A dieci anni dall’inizio di Maidan

A dieci anni dall’inizio di Maidan, nell’Occidente dei palinsesti tv mainstream, c’è ancora chi sorride e scuote la testa quando qualcuno denuncia il colpo di Stato realizzato in Ucraina.
In questi salotti TV, dalle loro comode poltrone, gli opinionisti e giornalisti di turno continuano ad affermare la tesi dell’aggressore e dell’aggredito.
Abbiate il coraggio di parlare con Anna, nata e vissuta a Kharkov che vi spiegherà quali torture e quali discriminazioni politiche, linguistiche e religiose stanno subendo gli Ucraini che aspettano con ansia il crollo del governo di Kiev.
L’intervista che ho realizzato ad Anna non la vedrete mai sulle TV mainstream, vi chiedo pertanto di inoltrarla ovunque.
Vincenzo Lorusso

Sprechi di Stato

“L’UE ha buttato nella spazzatura almeno 215 milioni di dosi di vaccini COVID-19 da quando sono stati acquistati per la prima volta al culmine della pandemia, ha rivelato un’analisi di Politico.
In un articolo apparso ieri [18 dicembre u.s. – ndc], la testata ha stimato che i in vaccini gettati costano ai contribuenti del blocco fino a 4 miliardi di euro.
Dopo l’approvazione dei primi vaccini contro il coronavirus sviluppati da Pfizer e BioNTech, nel 2021 l’UE ha stipulato frettolosamente un contratto con il colosso farmaceutico statunitense per l’acquisto di 1,1 miliardi di dosi: una decisione all’epoca applaudita ma poi rivelata eccessiva e prematura. Quel contratto di fatto costrinse i Paesi dell’UE ad acquistare le dosi nonostante il fatto che la pandemia fosse già in fase di risoluzione. Come notato da Politico, anche gli sforzi per donare l’eccesso ai Paesi in via di sviluppo sono falliti a causa di problemi logistici e del calo della domanda.
Nel corso della pandemia, l’UE ha ricevuto alla fine almeno 1,5 miliardi di dosi; circa 3 dosi a persona. Tuttavia, gli Stati membri, secondo i calcoli di Politico, hanno finito per scartare una media di 0,7 dosi per ogni membro della popolazione, con Estonia e Germania che hanno sprecato più di una dose per abitante.
Il sito di informazione ammette che i suoi calcoli sono solo stime perché i governi sono stati riluttanti a denunciare o rivelare effettivamente l’entità dello spreco. Tuttavia, Politico insiste sul fatto che i suoi calcoli sono probabilmente sottostimati, se non altro.
(…) Nel frattempo, Polonia e Ungheria, che hanno rifiutato di accettare altri vaccini, sono ora state citate in giudizio dalla Pfizer per mancato pagamento, mentre in Romania, i pubblici ministeri stanno cercando di processare l’ex primo ministro del Paese e due ministri della Sanità per aver causato oltre 1 miliardo di euro in danni allo Stato attraverso acquisti non necessari di vaccini.
Nonostante gli sprechi segnalati, le iniezioni continueranno a fluire verso l’UE nell’ambito del contratto Pfizer almeno fino al 2027.
In precedenza il blocco avrebbe dovuto ricevere ulteriori 450 milioni di dosi nel 2023, ma in base a un accordo rivisto a maggio, quel totale è stato ridotto. e ripartito nei successivi quattro anni. Bruxelles, però, non ha chiarito quante dosi devono ancora essere ricevute né quante ciascun Paese dovrà acquistare.”

Da Gli Stati UE hanno buttato via 4 miliardi di euro di vaccini COVID.

La dittatura dei numeri, trenta mesi dopo

Andrei Martyanov, probabilmente uno dei migliori analisti geopolitici in circolazione, nella primavera del 2021 scrisse il seguente articolo, per la cui lettura integrale rimandiamo al collegamento segnalato in fondo.
A trenta mesi di distanza e con l’operazione militare speciale russa in Ucraina ancora in corso, l’autore ci invita a riconsiderarne i contenuti paragonandoli alla realtà attuale.

“Considerando il livello culturale estremamente basso dell’Occidente nel campo della geopolitica pratica e della sua ramificazione pseudo-scientifica, la geoeconomia, che, negli ultimi 30 anni, non è riuscita a fornire nemmeno la più vaga descrizione del mondo emergente, non ha più importanza se gli Stati Uniti “controllano,” o no, l’Europa. Le ragioni del totale fallimento di quelle previsioni “accademiche” e delle politiche che ne derivano sono numerose, ma alcune di esse meritano di essere sottolineate.
1. L’Europa non è più un partner commerciale cruciale per la Russia e, negli ultimi anni, il commercio bilaterale è crollato. La tendenza continuerà e non è solo dovuta alla pressione dell’America sull’UE, ma è il risultato del costante cambiamento della Russia, sia del suo modello economico che del suo riorientamento verso l’Asia, che ora è in gran parte completato. La Russia, semplicemente, non ha più bisogno di molti i quei beni che comprava dall’UE. La politica di sostituzione delle importazioni ha avuto abbastanza successo e la Russia si sta isolando economicamente dall’Occidente.
2. Il tanto discusso gasdotto Nord Stream 2 non è più un progetto economico cruciale per la Russia. Se il progetto venisse sabotato dagli Stati Uniti e dai suoi cagnolini europei, come la Polonia, la Russia sarebbe in grado di assorbire le perdite, ma per la Germania, e l’UE in generale, questo sabotaggio si tradurrebbe in una catastrofe, a causa delle politiche energetiche suicide dei Verdi europei, politiche che rendono i costi dei prodotti europei estremamente energia-dipendenti. In realtà, i tentativi dell’America di sabotare il Nord Stream 2 sono diretti principalmente contro l’UE in generale, e la Germania in particolare, non contro la Russia in sé.
3. Gli Stati Uniti hanno perso la corsa agli armamenti. Il processo di acquisizione dei sistemi d’arma e la dottrina militare americana non possono più essere visti come un processo normale, cioè logico e giustificato. Pur essendo ancora in grado di produrre alcune piattaforme e sistemi di facilitazione d’avanguardia, come elaborazione dei segnali, reti di computer, comunicazioni e sistemi da ricognizione, in termini di armi vere e proprie gli Stati Uniti sono indietro rispetto alla Russia non di anni ma di generazioni. Come ammesso dal recente rapporto del Congressional Budget Office sulla difesa missilistica, uscito nel febbraio 2021, gli Stati Uniti sono indifesi contro le salve combinate dei nuovi missili da crociera della Russia e non c’è nulla che possa fermarli. Nulla. I sistemi di difesa aerea degli Stati Uniti rimangono drammaticamente indietro rispetto a quelli russi e il divario cresce, mentre l’S-500 russo inizia ad essere prodotto in serie e l’ultimo modello di S-350 è già in distribuzione alle unità di prima linea.
4. Gli Stati Uniti, semplicemente, non sono in grado di sviluppare un moderno missile supersonico anti-nave e la Marina statunitense è costretta, incomprensibilmente, a comprare il Kongsberg Naval Strike Missile norvegese, un insoddisfacente missile subsonico che non può competere con le moderne armi d’attacco supersoniche e ipersoniche schierate dalla Russia e che non sopravviverebbe contro una moderna difesa aerea e in presenza di contromisure elettroniche.
5. Infine, il livello intellettuale e di consapevolezza delle moderne élite americane è in un precipitoso declino, che, nel 2020, ha portato all’inevitabile e imbarazzante risultato delle ultime elezioni americane, in particolare allo scandaloso dibattito tra due candidati geriatrici che ha trasformato gli Stati Uniti in uno squallido show televisivo da avanspettacolo. La conseguente perdita di legittimità e l’ennesima riconferma dell’America come entità incapace di accordi, non potrebbero fare di più per rafforzare la già compromessa reputazione dell’America di bullo prepotente con a capo una classe dirigente incolta e ignorante.

Gli Stati Uniti già non riescono a soddisfare una serie di criteri indispensabili per lo status di superpotenza, tra i quali quello militare è cruciale. Se, nel 2014, alcuni “strateghi” militari americani avevano ancora l’idea suicida di combattere la Russia in Ucraina con armi convenzionali, oggi, nel 2021, tale idea è assolutamente folle, perché gli Stati Uniti non possono vincere una guerra convenzionale nelle vicinanze della Russia e qualsiasi forza statunitense sarebbe annientata. Questo lascia agli Stati Uniti solo due opzioni:
1. Dando retta alla loro stessa propaganda, potrebbero cercare di scatenare il caos in Ucraina, provocare la Russia in un’operazione militare diretta e poi introdurre truppe USA e NATO nel teatro delle operazioni. Qualsiasi piano del genere è destinato a fallire miseramente, perché non solo una tale forza sarebbe annientata, ma le nazioni NATO partecipanti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità che le loro stesse installazioni militari siano distrutte da armi da stand-off. Questo solleva la possibilità di un’escalation da parte degli Stati Uniti verso la soglia nucleare, il che significa che gli Stati Uniti potrebbero cessare di esistere come Paese. Questo è un esito non certo desiderabile e la maggior parte dei politici statunitensi ( a parte alcuni gravi casi di disturbi psichiatrici da russofobia, numerosi nell’attuale amministrazione e nelle élite americane) capisce cosa significhi. Quindi, anche se non del tutto impossibile, la probabilità che un tale piano venga attuato è piuttosto bassa. Per non parlare del fatto che, per gli Stati Uniti, un conflitto convenzionale alle porte della Russia richiederebbe un concentramento di forze e di mezzi da far impallidire quello della Prima Guerra del Golfo, e lì gli Stati Uniti avevano impiegato quasi 6 mesi per completarlo.
2. Quindi, ciò che realisticamente rimane è spingere l’Ucraina in una campagna suicida contro una Russia già designata come aggressore prima ancora che vengano sparati i primi colpi. Quello che gli Stati Uniti non capiscono è che questo slega le mani alla Russia che ha già una schiacciante dominanza di escalation non solo sull’Ucraina, ma su qualsiasi altra cosa potrebbe essere tentata in termini di “sostegno” all’irrazionale regime di Kiev. La Russia ha molte opzioni, gli Stati Uniti ne hanno solo una: hanno bisogno della guerra nel Donbass, che, secondo il pensiero di Washington, permetterà di spingere gli Europei alla sottomissione, cosa che, a sua volta, dovrebbe consentire agli Stati Uniti di salvare il proprio status egemonico. Non sarà così, nemmeno se l’Europa fosse costretta alla sottomissione.
Gli Stati Uniti hanno oggi un’unica risorsa, sempre più inefficace, che permette loro di rimanere rilevanti: la realtà virtuale della stampa monetaria e della propaganda mediatica. Però non si possono nascondere per molto tempo le città decrepite dell’America, le rivolte di massa, la distruzione del sistema educativo, l’incompetenza dei vertici politici e militari, le pratiche sociali suicide e il crollo dell’ordine pubblico, aggravato dalle enormi file ai banchi alimentari. Ora sono sotto gli occhi di tutti e persino la sottomissione dell’Europa e, presumibilmente, l’apertura dei mercati europei a quei pochi articoli che gli Stati Uniti possono ancora fornire ai loro clienti, non cambierebbe il fatto che gli Stati Uniti, come sono oggi, non hanno futuro, con o senza Europa, e che devono ancora confrontarsi con l’immensa capacità produttiva della Cina e con l’avanzata potenza militare della Russia che spingono all’unificazione del mercato eurasiatico, e questo indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti scatenino, o meno, la guerra in Ucraina. Anche senza l’UE, il mercato eurasiatico renderà insignificante qualsiasi cosa gli Stati Uniti potrebbero “recuperare” per evitare la retrocessione in serie B.
Gli USA non sono in grado fermare un processo in corso da anni, da quando la Russia, dopo il sanguinoso colpo di Stato in Ucraina, aveva capito che non c’era nessuno con cui parlare in tutto un Occidente che, oltre a perdere la sua potenza militare ed economica, aveva iniziato a disintegrarsi dall’interno a causa della sua stessa società, sempre più totalitaria e incapace di affrontare il fatto che viviamo ancora in un mondo altamente industrializzato che ha bisogno di energia, impianti industriali e armi per difenderli. Cina e Russia sembra che tutto questo lo abbiano già capito e perciò il destino degli Stati Uniti è segnato. Bill Clinton, nel 2000, poteva anche aver pensato di aver “tracciato la nuova rotta per una nuova economia,” peccato però che per lui, e per gli Stati Uniti, la “nuova economia” si sia rivelata essere una vecchia economia. Pensava forse che jeans, smartphone e motori a razzo crescessero sugli alberi?”

