poi dice che è colpa di altri.
In ogni scelta antepone interessi estranei e stranieri a quelli degli Italiani. Nessun Paese europeo è così privo di senso dell’interesse nazionale.
Anche quando i governi devono capitolare di fronte alla prepotenza USA, poi fanno in modo di dilazionare.
Così, i Tedeschi promettono, ma poi abbozzano. Gli Ungheresi mettono le cose in chiaro. I Serbi acquistano petrolio russo a prezzi di favore. La Turchia, Paese NATO, chiarisce che non intraprenderà azioni economicamente ostili verso la Russia, perché la danneggerebbero. Persino il Belgio ha chiaro che così non va.
A tutti è evidente che queste sanzioni sono sanzioni contro di noi, vessazioni verso i cittadini europei, sottrazione di potere d’acquisto, distruzione del nostro futuro, perché stiamo preparando una recessione coi fiocchi, certificata da Bankitalia. Che significa disoccupazione.
E per il migliore le sanzioni devono proseguire a lungo, forse per sempre. Cioè dobbiamo distruggere del tutto l’economia del Paese e i risparmi degli Italiani.
Si copre dietro cose ridicole. Dice che la colpa è di Putin. Ma lucidissimo soggetto, le sanzioni le ha decise Putin?
Hai suggerito un blocco che doveva portare al default l’economia russa. Che doveva portare i russi alla fame.
E invece lo spread cresce qui, l’inflazione cresce qui. La disoccupazione cresce qui.
Ma questo è così coglione da non capire la posta in gioco o è solo un traditore del suo Paese?
Parla di dittatori. Ma Putin, piaccia o non piaccia, ha l’80 % di consenso.
Draghi governa non solo senza essere stato eletto, ma con una stragrande maggioranza di Italiani che sono contrari alle sue politiche.
Governa senza consenso.
È costui osa parlare di difesa della democrazia? Ma si sciacqui la bocca prima di parlare. Se c’è un dittatore, non eletto, non voluto, che se ne frega del consenso, è lui.
Ormai la scelta è semplice: o il Paese si libera di lui o è destinato a soccombere.
Vincenzo Costa

“La nostra bandiera”


Un commento pubblicato a margine di un mio recente post sul 25 aprile “ucro-atlantista” mi offre lo spunto per una considerazione sul “tricolore” italiano.
Partiamo da un’esperienza personale. Circa vent’anni fa, il Campo Antimperialista (qualcuno se lo ricorda?) organizzò alcune iniziative per “l’Iraq che resiste”. Si era alle porte dell’invasione americana dell’Iraq e questo piccolo gruppo “trozkista”, capeggiato da Moreno Pasquinelli, ebbe l’ardire di aprire le porte a chiunque, senza alcuna “pregiudiziale”. Una delle teste pensanti che si associò a quell’operazione politico-culturale fu Costanzo Preve, col quale, all’epoca, mi sentivo abbastanza spesso.
Se qualcuno si ricorda bene, quell’iniziativa dette parecchio fastidio ai piani alti che comandano nella colonia Italia, perché in un certo senso era “avanti” rispetto al sentire medio degli “antagonisti” di ogni risma. Era stata violata, nei fatti, quella muraglia innanzitutto mentale tra “destra” e “sinistra”, tra “fascismo” e “antifascismo”. Le accuse di “leso antifascismo”, rivolte da “sinistra” ai promotori del Campo Antimperialista, piovvero come chicchi di grandine. Dalle illazioni sui “fascisti infiltrati” di anonimi “commissari telematici” (termine che coniai all’epoca) su Indymedia (anche di questa si ricorda qualcuno?) alla pubblicazione, all’unisono, su tutti i quotidiani, alla vigilia della marcia sull’ambasciata americana di Via Vittorio Veneto, dei nomi dei “fascisti” che, “scandalosamente”, avevano firmato, insieme a nomi importanti della cultura italiana (ricordo tra gli altri Franco Cardini e Angelo Del Boca) l’appello del Campo (a “sinistra” c’è la mania degli “appelli da firmare”, ma quello, con tutti quei nomi così disomogenei per cultura politica, aveva comunque un suo perché). Leggere “Il Manifesto” e il “Corriere” che si ponevano la medesima domanda (“che ci fanno i fascisti in un’iniziativa di sinistra”?) fu l’ennesima conferma che questo è un regime dove le differenze sono pura facciata. Intendiamoci bene: non si trattò di un’alleanza di questo movimento “trozkista” con qualche partitino della cosiddetta “estrema destra”, ma solo dell’adesione di singole individualità che il regime (da Indymedia al “Corriere”) aveva l’interesse a dipingere come il Male con l’etichetta infamante di “fascisti”. Di lì a breve, scatenato l’inferno mediatico scattarono pure degli arresti per tre esponenti di punta del Campo, tanto per far capire chi comanda in Italyland.
Ma dopo questa lunga premessa veniamo al punto. Sempre se qualcuno ricorda bene, quella volta, alla viglia dell’invasione americana dell’Iraq (20 marzo 2003), a Roma venne organizzata una manifestazione oceanica di protesta (alcuni parlarono di un milione di persone!). Sui balconi e alle finestre delle case comparvero tantissime “bandiere della pace”. Sì, quelle arcobaleno che lasciano il tempo che trovano. Ad ogni modo, erano indice di un sentimento diffuso contro quella guerra (di fatto una strage a senso unico). Altri tempi rispetto ad oggi, quando dopo vent’anni di ulteriore istupidimento dell’italiano medio troviamo una maggioranza di persone pronte ad andare al macello per l’Ucraina testa di ponte della NATO.
Dicevo della “bandiera della pace”. Bene, in alcune conversazioni con Costanzo Preve, che era ascoltato a volte sì a volte no dal Pasquinelli (sono le classiche dinamiche tra “il braccio” e “la mente”), mi trovai a perorare la necessità, per dare un segnale forte, di mettere il tricolore italiano al tavolo degli oratori nelle varie iniziative. La cosa, detta oggi, sembra di nessuna importanza, ma vent’anni fa – lo ricordo ai più giovani – era considerato “scandaloso” per un gruppo comunque “di sinistra” adottare la bandiera nazionale, storicamente appannaggio delle destre d’ogni tipo. Con quel tricolore, a mio avviso, si sarebbe data plastica rappresentazione al superamento delle obsolete categorie politiche che tanto male hanno fatto, a danno del popolo. E così effettivamente fu fatto, perché – anche se in questo momento la memoria mi tradisce – a Roma, anche se il corteo non venne fatto arrivare all’ambasciata americana benché fosse del tutto pacifico, sventolarono anche dei tricolori.
Ma oggi, dopo altri vent’anni di scatafascio (penso al tradimento dell’alleato libico, ad oltre dieci anni di “governi tecnici” blindati dal Quirinale, alla follia del covid governata in senso pseudo-patriottico), mi chiedo: ha ancora senso il “tricolore” come simbolo dell’unità della Nazione? La mia risposta è no, e qui mi aggancio al mio post dell’atro giorno in cui, “provocatoriamente” ma non troppo, mi definivo “etrusco” e “italico”. La risposta è no perché quel tricolore è ormai completamente squalificato, in quanto, anche facendo la tara alle sue origini “giacobine”, è la bandiera di una massa di abbrutiti, di gente senza cervello che specialmente in questi ultimi due anni ha dato prova di non avere alcuna consistenza. Ed anche se s’è convinta – come lo è stato – di essere in guerra (in “guerra contro il covid”), ‘stringendosi a coorte’ attorno al governo, alle virostar e alle guardie che multavano per una mascherina abbassata, ciò non cambia d’un millimetro la mia convinzione che quel “tricolore” sia da lasciare a tutti costoro: a quelli che seguono ancora lo sport dei triplodosati, dei bollettini farlocchi sulla “pandemia” e le relative assurde “regole”, fino a quest’ultima pagliacciata di una Nazione che dovrebbe, sempre per chissà quale “patriottismo” (“atlantico”) andare al sacrificio estremo per salvare una banda di marionette e accodarsi alla russofobia di regime.
Enrico Galoppini

Dalla pandemia alla guerra

La crisi raccontata dal professor Fabio Vighi (Cardiff University)

Dalla “guerra al Virus” alla “guerra di Putin”. Dal rischio di vivere in uno stato d’emergenza permanente alla “demolizione controllata” dell’economia reale, attraverso strumenti di controllo biopolitico, quali il Green Pass. Partendo dal periodo pre-pandemico il professor Fabio Vighi ripercorre la crisi strutturale in cui siamo piombati e dalla quale sembra quasi impossibile uscire. Codirettore, unitamente ad Heiko Feldner, dell’Ideology Critique and Žižek Studies (centro che promuove la ricerca nell’ambito della teoria critica e politica), Fabio Vighi è professore di cinema e teoria critica alla Cardiff University. Vive e lavora nella capitale del Galles dal 2000, dove studia l’ideologia del “capitalismo di emergenza”. Ha pubblicato numerosi volumi in lingua inglese, tra cui Critical Theory and the Crisis of Contemporary Capitalism (2015) e Unworkable: Delusions of an Imploding Civilization (2022). Gli scenari prospettati dal docente non sono rassicuranti. Sui problemi dell’Italia e degli Italiani il professore si rifà a un’affermazione lucida e impietosa di Pier Paolo Pasolini: “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa”.

Professore, con la guerra tra Russia e Ucraina sembra sia iniziato il secondo tempo dello stesso, macabro film. La sceneggiatura è simile a quella utilizzata per la pandemia, di cui ormai non parla più nessuno: fino a poco tempo fa i nemici erano i no-vax, ora sono i Russi e, in particolare, Putin. Dove si può collocare la verità?

“Credo che la verità si debba collocare a livello sistemico. Il capitalismo globalizzato a trazione finanziaria, per come ci si presenta dalla crisi del 2008, ha un disperato bisogno di continue emergenze per giustificare manovre monetarie espansive sempre più grottesche, che dividono il mondo tra una sparuta élite di ultra ricchi (il cosiddetto 0,01%) e masse sempre più impoverite e disorientate”.

Più precisamente…

“La necessità di creare emergenzialismo a getto continuo ha due motivazioni principali: 1) giustificare la creazione di montagne di debito a basso costo da parte delle banche centrali (Federal Reserve in primis) – debito che viene perlopiù investito in altro debito nei mercati finanziari; 2) permettere di scaricare la responsabilità della crisi economica reale sulla figura del Mostro, come si sta facendo ora, per esempio, con l’inflazione attribuita a Putin. Attraverso la produzione seriale di emergenze si cerca dunque di nascondere una crisi strutturale di valorizzazione. Ciò significa che il sistema capitalistico ha raggiunto il suo limite espansivo e non è più in grado di generare sufficiente ricchezza per la riproduzione sociale. Questa impotenza lo rende totalmente dipendente dall’ideologia dell’emergenzialismo. Da qui la transizione fluida da Virus a Putin, che assolvono praticamente lo stesso ruolo di “garanti” di un sistema ormai senescente trainato da denaro creato artificialmente con il click del mouse di un computer. Il gigantismo del capitalismo finanziario è la tragica conseguenza del sopravvenuto nanismo dell’economia capitalistica reale – una situazione ormai irreversibile”.

Il virus esisteva davvero e, talora, uccideva veramente. Pure le bombe ammazzano, ma perché l’Italiano medio deve fare sempre il “tifoso”, accettando la costruzione di un nemico? All’Italia non conveniva rimanere neutrale, anziché fornire armi ed equipaggiamenti all’Ucraina? L’articolo 11 della Costituzione afferma che l’Italia ripudia la guerra…

“Non scopriamo nulla di nuovo nel dire che l’Italia è eterodiretta, non solo culturalmente ma anche perché piena zeppa di basi militari USA. Siamo ridotti allo stato di colonia e da colonia veniamo trattati, con il consenso di una classe politica sempre più ignorante e opportunistica. In più possiamo vantare una situazione economica disastrosa (debito pubblico) che non ci lascia molto spazio di manovra a livello negoziale. Purtroppo, la logica dello stato di emergenza (se non di eccezione), che ormai è strutturale, vince a mani basse sulla Costituzione. Lo stato di emergenza viene trattato come merce di scambio rispetto ad aiuti economici, nella fattispecie (per l’Italia) dalla BCE – aiuti che ovviamente comportano ulteriore indebitamento nonché l’imposizione delle famigerate riforme. Insomma un cappio al collo che si stringe lentamente fino a soffocarci. Le sembra un caso che lo stato di emergenza per Covid, imposto dal governo Draghi, scada il 31 marzo, proprio in concomitanza con la scadenza del PEPP (programma di sostegno pandemico della BCE)? Le pare che questa scadenza sia motivata da ragioni sanitarie?”.

Cosa accadrebbe se la BCE smettesse di acquistare il nostro debito?