Fonte

La guerra non poteva essere impedita


“Chi ha seguito le vicende ucraine senza pregiudizi ideologici, e con un minimo di onestà intellettuale, sa che al momento della dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina era una potenza economica, la terza potenza industriale dell’Unione Sovietica dopo Russia e Bielorussia, oltre che il suo granaio. Questa repubblica sovietica possedeva industrie aerospaziali, automobilistiche e di macchine utensili, i suoi settori minerario, metallurgico e agricolo erano ben sviluppati, come i suoi impianti nucleari e petrolchimici, le sue infrastrutture turistiche e commerciali. Ospitava inoltre il più grande cantiere navale dell’URSS.
A partire dal 1991, anno della sua indipendenza, il PIL dell’Ucraina è rimasto indietro rispetto al livello raggiunto in epoca sovietica, la capacità industriale si è notevolmente ridotta e la popolazione è diminuita di circa 14,5 milioni di persone in 30 anni a causa dell’emigrazione e del più basso tasso di natalità in Europa. Non solo, l’Ucraina è anche diventata il terzo debitore del FMI e il Paese più povero d’Europa. Questi record negativi non possono essere imputati solo alla corruzione sistemica e spaventosa dell’Ucraina: le reti di corruzione che hanno spremuto l’Ucraina sono transnazionali.
L’Ucraina è stata vittima di due rivoluzioni colorate finanziate dagli Stati Uniti che hanno portato a un cambio di regime e ad una guerra civile che l’hanno separata a forza dal suo principale partner economico, la Russia. La sua storia è stata cancellata e riscritta, le ricette neoliberali hanno distrutto il suo tessuto economico e sociale instaurando una forma di governo neocoloniale.
L’Ucraina è entrata a far parte del nefasto Partenariato Orientale dell’UE nel 2009 e, fin dalla sua indipendenza, è stata invasa da ONG, consulenti economici e politici occidentali. Lo stato di soggezione del Paese ostaggio degli interessi anglo-americani si è cementato dopo che l’ultimo governo ucraino che si era opposto alle dure condizioni del FMI è stato rovesciato dal colpo di Stato sponsorizzato dagli Stati Uniti nel 2014.
Il 10 dicembre 2013, il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva dichiarato che le condizioni poste dal FMI per l’approvazione del prestito erano inaccettabili: “Ho avuto una conversazione con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, mi ha detto che la questione del prestito del FMI è stata quasi risolta, ma gli ho ripetuto che se le condizioni fossero rimaste tali non avremmo avuto bisogno di tali prestiti”. Yanukovich ha quindi interrotto i negoziati con il FMI e si è rivolto alla Russia per ottenere assistenza finanziaria. Era la cosa più sensata da fare, ma gli è costata cara. Non è possibile rompere impunemente le catene del FMI: questo fondo a guida americana concede prestiti a Paesi con l’acqua alla gola in cambio della solita shock therapy fatta di austerità, deregolamentazione e privatizzazione, e prepara in questo modo il terreno per gli avvoltoi della finanza internazionale, quasi sempre angloamericani.
Se si permette a coloro che hanno distrutto un Paese di essere coinvolti nella sua ricostruzione, essa sarà inevitabilmente solo un punto sul continuum di conquista, occupazione e saccheggio, anche se viene imbellettato. La distruzione produce quella tabula rasa su cui l’occupante può scrivere le proprie regole: “Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace”. Tacito conosceva bene sia la realtà che la propaganda dell’imperialismo romano. Ci si può solo chiedere se coloro che parlano di “ricostruzione”, “ripresa”, “riforma”, “ordine fondato sulle regole”, “reset” o qualsiasi altra espressione di moda al momento, siano consapevoli di questa realtà brutale o credano veramente alla propria propaganda. In ogni caso, promettono un’utopia futura per la quale vale la pena uccidere e morire.
(…) Vendere una guerra richiede un impegno a tutto campo, ed è per questo che i think tank e gli specialisti di marketing sono stati coinvolti fin dalle prime fasi. Essi generano narrazioni che contribuiscono a plasmare lo spazio discorsivo, a creare una percezione di sostegno universale per l’Ucraina, a fornire punti di discussione e versioni della verità sia ai politici che ai media. Devono motivare gli ucraini affinché continuino a combattere e i vassalli europei affinché continuino a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina, indipendentemente dalle devastanti perdite umane ed economiche che ciò comporta.
(…) I politici europei, mentre sono alle prese con i costi sempre più crescenti di una guerra per procura degli Americani nel loro continente, come meccanismo di compensazione sostengono l’idea assurda che una soluzione di pace in Ucraina minaccerebbe la sicurezza europea e non sarebbe nell’interesse del Vecchio Continente. La retorica della ricostruzione, intrecciata all’illusione di una vittoria dell’Ucraina, permette al partito transatlantico della guerra di presentarsi come una forza del bene e un motore di crescita futura. I promotori della ricostruzione hanno cercato aggressivamente di occupare il terreno morale estromettendo i costruttori di pace e per farlo hanno spinto la tesi che la guerra non poteva essere impedita né fermata.”

Da Promuovere la ricostruzione in Ucraina per alimentare la guerra, di Laura Ruggeri.

Start Up a War

“Start Up a War. Psicologia di un conflitto” è un documentario sul punto di vista di una psicologa che, nel 2016, esce dal suo studio per tornare su un fronte bellico, nella regione del Donbass. Attraverso la comprensione di quei meccanismi che si celano dietro allo scoppio di una guerra, con immagini e documenti inediti è messo in luce un modello psicologico che applica ai conflitti geo-politici strumenti di lettura propri dei conflitti relazionali tra individui.
Nella prima parte del documentario sono illustrate alcune tecniche mediatiche e di manipolazione di massa utilizzate durante la rivolta di Maidan, nella capitale ucraina di Kiev. Nella seconda parte si entra nel vivo della guerra del Donbass, attraverso la descrizione psicologica di un conflitto bellico narrato come un conflitto tra individui. Sono integrate opinioni di professionisti della psicologia, combattenti di battaglioni, rifugiati e superstiti, passando dai drammatici eventi di Kiev alla vita dei miliziani al fronte, dalla testimonianza di chi è sopravvissuto al massacro del 2 maggio a Odessa alla speranza nei momenti di festa nelle auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, in Donbass. Molteplici punti di vista accompagnano nella conoscenza di quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti bellici, così simili a quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti relazionali.

CREDITI
Regia, produzione e montaggio: Sara Reginella
Immagini: Sara Reginella, Ruptly video News Agency, Eliseo Bertolasi, Sergey Rulev
Con: Galina Zaporozhtseva – Psicologa, ex Prof. Accademia Ucraina di Polizia, Oleksiy Zhuravko – Ex deputato Parlamento ucraino, Piotr Biriukov “Arkadich” – Generale IV^ Brigata, già Comandante Battaglione Prizrak, Aleksey Markov “Dobrij” – Comandante XIV° Battaglione Prizrak, Yana Alekseenko – volontaria, Padre Alexander – Sacerdote Chiesa Ortodossa di Lugansk, Igor Nemodruk – Superstite strage del 2 maggio 2014 a Odessa
Voce commento: Giulia Poeta
Post-produzione video e color-grading: Michele Senesi
Post-produzione audio: Minestudio Recording
Musiche: Banda Bassotti e Oceans on the Moon

Per vedere il documentario, occorre l’iscrizione a YouTube.

La tragedia umanitaria di Mariupol

Il 15 marzo scorso, il Ministero della Difesa russa ha pubblicato un comunicato del Capo del Centro Nazionale per il Controllo della Difesa della Federazione Russa, il Colonello Generale Mikhail Mizintsev, riguardante l’aspetto umanitario del conflitto in corso in Ucraina.

Da ieri, la Federazione Russa sta conducendo un’operazione umanitaria senza precedenti a Mariupol. Allo stesso tempo, i civili salvati ieri e oggi confermano tutti le supposizioni precedentemente fatte sull’incubo e gli orrori che hanno avuto luogo in questa città.

I nazionalisti ucraini hanno minato tutti gli ingressi alla città, fatto esplodere ponti, i quartieri residenziali di Mariupol, gli asili e le scuole, le istituzioni mediche e altri edifici civili sono stati trasformati in presidi militari, depositi di munizioni e postazioni militari di fuoco, e gli stessi residenti di Mariupol sono stati usati come scudo umano. Allo stesso tempo, sotto la minaccia di morte, tutti i residenti sani sono stati costretti all’installazione di barricate, trincee e altre opere di ingegneria.

L’inumanità e la spietatezza degli agonizzanti neonazisti ucraini verso la loro popolazione civile è pienamente confermata dal cosiddetto concetto di “festung” che presero a prestito dai fascisti – “città fortezza”. La speciale tragedia di tali tattiche risiede nel fatto che i nazisti crearono tutte le condizioni per la distruzione di massa dei civili per non lasciare vivo un solo testimone dei loro crimini mostruosi.

Inoltre, i battaglioni di nazionalisti e le unità delle Forze Armate dell’Ucraina hanno disabilitato sistemi di supporto vitali, alloggi e infrastrutture sociali e amministrative della città, singoli edifici e singole strutture sono stati rasi al suolo, i negozi sono stati saccheggiati, i monumenti e gli oggetti di retaggio storico sono stati profanati e non possono essere ripristinati.

Tutti i nostri precedenti appelli con persistenti e diplomatiche preghiere alle autorità di Kiev di permettere che la popolazione civile andasse in aree di sicurezza sono stati completamente ignorati.

Nonostante la totale mancanza di volontà delle autorità ufficiali di Kiev nel proteggere la popolazione civile dai nazionalisti impazziti, come pure la complessità della situazione, aggravata dalle azioni di diverse bande armate, la Federazione Russa continua ad adempiere pienamente i suoi obblighi umanitari.

Più di 450 tonnellate di cibo, medicine e beni di prima necessità sono stati consegnati ai civili di Mariupol per fornire assistenza umanitaria, incluse 225 tonnellate oggi. I residenti di Mariupol sono stati evacuati al sicuro attraverso corridoi comunitari dalla città sbloccata.