“Se la BCE dovesse smettere di acquistare il nostro debito piomberemmo subito in recessione. Le ultime dichiarazioni della Lagarde in merito alla riduzione dell’APP (che andrà a sostituire gli aiuti emergenziali del PEPP) avevano indotto a ipotizzare un rapido ritorno alla fine del 2011, quando i rendimenti sui BTP a 10 anni s’impennarono oltre il 7%, sdoganando le cosiddette ‘riforme strutturali’. Se non fosse che proprio ieri (17 marzo) la Lagarde ha fatto retromarcia: dopo appena una settimana, alla luce degli eventi in Ucraina, si dice già pronta a frenare sulla stretta monetaria. Tutto come ampiamente previsto. La guerra di Putin sarà spremuta oltre l’immaginabile per giustificare la creazione di denaro (debito) dal nulla – esattamente come successo con Covid-19. Quanto agli italiani, così li descriveva Pasolini negli anni ’60: “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa”. Dopo oltre mezzo secolo, la situazione è addirittura peggiorata. Il cosiddetto “popolo italiano” tende a rispondere direttamente agli algoritmi del sistema di dominio tecnocratico, mentre le classi medie sono in preda a un irrigidimento conformistico sempre più cieco e disperato, la cui funzione è negare ostinatamente il loro graduale ma inesorabile impoverimento, la loro perdita di status. Non che vada meglio altrove, ma forse non è un caso che l’Italia sembri essere il terreno ideale su cui testare i programmi distopici del futuro (il famoso ‘laboratorio sociale’)”.

Parliamo delle sanzioni comminate alla Russia e delle loro possibili ripercussioni economiche. Alcune banche russe, ad esempio, sono fuori da Swift: chi si farà più male? La Russia o l’Europa? L’Italia rischia la bancarotta?

“Quello delle sanzioni è un argomento delicato, perché non si capisce a chi possano giovare. Se la Russia dovesse crollare, come ci raccontano i media, credo abbia risorse per riprendersi abbastanza velocemente, anche grazie allo spostamento dell’asse commerciale verso la Cina, che è già in cantiere da tempo. D’altra parte, molte banche d’investimento occidentali sono pesantemente esposte al debito russo, quindi rischiano contraccolpi molto dolorosi. Senza contare il danno economico diretto che le sanzioni avranno soprattutto sull’Europa, vista la sua dipendenza dalla Russia, non solo energetica ma riguardante tutta la filiera alimentare, a partire dai fertilizzanti. Credo per altro che vi sia un’ipocrisia di fondo nell’imposizione di queste sanzioni, che si misura sul semplice fatto che Gazprombank ne è rimasta esclusa, proprio perché responsabile del commercio del gas russo con l’Europa. Come ha sintetizzato Wolfgang Munchau (ex Financial Times): “L’UE fa il tifo per l’Ucraina da una comoda distanza di sicurezza, osservando il conflitto da salotti riscaldati dal gas russo.” Se le cose stanno così, cioè se le sanzioni si riveleranno non un bazooka ma una pistola ad acqua, se non addirittura un boomerang, allora la spiegazione dev’essere ricercata a un livello di analisi più profondo”.

Quale?

“In primo luogo sono ingrediente fondamentale nella narrazione di quella che potremmo chiamare la Putin-pandemia: facilitano cioè la “mostrificazione” di Putin, la sua elevazione a nemico pubblico numero uno, che d’incanto ci mette dalla parte giusta della storia – la parte del Bene. Noi infatti siamo gli occidentali virtuosi che non bombardano popoli biondi e dagli occhi azzurri, ma solo popoli evidentemente meno degni di commozione umanitaria (iracheni, libici, afgani, siriani, somali, etc.); che sono, come purtroppo si sente dire sui media, meno civilizzati, meno simili a noi. È evidente che questa strategia servirà a scaricare su Putin e la Russia sia la colpa di un’inflazione in realtà strutturale, che la responsabilità di tutte le misure emergenziali che dovremo continuare a sciropparci per motivi che non hanno nulla a che vedere con Putin. In ultima istanza questo atteggiamento servirà a giustificare quella che ho chiamato la ‘demolizione controllata’ dell’economia reale, sia in Italia che altrove”.

I principali esportatori di gas verso l’Italia sono Russia (pari al 46% circa) e, in misura inferiore, Algeria, Qatar, Norvegia e Libia. A chi ci rivolgeremo, qualora Putin decidesse di chiudere il “rubinetto” e quale prezzo dovremo pagare? Ci “salverà” forse lo Zio Sam?

“Un prezzo molto alto, letteralmente. Se Putin dovesse chiudere il rubinetto (ma non credo lo farà), sarebbero guai seri – almeno nell’immediato. Il costo del gas liquido USA è molto alto rispetto a quello del gas naturale russo, con tutto ciò che ne consegue. Oltre al fatto che la domanda di gas europeo è molto superiore alla capacità di esportazione del gas liquido americano. Tutto ciò però non è affatto casuale, ma il frutto di un cambio di paradigma interno al ciclo di accumulazione capitalistica.”

Può chiarirci il concetto?

“Questo cambio di paradigma prevede il potenziamento del settore finanziario (ovvero la creazione di bolle strutturali), a cui giocoforza corrisponde la demolizione controllata dell’economia reale. Dopo più di quarant’anni di neoliberismo, siamo giunti a un vero e proprio capovolgimento della ricetta capitalistica originale: il valore, cioè la ricchezza economica, non si crea più attraverso investimento nel lavoro umano, ma attraverso sempre più audaci speculazioni finanziarie (dove è il denaro stesso che viene messo al lavoro). La finanza non è più appendice dell’economia reale, ma quest’ultima è appendice della finanza. Basti pensare che il valore della bolla dei derivati oggi è almeno dieci volte quello del PIL globale. Questa situazione capovolta è ormai parossistica, e produce una serie di violente, assurde e criminose contraddizioni (dalla ‘guerra al Virus’ alla ‘guerra di Putin’) che credo possano essere contenute solo attraverso l’irrigidimento autoritario (o totalitario) del capitalismo stesso”.

I mercati sono in subbuglio: dove conviene investire? C’è chi è tentato dall’oro, il cui prezzo però è salito alle stelle…

“Prima o poi è evidente che le attuali “bolle di tutto” scoppieranno, perché gonfiate all’inverosimile dalle banche centrali, e dunque in massima parte artificiali, cioè dissociate rispetto al valore generato nell’economia reale (che infatti è in caduta libera, mentre i mercati continuano a salire, pur con le consuete correzioni di rito). Tuttavia, con nemici di questo calibro (Virus, Putin, poi Clima e probabilmente una riedizione pandemica, o chissà cos’altro) il redde rationem continua a essere rimandato. Il campanello d’allarme sarà, credo, il mercato del debito, nella fattispecie i rendimenti sulle obbligazioni USA (Treasuries) a 10 anni. Qualora questi rendimenti dovessero salire improvvisamente e sproporzionatamente sarà segno che ingenti masse di denaro stanno uscendo dal mercato del debito, il che porterebbe a un effetto domino su tutti gli altri mercati, che dipendono appunto dalla leva a debito. I mercati finanziari sono specie di derivati del mercato del debito. Per chi ha la possibilità di investire, credo che oro e metalli preziosi in generale rimangano il bene rifugio più sicuro rispetto alla volatilità economico-finanziaria e all’inflazione. Nelle ultime settimane hanno subito alti e bassi abbastanza clamorosi, ma alla lunga sono tra gli investimenti più sicuri”.

Entriamo nel tema della finanza decentralizzata (DeFi): le criptovalute e la tecnologia blockchain potrebbero rivelarsi utili per “uscire” dal sistema finanziario attuale oppure esse presentano dei rischi?

“Dobbiamo sempre partire dal presupposto fondamentale, e cioè che l’economia capitalistica crea ricchezza reale attraverso investimento nel lavoro produttivo di valore. Quando però il lavoro viene estromesso dalla logica stessa del capitale, che utilizza tecnologia per risparmiare sui costi di produzione e garantirsi competitività, allora si crea un corto circuito da cui non si può pensare di uscire con le criptovalute, che rimangono strumenti finanziari. Il corto circuito di cui parlo è iniziato più di quarant’anni fa, quando la terza rivoluzione industriale (microelettronica) ha cominciato ad automatizzare la produzione industriale a un livello tale che più lavoro umano veniva estromesso di quanto ne venisse riassorbito. Questo processo di svalorizzazione dell’economia attraverso automazione tecnologica è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni, da qui la precarizzazione ormai strutturale del lavoro. In ultima istanza, per quanto mi riguarda, i rischi della finanza decentralizzata sono quelli di un modello capitalistico senescente, che ha abbandonato la sua formula fondativa ed è sempre più in balìa di una deriva iper-finanziaria destinata al collasso. La criptovalute possono essere una soluzione parziale, ma non credo possano dare vita a un tipo di capitalismo virtuoso perché decentralizzato. Il fatto poi che dipendano da tecnologia blockchain significa che possono essere semplicemente spente da chi controlla tale tecnologia. Non dimentichiamo che ormai tutte le maggiori banche centrali stanno sperimentando l’utilizzo di valute digitali basate proprio su tecnologia blockchain”.

Torniamo al virus. È ormai evidente a tutte le persone di buonsenso l’inutilità del Green Pass sotto l’aspetto sanitario. Qual è, in realtà, il fine del lasciapassare? Potrebbe rimanere per sempre oppure trasformarsi in qualcos’altro?

“Il Green Pass è uno strumento di controllo biopolitico che serve (e servirà sempre più) a chi detiene il monopolio del potere economico in un contesto di contrazione strutturale. La digitalizzazione della vita è fondamentale per il controllo monetario dall’alto, cioè da parte di quelle banche centrali che, nelle loro intenzioni, si faranno garanti della nostra sopravvivenza tramite appunto sottomissione a una sorta di schiavitù monetaria. Agustin Carstens, capo della Banca dei Regolamenti Internazionali (la ‘banca centrale di tutte le banche centrali’) lo ha detto senza peli sulla lingua: “Tramite CBDC (central bank digital currencies) vogliamo poter controllare capillarmente l’utilizzo del denaro!”. Per far questo sarà necessaria sia la digitalizzazione completa delle valute che la loro centralizzazione attraverso tecnologia blockchain. Il Green Pass è un passo in questa direzione distopica. Certo rimane ancora molto lavoro da fare rispetto all’installazione dell’infrastruttura tecnologica, e questo è fonte di speranza. Ma bisogna esserne consapevoli”.

Lei ha scritto che “la finanza non è crollata perché è stato necessario imporre i lockdown; piuttosto, è stato necessario imporre i lockdown perché la finanza stava crollando”. Tuttavia numerose attività sono fallite o comunque andate in crisi a causa delle restrizioni. Può descriverci quanto è avvenuto?

“Tornando al periodo immediatamente pre-pandemico, la mia analisi sviluppa le conseguenze di un’osservazione elementare. Dopo un decennio di QE strutturale (Quantitative Easing, cioè acquisti di asset finanziari da parte delle banche centrali), nel settembre 2019 il mercato dei prestiti interbancari di Wall Street (cosiddetto ‘repo’), che fornisce liquidità immediata a tutti i principali speculatori e in particolare alle quattro maggiori megabanche americane (JP Morgan, Citibank, Bank of America e Goldman Sachs), si è improvvisamente congelato, spedendo i tassi d’interesse sui prestiti dal 2% al 10%. Si erano formate le condizioni per una trappola di liquidità in grado di contagiare tutti i principali mercati, e dunque di scatenare uno tsunami finanziario di tali dimensioni da far impallidire quello del 2008. A quel punto, per salvare sia le banche che il Tesoro USA, la Federal Reserve ha attivato la stampante (in realtà, creando dollari al computer), che ha permesso di aumentare vertiginosamente il gettito rispetto ai QE precedenti. Si è trattato di un’espansione monetaria assolutamente straordinaria: trilioni di dollari partoriti dal nulla e messi direttamente a disposizione dei cosiddetti primary dealers (operatori primari) della Fed: sia le megabanche USA che quelle internazionali come Deutsche Bank, la giapponese Nomura Securities, Barclays Finance, PNB Paribas, ecc. Nell’ultimo trimestre del 2019, dunque ben prima dell’arrivo di Virus, il bilancio della Fed è cresciuto di 4,5 trilioni di dollari, destinati a salvare le banche e i mercati dal collasso. Un’operazione poi continuata durante la ‘pandemia’, quando lo stimolo emergenziale fu mobilitato su scala globale. Sebbene oggi, a distanza di più di due anni, comincino a uscire i dettagli del salvataggio del settembre 2019, la notizia continua a essere censurata da tutti i maggiori organi di stampa. È in questo contesto che a inizio 2020 interviene, molto tempestivamente, Virus, impedendo a una parte dell’enorme massa monetaria creata dal nulla di mettersi in moto come domanda reale potenzialmente iper-inflattiva. Volente o nolente, il raffreddamento dell’economia globale dovuto a Covid-19 ha consentito di riassestare un settore finanziario di nuovo giunto sull’orlo del precipizio, rimandando le magagne dell’inflazione e del rialzo dei tassi alle prime timide riaperture ‘da variante’”.

E cosa c’entrano i lockdown?