A partire dalle 10 di stamattina, esclusivamente per scopi umanitari, la Federazione Russa ha già previsto corridoi umanitari per la dodicesima volta in direzione delle città di Kiev, Chernigov, Sumy and Kharkov assieme a un corridoio umanitario verso la Federazione Russa, e un altro attraverso i territori controllati dalle autorità di Kiev verso i confini occidentali dell’Ucraina. Le Forze Armate Russe rispettano rigorosamente il cessate il fuoco che è stato imposto.

Dei dieci percorsi che abbiamo proposto, le autorità ucraine ne hanno accordati solo tre, ma allo stesso tempo, non un solo corridoio umanitario verso la Federazione Russa è stato a sua volta confermato dalle autorità ufficiali di Kiev, il ché ancora una volta prova l’indifferenza dell’attuale governo per la sua gente.

Sulla base di principi umanitari e unicamente allo scopo di garantire la sicurezza dei civili obbligati dai nazionalisti a restare in insediamenti bloccati, coordiniamo tutti i corridoi umanitari aggiuntivi proposti da Kiev ogni giorno. Oggi, il versante ucraino ha annunciato nove percorsi per il ritiro di rifugiati in direzione delle città di Zaporozhye, Zhytomyr e Poltava. Su tutti questi percorsi, le Forze Armate Russe rispettano rigorosamente anche il cessate il fuoco.

Continuiamo a monitorare attentamente le azioni del versante ucraino sia a livello terrestre che aereo, anche con l’ausilio di veicoli aerei senza equipaggio.

Ancora una volta è stato documentato che il versante ucraino usa i regimi di cessate il fuoco per spostare attivamente armi ed equipaggiamento militare, ristabilire la capacità di combattimento dell’equipaggio, rifornire le riserve materiali. Allo stesso tempo, gli auspici dei civili di evacuare verso aree sicure in direzioni settentrionale e orientale verso il territorio della Russia sono semplicemente ignorati, e tutti i tentativi di fare questo sono bloccati dai distaccamenti territoriali di difesa e dalle unità delle Forze Armate dell’Ucraina.

Esclusivamente per scopi umani, i militari russi non solo non ostacolano, ma esortano anche gli Ucraini a utilizzare qualsiasi modo per loro conveniente per raggiungere dei posti ritenuti sicuri, compresi quei percorsi che passano attraverso i territori controllati da Kiev.

Le autorità di Kiev, al contrario, continuano a costringere le persone a rimanere nelle loro case e a consentire l’evacuazione solo nelle regioni occidentali dell’Ucraina o nei Paesi europei limitrofi, non informando deliberatamente la popolazione civile della possibilità di evacuazione nella Federazione Russa.

I Paesi occidentali, così come le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’OSCE, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e altre organizzazioni per i diritti umani continuano a tacere sugli orribili fatti degli attacchi missilistici e di artiglieria nelle aree densamente popolate di Donetsk.

Non conoscono la situazione attuale, quindi distraggono i pertinenti dipartimenti della Federazione Russa con varie e molteplici richieste per garantire l’evacuazione sicura dei civili dai territori controllati dalle Forze Armate dell’Ucraina e non da quelli controllati dalle Forze Armate Russe.

Nelle condizioni della crescente crisi umanitaria, una parte significativa della popolazione trattenuta con la forza dai gruppi radicali nelle città ucraine e da loro usata come “scudo umano” cerca la possibilità di evacuazione soltanto verso la Russia, senza considerare le opzioni di uscita verso gli Stati occidentali, come messo in evidenza dai successivi moltissimi appelli di cittadini rivolti verso il versante russo.

Secondo i risultati del monitoraggio quotidiano, è stato rilevato che altre 11.412 richieste di questo tipo sono state ricevute solo nell’ultimo giorno e ce ne sono già 2.678.069 nel nostro database con cognomi e indirizzi specifici da quasi 2.000 insediamenti in Ucraina.

E questa non è solo statistica, questi sono i destini della gente comune, le loro speranze in una fine anticipata dell’incubo quotidiano, la disperazione derivante dallo sconforto per la situazione e l’inutilità del loro Paese, le cui autorità hanno legittimato crimini contro l’umanità con le loro criminali decisioni, ignorano numerosi casi di saccheggio, rapina, brigantaggio, e hanno sanzionato l’uso di armi da parte dei nazionalisti contro la popolazione civile, compresi donne e bambini.

Cito un altro delle migliaia di appelli ricevuti oggi: Chiedo aiuto per l’evacuazione della mia famiglia lungo il corridoio umanitario: mia moglie, Svetlana, suo fratello e suo padre di 82 anni, che ora si trovano nella città di Dnepr. Chiedono l’evacuazione in Russia. Per favore, aiutateli a usare il corridoio umanitario. Sono molto spaventati, esausti e non riescono nemmeno ad andare giù nel rifugio. Moriranno. Per favore aiuto.”

Nonostante ciò, 11.372 persone, tra cui 1.873 bambini, sono state evacuate dalle zone pericolose di varie regioni dell’Ucraina, nonché dalle repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk, durante la giornata senza la partecipazione della parte ucraina, e 258.791 persone sono state evacuate dall’inizio dell’operazione militare speciale, di cui 56.180 bambini. Il confine di Stato della Federazione Russa è stato attraversato da 29.291 veicoli privati con una media giornaliera di 1.368 veicoli.

Nella scorsa giornata, grazie alle misure di sicurezza prese dalle Forze Armate Russe, è stato possibile predisporre corridoi umanitari ed evacuare 36.721 cittadini che viaggiavano con autobus e auto private provenienti da vari insediamenti verso le regioni occidentali dell’Ucraina in direzione di Zhytomyr, Lugansk, Donetsk e Mariupol.

7.070 cittadini provenienti da 22 Paesi esteri, nonché gli equipaggi di oltre 70 navi straniere bloccate nei porti marittimi dell’Ucraina, continuano ad essere presi in ostaggio dai militanti dei battaglioni di difesa territoriale.

Il destino di questi cittadini stranieri è stato oggetto di una cooperazione continua con i rappresentanti delle relative agenzie diplomatiche di riferimento. Allo stesso tempo, le autorità ucraine continuano ancora a non rispondere agli appelli degli Stati stranieri per il salvataggio dei connazionali in difficoltà.

Più di 9.500 centri di accoglienza temporanea continuano ad operare nelle regioni della Federazione Russa.

Nei punti di raccolta sono state preparate oltre 18.500 tonnellate di generi di prima necessità, cibo e medicinali.

Allo stesso tempo, la parte russa sta creando le condizioni necessarie per una vita pacifica e sicura in tutti i territori liberati, assicurando alla popolazione accesso senza ostacoli per qualsiasi aiuto umanitario.

2.709 tonnellate di carico umanitario sono già state consegnate agli insediamenti delle regioni di Kiev, Sumy, Chernigov, Zaporozhye, Kharkov, Kherson, nonché alle repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk durante le 334 azioni umanitarie, comprese 28 azioni realizzate nell’ultimo giorno, 544 tonnellate di generi di prima necessità e cibo sono state trasferite alla popolazione civile delle aree liberate.

Ad oggi, 15 azioni umanitarie sono state pianificate e sono attualmente in corso a Chernigov, Repubblica popolare di Donetsk e Mariupol, durante le quali vengono distribuite 510 tonnellate di beni di prima necessità, medicine e cibo.

(Traduzione a cura della redazione)

La polveriera del Donbass

La situazione in Donbass è sempre più critica: 150 mila soldati dell’Esercito e della Guardia Nazionale ucraini sono schierati di fronte a Donetsk e Lugansk, abitate da popolazioni russe. In prima linea c’è il battaglione neonazista Azov, promosso a reggimento di forze speciali, distintosi per la sua ferocia negli attacchi alle popolazioni russe di Ucraina, comandato da Andrey Biletsky che educa i giovani all’odio contro i Russi col suo libro «Le Parole del Führer Bianco». 

Dello schieramento ucraino non fa parola il mainstream, che parla solo dello schieramento russo. Si nasconde allo stesso tempo il fatto che le forze armate di Kiev sono finanziate, equipaggiate e addestrate, e quindi di fatto comandate, da consiglieri militari e istruttori USA-NATO. Come documenta lo stesso Servizio di Ricerca del Congresso, USA e NATO hanno fornito all’Ucraina aiuti militari per 10 miliardi di dollari. Vi sono inoltre quelli di singole potenze: la Gran Bretagna investe 1,7 miliardi di sterline per dare alla marina militare ucraina 8 unità lanciamissili veloci e costruire basi navali sul Mar d’Azov, incuneato nel territorio russo.

Altri 10 miliardi di dollari di investimenti sono previsti dal piano di Erick Prince, fondatore della compagnia militare privata statunitense Blackwater, di creare in Ucraina un esercito privato. La Blackwater, ora ridenominata Academy, ha fornito mercenari alla CIA e al Pentagono per operazioni segrete. Particolarmente allarmante è la presenza, nella regione di Donetsk, di mercenari USA probabilmente dotati di armi chimiche. Potrebbe essere la scintilla che provoca la deflagrazione di una guerra nel cuore dell’Europa: un attacco chimico contro civili ucraini nel Donbass, subito attribuito ai Russi di Donetsk e Lugansk, che verrebbero attaccati dalle preponderanti forze ucraine già schierate nella regione, per costringere la Russia a intervenire militarmente a loro difesa. 

Manlio Dinucci

(Fonte)

L’Occidente non è affatto il destino dell’Europa

“In una prospettiva neoliberale, l’Unione Europea come spazio dei diritti, della pace, del mercato è tutta interna ad una visione “occidentalista”, atlantica, omogenea agli interessi dell’alta finanza mondiale. Questa Europa non soltanto non vuole essere “antiamericana”, ma si colloca esplicitamente sullo stesso piano della globalizzazione neoliberale statunitense. Si tratta di un’Europa occidentale, dove per “Occidente” va intesa la mentalità propria della modernità secolarizzata che ha trovato la sua massima espressione nello stile di vita e di pensiero americani, che stanno unificando il mondo, a seconda dei casi e delle esigenze, in maniera “soft” o con metodi “hard”.
L’Occidente non è affatto il destino dell’Europa né si identifica con l’Europa. Esso è per molti aspetti un’invenzione propria della modernità ed oggi esprime specificamente una immagine del mondo pregna di idee e valori tipicamente americani e neoliberali. Un’Europa unita nel senso e nel segno dell’Occidente non è ciò cui pensano i popoli europei, i quali nella dissoluzione degli Stati nazionali si troverebbero sempre più privi di ogni garanzia e di ogni prospettiva democratica.
(…) Naturalmente, non si tratta di separare l’Europa dall’Occidente per fare la guerra agli Stati Uniti, come qualche sciocco potrebbe voler far credere; (…). E tuttavia soltanto con un comportamento distinto e separato, con una rivendicazione di diversità rispetto all’Occidente americanizzato l’Europa potrà veramente nascere (…). Ciò presuppone però necessariamente una critica della politica occidentalista, una critica dell’americanismo (…); si tratta di rifiutare essenzialmente ogni pensiero unico e indifferenziato, ogni uniformità senza spirito e senza cultura; il compattarsi in un unicum senza differenziazioni, chiedeva giustamente Heidegger, “non è forse più inquietante del frantumarsi di tutto?””.

Da Oltre l’Occidente, di Agostino Carrino, edizioni Dedalo, 2005, pp. 224 e 226.

Redde rationem


Bene, direi che ci siamo, è il redde rationem.
La Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe ha accolto in parte, ma una parte decisiva, il ricorso che era chiamata a valutare.
I giudici tedeschi dicono essenzialmente tre cose:
1) Viene contestata come inadeguatamente motivata l’iniziativa per cui la BCE ha deviato dal principio di proporzionalità nei suoi acquisti di titoli (acquistandone di più dai paesi con maggior debito pubblico, per calmierarne gli interessi). La Corte tedesca sostiene che questo può diventare un finanziamento monetario del deficit, che non è consentito dai trattati vigenti né dalle leggi tedesche.
2) I giudici di Karlsruhe respingono la precedente sentenza della Corte di giustizia europea, affermando che in nessun caso la BCE (tramite le banche centrali nazionali) può detenere più del 33% del debito di ciascuno stato.
3) Essi infine contestano il fatto che la BCE si stia muovendo come un organo con autonomia politica, al di fuori del suo mandato, che la vincola a compiti di sorveglianza monetaria.
Se entro tre mesi la Bundesbank non darà adeguate e convincenti risposte essa sarà obbligata a ritirarsi dagli interventi della BCE, rendendoli di fatto impossibili.
In sostanza i giudici costituzionali tedeschi hanno messo nero su bianco quello che tutti sapevano, ma nessuno voleva ammettere.
L’Unione Europea e il suo apparato normativo, a partire dallo statuto della BCE, incarnano un progetto neoliberista nato negli anni ’80, che intendeva esplicitamente minimizzare i margini di intervento degli Stati in termini di politica economica, e che promuoveva (e promuove) un sistema di pura concorrenza economica, non di solidarietà, né di cooperazione.
Ciò che dicono i giudici costituzionali tedeschi è sacrosanto e irrefutabile dal punto di vista legale (anche se ha il difettuccio di venir fuori proprio in un momento in cui robuste politiche economiche statali sono tassative ed inevitabili).
Ciò che è stato fatto ripetutamente nel corso degli anni è stato di allentare o aggiustare vari meccanismi istituzionali introducendo surrettiziamente una dimensione politica che non appartiene affatto al ‘progetto europeo’.
Lo si è fatto sia per venire incontro alle aspirazioni di leadership della Germania stessa, sia per l’evidente necessità di non poter fare a meno di una politica economica in qualche modo comune, nel momento in cui sono in comune la moneta e le regole del mercato europeo.
Tutto ciò è stato fatto forzando, interpretando, distorcendo i trattati in vigore, che a seconda degli accordi e dei rapporti di forza potevano essere tagliole implacabili o cordiali suggerimenti, divieti o permessi i più variegati.
Questo gioco ha anche permesso a numerosissimi politici, in Italia ma non solo, di giocare al gioco degli Stati Uniti d’Europa, un simpatico gioco di società in cui si fa credere alla plebe che proprio lì dietro l’angolo ci sia il nuovo mondo coraggioso dove saremo tutti una grande famiglia europea, con una politica economica comune, regole comuni, salari comuni, tasse comuni, una politica estera comune.
Il problema di fondo, tuttavia, è che nessuno, mai, ha realisticamente pensato che questa prospettiva fosse davvero in tavola.
Questi spettri multicolori, queste apparizioni suggestive avevano sostanzialmente un’unica funzione, ovvero quella di permettere ai candidati (progressisti) per il Parlamento Europeo di vendersi in campagna elettorale come parte del ‘grande progetto degli Stati Uniti d’Europa’, quel progetto che – state sereni – avrebbe migliorato le sorti di tutti ed in particolare del popolo.
La sentenza della corte di Karlsruhe mette giù con apprezzabile brutalità teutonica la cruda verità: l’Unione Europea non ha, né ha mai avuto, niente a che vedere con una struttura destinata ad avere una politica economica comune (viatico per una politica comune in senso generale).
Al contrario essa è un’istituzione che serve a mettere in competizione gli Stati, creando condizioni ottimali per reprimere ogni rivendicazione da parte delle classi lavoratrici all’interno di ciascuno Stato, e per fornire garanzie ai rentiers.
Non ho nessun dubbio che continueremo a sentire i nostri politici cianciare ancora di ’70 anni di pace’, del ‘sogno europeo’, della famosa ‘solidarietà europea’, degli ‘aiuti europei’, ecc. Bisogna capirli. Se fossero chiamati davvero a prendere le redini dello Stato non saprebbero da che parte cominciare. Speravano, e sperano ancora, che essere governati in remoto da Francoforte li esentasse da assumersi responsabilità; dopo tutto bastava fare un po’ i simpatici a Bruxelles e qualche briciola spendibile sul fronte interno come grande vittoria arrivava comunque.
Ora però la sentenza tedesca minaccia di tagliare bruscamente anche l’approvvigionamento di quelle briciole.
E con un debito al 160% del PIL, senza una banca centrale che monetizzi (tacitamente o dichiaratamente) il debito, il default del debito pubblico italiano è matematicamente certo.
Possiamo girarci attorno finché vogliamo, ma quella è l’unica direzione in cui la pallina può cadere.
Non ci sono margini per avviare un ‘programma di austerity’ per ridurre il debito pubblico: era già impossibile con il debito al 120%, ma ora sarebbe una prospettiva lunare. Qualunque programma ‘lacrime e sangue’, in un Paese che era mezzo morto già prima della pandemia e che ora è con un piede nella fossa, non farebbe che avviare un avvitamento recessivo terminale.
Qualunque patrimoniale sulle liquidità che non fosse in grado di intercettare tutti i capitali detenuti all’estero e/o in paradisi fiscali sarebbe largamente insufficiente (e avrebbe ripercussioni sulla fiducia nel risparmio peggiori di qualunque haircut). Una patrimoniale sull’immobiliare distruggerebbe l’ultima base di sopravvivenza del Paese, distruggendo causa svendita i valori immobiliari (e con essi anche i collaterali di banche e assicurazioni).
Dunque direi che le opzioni teoricamente sul tavolo sono ora solo tre:
a) un magico colpo di reni europeo, che, d’un tratto riscopre un spirito di fratellanza e solidarietà, e nell’arco di qualche mese mette in comune i debiti, e cambia i trattati, imponendo alla BCE di fare espressamente politica economica di carattere anticiclico e con l’obiettivo della piena occupazione;
b) una monetizzazione del debito italiano in proprio (che significa un’uscita dall’eurozona e dai trattati vigenti);
c) un default del debito pubblico.
Come spesso accade, le probabilità delle tre opzioni sono in proporzione inversa alla loro desiderabilità.
Andrea Zhok

(Fonte)

 

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)

La cronistoria del MES, nelle parole di Nicoletta Forcheri

 

Il MES spiegato facile in sette punti, nelle parole di Gabriele Guzzi

 

Lo stato dell’arte e la proposta di legge costituzionale per l’abrogazione del MES

 

E per tirare le somme…

Libertà per Beate Bahner!

L’avvocato tedesco contro la quarantena rinchiusa in manicomio

Aveva denunciato l’incostituzionalità delle misure di quarantena in Germania e la scorsa domenica notte è stata portata via dalle autorità in un istituto psichiatrico.
Non è un film dell’orrore né la trama di un film distopico. E’ quanto accaduto all’avvocato Beate Bahner di Heidelberg.
La notizia è stata riportata nella serata di ieri dal quotidiano Rhein-Neicker-Zeitung (RNZ) della regione tedesca del Baden-Württemberg.
La battaglia dell’avvocato Bahner contro la quarantena
La Bahner aveva lanciato una battaglia lo scorso 3 aprile contro le autorità tedesche per chiedere l’immediata fine dei provvedimenti imposti dal governo federale che ha imposto la chiusura di ogni attività e il bando alle manifestazioni pubbliche in seguito alla crisi da coronavirus.
L’avvocato tedesco aveva redatto un rapporto di 19 pagine nel quale spiegava dettagliatamente perché le misure restrittive fossero completamente incompatibili con la Costituzione tedesca e in flagrante violazione della legge sul controllo delle epidemie.
L’avvocato Bahner ha un suo sito ed è un’esperta riconosciuta nel campo del diritto sanitario. Negli anni passati aveva ricevuto anche un’onorificenza per il suo impegno professionale.
Esiste una voce dedicata a lei anche su Wikipedia, la nota enciclopedia online che riporta le sue pubblicazioni e le battaglie legali condotte dalla legale di Heidelberg nel corso della sua carriera.
Non si tratta quindi di una “squilibrata” ma di una giurista riconosciuta e rispettata.
L’ultima sua battaglia legale lanciata è proprio quella contro la quarantena.
Per la Bahner quanto stabilito dal governo di Angela Merkel viola i fondamentali diritti costituzionali.
Questo è quanto sostenuto da lei in un recente articolo.
“Queste misure non sono giustificate dalla legge sulla protezione contro le malattie infettive che è stata ritoccata rapidamente solamente pochi giorni fa. Chiusure settimanali e divieti di uscire basati su ipotesi che raffigurano gli scenari peggiori (senza prendere in considerazione le opinioni di esperti basati sui fatti) così come la completa chiusura di compagnie e società senza alcuna evidenza di rischio da infezione da parte di queste attività commerciali è abnormemente incostituzionale.”
Sostanzialmente la giurista afferma un principio semplice. Non si può chiudere un intero Paese sulla mera presunzione che possano esserci degli infetti.
In questo modo, vengono compresse inevitabilmente le libertà di movimento e di manifestazione che sono alla base dei principi non solo della stessa legge fondamentale tedesca, ma anche della costituzione italiana.
L’avvocato aveva provato quindi a ricorrere al tribunale amministrativo di Baden-Württemberg che aveva respinto le sue istanze.
Successivamente si era rivolta alla stessa corte costituzionale tedesca che aveva rigettato a sua volta la richiesta di mettere fine alla chiusura del Paese.
Per la corte, “i pericoli all’incolumità pubblica superano quelli delle restrizioni alle libertà personali.”
I giudici evidentemente hanno deciso senza prendere minimamente in considerazione il parere di altri scienziati che hanno portato evidenze che ridimensionano di molto la cosiddetta “emergenza coronavirus.”
Tra questi c’è proprio il noto virologo tedesco Claus Koehnlein che ha spiegato come la pericolosità di questo agente virale sia stata esagerata di molto.
La Bahner nonostante tutto non si è arresa e aveva mandato una email alla corte costituzionale tedesca chiedendole di non proibire le manifestazioni contro la quarantena forzata.
In seguito a questa sua richiesta, il procuratore di Heidelberg aveva aperto un’inchiesta sull’avvocato per aver invitato sul suo sito internet a disobbedire alle restrizioni.
Lo scorso giovedì, la polizia di Mannheim aveva oscurato il sito web della giurista che non era più raggiungibile.
L’ultimo post sul sito dell’avvocato risale alla domenica di Pasqua pubblicato alle 7 di sera.
Nell’articolo, la Bahner invita i suoi concittadini ad andare fuori per godersi il sole di Pasquetta e a fare un pic-nic all’aperto.
Qualcosa di “eversivo” nei tempi distopici che si stanno vivendo.
Alla fine dell’articolo, Beate aveva annunciato che si sarebbe presa una pausa dopo l’intenso lavoro.
“Sto per fare adesso anche io la mia quarantena di relax per qualche settimana. E’ uno shock quando ti accorgi che l’assordate rumore di un elicottero della polizia è lì per te. Così può volerci un po’ prima che io non abbia più paura di rumori di elicotteri. Perciò non sarò in grado di rispondere a email, al telefono o di ricevere nuovi incarichi. So che capirete e rispetterete questa scelta. Grazie mille a tutti!”
Dopo aver annunciato quindi ai suoi lettori di volersi prendere un periodo di relax, la Bahner la sera stessa della domenica di Pasqua è stata prelevata dal suo appartamento e portata in un istituto psichiatrico.
L’articolo della RNZ è avaro di dettagli. Riporta solo una breve dichiarazione di un rappresentante della polizia locale che definisce l’avvocato “confusa”.
Confusa? Quindi ora in Germania si rinchiudono le persone in manicomio perché, a detta delle autorità, non hanno le idee chiare.
Chi ha preso questa decisione e in base a quali presupposti? Beate Bahner è un avvocato serio e rispettato e non è certo una persona da trascinare in istituti psichiatrici.
Non lo è, a meno che in Germania e in Europa non si stia instaurando un regime totalitario peggiore dei totalitarismi nazisti e comunisti.
Recentemente, Roberto Burioni, il virologo più amato dal sistema, ha persino avanzato l’ipotesi di utilizzare giovani come cavie per sperimentare un eventuale vaccino contro il coronavirus.
A questo proposito, Domenico Arcuri, il commissario straordinario all’emergenza Covid, è stato chiaro.
“Metteremo definitivamente alle spalle questa drammatica emergenza solo quando verrà scoperto un vaccino efficace.”
E’ questo lo scopo finale. Sviluppare un vaccino contro un virus che muta, quindi inefficace. Ma a loro non interessa. Questo regime ha come obbiettivo il controllo totale della popolazione italiana e mondiale e per farlo hanno bisogno di creare una situazione di emergenzialità.
Chi si oppone, rischia di fare la fine di Beate Bahner.
Dove è stato portato l’avvocato tedesco? Dov’è l’ordine che giustifica tale provvedimento? La notizia è stata completamente ignorata dal mainstream.
L’UE sempre pronta a sferrare fendenti ad Orban non dice nulla su questa gravissima violazione dei diritti umani avvenuta in Germania.
In Europa iniziano a deportare i dissidenti a questo regime.
In Europa si è entrati in un’epoca molto più buia e repressiva di qualsiasi totalitarismo del secolo scorso.
Tolta la rassicurante e falsa maschera ipocrita liberale, il globalismo ha iniziato a far vedere il suo vero volto.
Quello di una feroce dittatura pronta a tutto pur di cancellare ogni traccia di dissenso.
Cesare Sacchetti