“Allo stesso tempo, i lockdown hanno permesso l’ulteriore rafforzamento dei capitali a più alto market cap, da Big Tech a Big Pharma e alle megabanche. In effetti, negli ultimi due anni abbiamo assistito a un fenomeno che la dice lunga sulla presunta sostenibilità del nostro modello socio-economico: da una parte gli indici finanziari sono in costante crescita, dall’altra un’economia globale in caduta libera. Basti pensare che Apple, l’azienda con più alto market cap al mondo (2,8 trilioni abbondanti, dunque superiore al PIL di quasi tutti i paesi al mondo, inclusi Gran Bretagna, Francia e Italia) impiega circa 100.000 lavoratori. Penso che questo sia solo l’inizio di un nuovo modello di capitalismo autoritario di tipo neo-feudale, in cui i grandi monopoli tendono a esercitare signoraggio monetario sulle grandi masse impoverite”.

Le autorità sanitarie hanno sempre sostenuto che solo i vaccini ci avrebbero condotto fuori dall’emergenza. Perché le cure domiciliari precoci sono state snobbate e i medici che si sono discostati dai protocolli ufficiali hanno subito spesso insulti e procedimenti disciplinari? Chi avrebbe avuto interesse ad ostacolare le cure?

“Rispondo con una domanda: com’è potuto succedere tutto ciò se non attraverso un’operazione coordinata dall’alto? Non dev’essere stato neppure troppo difficile, considerando sia gli intrecci di interessi tra economia, politica e sanità, che il potere esercitato da organismi transnazionali già esistenti e operativi. Una volta partito l’ordine dall’alto, per esempio rispetto alla sospensione delle cure domiciliari, si dev’essere avviato un passaggio di consegne verso il basso che ha garantito la riuscita dell’operazione. Chi non è stato al gioco è stato, molto semplicemente, fatto fuori – cioè escluso dalla possibilità di dissociarsi dai protocolli ufficiali. Come nel caso della ‘guerra di Putin’, l’obiettivo era alimentare il terrore per garantire stato di emergenza e chiusura della società (modello lockdown), e di conseguenza l’attuazione di politiche monetarie straordinarie – cosa che solo un’emergenza globale poteva legittimare”.

È guerra anche tra i colossi farmaceutici. Il vaccino russo Sputnik (somministrato ad esempio a San Marino) non ha ancora ottenuto l’autorizzazione da EMA, tant’è che solo recentemente è stato riconosciuto dall’Italia ai fini del Pass. Nel frattempo, l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, ha dichiarato: “Sospendiamo la cooperazione per Sputnik, perché la scienza deve essere al servizio della pace e non della guerra, come ha ricordato il Papa”. Esiste quindi un vaccino dei “giusti”, “timorati di Dio”?

“Ciò dimostra quanto tutto ciò che ci sta accadendo sia conseguenza dell’unica ‘scienza’ che conta, quella economica. Perché il vero malato terminale qui è il capitalismo in versione turbo-finanziaria, che allo stesso tempo è anche il virus che ci sta distruggendo”.

Stiamo vivendo un’emergenza permanente: prima la pandemia, ora la guerra. Quando i diritti inderogabili dell’uomo saranno restituiti alla loro originaria natura? Ci attende una realtà distopica, caratterizzata da lockdown a intermittenza, coprifuochi preventivi e nuovi strumenti per congelare e trasformare l’economia?

“Purtroppo credo di sì. Al momento non si vede altro all’orizzonte. Serve una presa di coscienza collettiva che possa portarci sia a resistere che a tentare di sovvertire questa logica economica cieca e pulsionale, che ci sta trascinando verso una nuova frontiera di totalitarismo. Il capitalismo che ci attende è quello del lockdown più o meno permanente, cioè della regimentazione forzata della vita, che ci verrà venduto come soluzione dolorosa ma necessaria (il “sacrificio” di cui già parla apertamente Biden) per salvaguardare la nostra libertà, la nostra democrazia, e soprattutto la nostra vita, da minacce esterne. In realtà è l’esatto contrario: le minacce esterne, cioè la produzione industriale di emergenzialismo, rappresentano la strategia, disperata e insieme criminosa, con cui il nostro sistema capitalistico ha scelto di negare l’evidenza della propria involuzione implosiva, prolungando dunque la propria agonia”.

(Fonte)

Anime belle

Una risposta data sui social a un pacifista dell’ultim’ora.

Peccato che tutte queste belle anime non l’abbia mai viste quando andavamo a protestare a Camp Darby contro le ingerenze USA e contro le atomiche stivate nella loro base, sotto i nostri piedi; peccato non aver visto queste anime belle strapparsi i capelli quando siamo andati ad Aviano a protestare contro i bombardamenti sui civili indifesi in Jugoslavia; peccato non abbia visto nessuna di queste anime pure in Iraq, quando, nel 2003, ci siamo offerti come scudi umani per difendere un Paese aggredito con false accuse (Colin Power docet) e una popolazione decimata da 15 anni di embargo.

Peccato che non abbia incontrato nessuno di queste belle anime quando, nel 2007, abbiamo cercato di entrare a Gaza da Eretz, per forzare il criminale assedio imposto ai Palestinesi. Peccato che non ho sentito nemmeno una di queste belle anime quando i francesi hanno bombardato la Libia e ucciso Gheddafi perché voleva una moneta africana, che portasse i giusti guadagni agli Africani nella vendita dei loro prodotti e che avrebbe distrutto quella francese. Peccato che non abbia sentito un gemito, provenire da tutte queste belle anime a sostegno della Siria, aggredita dai tagliagole al soldo USA.

Peccato non aver udito lo sdegno, di queste anime candide, contro i bombardamenti dello Yemen, da parte degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita. Peccato che in otto anni, non abbia mai sentito dire, da queste anime innocenti, una parola sui civili del Donbass, aggrediti da nazifascisti, torturati, bruciati e vessati.

E non ho mai sentito nessuna, di queste anime belle, dire una parola a favore di Assange, imprigionato come un criminale per aver fatto seriamente il suo lavoro di giornalista ed aver scoperto le bugie statunitensi dietro alle loro aggressioni. Le sento tutte ora, questa miriade di belle anime, che si straccia le vesti, i capelli, che compete su chi è più pacifista, naturalmente facendo collette e avallando un governo che invia armi in territorio di guerra. Ma vi rendete conto, anime belle, di quanto fate vomitare con la vostra infame retorica?

Maria Grazia Da Costa

(Fonte)

Donetsk, 14 marzo 2022

Ucraina e Libia: due facce della stessa guerra e la profezia di Gheddafi

C’è un sottile filo rosso che collega la crisi in Ucraina con il caos libico. Ucraina e Libia sono due scenari apparentemente distanti dal punto di vista geopolitico e strategico. Ma il destino delle due nazioni si interseca a causa degli interessi contrastanti delle grandi potenze regionali e mondiali in ciascuno dei due scenari. Proviamo a capire perché.

In Europa orientale, la crisi è stata innescata dalla costante pressione dell’Alleanza Atlantica verso i confini della Russia. Dal 1990 ad oggi, dopo lo scioglimento dell’URSS, la NATO ha rosicchiato territori su territori e l’Ucraina, di cui Mosca ha sempre rivendicato uno status “neutrale”, è a un passo dall’abbracciare il Patto Atlantico. Dal 2014, la crisi del Donbass è stata aggravata dalla politica russofoba attuata da Kiev.

La Libia, invece, è preda di interessi internazionali dal 2011. Dopo il rovesciamento del regime di Gheddafi, la storia della Libia è segnata da guerre civili e guerre per procura. La Libia era essenzialmente divisa in tre regioni (Tripolitania, Fezzan e Cirenaica) e una serie di enclavi (Misurata e Sirte) controllate da formazioni paramilitari.

L’anno scorso, con il Forum di Ginevra, è stata tracciata una road map per portare la Libia a libere elezioni. Il governo di transizione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato affidato a Dbeibah, imprenditore originario di Misurata, legato alla famiglia Gheddafi e per lungo tempo a capo del fondo libico che gestiva il tesoro libico all’estero.

Il tentativo di convincere la Libia a votare alla fine dell’anno scorso si è rivelato un totale fallimento. Solo la mediazione tra Ankara (le cui forze militari controllano la capitale libica) e la Russia (che ha sempre sostenuto il generale Haftar, vero deus ex machina della Cirenaica e parte del Fezzan) sembrava capace di riportare la Libia alla normalità. Nacque così il governo guidato da Fathi Bashaga (ex ministro dell’Interno di orientamento filo-turco), con l’appoggio dell’Esercito nazionale libico di Haftar e del parlamento di Tobruk. Bashaga è stato proclamato premier con la sessione di ieri sera [3 Marzo 2022 – n.d.c.]. Ma da Tripoli, Dbeibah contesta la legittimità di quel governo e afferma di essere ancora il capo dell’esecutivo ad interim.

Dbeibah ha chiuso lo spazio aereo libico per impedire la proclamazione del governo Bashaga. E ieri mattina le forze paramilitari di Misurata, legate al premier designato dalle Nazioni Unite, hanno rapito a Tobruk due ministri esecutivi appena eletti. È impensabile, anzi è impossibile, che Dbeibah abbia deciso tutto da solo. Dbeibah è responsabile delle sue azioni alla missione delle Nazioni Unite in Libia, guidata dalla diplomatica statunitense Stephanie Williams. La Libia è ancora una volta di fronte al rischio di una guerra civile, con due governi in lizza per il potere.

Da che parte stanno le potenze mondiali? Dbeibah è l’uomo piazzato a Tripoli dalle Nazioni Unite. Espressione del consenso di Washington, per intenderci. Il governo Bashaga, invece, è sostenuto da Turchia e Russia.

Alla vigilia del voto di Tobruk, il ministero degli Esteri russo ha rilasciato una dichiarazione di sostegno a Bashaga: “La Russia ha accolto con favore il voto di fiducia del parlamento libico al nuovo governo guidato da Fathi Bashagha. Ha sottolineato di essere pronto a cooperare, e ad andare avanti con una soluzione politica globale in Libia”. “Vediamo la decisione del parlamento libico come un passo importante per superare la lunga crisi in Libia” al fine di raggiungere un “accordo nazionale attraverso un ampio inter-dialogo”, ha affermato il ministero degli Esteri russo.

Consegnare la Libia all’influenza russa sarebbe un’incredibile battuta d’arresto dal punto di vista geopolitico per Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che hanno sempre cercato di guidare le sorti del Paese nordafricano.

Pertanto, non è certo un caso che la nuova crisi libica sia esplosa in concomitanza con il conflitto in Ucraina. Nel 2009, l’allora leader libico Gheddafi lanciò una profezia su ciò che potrebbe accadere nell’Europa orientale. Intervistato dalla TV russa il 14 agosto 2009, Muammar Gheddafi prestò particolare attenzione alla crisi tra Russia e Ucraina. Egli avvertì che i piani di espansione della NATO a est rappresenterebbero una minaccia diretta per gli interessi e la sicurezza della Russia. “Oggi la NATO sta cercando di trascinare le ex repubbliche sovietiche sotto il suo controllo, questo può essere descritto solo come una vera minaccia per la Russia”, affermò. Gheddafi espresse anche la sua preoccupazione per le relazioni tese tra Russia e Ucraina, dicendo: “durante la mia visita in Ucraina, ero convinto che ci fossero seri problemi tra i due Paesi. Uno di questi problemi sono i tentativi della leadership ucraina di aderire alla NATO”.

Gheddafi aggiunse che l’espansione della NATO, e il suo tentativo di accogliere i Paesi dell’Europa orientale come membri, è una “pericolosa provocazione e un tentativo di accerchiare e soggiogare la Russia. Questo è un Paese che non può essere facilmente assediato e sconfitto, come è stato dimostrato nel corso della storia”. Dodici anni dopo, la storia ha dato ragione al leader libico estromesso.

Piero Messina

[Fontetraduzione con alcune modifiche a cura della redazione]

Segui i soldi: come la Russia aggirerà la guerra economica occidentale

Gli Stati Uniti e l’UE stanno esagerando con le sanzioni russe. Il risultato finale potrebbe essere la de-dollarizzazione dell’economia globale e la massiccia carenza di materie prime in tutto il mondo.

Di Pepe Escobar per The Cradle

Quindi una congregazione di pezzi grossi della NATO nascosti nelle loro casse di risonanza mediatiche prende di mira la Banca Centrale russa con sanzioni e si aspetta cosa? Biscottini?

Quello che invece hanno ottenuto sono state le forze di deterrenza russe portate a “uno speciale regime di servizio” – il ché comporta che le flotte del Nord e del Pacifico, il comando dell’aviazione a lungo raggio, i bombardieri strategici e l’intero apparato nucleare russo siano tutti quanti in stato massima allerta.

Un generale del Pentagono ha fatto molto rapidamente i calcoli di base su ciò appena avvenuto, e solo pochi minuti dopo, una delegazione ucraina è stata inviata a condurre negoziati con la Russia in una località segreta a Gomel, in Bielorussia.

Nel frattempo, nei regni vassalli, il governo tedesco era impegnato a “porre limiti ai guerrafondai come Putin” – un impegno piuttosto grande considerando che Berlino non ha mai posto tali limiti per i guerrafondai occidentali che hanno bombardato la Jugoslavia, invaso l’Irak o distrutto la Libia in completa violazione della legge internazionale.

Pur proclamando apertamente il loro desiderio di “fermare lo sviluppo dell’industria russa”, danneggiare la sua economia e “rovinare la Russia” – facendo eco agli editti americani su Irak, Iran, Siria, Libia, Cuba, Venezuela e altri nel Sud del mondo – i tedeschi possibilmente potrebbero non riconoscere un nuovo imperativo categorico.

Finalmente sono stati liberati dal loro complesso di responsabilità della Seconda Guerra Mondiale nientemeno che dal presidente russo Vladimir Putin. La Germania è finalmente libera di sostenere e armare di nuovo i neonazisti – ora nella varietà del battaglione ucraino Azov.

Per capire in che modo queste sanzioni della NATO “rovineranno la Russia”, ho chiesto la succinta analisi di una delle menti economiche più competenti del pianeta, Michael Hudson, autore, tra gli altri, di un’edizione rivista dell’imperdibile Super-imperialismo: la strategia economica dell’impero americano .

Hudson ha osservato come sia “semplicemente agghiacciato dall’escalation quasi atomica degli Stati Uniti”. Sulla confisca delle riserve estere russe e sulla chiusura per la Russia dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, il punto principale è che “ci vorrà del tempo prima che la Russia introduca un nuovo sistema con la Cina. Il risultato porrà fine alla dollarizzazione per sempre, poiché i Paesi minacciati di “democrazia” o che mostrano indipendenza diplomatica avranno paura a usare le banche statunitensi”.

Questo, secondo Hudson, ci porta alla “grande domanda: se l’Europa e il gruppo dei Paesi del dollaro potranno ancora acquistare materie prime russe – cobalto, palladio, ecc. e se la Cina si unirà alla Russia nell’embargo di questi minerali”.

Hudson è fermamente convinto che “la Banca Centrale russa, ovviamente, ha attività bancarie estere per intervenire sui mercati valutari per difendere la sua valuta dalle fluttuazioni. Il rublo è precipitato. Ci saranno nuovi tassi di cambio. Eppure spetta alla Russia decidere se vendere il proprio grano all’Asia occidentale, che ne ha bisogno; o smettere di vendere gas all’Europa attraverso l’Ucraina, ora che gli Stati Uniti possono prenderlo”.

Sulla possibile introduzione di un nuovo sistema di pagamento Russia-Cina aggirando il sistema SWIFT e combinando il sistema russo SPFS (System for Transfer of Financial Messages) con il  sistema cinese CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), Hudson non ha dubbi “il sistema russo-cinese sarà implementato. Il Sud del mondo cercherà di unirsi e allo stesso tempo manterrà il sistema SWIFT, spostando le proprie riserve nel nuovo sistema”.

Ho intenzione di de-dollarizzare me stesso

Quindi, gli stessi Stati Uniti, con un altro enorme errore strategico, accelereranno la de-dollarizzazione. Come ha detto al Global Times l’amministratore delegato di Bocom International, Hong Hao, con la de-dollarizzazione del commercio energetico tra Europa e Russia “sarà l’inizio della disintegrazione dell’egemonia del dollaro”.

È un ritornello che l’amministrazione statunitense stava sentendo tranquillamente la scorsa settimana da alcune delle sue più grandi banche multinazionali, incluse banche degne di nota come JPMorgan e Citigroup.

Un articolo di Bloomberg riassume le loro paure collettive:

“L’allontanamento della Russia dal sistema globale critico – che gestisce 42 milioni di messaggi al giorno e che funge da ancora di salvezza per alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo – sarebbe controproducente, aumenterebbe l’inflazione, spingendo la Russia più vicino alla Cina, e metterebbe al riparo le transazioni finanziarie dal controllo dell’Occidente. Potrebbe anche incoraggiare lo sviluppo di un’alternativa allo SWIFT, che potrebbe, alla fine, danneggiare la supremazia del dollaro USA”.

Coloro che hanno un quoziente di intelligenza superiore a 50 nell’Unione Europea devono aver capito che la Russia semplicemente non può essere totalmente esclusa da SWIFT, ma forse solo alcune delle sue banche: dopotutto, i trader europei dipendono dall’energia russa.

Dal punto di vista di Mosca, questo è un problema minore. Diverse banche russe sono già collegate al sistema CIPS cinese. Ad esempio, se qualcuno vuole acquistare petrolio e gas russo con CIPS, il pagamento deve essere nella valuta cinese yuan. CIPS è indipendente dal sistema SWIFT.

Inoltre, Mosca ha già collegato il suo sistema di pagamento SPFS non solo alla Cina, ma anche all’India e ai Paesi membri dell’Unione Economica Eurasiatica. SPFS si collega già a circa 400 banche.

Con sempre più società russe che utilizzano i sistemi SPFS e CIPS, anche prima della loro fusione, ed altre manovre per aggirare il sistema SWIFT, come l’utilizzo del baratto – ampiamente utilizzato dal sanzionato Iran – e con le banche agenti, la Russia potrebbe compensare almeno il 50% delle perdite commerciali.

Il fatto chiave è che la fuga dal sistema finanziario occidentale dominato dagli Stati Uniti è ora irreversibile in tutta l’Eurasia e ciò procederà di pari passo con l’internazionalizzazione dello yuan.

La Russia ha la sua valigetta di trucchi

Nel frattempo, non stiamo neanche ancora parlando delle ritorsioni russe per queste sanzioni. L’ex presidente Dmitry Medvedev ha già dato un accenno: tutto, dall’abbandono di tutti gli accordi sulle armi nucleari con gli Stati Uniti al congelamento dei beni delle aziende occidentali in Russia, è sul tavolo.

Allora, cosa vuole “L’impero delle Menzogne”? (Termine putiniano, dalla riunione di lunedì 28 febbraio a Mosca per discutere la risposta alle sanzioni).

In un articolo pubblicato questa mattina, deliziosamente intitolato L’America sconfigge la Germania per la terza volta in un secolo: MIC, OGAM e FIRE conquistano la NATO, Michael Hudson tocca una serie di punti cruciali, a cominciare da come “la NATO è diventata l’entità che detta la politica estera dell’Europa, fino al punto di dominare gli interessi economici interni”.

Hudson delinea le tre oligarchie che controllano la politica estera degli Stati Uniti.

La prima di queste tre oligarchie è il complesso militare-industriale, che Ray McGovern coniò in modo memorabile come MICIMATT (Military Industrial Congressional Intelligence Media Academia Think Tank). Hudson definisce la sua base economica come “rendita monopolistica, ottenuta soprattutto dalla vendita di armi alla NATO, agli esportatori di petrolio dell’Asia occidentale e ad altri Paesi con un surplus di bilancia dei pagamenti”.

La seconda è il settore petrolifero e del gas, affiancato da quello minerario (OGAM: Oil Gas Mineral). Il suo scopo è “massimizzare il prezzo dell’energia e delle materie prime in modo da massimizzare la rendita delle risorse naturali. Il monopolio del mercato petrolifero dell’area del dollaro e l’isolamento dal petrolio e dal gas russi è stata una delle principali priorità degli Stati Uniti da oltre un anno, poiché l’oleodotto Nord Stream 2 dalla Russia alla Germania minacciava di collegare insieme l’economia dell’Europa occidentale e quella russa”.

La terza ed ultima oligarchia è il settore “simbiotico” finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE: Finance, Insurance Real Estate), che Hudson definisce “la controparte della vecchia aristocrazia fondiaria post-feudale europea che vive di rendite fondiarie”.

Mentre descrive questi tre settori di portatori di rendite che dominano completamente il capitalismo finanziario postindustriale nel cuore del sistema occidentale, Hudson osserva che “Wall Street è sempre stata strettamente fusa con l’industria del petrolio e del gas (ovvero conglomerati bancari quali ad esempio Citigroup e Chase Manhattan).”

Hudson mostra come “l’obiettivo strategico più urgente degli Stati Uniti nel confronto della NATO con la Russia è l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas. Oltre a creare profitti e guadagni sul mercato azionario per le società statunitensi, l’aumento dei prezzi dell’energia sottrarrà gran parte del vigore all’economia tedesca”.

Egli avverte come i prezzi dei generi alimentari aumenteranno “guidati dal grano”. (La Russia e l’Ucraina rappresentano il 25% delle esportazioni mondiali di grano.) Dal punto di vista del Sud del mondo, è un disastro: “Questo metterà in difficoltà molti Paesi dell’Asia occidentale e del Sud del mondo carenti di cibo, peggiorando la loro bilancia dei pagamenti e minacciando l’insolvenza del debito estero.”

Per quanto riguarda il blocco delle esportazioni di materie prime russe, “esso minaccia di causare interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali chiave, inclusi cobalto, palladio, nichel, alluminio”.

E questo ci porta, ancora una volta, al cuore della questione: “Il sogno a lungo termine dei nuovi guerrieri statunitensi della nuova Guerra Fredda è quello di smantellare la Russia, o almeno ripristinare la sua cleptocrazia manageriale cercando di incassare le loro privatizzazioni nei mercati  azionari occidentali.

Ciò non succederà. Hudson vede chiaramente come “la più enorme conseguenza involontaria della politica estera statunitense sia stata quella di guidare insieme Russia e Cina, insieme a Iran, l’Asia centrale e i Paesi lungo la Nuova Via della Seta”.

Confischiamo un po’ di tecnologia

Ora confrontate quanto sopra con la prospettiva di un magnate degli affari dell’Europa centrale con vasti interessi, ad est ed ovest, e che fa tesoro della sua discrezione.

In uno scambio di e-mail, il magnate degli affari ha espresso seri dubbi sul possibile sostegno della Banca Centrale russa alla propria valuta nazionale, il rublo, “che secondo la pianificazione statunitense viene ad essere distrutta dall’Occidente attraverso sanzioni e branchi di lupi nel settore delle valute che si stanno esponendo vendendo rubli allo scoperto. Non c’è davvero quasi nessuna somma di denaro che possa battere i manipolatori del dollaro contro il rublo. Un tasso di interesse del 20 per cento ucciderebbe inutilmente l’economia russa”.

L’uomo d’affari sostiene che l’effetto principale dell’aumento dei tassi “sarebbe quello di disincentivare le importazioni non necessarie. La caduta del rublo è quindi favorevole alla Russia in termini di autosufficienza. Con l’aumento dei prezzi all’importazione, questi beni dovrebbero iniziare ad essere prodotti a livello nazionale. [Fossi al loro posto] lascerei semplicemente cadere il rublo, fino a fargli raggiungere il proprio livello, che sarà per un po’ più basso di quanto le forze naturali consentirebbero, poiché, in questa guerra economica contro la Russia, gli Stati Uniti lo porteranno al ribasso attraverso le sanzioni e la manipolazione delle vendite allo scoperto”.

Ma questo sembra raccontare solo una parte della storia. Probabilmente, l’arma letale nell’arsenale di risposte della Russia è stata individuata dal capo del Centro per le Ricerche Economiche dell’Istituto di Globalizzazione e Movimenti Sociali (IGSO), Vasily Koltashov: la chiave è confiscare la tecnologia – come può accadere se la Russia cessa di riconoscere i diritti statunitensi sui brevetti.

In quella che definisce “proprietà intellettuale americana liberatrice”, Koltashov chiede l’approvazione di una legge russa sugli “Stati amici e ostili” [cosa già avvenuta – n.d.c.]. Se un Paese risulta essere nella lista ostile, allora possiamo iniziare a copiare le sue tecnologie nei settori farmaceutico, industriale, manifatturiero, elettronico, medico. Può essere qualsiasi cosa, dai semplici dettagli alle composizioni chimiche”. Ciò richiederebbe emendamenti alla Costituzione russa.

Koltashov sostiene che “una delle basi del successo dell’industria americana è stata la copia di brevetti stranieri per invenzioni”. Ora, la Russia potrebbe utilizzare “l’ampio know-how della Cina con i suoi ultimi processi produttivi tecnologici per copiare i prodotti occidentali: il rilascio della proprietà intellettuale americana causerà un danno agli Stati Uniti per un importo di 10 trilioni di dollari, solo nella prima fase. Sarà un disastro per loro”.

Allo stato attuale, si stenta a credere alla stupidità strategica dell’UE. La Cina è pronta ad accaparrarsi tutte le risorse naturali russe, con l’Europa ridotta a pietoso relitto, preda di speculatori selvaggi. Sembra che ci sia una divisione totale tra UE e Russia, con pochi scambi rimasti e zero diplomazia.

Ora ascoltate il rumore delle bottiglie di champagne che vengono stappate in tutto il MICIMATT.

(Traduzione a cura della redazione)

Dal fronte dell’Est

Cerchiamo di fare luce sulla reale situazione nel territorio ucraino e il fronte che divide l’ex repubblica sovietica dalle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass. La propaganda occidentale parla di invasione russa ma è davvero così?