(Fonte)

Laboratorio Grecia

A chi, dall’alto (?) del proprio scranno parlamentare, ipotizza una “grecizzazione” dell’economia italiana, attraverso l’adozione di misure che richiamano in maniera sinistra quanto perpetrato nel Paese balcanico durante l’ultimo decennio, vogliamo rivolgere l’invito a prendere visione del seguente documentario, realizzato dal benemerito Collettivo Vox Populi, scritto e diretto da Jacopo Brogi.
Laboratorio Grecia è “un viaggio che attraversa la Storia greca passata e recente: dalla seconda guerra mondiale all’attuale crisi economico finanziaria. Un documentario di Storia e di tante storie: vita quotidiana nell’epicentro del neoliberismo applicato. (…) Cronache del nostro avvenire: in cammino fra le generazioni, per abbandonare l’eterno presente ed inventare un Futuro dalle misure umane.”

Le Lobby a Bruxelles: il grande imbroglio del neoliberismo

Come funziona l’Unione Europea? Qual è il peso delle lobby e delle grandi multinazionali sulle decisioni che vengono prese? E chi le prende? I deputati eletti dal popolo, gli Stati che negoziano fra loro, un ristretto manipolo di tecnocrati della Commissione Europea e della Banca Centrale, o dei soggetti privati privi di qualunque controllo? Il libro di Gabriel Amard pone queste domande, sentite oggi da milioni di persone in tutto il continente, e cerca di rispondere con i fatti, analizzando il modo in cui si è costruita l’Unione Europea, l’ideologia neoliberista che la guida, il contenuto dei Trattati, gli scandali di corruzione che hanno attraversato le istituzioni europee, le figure politiche che passano senza soluzione di continuità dagli organismi pubblici ai consigli di amministrazione di imprese e banche… Ma la denuncia si accompagna alla proposta, per cui il testo di Amard si trasforma via via in un manuale di disobbedienza a livello europeo, che entra nel merito di alcune rivendicazioni concrete e lancia un appello per costruire un’Europa dei popoli, per voltare pagina sia rispetto al “federalismo neoliberista”, sia al “nazional-sovranismo”.

Le Lobby a Bruxelles: il grande imbroglio del neoliberismo,
di Gabriel Amard
The Spark Press, pp. 178, € 14

A noi Orwell ci fa un baffo

Dati alla mano, in UE si formerà un governo fotocopia del precedente, solo un po’ più magro e incattivito, un governo formato da PPE, PSE + i liberaldemocratici di ALDE.
Sarà questa maggioranza che eleggerà il prossimo presidente della BCE, e visto lo scampato pericolo sarà finalmente uno deciso a mettere in riga i Paesi che turbano il guidatore – cioè il governo della finanza.
E, sappiatelo, ne ha tutti i mezzi, perché a quel signore eletto sostanzialmente dall’azionista di maggioranza (Germania) abbiamo consegnato il potere assoluto sui nostri conti pubblici, sui nostri investimenti, sulla nostra solvibilità.
A occhio e croce direi che la propaganda europeista ha vinto nei limiti in cui poteva vincere. Nelle salde mani dei ‘competenti’ l’Europa si avvia ad altri 5 anni di agonia, in cui qualunque iniziativa che non sia ‘market-friendly’ verrà bombardata come indecoroso populismo. In Italia ci verranno ripetute le solite incredibili idiozie sul debito pubblico come debito del ‘buon padre di famiglia’, della necessità di stringere ancora un po’ la cinghia, di svendere ancora quel po’ di patrimonio pubblico rimasto, e ci verrà soprattutto innestata ancora più in profondità l’idea che “non c’è alternativa”.
A chi vuole difendersi da tutto ciò non resterà che appellarsi a gente che brandisce rosari e invoca la flat tax. E ad opporsi a questi ultimi ci saranno le quinte colonne di Bruxelles, pronte a starnazzare al ‘fascismo’.
A noi Orwell ci fa un baffo.
Andrea Zhok

Fonte

Italia e UE votano per i missili USA in Europa

Presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, a New York, c’è una scultura metallica intitolata «il Bene sconfigge il Male», raffigurante San Giorgio che trafigge un drago con la sua lancia.
Fu donata dall’URSS nel 1990 per celebrare il Trattato INF stipulato con gli USA nel 1987, che eliminava i missili nucleari a gittata corta e intermedia (tra 500 e 5500 km) con base a terra. Il corpo del drago è infatti realizzato, simbolicamente, con pezzi di missili balistici statunitensi Pershing-2 (prima schierati in Germania Occidentale) e SS-20 sovietici (prima schierati in URSS).
Ora però il drago nucleare, che nella scultura è raffigurato agonizzante, sta tornando in vita. Grazie anche all’Italia e agli altri Paesi dell’Unione Europea che, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, hanno votato contro la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato INF», respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni.
L‘Unione Europea – di cui 21 dei 27 membri fanno parte della NATO (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla UE) – si è così totalmente uniformata alla posizione della NATO, che a sua volta si è totalmente uniformata a quella degli Stati Uniti.
Prima l’amministrazione Obama, quindi l’amministrazione Trump hanno accusato la Russia, senza alcuna prova, di aver sperimentato un missile della categoria proibita e hanno annunciato l’intenzione di ritirarsi dal Trattato INF.
Hanno contemporaneamente avviato un programma mirante a installare di nuovo in Europa contro la Russia missili nucleari, che sarebbero schierati anche nella regione Asia-Pacifico contro la Cina.
Il rappresentante russo all’ONU ha avvertito che «ciò costituisce l’inizio di una corsa agli armamenti a tutti gli effetti». In altre parole ha avvertito che, se gli USA installassero di nuovo in Europa missili nucleari puntati sulla Russia (come erano anche i Cruise schierati a Comiso negli anni Ottanta), la Russia installerebbe di nuovo sul proprio territorio missili analoghi puntati su obiettivi in Europa (ma non in grado di raggiungere gli Stati Uniti).
Ignorando tutto questo, il rappresentante UE all’ONU ha accusato la Russia di minare il Trattato INF e ha annunciato il voto contrario di tutti i Paesi dell’Unione perché «la risoluzione presentata dalla Russia devia dalla questione che si sta discutendo». Nella sostanza, quindi, l’Unione Europea ha dato luce verde alla possibile installazione di nuovi missili nucleari USA in Europa, Italia compresa.
Su una questione di tale importanza, il governo Conte, rinunciando come i precedenti a esercitare la sovranità nazionale, si è accodato alla UE che a sua volta si è accodata alla NATO sotto comando USA.
E dall’intero arco politico non si è levata una voce per richiedere che fosse il Parlamento a decidere come votare all’ONU. Né in Parlamento si leva alcuna voce per richiedere che l’Italia osservi il Trattato di Non-Proliferazione, imponendo agli USA di rimuovere dal nostro territorio nazionale le bombe nucleari B61 e di non installarvi, a partire dalla prima metà del 2020, le nuove e ancora più pericolose B61-12.
Viene così di nuovo violato il fondamentale principio costituzionale che «la sovranità appartiene al popolo». E poiché l’apparato politico-mediatico tiene gli Italiani volutamente all’oscuro su tali questioni di vitale importanza, viene violato il diritto all’informazione, nel senso non solo di libertà di informare ma di diritto ad essere informati.
O si fa ora o domani non ci sarà tempo per decidere: un missile balistico a raggio intermedio, per raggiungere e distruggere l’obiettivo con la sua testata nucleare, impiega 6-11 minuti.
Manlio Dinucci

Fonte

Uno scenario fantapolitico

10 dicembre 2018 – Due bombardieri strategici Tupolev Tu-160, preceduti da un aereo da trasporto militare pesante An-124 e un aereo a lungo raggio Ilyushin Il-62, hanno effettuato un volo dalla Russia fino alla base di Maiquetià nella Repubblica Bolivariana del Venezuela. Ad accogliere lo staff militare russo il Ministro della Difesa del Venezuela il generale Vladimir Padrino Lopez, rappresentanti dell’ambasciata russa in Venezuela e plotoni di vari corpi militari del Paese latinoamericano.