Per comprendere quello che sta succedendo è necessario ricostruire le vicende che hanno caratterizzato gli ultimi otto anni, partendo dal colpo di Stato di Euromaidan. Con Giorgio Bianchi, documentarista e reporter di guerra in Donbass e Daniele Perra, saggista e analista geopolitico per la rivista Eurasia.

La polveriera del Donbass

La situazione in Donbass è sempre più critica: 150 mila soldati dell’Esercito e della Guardia Nazionale ucraini sono schierati di fronte a Donetsk e Lugansk, abitate da popolazioni russe. In prima linea c’è il battaglione neonazista Azov, promosso a reggimento di forze speciali, distintosi per la sua ferocia negli attacchi alle popolazioni russe di Ucraina, comandato da Andrey Biletsky che educa i giovani all’odio contro i Russi col suo libro «Le Parole del Führer Bianco». 

Dello schieramento ucraino non fa parola il mainstream, che parla solo dello schieramento russo. Si nasconde allo stesso tempo il fatto che le forze armate di Kiev sono finanziate, equipaggiate e addestrate, e quindi di fatto comandate, da consiglieri militari e istruttori USA-NATO. Come documenta lo stesso Servizio di Ricerca del Congresso, USA e NATO hanno fornito all’Ucraina aiuti militari per 10 miliardi di dollari. Vi sono inoltre quelli di singole potenze: la Gran Bretagna investe 1,7 miliardi di sterline per dare alla marina militare ucraina 8 unità lanciamissili veloci e costruire basi navali sul Mar d’Azov, incuneato nel territorio russo.

Altri 10 miliardi di dollari di investimenti sono previsti dal piano di Erick Prince, fondatore della compagnia militare privata statunitense Blackwater, di creare in Ucraina un esercito privato. La Blackwater, ora ridenominata Academy, ha fornito mercenari alla CIA e al Pentagono per operazioni segrete. Particolarmente allarmante è la presenza, nella regione di Donetsk, di mercenari USA probabilmente dotati di armi chimiche. Potrebbe essere la scintilla che provoca la deflagrazione di una guerra nel cuore dell’Europa: un attacco chimico contro civili ucraini nel Donbass, subito attribuito ai Russi di Donetsk e Lugansk, che verrebbero attaccati dalle preponderanti forze ucraine già schierate nella regione, per costringere la Russia a intervenire militarmente a loro difesa. 

Manlio Dinucci

(Fonte)

Krisis

“Per chi voglia approfondire i motivi che hanno innescato la Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina, un recente saggio di Giacomo Gabellini (Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense, Editore Mimesis) è una lettura a dir poco preziosa. Si tratta di un lavoro corposo, corredato da un’ampia mole di analisi, informazioni e notizie di carattere storico, economico e geopolitico che attraversa un secolo abbondante di storia – dalla seconda metà del secolo XIX a oggi – per descrivere ascesa, consolidamento e crisi dell’egemonia americana.”

La recensione di Carlo Formenti continua qui.

La geopolitica vaccinale strumento di controllo USA sull’Europa

“La geopolitica vaccinale, con il dominio semi-monopolistico del gruppo Pfizer (amministrato da un “good friend” di Joe Biden, l’ebreo “greco” Albert Bourla) sull’Occidente, al pari del colpo di Stato atlantista in Ucraina nel 2014, si è dimostrata uno strumento assai efficace per riaffermare il controllo nordamericano sull’Europa. E lo stesso avvento al potere in Italia (tra il giubilo della quasi totalità della classe politica e del mondo dell’informazione generalista) dell’ex banchiere di Goldman Sachs Mario Draghi (già in ottimi rapporti con l’avanguardia politico-economica dell’atlantismo, il Gruppo Bilderberg creato da CIA ed MI6) deve necessariamente essere interpretato alla luce di questi fatti. Il suo ruolo è sì quello di “curatore fallimentare” di uno Stato in evidente sfacelo socioeconomico ed ormai privo di qualsiasi autonomia strategica. Tuttavia, allo stesso tempo, questo “curatore” deve fare in modo che le rimanenti risorse italiane vengano (s)vendute in modo corretto; e che tale (s)vendita avvenga in modo controllato e concentrando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’invasività dell’evento pandemico con tutte le sue sfaccettature: dal certificato verde al corollario di scienziati (o pseudo tali) che dicono tutto ed il contrario di tutto, fino alla sterilissima polemica novax/provax che evita scientemente di rimarcare il portato geopolitico dell’affermazione di un modello di capitalismo della sorveglianza che si presenta come naturale evoluzione del modello occidentale (quello impiantato in Europa dopo il 1945) e non come instaurazione di un qualcosa ad esso estraneo.

Non sorprende che, dal momento del suo insediamento, il governo Draghi (spinto anche dal ministro ultratlantista della Lega Giancarlo Giorgetti) abbia utilizzato lo strumento del Golden Power ben tre volte per evitare l’acquisizione da parte di gruppi cinesi di aziende italiane che operano in specifici settori. L’ultimo caso è quello della Zhejiang Jingsheng Mechanical, alla quale è stato impedito di acquisire il ramo italiano di Applied Materials, azienda che opera nel settore dei semiconduttori. Nel marzo del 2021, sempre nel settore dei microchip, aveva impedito l’acquisizione del 70% di Lpe da parte del gruppo Shenzen Invenland Holding, mentre ad ottobre il Golden Power era stato esercitato per impedire gli sforzi del colosso agrochimico Syngenta per assumere la guida del gruppo agroalimentare romagnolo Verisem.

Al contempo, il governo italiano non ha palesato nessuna particolare preoccupazione di fronte al tentativo di acquisizione di TIM da parte del fondo nordamericano KKR & Co. Cofondatore del gruppo è l’ebreo statunitense Henry Kravis, ben inserito nel già citato Gruppo Bilderberg (insieme ai proprietari dell’importante gruppo editoriale italiano GEDI). Non c’è da stupirsi se al KKR fa riferimento anche l’Axel Springer Group, che possiede i giornali tedeschi (apertamente anticinesi) Die Welt e Bild. Inoltre, non è da dimenticare il ruolo che all’interno dello stesso KKR ha avuto l’ex generale e direttore della CIA David Petraeus e la partecipazione del gruppo al programma Timber Sycamore di finanziamento e assistenza logistica dei “ribelli” siriani.

Così come non vi è stato nessun particolare sussulto di orgoglio nel momento in cui Fincantieri, fermata da un patto anglo-australiano che ha fatto da apripista al più celebre (ed allargato agli USA) AUKUS, ha perso una commessa di 23 miliardi per la fornitura di fregate Fremm alla Royal Australian Navy.

Il ruolo di Draghi come agente degli interessi atlantisti in Europa è di lunga data. Quando era guida della BCE, il suo compito fu quello di contrastare la potenza della più grande banca centrale europea, la Bundesbank. L’obiettivo, neanche troppo velato, era quello di porre un freno al “problema” del surplus commerciale tedesco che costituiva un fattore indesiderato di non poco rilievo nel progetto di riaffermazione dell’egemonia nordamericana sull’Europa. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’appoggio statunitense alla creazione di una moneta unica europea venne garantito proprio dalla speranza che costringere la Germania a rinunciare al Marco potesse impedirne un eccessivo rafforzamento. Al contrario, Berlino è stata comunque capace di creare un enorme ed integrato blocco manifatturiero che include tutte le regioni industriali vicine ai confini tedeschi. Ha approfittato e tratto vantaggi notevoli dai cambi depressi rispetto all’Euro vigenti nei Paesi dell’est ed ha scaricato su di essi e sull’area mediterranea il costo della moneta unica, favorendo al contempo le esportazioni tedesche.

In questa operazione di controllo della Germania (sia in termini di eccessivo potere all’interno dell’Europa che in termini di aspirazioni alla costruzione di un rapporto privilegiato con la Russia) deve essere inserito anche il recente Trattato del Quirinale tra Francia e Italia sotto la supervisione del Segretario di Stato USA Antony Blinken. A questo proposito è bene sottolineare il fatto che il ruolo di ago della bilancia tra Germania e Francia era stato storicamente riservato alla Gran Bretagna. Nel corso dei secoli, il Regno Unito si è alleato a seconda della propria convenienza con l’una o l’altra sempre al preciso scopo di impedire una reale unificazione continentale: ciò che le potenze talassocratiche (Regno Unito prima e Stati Uniti poi) hanno sempre considerato come una minaccia esistenziale nei confronti dei rispettivi disegni egemonici.

Oggi, dopo la Brexit (nonostante la Gran Bretagna continui ad esercitare il suo nefasto ruolo in diversi teatri, dalla Polonia all’Ucraina), si è voluto attribuire questo compito all’Italia di Mario Draghi, che, assieme alla Francia, eserciterà anche un ruolo di controllo all’interno del Mediterraneo per fare in modo che l’egemone reale possa concentrare i propri sforzi nel contenimento della Cina (sempre più capace di intervenire anche nel “cortile interno” degli USA, come dimostrato dall’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Taiwan e Nicaragua). Nell’articolo 2 del Trattato si legge: “le Parti s’impegnano a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate, sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature, e a sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ogni qual volta i loro interessi strategici coincidano. Così facendo, esse contribuiscono a salvaguardare la sicurezza comune europea e rafforzare le capacità dell’Europa della Difesa, operando in tal modo anche per il consolidamento del pilastro europeo della NATO”.

Di fatto, il Trattato del Quirinale altro non è che l’ennesima biforcazione interna alle strutture di potere dell’atlantismo.”

Da Geopolitica del draghismo, di Daniele Perra.

Breve storia dell’impero americano 

Recenti sondaggi confermano che in molti considerano gli Stati Uniti la forza militarmente e geopoliticamente più destabilizzante sullo scacchiere globale e dunque il maggior pericolo per la pace mondiale. Come mai? La più grande potenza al mondo non ha ottenuto questo triste primato per caso. A partire dal 1945, nessun’altra nazione ha bombardato così tanti Stati stranieri e rovesciato così tanti governi quanto gli USA. Nessun’altra nazione ha più avamposti militari, esporta più armi e possiede una quantità maggiore di armamenti. Per questo, scrive Daniele Ganser, nessuna nazione più degli USA costituisce oggi una minaccia per il principio della “famiglia umana”, secondo cui l’umanità è caratterizzata da relazioni reciproche fondamentali intrasgredibili. Nel corso della storia, però, tale principio è stato ripetutamente trasgredito. Alcuni membri della famiglia umana ne sono stati esclusi a causa della loro provenienza geografica, della loro religione, del colore della loro pelle o del loro genere. Alla luce di questo principio, assunto come stella polare dal movimento pacifista, l’autore valuta gli sviluppi della politica statunitense, ripercorrendone i momenti fondamentali, dallo sterminio degli indiani d’America fino ai recenti scandali legati a Cambridge Analytica (connessi con quello che è definito “imperialismo digitale”). Viene così delineato un quadro storico che riflette lo strutturarsi della società statunitense, la quale, ben lungi dal costituire un esempio di democrazia, si rivela un’oligarchia sostenuta da forti interessi economici e caratterizzata dalla quasi assoluta assenza di valori etici. Ma, come tutti gli imperi, anche gli USA sono destinati a cadere, avverte Ganser.
Scritto in uno stile agile e basato su un’analisi rigorosa, Breve storia dell’impero americano descrive in modo impressionante i retroscena, i motivi e gli strumenti della lotta USA per il potere mondiale – una lotta in cui la violenza è un elemento centrale.

Breve storia dell’impero americano, di Daniele Ganser, 2021, Fazi editore, pp. 522, € 20

Daniele Ganser è uno storico e ricercatore svizzero specializzato in storia contemporanea e politica internazionale. Insegna all’Università di San Gallo, in Svizzera. È il fondatore e direttore dell’Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l’energia (SIPER), con sede a Basilea. In passato è stato ricercatore presso il Centro per gli studi sulla sicurezza del Politecnico federale di Zurigo (ETH). I video delle sue conferenze e delle sue interviste su YouTube hanno accumulato più di tre milioni di visualizzazioni. Ha pubblicato per conto delle Nazioni Unite libri sulla crisi missilistica cubana e sui rapporti tra la Svizzera e l’Unione Europea. Per Fazi editore ha già pubblicato La storia come mai vi è stata raccontata. Gli eserciti segreti della NATO (2018). 

L’Occidente, simulacro di libertà

L’Occidente ha cercato con ogni mezzo di mettere a tacere i cittadini che ne hanno rivelato la reale politica del dopo-11 Settembre e che vi si sono opposti.

Nel 2002 pubblicavo L’Effroyable imposture [L’incredibile menzogna, ed. Fandango], un saggio di scienze politiche di denuncia della versione ufficiale degli attentati di New York, Washington e Pennsylvania, nonché di anticipazione della nuova politica USA che ne sarebbe seguita: sorveglianza generalizzata dei cittadini e dominio sul Medio Oriente Allargato. Dopo un articolo del New York Times, che si stupiva del mio impatto in Francia, il dipartimento USA della Difesa incaricò il Mossad di eliminarmi. Il presidente Jacques Chirac, dopo aver fatto verificare all’Intelligence le mie tesi, prese le mie difese. In un colloquio telefonico, Chirac informò il primo ministro israeliano Ariel Sharon che ogni atto contro di me, eventualmente compiuto non solo in Francia ma ovunque nel territorio dell’Unione Europea, sarebbe stato interpretato come atto ostile alla Francia. Il presidente incaricò inoltre un suo collaboratore di occuparsi del mio caso e d’informare gli Stati non-europei che mi avessero invitato che avrebbero dovuto assumersi la responsabilità della mia sicurezza. In effetti in tutti i Paesi dove tenni conferenze mi venne assegnata una scorta armata.

Nel 2007 Nicolas Sarkozy successe al presidente Chirac. Secondo l’alto funzionario incaricato da Chirac della mia sicurezza, il nuovo presidente aderì alla richiesta di Washington di ordinare alla DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure, Direzione Generale per la Sicurezza Esterna, ndt) di eliminarmi. Avvisato, senza indugio feci le valige e lasciai la Francia. Due giorni dopo arrivai a Damasco, dove mi venne assegnata la protezione di Stato.

Alcuni mesi dopo decisi di trasferirmi in Libano e di accettare la proposta di realizzare una trasmissione settimanale in francese su Al-Manar, canale televisivo dello Hezbollah. Il progetto non fu mai realizzato. Al-Manar rinunciò a trasmettere in francese, sebbene fosse lingua ufficiale del Libano. Fu allora che la ministra francese della Giustizia, Michèle Alliot-Marie, emise una rogatoria contro di me, prendendo a pretesto l’accusa di diffamazione di un giornalista che contro di me già aveva scritto un libro. Da trent’anni non c’erano più state richieste giudiziarie di questo tipo indirizzate al Libano. La polizia mi consegnò una convocazione da cui potei desumere che secondo il diritto francese la rogatoria non aveva alcun fondamento. Lo Hezbollah mi protesse e mi resi irreperibile. Pochi mesi dopo, in seguito al tentativo del primo ministro libanese Fouad Siniora di disarmare la Resistenza, lo Hezbollah rovesciò i rapporti di forza. Mi presentai quindi al giudice, applaudito dalla polizia che solo tre giorni prima mi ricercava. Il giudice mi comunicò che Alliot-Marie aveva aggiunto di proprio pugno sulla rogatoria la richiesta all’omologo libanese di arrestarmi e tenermi in prigione il più a lungo possibile, frattanto che la vicenda avrebbe seguito il suo corso in Francia. Era il medesimo principio soggiacente alle lettres de cachet [lettere che recavano un ordine del re, chiuse con il suo sigillo, ndt] dell’Ancien Régime: la facoltà d’imprigionare senza processo gli oppositori politici. Il magistrato mi lesse la rogatoria e m’invitò a rispondere per iscritto. Nella replica precisai che, secondo il diritto francese nonché libanese, l’articolo incriminato era prescritto da tempo e che in ogni caso non era affatto diffamatorio. Copia della lettera della ministra Alliot-Marie e della mia risposta furono depositate alla Corte di Cassazione di Beirut.

Alcuni mesi dopo fui invitato a una cena organizzata da un’alta personalità libanese. Vi partecipava anche un collaboratore del presidente Sarkozy, di passaggio in Libano. Ci confrontammo duramente sui rispettivi concetti di laicità. Questo signore assicurò ai convitati di non volersi sottrarre al dibattito, ma subito si congedò per prendere un aereo e rientrare all’Eliseo. Il giorno successivo ero convocato da un giudice per un problema amministrativo: quando mi trovavo a non più di due minuti d’auto dal luogo dell’appuntamento, il gabinetto del principe Talal Arslane mi avvertì telefonicamente che secondo lo Hezbollah stavo per cadere in una trappola e che dovevo immediatamente invertire la rotta. Risultò poi che quel giorno, anniversario della nascita di Maometto, i funzionari, salvo alcune eccezioni, non erano al lavoro. In compenso, sul posto c’era una squadra della DGSE incaricata di prelevarmi e consegnarmi alla CIA. L’operazione era stata organizzata dal consigliere presidenziale con cui avevo cenato la sera prima.

Seguirono numerosi altri tentativi di uccisione, di cui mi fu difficile stabilire il mandante.

Per esempio, durante una conferenza al ministero della Cultura del Venezuela, la guardia del presidente Chàvez mi raggiunse sul palco da cui parlavo. Un ufficiale mi prelevò di forza e mi spinse verso le logge. Ebbi soltanto il tempo di vedere nella sala uomini estrarre le armi. Due fazioni si minacciavano a vicenda. Uno sparo e sarebbe stata una carneficina. Altro fatto, pure accaduto a Caracas: fui invitato con il mio compagno di battaglie a una cena. Quando ci portarono i piatti, constatai che il mio era stranamente meno abbondante degli altri. Sicché, con discrezione, lo scambiai con quello del mio compagno, che aveva poco appetito. Rientrati in albergo, il mio amico fu improvvisamente preso da convulsioni, perse conoscenza, si rotolò a terra con la bava alla bocca. All’arrivo, i medici furono categorici: quest’uomo è stato avvelenato. Fu salvato in tempo. Due giorni dopo una delegazione di una decina di ufficiali in alta uniforme della SEBIN (servizi segreti) venne a scusarsi e a dirci che era stato identificato l’agente straniero che aveva organizzato l’operazione. Il mio amico, costretto in carrozzina, impiegò sei mesi a rimettersi.

In una fase successiva, cominciata nel 2010, gli attacchi contro la mia persona videro sempre coinvolti degli jihadisti. Un esempio: un discepolo dello sceicco Ahmed al-Assir tese un’imboscata al mio compagno di battaglie e tentò di ucciderlo. Fu salvato da un intervento del PSNS [Partito Nazionalista Sociale Siriano, ndt]. L’aggressore fu arrestato dallo Hezbollah, consegnato all’esercito libanese, giudicato e infine condannato.

Nel 2011 la figlia di Muammar Gheddafi, Aisha, m’invitò in Libia. Mi aveva visto su una televisione araba concionare contro il padre. Voleva che andassi in Libia per constatare quanto fosse errato il mio giudizio. Accettai l’invito. Un passo dopo l’altro finii con l’unirmi al governo libico e venni incaricato di preparare l’intervento all’Assemblea Generale dell’ONU. Quando la NATO attaccò la Jamahiriya Araba Libica mi trovavo all’hotel Rixos, dove alloggiava la stampa straniera. La NATO esfiltrò i giornalisti che collaboravano con l’Alleanza, ma non riuscì a evacuare quelli che si trovavano al Rixos, difeso da Khamis, il figlio più giovane di Gheddafi. Quest’ultimo si trovava nell’interrato dell’hotel, i cui ascensori erano stati sbarrati. Gli jihadisti libici, che in seguito formeranno l’Esercito Siriano Libero comandati da Mahdi al-Harti e inquadrati da soldati francesi, assediarono l’hotel, uccidendo chi s’avvicinava alle finestre.

Alla fine, la Croce Rossa Internazionale ci prelevò e ci portò in un altro hotel, ove si stava formando il nuovo governo. Quando arrivammo all’albergo due Guardiani della Rivoluzione iraniani mi vennero incontro: erano stati mandati dal presidente Mahmud Ahmadinejad e dal vicepresidente Hamid Baghaie per mettermi in salvo. Le autorità iraniane erano in possesso di un rapporto su quanto deciso in una riunione segreta della NATO a Napoli, che prevedeva tra l’altro che venissi ucciso al momento della presa di Tripoli. Il documento attestava che al summit era presente il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, amico di mio padre. In seguito la segreteria di Juppé sosterrà che la riunione non ebbe luogo e che il ministro quel giorno si trovava in vacanza. Credendo risolto il problema, i Guardiani della Rivoluzione lasciarono la Libia. Ma in città era stato distribuito un manifestino con le foto di dodici persone ricercate: 11 libici e io. Un gruppo di “ribelli” iniziò a perquisire l’hotel per cercarmi. Dapprima fui salvato da un giornalista di RT, che mi nascose in camera sua e si rifiutò di fare entrare i “ribelli”, poi da altri colleghi, fra cui una giornalista di TF1. Dopo peripezie di ogni genere, dalle quali riuscii a uscire vivo svariate decine di volte, con altre quaranta persone fuggii come un clandestino a bordo di un piccolo peschereccio che navigava verso Malta, in mezzo a navi da guerra della NATO. A La Valletta ci attendevano il primo ministro e gli ambasciatori dei Paesi dei miei compagni di viaggio. Di tutti i Paesi tranne che della Francia.

Quando in Siria ebbe inizio la “primavera araba”, ossia l’operazione segreta dei britannici per piazzare al potere i Fratelli Mussulmani, come un secolo prima avevano fatto con i wahabiti, tornai a Damasco per aiutare chi mi aveva accolto quattro anni prima. Ovviamente ho corso più volte il rischio di morire, ma era la guerra. In un’occasione però fui bersaglio diretto degli jihadisti. Durante uno degli attacchi a Damasco, i “ribelli”, ufficialmente sostenuti dal presidente François Hollande, tentarono di assaltare la mia abitazione. L’esercito siriano installò sul tetto un mortaio e li respinse: un centinaio di “ribelli” contro cinque soldati. Ma dopo tre giorni ininterrotti di combattimenti i “ribelli” dovettero ritirarsi. Tra loro non c’erano siriani, solo pakistani e somali senza addestramento militare. Mi ricordo che prima di scagliarsi contro la casa cantavano ripetutamente e istericamente «Allah Akbar!». Ancora oggi, quando sento questo nobile grido mi viene la pelle d’oca.

Nel 2020 sono tornato in Francia per riunirmi alla famiglia. Molti miei amici mi avevano assicurato che, a differenza dei due predecessori, il presidente Emmanuel Macron non ricorreva agli assassinii politici. Ciononostante non godetti dei diritti di uomo libero. La dogana ricevette una segnalazione che il container marittimo che trasportava le cose personali mie e del mio compagno conteneva esplosivi e armi. Intercettarono il container e inviarono una quarantina di agenti a perquisirlo. Era una trappola di un servizio straniero. La dogana consentì a una società di riprendersi la merce contenuta nel container: impiegarono due giorni, il container fu saccheggiato, le nostre cose distrutte, i documenti spariti.

Il mio non è un caso isolato. Quando svelò il sistema Vault 7, che permette alla CIA di entrare in qualsiasi computer o telefono portatile, Julian Assange divenne bersaglio degli Stati Uniti. Il direttore della CIA Mike Pompeo orchestrò, con l’assenso del Regno Unito, diverse operazioni per rapire o uccidere Assange. E quando Edward Snowden pubblicò moltissimi documenti che attestavano come la NSA violasse la vita privata dei cittadini, tutti i Paesi membri della NATO si coalizzarono contro di lui. La Francia, credendo che Snowden fosse a bordo dell’aereo del presidente della Bolivia Evo Morales, si spinse sino a chiudere il proprio spazio aereo. Oggi Snowden è rifugiato in Russia.

La libertà non abita più in Occidente.

Thierry Meyssan

Consulente politico, presidente-fondatore della Rete Voltaire, l’ultima opera in italiano di Thierry Meyssan è Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba”. Dall’11 settembre a Donald Trump, Edizioni La Vela, 2018.

(Fonte)

Il gruppo di intelligence militare da “film di spionaggio” al centro dell’offensiva per il passaporto vaccinale in USA

Di Jeremy Loffredo e Max Blumenthal per The Grayzone, 26 Ottobre 2021

Descritta come “l’organizzazione più importante di cui non avete mai sentito parlare”, MITRE fa soldi a palate con enormi contratti statali per la fornitura di servizi per la sicurezza facendo da pioniere nella tecnologia di spionaggio invasiva. Ora è alla base di una campagna per implementare i passaporti vaccinali digitali.

Mentre i passaporti vaccinali sono stati commercializzati come una manna per la salute pubblica, promettendo sicurezza, riservatezza e convenienza per coloro che sono stati vaccinati contro il Covid-19, il ruolo cruciale che sta svolgendo un’ambigua organizzazione di intelligence militare nella spinta all’implementazione del sistema in forma digitale ha sollevato serie preoccupazioni per le libertà civili.

Conosciuta come MITRE, l’organizzazione è una società senza scopo di lucro guidata quasi interamente da professionisti dell’intelligence militare e sostenuta da ragguardevoli contratti con il Dipartimento della Difesa, l’FBI e il settore della sicurezza nazionale.

Lo sforzo “per espandere i passaporti vaccinali con codice QR al di là di Stati come la California e New York” ruota ora attorno a una partnership pubblico-privata nota come Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (Vaccine Credential Initiative, VCI). E il VCI ha riservato a MITRE un ruolo determinante nella sua coalizione

Descritto da Forbes come un “laboratorio misterioso [di ricerca e sviluppo]” che è “l’organizzazione più importante di cui non avete mai sentito parlare”, MITRE ha sviluppato alcune delle tecnologie di sorveglianza più invasive usate ad oggi dalle agenzie di spionaggio statunitensi. Fra i suoi prodotti più innovativi c’è un sistema creato per l’FBI che cattura le impronte digitali delle persone dalle immagini inserite sulle piattaforme delle reti sociali.