L’esercito sovietico in Messico e una “Sesta Flotta” sovietica nel Mar dei Caraibi

“Immaginiamo adesso un rovesciamento teorico della situazione nel 1984. Gli USA sono una grande potenza continentale industriale, di filosofia biblica, dove la giornata lavorativa è di dieci ore e dove gli atei sono curati con scariche elettriche, quando li trovano. La diffusione dei libri di Darwin comporta l’internamento in un ospedale psichiatrico. Un’America biblica d’urto con un potente esercito terrestre. Il tema americano è la prosperità. La flotta americana tenta disperatamente di raggiungere il livello della flotta sovietica, che è sempre superiore.
L’Unione Sovietica difende il tema della pace. Le testate atomiche russe difendono la pace e le testate atomiche americane difendono la prosperità (e la Bibbia).
L’Unione Sovietica ha creato l’ODAC, ossia l’Organizzazione di Difesa dell’Atlantico Centrale. Nell’ODAC solo l’URSS detiene l’armamento atomico e può decidere di usarlo. Un potente esercito messicano di 400.000 uomini, il Bundes-Exercito, è ammassato ai confini della California. Un corpo di spedizione sovietico di 300.000 uomini ha la sua base in Messico. Nel Mar dei Caraibi la Sesta Flotta sovietica è dotata di numerose portaerei e non abbandona mai questo mare. L’alleato più sicuro dell’URSS è il piccolo Stato eroico di Cuba, il cui “piccolo popolo ha tanto sofferto”. Dopo 2000 anni di persecuzioni, gli atei disgustati hanno lasciato gli USA per tornare sulla terra dei loro antenati, a Cuba.
Fu a Cuba, infatti, che tremila anni fa apparve un profeta chiamato Castro, il quale ebbe il grande onore di conoscere personalmente Dioniso. Dopo 2000 anni di sofferenze e di pogrom, le vittime del razzismo antiateo hanno finalmente una loro patria. Come tutti sanno, Dioniso è apparso a Cuba. In questi tempi egli ha detto agli atei: “Voi siete il mio popolo eletto e regnerete sulla terra”. Il piccolo Stato eroico è il miglior alleato di Mosca. Le finanze di Cuba sono esauste a causa delle spese militari e dei frequenti baccanali.
Ma Mosca aiuta continuamente Cuba. A Mosca è impossibile fare carriera politica senza farsi preliminarmente incubanare. Essere incubanato significa mettersi incondizionatamente al servizio della politica paranoica e messianica di Cuba.
Nell’Armata sovietica ci sono numerosi sacerdoti e devoti di Dioniso. Recentemente Mosca ha sbarcato in Messico nuove testate atomiche di media gittata, gli americano-missili, capaci di raggiungere Dallas e Saint-Louis in quindici minuti. Ciò ha provocato le urla di Washington, che rifiuta ancora di discutere di disarmo a Ginevra. Queste urla non impressionano troppo Mosca, la quale si augura una guerra limitata al Messico settentrionale ed alla California meridionale. Nel 1945 la California era diventata un satellite degli USA.
La potenza dell’armata terrestre degli USA è temibile e il fanatismo biblico alimenta il morale dell’esercito di Geova. Mosca sa bene che se il Messico (400 milioni di abitanti con un’industria enorme) cadesse nelle mani di Washington, sarebbe la fine dell’egemonia sovietica sugli oceani. Così, tutti gli strateghi incubanati di Mosca hanno già previsto di distruggere il Messico, qualora dovessero ritirarsi. A Mosca, e più ancora all’Avana, hanno previsto la possibilità di ridurre il Messico a un deserto e ad un cimitero. Infatti gli USA, ingranditi dall’aggiunta del Messico, diventerebbero la prima potenza mondiale e l’URSS dovrebbe ripiegare su se stessa. A Cuba sono entusiasti di questa idea. Il loro solo obiettivo è la Grande Cuba, la rinascita dei templi di Dioniso dappertutto, in Florida e in Louisiana. All’Avana i sacerdoti di Dioniso dispongono già di una marionetta, un certo Bechira, che si dice biblico, ma in realtà è un burattino degli atei.
Mi si dirà che ho fatto della fantapolitica? Ma no, è il negativo di una fotografia. Qui tutti trovano normale che la flotta americana spadroneggi nel Mediterraneo, col pretesto di difenderci. Ma se, in una situazione inversa, la Flotta russa sfidasse gli USA navigando nei Caraibi, che cosa direbbero gli esangui Europei di Parigi, Bonn e Londra? Che cosa direbbe l’opinione europea manipolata, se domani il Messico ammassasse ottanta divisioni di carri armati vicino alla California? E se un corpo di spedizione sovietico di 400.000 uomini avesse la sua base in Messico?
Obiettivamente, una potente Sesta Flotta sovietica nel Mar dei Caraibi sarebbe semplicemente il negativo (l’inverso) della Sesta Flotta americana nel Mediterraneo. E un potente corpo di spedizione russo in Messico in che cosa sarebbe diverso dai 400.000 Americani in Germania? Per capire i Sovietici, bisogna cercare di mettersi per un istante nei loro panni. Bisogna cercare di immaginare che cosa penserebbero i generali del Pentagono, se dovessero far fronte ad un Messico potentemente armato dall’URSS e, inoltre, ad un consistente corpo di spedizione sovietico in Messico. Questi generali del Pentagono biblico sarebbero dei guerrafondai se prevedessero di dover parare i colpi o di dover rispondere?”

Da L’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, di Jean Thiriart, Edizioni all’insegna del Veltro, pp. 56-58.
Per gentile concessione dell’Editore.

Sulla rotta della nuova Via della Seta

Buon giorno a tutti!
Sono Daniele Ventola e, come molti amici già sapranno, io e #Ombra stiamo percorrendo la famigerata Via della Seta a piedi.
La Via della Seta è quell’insieme di rotte che connette l’Oriente all’Occidente. Una via storica e leggendaria che ha visto crescere e dissolversi gloriosi imperi.
Ma, date le nuove rotte commerciali pomosse dalla Cina verso l’Europa con il progetto One Belt One Road che richiama una nuova Via della Seta, abbiamo ritenuto che non ci fosse momento migliore per inaugurare, assieme a questi nuovi scambi commerciali, anche i più elevati scambi culturali e umani. Per cui sarà un onore, oltre che un piacere, poter attraversare, partendo da Venezia: Slovenia, Ungheria, Romania, Ucraina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Cina (Zhoukoudian, Pechino).
Un cammino sostenibile e lento, attraverso 10 Paesi e 2 continenti.
Vento della Seta – un Cammino di Umanità, si basa su una triplice sfida: fisica, spirituale e antropologica.
Sono due i motivi che hanno ispirato la nascita di queste sfide:
1) Osservando, leggendo, parlando emerge la percezione di vivere in un’epoca di grandi contraddizioni: un benessere tecnologico lontano dal benessere esistenziale, che va di pari passo ad una superficialità culturale sempre più crescente, mentre parole che diventano virali come “condivisione” e “connessione” mancano sempre più di un interagire con il prossimo autentico e reale per cui sta divenendo sempre più difficile.
2) Se le nuove rotte commerciali della Belt & Road Initiative sono rivolte al futuro geopolitico ed economico del mondo, lo scopo di Vento della Seta è arrivare a piedi alla meta per integrare l’economico con il culturale, l’ecologico… ma soprattutto con l’umano. È per queste motivazioni che il viaggio si concluderà a Zhoukoudian che è un sito paleoantropologico a 48 km sud-ovest di Pechino dove sono stati ritrovati i resti di un ominide risalenti a 750.000 anni fa.
Partendo dal sud-Italia, Vento della Seta intende testimoniare un uso alternativo delle nuove tecnologie di comunicazione e di informazione infatti, documentando con materiale audio-visivo amatoriale le storie, le tradizioni folkloristiche, le abitudini, i “riti sociali”, le usanze, le culture che cambiano lentamente dall’Occidente all’Oriente. Vento della Seta renderà fruibile i materiali raccolti durante il viaggio, che saranno disponibili sulle pagine di Facebook, Instagram, YouTube, Cam.Tv e il sito web.
Particolare interesse per la documentazione visiva sarà quello che riguarda la storia dell’uomo. Partendo da Napoli è stato possibile incontrare numerosi siti di interesse archeologico preistorico per ripercorrere i passi della storia dell’uomo. Auspichiamo che, assieme alla ricapitolazione della nostra storia, il futuro e l’innovazione tecnologica si sviluppino nel rispetto della storia che ci precede e che ci ha reso umani.
In questo modo Vento della Seta diviene dunque una “con-testa-azione” pratica e filosofica nei confronti di quella parte della società contemporanea che ha forse messo al centro dell’esistenza una logica competitiva, di perfomance, di consumo e che rischia di ridurre l’individuo solo ad una risorsa economica reiterandolo ad un homo, homini lupus in giacca e cravatta.
La vera sfida di questo progetto è quella antropologica, la quale intende riportare l’uomo al centro dell’esistenza e porre la tecnologia come sua estensione, testimoniando attraverso l’esperienza del viaggio che nel mondo non sono del tutto veri i valori dominanti che ci vengono proposti di continuo da chi tiene le redini dell’informazione, ma è altrettanto vera e possibile, una diversa forma di umanità, di mutua assistenza. Una volta concluso il viaggio, parte di questo materiale entrerà nella realizzazione di un libro e di un documentario di viaggio reso possibile grazie al sostegno di tutti quanti poiché una cosa che si scopre viaggiando è che alla fin fine difficilmente il viaggiatore se ne va a spasso solo per stesso. Dacché storia è preistoria, il viaggiatore, in quanto ponte di comunicazione tra i popoli e uomini ha l’immensa responsabilità di accorciare quelle che sembrano delle sconfinate distanze. E non necessariamente intendiamo quelle spaziali.

Fonte

Il viaggio di Daniele Ventola può essere seguito e sostenuto sul sito ventodellaseta.org e sulle relative pagine FB, Instagram e Youtube

La nuova cortina di ferro

La Lettonia sta costruendo una recinzione metallica di 90 km, alta 2,5 metri, lungo il confine con la Russia, che sarà ultimata entro l’anno. Sarà estesa nel 2019 su oltre 190 km di confine, con un costo previsto di 17 milioni di euro. Una analoga recinzione di 135 km viene costruita dalla Lituania al confine col territorio russo di Kaliningrad. L’Estonia ha annunciato la prossima costruzione di una recinzione, sempre al confine con la Russia, lunga 110 km e alta anch’essa 2,5 metri. Costo previsto oltre 70 milioni di euro, per i quali il governo estone chiederà un finanziamento UE. Scopo di tali recinzioni, secondo le dichiarazioni governative, è «proteggere i confini esterni dell’Europa e della NATO».
Esclusa la motivazione che essi debbano essere «protetti» da massicci flussi migratori provenienti dalla Russia, non resta che l’altra: i confini esterni della UE e della NATO devono essere «protetti» dalla «minaccia russa». Poiché la recinzione costruita dai Paesi baltici lungo il confine con la Russia ha una efficacia militare praticamente nulla, il suo scopo è fondamentalmente ideologico: quello di simbolo fisico che, al di là della recinzione, c’è un pericoloso nemico che ci minaccia. Ciò rientra nella martellante psyop politico-mediatica per giustificare la escalation USA/NATO in Europa contro la Russia. In tale quadro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in Lettonia due volte, la prima in luglio in un giro di visite nei Paesi baltici e in Georgia. Al pranzo ufficiale a Riga, il presidente della Repubblica italiana ha lodato la Lettonia per aver scelto la «integrazione all’interno della NATO e dell’Unione Europea» e aver deciso di «abbracciare un modello di società aperta, basata sul rispetto dello Stato di diritto, sulla democrazia, sulla centralità dei diritti dell’uomo». Lo ha dichiarato al presidente lettone Raymond Vejonis, il quale aveva già approvato in aprile il disegno di legge che proibisce l’insegnamento del Russo in Lettonia, un Paese la cui popolazione è per quasi il 30% di etnia russa e il russo è usato quale lingua principale dal 40% degli abitanti. Una misura liberticida che, proibendo il bilinguismo riconosciuto dalla stessa Unione Europea, discrimina ulteriormente la minoranza russa, accusata di essere «la quinta colonna di Mosca». Due mesi dopo, in settembre, il presidente Mattarella è tornato in Lettonia per partecipare a un vertice informale di Capi di Stato dell’Unione Europea, in cui è stato trattato tra gli altri il tema degli attacchi informatici da parte di «Stati con atteggiamento ostile» (chiaro il riferimento alla Russia). Dopo il vertice, il Presidente della Repubblica si è recato alla base militare di Ᾱdaži, dove ha incontrato il contingente italiano inquadrato nel Gruppo di battaglia schierato dalla NATO in Lettonia nel quadro della «presenza avanzata potenziata» ai confini con la Russia. «La vostra presenza è un elemento che rassicura i nostri amici lettoni e degli altri Paesi baltici», ha dichiarato il Presidente della Repubblica. Parole che sostanzialmente alimentano la psyop, suggerendo l’esistenza di una minaccia per i Paesi baltici e il resto dell’Europa proveniente dalla Russia. Il 24 settembre arriverà in Lettonia anche Papa Francesco, in visita nei tre Paesi baltici. Chissà se, ripetendo che si devono «costruire ponti non muri», dirà qualcosa anche sulla nuova cortina di ferro che, dividendo la regione europea, prepara le menti alla guerra. Oppure se a Riga, deponendo fiori al «Monumento per la libertà», rivendicherà la libertà dei giovani Lettoni russi di imparere e usare la propria lingua.
Manlio Dinucci