La coalizione paravento per il COVID-19, di cui fa parte la stessa Mitre, include In-Q-Tel, il ramo finanziario della CIA, e Palantir, un’azienda di spionaggio privata macchiata da scandali.

Elizabeth Renieris, il direttore fondatore dei laboratori di etica per la tecnologia di Notre Dame e della IBM, ha avvertito che “sebbene le società tecnologiche e di sorveglianza che dominano i mercati” come MITRE “perseguano nuovi flussi di ricavi nei servizi sanitari e finanziari… essendo di proprietà privata e avendo operato sui sistemi di identificazione digitale con modelli di business tesi alla massimizzazione dei profitti minacciano la riservatezza, la sicurezza e altri diritti fondamentali degli individui e delle comunità”.

Infatti, il coinvolgimento dell’apparato di intelligence militare nello sviluppo di un sistema di passaporto vaccinale digitale è l’ennesima indicazione del fatto che dietro la parvenza delle preoccupazioni per la salute pubblica, lo Stato di sorveglianza degli Stati Uniti potrebbe avere in programma di aumentare il suo controllo su una popolazione sempre più recalcitrante.

L’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, un veicolo neoliberista consigliato da professionisti dell’intelligence militare

Come dettagliato nella prima puntata di questa serie, gli  oligarchi dell’alta tecnologia come Bill Gates e centri nevralgici per la politica capitalista a livello globale come il World Economic Forum hanno mandato avanti sistemi  di identificazione digitale  e di  valuta elettronica in tutto il Sud del mondo per raccogliere dati e profitti da popolazioni che in precedenza erano fuori portata.

L’avvento dei passaporti vaccinali che forniscono accesso all’occupazione lavorativa e alla vita pubblica è diventato il vettore chiave per accelerare la loro agenda in Occidente. Come la  società di consulenza finanziaria, Aite-Novarica, dichiarò questo settembre, i passaporti  vaccinali digitali per il COVID-19 “espandono  gli argomenti a favore del sistema di identificazione digitale  oltre la sola vaccinazione COVID-19 e potenzialmente servono sia come sistema di identificazione  digitale che come fonte più completa e universale di informazioni sull’identità…”.

Sebbene i passaporti vaccinali escludano milioni in tutto l’Occidente, suscitando proteste furiose e scioperi selvaggi, il World Economic Forum sta lavorando con i suoi partner per implementarli in forma digitale.

Guidato dall’economista tedesco Klaus Schwab, che dice di essere propugnatore di una “Quarta rivoluzione industriale” che sta cambiando il modo in cui le persone “vivono, lavorano e si relazionano gli uni agli altri”, il World Economic Forum (Forum Economico Mondiale) è una rete internazionale di alcuni dei più ricchi e politicamente potenti individui del pianeta. Con sede a Davos, in Svizzera, il World Economic Forum si posiziona come punto di riferimento del capitalismo globale.

A Gennaio del 2021, diversi partner del World Economic Forum,  compresi Microsoft, Oracle, Salesforce e altre multinazionali, annunciarono una coalizione per lanciare l’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (Vaccine Credential Initiative, VCI), che mira a istituire passaporti vaccinali basati su codice QR negli Stati Uniti.

L’obiettivo dichiarato dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini è quello di implementare un’unica “tessera sanitaria SMART” che possa essere riconosciuta “oltre i confini organizzativi e giurisdizionali”.

Negli USA, alcuni Stati stanno già distribuendo tessere digitali sanitarie SMART sviluppate dall’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini. Queste tessere sanitarie SMART hanno posto le basi per uno standard nazionale di fatto riguardante le credenziali sui vaccini.

Un’organizzazione no-profit istituita dalla Rockfeller Foundation e denominata The Commons Project sta guidando la campagna di lobbying per le smart card digitali attraverso l’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini che ha co-fondato. E si dà il caso che il direttore generale di Commons Project, Paul Meyer, sia stato allevato nell’ambito del World Economic Forum come un “giovane leader”.

In qualità di volto pubblico dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, Meyer propugna l’agenda della campagna di lobbying nel linguaggio dell’inclusione progressista, martellando costantemente su temi come la “responsabilizzazione” nelle comunicazioni pubbliche.

“L’obiettivo dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini è facilitare alle persone   l’accesso digitale ai registri sul loro status vaccinale in modo che possano usare strumenti come Common Pass per tornare in sicurezza a viaggiare, lavorare, ad andare a scuola e alla loro vita, proteggendo al contempo la riservatezza dei loro dati”, sosteneva Meyer.

In un comunicato stampa che annunciava la creazione dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, MITRE faceva eco al linguaggio preoccupato di Meyer, dichiarando di aver aderito alla partnership “per garantire che le popolazioni svantaggiate abbiano accesso a questo tipo di verifica sul vaccino digitale.”

Ma cos’è MITRE, e perché un’organizzazione nota per la sorveglianza di massa e la tecnologia militare potrebbe essere al centro di un’iniziativa che offre la possibilità di un monitoraggio senza precedenti della popolazione globale? L’organizzazione non ha risposto alle domande inviate via e-mail da The Grayzone sulla sua partecipazione all’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini, comunque, la sua storia documentata genera inquietanti pensieri.

Collaborazione nelle guerre al Vietnam e alla marijuana, sviluppo di tecnologia di spionaggio “straordinariamente agghiacciante”

Con sede nel nord della Virginia, MITRE è un think tank di esperti di intelligence militare finanziato per 2 miliardi di dollari l’anno da agenzie governative USA, compreso il Dipartimento della Difesa. È guidato quasi interamente da ex funzionari del Pentagono ed ex agenti dei servizi segreti.

MITRE fu fondato nel 1958 come progetto congiunto della US Air Force (Aeronautica militare statunitense) e del Massachusetts Institute of Technology (MIT) per sviluppare sistemi di “comando e controllo” per la guerra nucleare e convenzionale, come la rivista Science and Revolution metteva in evidenza.

Nel 1963, MITRE selezionò un giovane brillante linguista del MIT chiamato Noam Chomsky, per assistere allo “sviluppo di un programma per formare un linguaggio naturale che avesse funzione di linguaggio operativo per il comando e il controllo”. Dopo alcuni anni di lavoro su progetti come questi, Chomsky disse: “Non potevo più guardarmi allo specchio” e si lanciò nell’attivismo contro la guerra.

Alla fine degli anni ‘60, MITRE disse che “stava impegnando quasi un quarto delle sue risorse totali per i sistemi di comando, controllo e comunicazione necessari alla condotta del conflitto in Vietnam.”

La società finanziata da fonti militari venne presa di mira dagli attivisti contro la guerra quando sviluppò una “recinzione elettronica” composta principalmente di acustica e sensori progettati per localizzare i movimenti dei Vietcong e delle truppe nordvietnamite in modo tale che i militari statunitensi potessero prenderli di mira per distruggerli.

Inoltre alla fine degli anni ‘60, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America stipulò un contratto con MITRE per condurre una campagna di sradicamento aereo della cannabis in Messico. MITRE consigliò agli agenti statunitensi di spruzzare ampi tratti della campagna messicana con un erbicida tossico chiamato paraquat, che veniva descritto come sicuro sulla base di una discutibile interpretazione dei test sugli animali. Quando il Dipartimento di Stato perseguì la strategia consigliata da MITRE, le coltivazioni alimentari divennero contaminate e la salute delle comunità contadine locali fu messa in pericolo.

Nel frattempo, la marijuana cominciò ad arrivare nelle strade americane inzuppata di paraquat, innescando una causa legale contro il Dipartimento di Stato da parte della Organizzazione Nazionale per la Riforma delle Leggi sulla Marijuana la quale sosteneva che l’erbicida avesse causato malattie respiratorie fra i fumatori di marijuana. Quando il Dipartimento di Stato perse la causa, accordò a MITRE un contratto di 255.211 dollari per produrre uno studio d’impatto sull’irrorazione di paraquat che in conclusione consigliava i fumatori di marijuana di mitigare gli effetti dell’erbicida consumandola con pipe ad acqua o sotto forma di dolcetti.

In anni recenti, MITRE ha progettato tecnologia di sorveglianza per l’FBI che raccoglie impronte umane dalle piattaforme delle reti sociali come Facebook, Instagram, e Twitter. Ha anche fornito assistenza all’FBI per istituire un sistema di Identificazione di Prossima Generazione, a quanto si dice il più grande database di informazioni biometriche del mondo, nonché il Database per l’Intelligence Modernizzato dell’agenzia federale.

Secondo l’ex vicedirettore dell’FBI William Bayse, il Database di Intelligence Modernizzato dell’FBI consentiva ai programmatori della polizia di collegare gli attivisti alle loro cause politiche, ai loro colleghi, datori di lavoro, alle loro fedine penali, foto segnaletiche e impronte, alle loro abitudini d’acquisto e persino ai loro dati fiscali.

Mediante centinaia di richieste basate sul Freedom of Information Act (FOIA) e interviste con attuali e precedenti funzionari di MITRE, Forbes è venuta a sapere che MITRE ha progettato “uno strumento prototipo che può violare smartwatch, fitness tracker e termometri da parete per scopi di sicurezza nazionale interna… e uno studio per determinare se la puzza di sudore di qualcuno possa rivelare che sta mentendo.”

MITRE è anche sede dello “ATT&CKProgram”, un modulo di sicurezza informatica che la società descrive come “una base di conoscenza accessibile globalmente di tattiche avversarie e tecniche di intelligence basate su osservazioni dal mondo reale”. Adam Pennington, capo del progetto ATT&CK di MITRE, “ha speso più di dieci anni con MITRE a studiare e predicare l’uso dell’inganno per la raccolta di informazioni”.

Il procuratore legale di ACLU (The American Civil Liberties Union), Nate Wessler, ha definito i progetti di sorveglianza di MITRE “straordinariamente agghiaccianti”, lanciando l’avvertimento che essi “sollevano seri problemi di riservatezza.”

Da parte sua, il materiale promozionale dell’appaltatore militare sembra vantarsi del suo lascito di innovazione nel settore della sorveglianza: “Potreste non saperlo ma MITRE entra nelle vostre vite ogni giorno.”

Mesi dopo che la pandemia per il nuovo coronavirus fu dichiarata nel marzo 2020, MITRE fece leva sulla sua competenza nel monitorare le popolazioni per produrre il sistema di tracciamento dei contatti Sara Alert. Un video pubblicitario di MITRE spiega come il sistema permetta alle autorità sanitarie pubbliche di tracciare gli utenti: “Le persone che sono contagiate dalla malattia saranno messe in isolamento a casa… Per le persone che sono esposte alla malattia ma non mostrano sintomi, Sara Alert li segue mentre sono in quarantena per 14 giorni”.

Il Sara Alert di MITRE entrò in uso in una manciata di Stati, con iscrizioni limitate. Se fosse stato implementato a livello nazionale, avrebbe potuto costringere una sostanziale parte di popolazione statunitense ad andare in autoquarantena su basi continue, persino se le persone non avessero presentato sintomi.

Come il Brookings Institute faceva notare in un articolo accademico mettendo in discussione l’utilità di app come Sara Alert, “Una persona lo può sopportare per una volta o due, ma dopo alcuni falsi allarmi e l’eccessivo inconveniente di autoisolamento protratto, prevediamo che molti ignoreranno gli avvertimenti”.

MITRE ha anche lavorato per sopprimere le narrative che potessero minare l’agenda delle agenzie governative che lo finanziano. L’applicazione del plugin per il browser detta SQUINT dell’appaltatore, per esempio “consente una rapida consapevolezza situazionale della disinformazione sulle reti sociali relativa al COVID-19 per i funzionari della sanità pubblica mediante una copertura basata su fonti collettive”, secondo il relativo materiale promozionale.

MITRE sta ora lavorando per implementare i passaporti vaccinali digitali negli Stati Uniti D’America, e non solo.

Società private di spionaggio e un’azienda della CIA fra le società facenti parte della coalizione di MITRE per il COVID-19

Come membro del gruppo direttivo al governo dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini (VCI), MITRE gestisce la sua propria “Coalizione Sanitaria per il COVID-19” mentre si descrive come “un partner affidabile di lunga data per le comunità di intelligence e di difesa”.

Fra i membri della coalizione per il COVID-19 della stessa MITRE c’è Palantir, un’azienda privata di intelligence fondata nel 2003 da Peter Thiel, cofondatore di Paypal. Palantir si è consolidata come una società leader nei programmi di sorveglianza predittiva e faceva soldi a palate in lucrosi contratti con la CIA. L’azienda una volta partecipò in una campagna diffamatoria proposta contro attivisti contrari allo strapotere delle multinazionali e contro critici giornalistici, compreso Glenn Greenwald.

Avril Haines, l’attuale Direttore dell’Intelligence Nazionale e precedente Vicedirettore della CIA fu pagata 180.000 dollari come consulente per Palantir – un lavoretto cancellato dalla sua biografia.

Haines fu anche fra i principali partecipanti alla simulazione pandemica denominata “Event 201” avvenuta nell’Ottobre 2019 e sponsorizzata dalla Gates Foundation, dal World Economic Forum, e dal John Hopkins Center for Health and Security. Durante tale esercitazione, funzionari della salute pubblica e dell’intelligence nonché uomini d’affari simularono una ipotetica epidemia di coronavirus che avrebbe ucciso 65 milioni di persone nel mondo.

Haines enfatizzò ai colleghi relatori il bisogno di controbattere alle critiche rivolte alla gestione ufficiale della pandemia tramite “l’inondazione dello spazio informativo con fonti fidate” dei media e degli opinionisti “al fine di cercare di amplificare il messaggio che si vuole trasmettere”.

Palantir ha anche fornito la tecnologia per il tracciamento dei dati sul Covid al Ministero della Sanità del Regno Unito, insieme a Microsoft, Google e Amazon. Lo stratega politico britannico conservatore, Dominic Cummings, che gode di collegamenti con Palantir e fornì all’azienda un accesso speciale al gabinetto del Primo Ministro, ha consigliato Boris Johnson e il Gruppo Consultivo Scientifico per le Emergenze sulle politiche da attuare per la gestione del Covid.

Tornando a parlare degli Stati Uniti, Palantir è stato il fornitore per il Dipartimento della Sicurezza Nazionale e il Centro per il Controllo delle Malattie di varie tecnologie correlate al Covid.

L’azienda finanziaria della CIA, In-Q-Tel, è anche nella lista delle società facenti parte della Coalizione Sanitaria per il Covid-19 di MITRE.

Lo scorso settembre, il Vicepresidente del personale tecnico di In-Q-Tel, Dan Hanfling, fu citato dal Washington Post per aver sostenuto che alle persone non vaccinate dovrebbe essere negata l’assistenza sanitaria retrocedendole nel sistema di priorità al pronto soccorso: “Quel gruppo di persone che volontariamente hanno scelto di non vaccinarsi, per ragioni illegittime, sarebbe corretto metterli in fondo alla linea d’attesa”, ha asserito Hanfling….

Il Washington Post non fece notare l’affiliazione di Hanfling con la CIA; invece lo descrisse semplicemente come un “medico di pronto soccorso”.

In-Q-Tel non è affatto l’unica società collegata ai servizi di intelligence fra quelle che fanno parte dell’Iniziativa per le Credenziali sui Vaccini. C’è anche Oracle, membro fondatore della stessa iniziativa, che nacque come un progetto della CIA.

Uno sguardo al gruppo dirigente di MITRE mostra come l’organizzazione sia strettamente connessa con il più ampio settore dell’intelligence militare.

Falchi”, spie e fantasmi guidano MITRE

Il Presidente del consiglio di amministrazione di MITRE, Donald Kerr, è l’ex Vicedirettore principale dell’intelligence nazionale. Prima di questo ruolo, Kerr era stato Vicedirettore per la scienza e tecnologia presso la CIA, dove ricevette l’Illustre Medaglia CIA per alti servizi resi all’intelligence statunitense.

Il Vicepresidente del consiglio di amministrazione di MITRE, Mike Rogers, è l’ex Presidente repubblicano del comitato permanente di selezione sull’intelligence della Camera degli Stati Uniti. Prima di servire al Congresso, il signor Rogers era un ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti e un agente speciale dell’FBI.

Essendosi distinto al Congresso come uno dei più schietti oppositori della riservatezza digitale, accusando le comunicazioni crittografate di gravi attacchi terroristici, Rogers fu il conduttore e produttore esecutivo di una serie televisiva in sei parti intitolata “Desegretato: storie inedite di spie americane per la CNN”. Il programma era una pubblicità virtuale per l’apparato di intelligence degli Stati Uniti, “accurata descrizione di casi importanti, missioni e operazioni degli agenti dell’intelligence americana”, secondo la CNN.

Rogers è anche un illustre membro dell’Hudson Institute, un think tank neoconservatore con sede a Washington DC finanziato da Northrop Grumman, Lockheed Martin, gruppi farmaceutici impegnati in attività di lobbying e società tecnologiche supportate dalla CIA come Oracle.

Nei ruoli direttivi in MITRE ci sono ex funzionari di alto livello dell’intelligence e del Pentagono come Robert Work, che servì come Vice Segretario alla Difesa sotto tre diversi Segretari prima di passare attraverso la porta girevole al consiglio di amministrazione di Raytheon che è un gigante dell’industria degli armamenti.

Il membro del consiglio di amministrazione di MITRE Paul Kaminski è il Direttore Generale di Technovation, Inc., un’azienda di consulenza che “promuove l’innovazione, lo sviluppo del business e le strategie di investimento relative alla tecnologia della difesa”. Kaminski fu Sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione e la tecnologia dal 1994 al 1997 e fu due volte Presidente del comitato del Consiglio Scientifico della Difesa che collabora col Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

A Kaminski di Mitre è stato assegnato il “Premio di Direttore dell’Intelligence Centrale” che è dato a coloro che “incoraggiano l’obiettivo di un’eccezionale raccolta di intelligence umana e la segnalazione di informazioni di valore significativo per la comunità di intelligence degli Stati Uniti.”

L’amministratore delegato di MITRE è Jason Providakes. Secondo la sua biografia ufficiale fornita da MITRE, la carriera di Providakes “ha origine nella ricerca scientifica a sostegno della sicurezza nazionale”. Prima di diventare amministratore delegato, Providakes era stato Direttore Esecutivo per la “Divisione Tecnologica e Sistemi di Armamento” di MITRE, dove svolse un ruolo fondamentale per la trasformazione dell’esercito nel “digitalizzare il campo di battaglia”.

Gli intimi legami fra MITRE e l’apparato di intelligence militare degli Stati Uniti si estendono al lavoro della società sul COVID-19.

Il “borsista tecnico” di MITRE, Jay Crossler, è una guida dei dati esecutivi per la Coalizione Sanitaria sul COVID-19, definita quale “risposta collaborativa dell’industria privata” al Covid. Secondo MITRE, Crossler fra l’altro “progettò, costruì, schierò e mise in funzione il portale che il generale Stanley McChrystal aveva usato per gestire l’invasione dell’Afghanistan”.

Peraltro il Direttore Sanitario di MITRE, Jay Schnitzer, era stato in precedenza il direttore di Scienze della Difesa presso DARPA, l’unità di ricerca notoriamente segreta del Dipartimento della Difesa.

Dal discreditato e distruttivo modello di letalità per il COVID-19 all’offensiva per il passaporto digitale

Il 17 marzo 2020, praticamente poche ore dopo la dichiarazione di una pandemia globale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la divisione per il contrasto alle armi di distruzione di massa del Dipartimento della Sicurezza Nazionale stipulò un contratto con MITRE per “coinvolgere, informare e guidare” sindaci, governatori e funzionari impiegati nelle emergenze sulla risposta al COVID-19. Secondo Forbes, il Centro per il Controllo delle Malattie firmò pure un contratto da 16,3 milioni di dollari per stabilire “una durevole capacità nazionale di contenere il Covid-19”.

Un giorno dopo aver firmato il contratto con la divisione per il contrasto alle armi di distruzione di massa del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, MITRE sfornò un “libro bianco” che delineava l’impatto previsto del COVID-19 sulla popolazione degli Stati Uniti e forniva raccomandazioni per i funzionari locali e federali su una risposta alle emergenze.

Il documento di MITRE affermava in modo sicuro che il COVID-19 rappresentava “un’epidemia pericolosa all’incirca quanto l’influenza spagnola che infettò 500 milioni di persone e ne uccise 50 milioni in tutto il mondo”. Durante l’epidemia del 1918, quando la popolazione degli Stati Uniti era inferiore a 1/3 di quella che è oggi, morirono circa 675.000 americani. MITRE quindi sopravvalutò il bilancio delle vittime del 2020 di sei volte tanto.

Con il suo modello ormai screditato come giustificazione, MITRE chiese alle autorità di ridurre del 90% i contatti sociali tra i membri della popolazione statunitense, di imporre rigidi confinamenti, di chiudere praticamente tutte le attività commerciali, di sigillare i confini e “di mettere in quarantena negli hotel o in altre strutture, uno per stanza, con personale ridotto all’osso, i cittadini di ritorno” dall’estero.

Molti Stati degli USA seguirono una qualche versione di questo modello estremo, innescando una catastrofe sociale ed economica dalla quale la popolazione potrebbe non riprendersi mai del tutto.

Ora che i confinamenti sembrano essere finiti, MITRE è al centro dell’offensiva per i passaporti vaccinali digitali per mezzo dell’Iniziativa per le Credenziali sul Vaccino. Tuttavia l’influente organizzazione di intelligence militare rimane dietro le quinte, per lo più sconosciuta a un pubblico statunitense le cui vite potrebbero essere radicalmente alterate da uno dei suoi più importanti progetti.

Per leggere la prima puntata di questa serie sui passaporti vaccinali digitali a cura di Jeremy Loffredo and Max Blumenthal, cliccare qui.

(Traduzione a cura della redazione)

“Cinesizzazione della società” o “totalitarismo liberale”?

“La crisi pandemica non ha fatto altro che estremizzare ulteriormente posizioni che rimangono sempre perfettamente inserite all’interno dello schema geopolitico atlantista (siano esse di carattere progressista o reazionario). Qui, non interessa stabilire l’origine del virus, argomento sul quale non si avrà mai una parola definitiva (sebbene chi scrive si sia fatto una propria idea sulla base della constatazione empirica che la ricerca costante di un nemico sia presupposto fondamentale per la continua riaffermazione dello schema egemonico nordamericano). Ciò che conta sono i suoi effetti.

Il primo e più evidente effetto della crisi pandemica è stata l’accelerazione di alcune tendenze e dinamiche in atto in “Occidente” già da alcuni decenni. L’evoluzione della società occidentale verso una forma di “capitalismo della sorveglianza” o di “totalitarismo liberale” è stata “fraintesa” dai teorici del “grande risveglio” come una forma di “cinesizzazione della società”. Ad onor del vero, il suo più immediato antecedente storico lo si può facilmente trovare nel Patriot Act dell’amministrazione Bush Jr., che diede campo libero all’NSA per spiare gli stessi cittadini statunitensi. Sistemi di controllo e di monitorizzazione della popolazione, inoltre, erano presenti ben prima della crisi pandemica attraverso le piattaforme sociali e di ricerca della rete.

Le stesse misure di contenimento dell’epidemia tra Cina ed “Occidente” sono state completamente differenti. Nel caso cinese si è optato per chiusure localizzate, tracciamento rapido e rafforzamento della sanità come strumento di sicurezza nazionale. Nel caso occidentale (salvo rari casi), anche a causa degli immani danni generati da decenni di neoliberismo esasperato, si è puntato su chiusure generalizzate e prolungate, tracciamento lento se non inesistente, colpevolizzazione della popolazione, terrorismo informatico. Inoltre, si è pensato al vaccino (naturalmente, solo quello prodotto dalle multinazionali occidentali del farmaco) come all’unico strumento per il superamento della crisi, fino ad arrivare al caso limite dell’Italia (vero e proprio laboratorio di esperimenti politici, dal governo giallo-verde a quello iperatlantista del “bankster” Mario Draghi), dove è stata imposta una sorta di obbligo vaccinale fittizio attraverso il cosiddetto “certificato verde”: uno strumento che discrimina apertamente non solo chi ha scelto di non vaccinarsi, ma anche chi lo ha fatto con vaccini non occidentali. Tale misura, è bene sottolinearlo, non esiste in Cina, dove si è tornati ad una condizione di seminormalità già nell’estate del 2020 senza alcun obbligo vaccinale, fittizio o meno. Dunque, si potrebbe parlare a maggior ragione di una ulteriore “israelizzazione della società”.

Non è diverso il discorso se per “cinesizzazione della società” si intende la progressiva riduzione dei diritti sul lavoro, visto che siamo di fronte a due forme completamente diverse di società. Nello specifico, è impossibile fare dei paragoni tra una forma di socialismo nazionale capace di sollevare da una condizione di povertà oltre 700 milioni di persone ed incentrato sull’idea di “prosperità comune” ed un modello neoliberista, la cui unica aspirazione è quella di sperimentare nuove tecniche di oppressione (senza dare nulla in cambio alla popolazione) per mantenere inalterato il proprio sistema di sfruttamento rispetto alle cicliche crisi strutturali dell’ipercapitalismo.

Una reale opposizione all’attuale evoluzione del sistema non può limitarsi al mero “no” al vaccino o al “certificato verde”. Sorvolando sul fatto che autodefinirsi come “risvegliati” per il semplice fatto di aver rifiutato un’iniezione farebbe ridere anche un principiante nell’ambito degli studi tradizionali, pensare di poter creare un’opposizione al sistema solo ed esclusivamente su queste basi, o aspirare ad un ritorno a quel passato che ha fatto da apripista alla situazione attuale, senza neanche scalfire di un millimetro i dogmi atlantisti, significa essere assolutamente consustanziali al sistema stesso.”

Da “Grandi risvegli” e “figli della luce”, di Daniele Perra