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Dalla “Grande Europa” all’Europa più grande

Tra il 1984 e il 1985 Jean Thiriart scrisse un libro intitolato L’Empire Euro-soviétique de Vladivostok à Dublin. La traduzione italiana di questo testo è in corso di stampa presso le Edizioni all’insegna del Veltro.
Ma perché pubblicare oggi questo libro, il cui titolo rivela da solo l’anacronismo dell’argomento?
“Al di là dell’importanza della testimonianza storica – scrive Yannick Sauveur nella sua Introduzione al testo thiriartiano – non è inutile interrogarsi sull’attualità retrospettiva degli scritti di Thiriart alla luce delle tensioni e degli sconvolgimenti in corso. Infatti, se si guarda bene, dal punto di vista della strategia americana il nemico russo ha rimpiazzato il nemico sovietico e l’Europa è ancora oggi il medesimo nano politico, tanto più che la crisi economica cominciata col primo trauma petrolifero (1973) non ha fatto che aggravarsi, mentre la scomparsa del comunismo ha provocato una capitolazione concettuale per quanto riguarda le alternative al liberalismo di marca anglosassone, poiché perfino il modello renano di capitalismo si è dovuto piegare davanti a Wall Street.
(…) L’Empire Euro-soviétique de Vladivostok à Dublin è l’opera di un teorico per il quale la lunga durata e i grandi spazi costituiscono il centro della riflessione. Si tratta di un opera di prospettiva politica che, staccata da ogni considerazione ideologica, unisce storia, sociologia e geopolitica”.

Di Jean Thiriart, su questo blog abbiamo pubblicato:
Colonizzazione sottile
Per un’Europa fuori dalla NATO
L’Europa fino a Vladivostok, in tre parti: 1° parte2° parte3° parte

Sara Reginella, una voce per il Donbass

“Start Up a War – psicologia di un conflitto”, quarto lavoro sulla guerra nel Donbass della documentarista italiana Sara Reginella, distribuito da Premiere Film, sta seguendo un percorso festivaliero iniziato all’European Film Festival di San Pietroburgo, dove è arrivato in finale, e proseguito, tra gli altri festival, al Virgin Spring Cinefest di Calcutta, premiato come Gold Award Documentary del mese di luglio.
Saker Italia ha seguito Sara nel percorso di maturazione tecnica ed artistica che ha intrapreso, guidata dalla convinzione che, nel mondo contemporaneo, i conflitti si combattono sul piano comunicativo prima che sul campo di battaglia (e che, quindi, la scia di morte e distruzione che ogni guerra guerreggiata porta con sé, possa essere provocata, ma anche scongiurata, dall’esito della guerra informativa che si combatte a monte).
All’origine dell’impegno di Sara la sua formazione di psicologa e psicoterapeuta e la constatazione del fatto che, come nei rapporti fra persone, anche in quelli fra stati e fazioni del conflitto la radice del problema risieda spesso nella rimozione e nella negazione delle ragioni e degli interessi di una delle parti coinvolte.
È questo il “filo rosso” che lega le prime opere del 2015 (“I’m italian” e “Voci”), quella del 2016 (“Le stagioni del Donbass”, arricchita anche dalla maggiore conoscenza della situazione sul campo, maturata lavorando in loco) e l’ultimo documentario appena uscito nel circuito dei festival.
Saker Italia ha chiesto a Sara di fare il punto della situazione. Potete leggere le sue risposte qui.

Euroinomani

Dieci anni di crisi economica sembrano aver distrutto il mito positivo dell’Europa, alimentando l’insofferenza verso Bruxelles, la rigidità dei trattati e la soffocante leadership tedesca.
Ma com’è stato possibile che i partiti populisti e sovranisti siano arrivati, in Italia, a raccogliere il 50% dei consensi?
Questo clamoroso successo si deve in larga parte ai cosiddetti “euroinomani”. Così Alessandro Montanari definisce tutti quei politici, quegli economisti e quei giornalisti che per troppi anni si sono rifiutati di riconoscere l’oggettiva anomalia dell’euro, ostinandosi a negare il sostanziale fallimento dell’austerità espansiva e sposando acriticamente il nuovo ordine della globalizzazione.
Brexit, la vittoria di Trump e le elezioni italiane dimostrano però che i popoli stanno invertendo la Storia.
Quella che è iniziata infatti non è una protesta, ma una rivolta: contro la disuguaglianza crescente, contro l’impoverimento del lavoro, contro la finanziarizzazione dell’economia, contro le delocalizzazioni predatorie e, soprattutto, contro il dominio delle élite.
Un testo prezioso per vedere la realtà in modo diverso.

Euroinomani
Come l’euro ha ucciso l’Europa – Il risveglio dei popoli contro le élite
di Alessandro Montanari
Uno editori, pp. 260

Alessandro Montanari, giornalista e autore televisivo, ha lavorato per le più importanti televisioni nazionali.
Al fianco di Gianluigi Paragone dai suoi esordi professionali nelle tv locali, firma i programmi Lultimaparola (Rai 2) e La Gabbia (La7) che per primi in Italia sdoganano il dibattito sull’euro e sui vincoli dei trattati europei, dando voce alle vittime della crisi e raccontando la crescita dei movimenti anti-establishment.
Ora è a Rete 4, nella squadra della trasmissione Stasera Italia. “Euroinomani” è il suo saggio d’esordio.

La camicia di forza della UE sulla Rete

L’establishment globalista è in serie difficoltà. Il voto popolare, quindi il normale processo democratico, sta mettendo in ginocchio il progetto neoliberale di superamento degli Stati nazionali. Per questo i “globalisti” corrono ai ripari. Un tempo, quando era la politica ad avere un ruolo di supremazia sull’economia, i partiti cercavano di farsi carico delle istanze popolari espresse nelle urne. Oggi la sovranità popolare ha lasciato il posto alla dittatura della finanza e i gruppi di potere sovranazionali sono invece propensi a soffocare il dissenso.
Per questo il Comitato Affari Legali del Parlamento europeo, cioè la commissione giustizia dell’Europarlamento (JURI), ha approvato il testo di una Direttiva che prevede la tutela del diritto d’autore. Dietro la maschera della salvaguardia del copyright si cela in realtà un atto sconcertante, un passaggio fondamentale per la distruzione della democrazia in Europa.
In particolare vi sono due articoli molto controversi. L’articolo 11 che introduce una tassa sui link, con l’obbligo per tutte le piattaforme on-line (Facebook, Google, Twitter etc. ) di acquistare licenze da società di media prima di poter postare link con qualsiasi tipo di contenuto, e l’articolo 13 sul cosiddetto “filtro di caricamento“, cioè un controllo sull’eventuale violazione del copyright su tutto quanto venga caricato sul web all’interno della UE.
Insomma una camicia di forza per la rete. Nessuno potrà più condividere direttamente post, video e articoli sui social. Le grandi piattaforme – come ad esempio Facebook e Twitter – dovranno prima verificare il rispetto del copyright. Una follia che impedirà alle informazioni di circolare liberamente. E nulla c’entra la pur condivisibile tutela del diritto d’autore, infatti chi oggi scrive sui giornali o pubblica libri vede il suo diritto tutelato dalla vigente normativa, che lascia all’editore la facoltà di pretenderne il rispetto da parte dell’autore (e di chi diffonde l’opera), o viceversa.
Non tutto è ancora perduto. E bene ha fatto Claudio Messora, il primo in Italia ad aver richiamato l’attenzione sulla gravità di questa direttiva [ved. video allegato – n.d.c], a iniziare una raccolta di firme per constrastarla. Il testo della direttiva dovrà essere approvato dal Parlamento europeo, cioè dall’Aula, dove all’interno dei due partiti di maggioranza (PPE e PSE) vi sono parecchi mugugni. L’appuntamento è per il 4 luglio, ma non è escluso un rinvio a fine anno.
Poi c’è un altro aspetto. La nuova normativa sarà adottata tramite una Direttiva, cioè un atto giuridico della UE che, per poter produrre i suoi effetti, necessita di un atto di recepimento da parte degli Stati membri. In Italia attraverso una legge ordinaria. Fino a quando ci sarà questa maggioranza giallo-verde possiamo almeno ragionevolmente pensare che una tale direttiva non verrà mai recepita.
Ma il nostro dissenso deve farsi sentire anche in Europa.
Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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Per un’Europa della libertà e della capacità sovrana dei popoli di autogovernarsi

Fulvio Grimaldi intervista alcuni esponenti dell’opposizione al governo Tsipras in Grecia.

F.G. Cos’è il Plan B?
Alekos Alavanos (economista, psicoterapeuta, già presidente di Synaspismos e poi capogruppo di Syriza, oggi segretario della formazione “Plan B”, staccatasi da Syriza dopo il referendum consultivo del luglio 2015) E’ un’idea alternativa per una politica totalmente diversa rispetto a quelle dettateci da Bruxelles, Francoforte e Berlino e che hanno distrutto la società e l’economia della Grecia. Non siamo io e altri compagni che abbiamo cambiato idea, è stata Syriza a cambiare totalmente. La rottura avviene nel 2011 quando Syriza sostiene che non era possibile avere una linea autonoma nel quadro dell’eurozona e dell’UE.

F.G. Che Grecia sarebbe quella del Piano B?
A.A. Nessuno può pensare che ogni cosa possa essere fatta senza correre rischi, trappole, difficoltà. Proponiamo una cosa molto semplice: le politiche che la maggioranza dei Paesi evoluti ha attuato dopo una prolungata recessione. Significa liquidità, domanda, salari e pensioni in grado di far girare la ruota. Significa un ruolo diverso dello Stato, creativo e dinamico, una politica di bilancio opposta a quella dell’UE.

F.G. Pensi che ci possa essere vita fuori dall’UE?
A.A. Certamente c’è vita fuori dall’Europa. Ma non c’è alcuna Europa, non è Europa. Per oltre vent’anni sono stato un membro del Parlamento europeo, amo l’Europa, tengo al confronto con gli altri Paesi, le altre forze politiche. Abbiamo bisogno di cooperazione in Europa. Ma deve essere una cooperazione basata sulla solidarietà, sul mutuo beneficio, sul rispetto. Se vuoi essere filo-Europa devi essere contro l’UE e la sua valuta. Siamo all’ennesimo memorandum: ancora tagli, riduzione delle pensioni, più tasse, meno esenzioni. Tutto questo mentre già stiamo in una gravissima depressione.

F.G. Il popolo greco aveva deciso diversamente…
A.A. Il venerdì, prima del referendum della domenica in cui vinse il no alla Troika, vidi la Merkel in tv che diceva che se i Greci avessero votato no, il lunedì non sarebbero più stati membri dell’UE e dell’euro. Ci minacciò. Usano campagne terroristiche, ora anche in Italia, di fronte alla rivolta della gente. I Greci non si fecero intimidire: oltre il 60% votarono no. Poi furono traditi, ingannati. Se io voto no e il governo il giorno dopo dice sì, ciò che si perde sono l’autostima, la fiducia, la prospettiva, la dignità morale.

F.G. E adesso?
A.A. Credo che ci siano dei buoni segni, che non ci vorrà molto prima che il popolo greco si svegli e riprenda in mano il fucile, il fucile della politica.

F.G. Anche noi abbiamo vinto un referendum contro i desideri della Troika. Credi che l’UE abbia per l’Italia un progetto come quello imposto a voi?
A.A. Spero che i poteri sistemici in Italia non si comportino come i nostri e le sinistre come le nostre sinistre. In effetti l’Italia è un boccone grosso. Ma potrebbe anche essere la leva per cambiare l’intera Unione. Le recenti elezioni, chiunque governi ora, hanno espresso una chiara volontà della maggioranza contro quanto all’Italia viene imposto. L’Europa non può sopravvivere nella forma e con i contenuti di adesso. Brexit è la soluzione. Spero che i popoli italiano e greco ritrovino la propria autostima e lottino, insieme ai Francesi, ai Tedeschi, a tutti, per un’Europa diversa, senza la BCE, senza questa valuta tossica. Un’Europa della libertà, creatività e della capacità sovrana dei popoli di autogovernarsi.

F.G. Vedi un filo che corre dalla vostra guerra contro i nazifascisti, alla guerra civile, a quella partigiana contro i britannici, alla dittatura NATO di Papadopulos, fino alla Troika?
A.A. C’è un filo, un filo assai pericoloso. E’ il filo della dipendenza, della subordinazione, militare, politica, anche psichica. La Grecia, inizio e simbolo della nazione che resiste, fin dall’800, è un simbolo increscioso, intollerabile. Dobbiamo farla finita. Non siamo agli inizi dell’800, quando qui comandavano i sultani. Sai, non c’è più sovranità nazionale. Una sovranità che non sarebbe in contraddizione con la collaborazione internazionale. Anzi. C’è sovranità nazionale quando il popolo si autogoverna e quando la cooperazione internazionale rispetta e favorisce una sovranità nazionale democratica. Il frutto è sull’albero. Lasciamolo maturare. Arriverà sulle nostre tavole.

F.G. Sembra che in Grecia rinasca una resistenza.
Panagiotis Lafazanis (segretario di “Unità Popolare”, già dirigente del partito comunista greco KKE e ministro nel primo governo Tsipras) Per la prima volta dopo molto tempo si sono viste manifestazioni popolari di massa davanti al parlamento e in molte città contro la Troika, l’alleanza con Israele di un paese da sempre vicino ai palestinesi, la cessione del nome Macedonia (“Macedonia del Nord”), nome greco di terra greca, al vicino slavo. E si è vista la brutalità della repressione di un governo che si dice di sinistra, per quanto alleato all’estrema destra. Pensiamo che il movimento risponderà e si rafforzerà, in vista anche di una data molto importante, quella del referendum vittorioso contro l’austerità e la Troika, il 5 luglio.

F.G. Come siete messi, dopo l’ennesimo memorandum?
P.L. La condizione della società greca è catastrofica, una situazione in cui non ci si vuol far vedere nessun futuro. Il 34,6% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, 3.796.000 persone su 10 milioni. E il debito che dovremmo pagare con questo strangolamento continua a crescere. E’ ancora forte la sensazione che tutto è perduto. Ma c’è anche l’altra faccia della luna: resta un potenziale sociale in grado di riprendere in mano la situazione e reagire. Insomma, c’è un corpo sociale che si convince di essere fottuto e un altro che è deciso a uscire dal vicolo cieco impostoci da Tsipras.

F.G. Basteranno le sole forze greche, o ci vorrà il concorso di altri Paesi?
P.L. In effetti, perché il popolo greco possa liberarsi, gli occorre il concorso di altri popoli europei, in prima linea di quello italiano. Però a noi tocca l’impegno di non aspettare che si muova un popolo vicino. Dovremo comunque essere i primi a rompere le sbarre del carcere tedesco. Forse saremmo l’ispirazione per altri, fino all’affondamento di tutta l’eurozona, come di questa Unione Europea.

F.G. Qual è il progetto strategico dei vostri nemici?
P.L. Per la Grecia è la distruzione del Paese, non c’è dubbio. Per l’Europa si tratta di una nuova feudalizzazione che elimini i soggetti nazionali in modo da riunire sotto il controllo dell’oligarchia tutte le ricchezze dei singoli Paesi. Per noi del Sud si tratta dell’applicazione di classici criteri colonialisti. Sono questi i caposaldi del progetto europeo. Sono caposaldi razzisti, ma a dispetto del suo razzismo, l’Europa sta conoscendo l’inserimento massiccio nel suo seno di altre popolazioni spodestate e sradicate e chi nutre dubbi sull’onestà del fenomeno, che non nasconda qualcosa di letale, viene accusato di xenofobia.

F.G. Potrebbe trattarsi di una strategia dei globalisti finalizzata a svuotare delle proprie generazioni giovani il Sud del mondo, ricco di risorse appetite dall’imperialismo?
P.L. Evidentemente. Ma si noti che i Paesi costretti a ricevere queste masse di migranti sono la Grecia e l’Italia. Non è un caso. E si prevede che queste masse aumenteranno man mano che l’Africa viene impoverita e si diffondono altre guerre. Non per nulla gli USA e la NATO hanno intensificato in questi giorni i bombardamenti su Iraq e Siria, mentre si accentua la militarizzazione dell’Africa. Di questi sviluppi Grecia e Italia sono le grandi vittime.

F.G. Siamo tutti figli della civiltà greca. E’ per questo che la Grecia deve essere punita?
P.L. E’ da qualche secolo che ci si vendica della nostra civiltà. Poi, per le élite euro-atlantiche punire la Grecia alla vista di tutti gli altri ha lo scopo di fornire un esempio. Se voi non accettate incondizionatamente l’impero, sarete puniti come i Greci. Ma potrebbe anche succedere che la Grecia si riveli il tallone d’Achille di questo progetto.

F.G. Anche qui per certe finte sinistre del neoliberismo globalista la parola sovranità è diventata reazionaria e sovranismo sinonimo di destra?
Grigoriou Panagiotis (antropologo, sociologo, economista, giornalista, autore di Asimmetrie sulla vicenda UE-Grecia) Posso solo dirti che il governo Tsipras ha ceduto controllo e sovranità del Paese, compresi i beni pubblici, ai creditori, titolari di un debito sistematicamente creato da dominanti esterni e complici interni. E questo per 99 anni. Si è perso il 40% dell’industria, il 40% del commercio, il 30% del turismo, tutti i porti, tutti gli aeroporti. Il 30% dei greci sono esclusi dalla sanità pubblica e al 30% è anche la disoccupazione reale. Per un po’ si è ricevuta un’indennità di 450 euro, poi più niente. Tutto questo si chiama effetto Europa, effetto euro. L’ingresso della Grecia nell’UE e nell’euro ha comportato il progressivo smantellamento della nostra economia produttrice. Importiamo addirittura gran parte dei nostri viveri. E’ una condizione di totale dipendenza. Non c’è patria, non c’è autodeterminazione e, ora con il vicino slavo titolato “Macedonia del Nord”, non ci sono più neppure gli spazi e confini della nazione greca. Un processo che interessava a UE e NATO che ora possono incorporare anche Skopje.

F.G. Come e più dell’Italia questo massacro sociale ed economico è stata aggravato dall’afflusso di decine di migliaia di migranti da Siria e altri Paesi.
G.P. Un gravame terribile, insostenibile e sicuramente non innocente da parte della Turchia e di coloro che hanno messo queste persone in condizione di dover fuggire. E’ sconcertante come a questi profughi sia garantita, giustamente, un minimo di copertura sociale, mentre a milioni di Greci è stata tolta. Le ONG straniere sollecitano l’immigrazione, per esempio affittando abitazioni a basso prezzo e riempiendole di migranti, cui pagano anche elettricità, gas e acqua. Migliaia di Greci rimangono senza casa e senza niente.

F.G. Stavo filmando un gruppo di persone dell’OIM (Organizzazione Internazionale Migranti), un organismo a metà tra ONU e privati. Non gradivano essere ripresi. Poi mi è piombato addosso un arcigno poliziotto che mi ha intimato di cancellare quelle riprese, se no mi avrebbe addirittura arrestato. Cosa significa tutto questo?
G.P. Non appena si affrontano queste cose si viene accusati di razzismo. Qui abbiamo una strategia contro certi Paesi del Sud. Da un lato la gente viene indotta a lasciare casa sua dalla violenza o dalla miseria importate a forza; dall’altro, chi li riceve non deve sentirsi più padrone a casa sua. Tanto meno, in quanto forze ed enti esterni assumono il controllo della tua economia nazionale. E qui, a difenderla, sei tacciato di nazionalismo. I Greci pensano a ragione di aver perduto la loro sovranità. E’ come essere sotto occupazione. Di nuovo un’occupazione tedesca. Pensa che in tutti i settori dello Stato ci sono dei controllori della Troika! Ricevono i ministri all’Hotel Hilton. Della Costituzione non c’è più traccia e neppure i diritti fondamentali del lavoro sanciti dall’UE sono rispettati.

F.G. Perché si impedisce di filmare migranti e chi se ne occupa? Cosa si vuole nascondere?
G.P. Il fatto è che altri decidono sulle sorti del tuo Paese e che devi fare o non fare quello che vogliono loro. Sempre di più la vicenda dei migranti, come in Italia, diventa un segreto. Un segreto delle ONG e dei loro finanziamenti occulti o, comunque, finalizzati a fargli assumere un ruolo che non è il loro e che sottrae prerogative allo Stato nazionale, uno Stato che non è più padrone delle proprie frontiere, del proprio territorio, delle persone che vuole o può accogliere. Tutte queste decisioni sono prese altrove, con le ONG che gestiscono un fenomeno, in effetti nella piena illegalità, dato che non esiste un quadro giuridico entro il quale farle agire. A cosa ti fa pensare un Paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa, Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne sono la rovina definitiva? Dobbiamo integrare chi non lo vorrebbe quando dalla nostra comunità nazionale, costituzionale, espelliamo tre quarti dei Greci? A cosa ti fa pensare un Paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa, Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne sono la rovina definitiva?

F.G. All’Italia.

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