La polizia antiterrorismo britannica ha arrestato il giornalista Kit Klarenberg al suo arrivo all’aeroporto londinese di Luton e lo ha sottoposto a un lungo interrogatorio sulle sue opinioni politiche e sui reportage per The Grayzone.
Non appena il giornalista Kit Klarenberg, che vive in Serbia, è atterrato nel suo Paese d’origine, la Gran Bretagna, il 17 maggio 2023, sei anonimi agenti dell’antiterrorismo in borghese lo hanno arrestato. Lo hanno rapidamente scortato in una stanza sul retro, dove lo hanno interrogato per oltre cinque ore sui suoi rapporti con la testata. Hanno anche chiesto la sua opinione personale su tutto, dall’attuale leadership politica britannica all’invasione russa dell’Ucraina.
Ad un certo punto, gli interrogatori di Klarenberg hanno chiesto di sapere se The Grayzone avesse un accordo speciale con l’Ufficio federale di sicurezza russo (FSB) per pubblicare materiale hackerato.
Durante la detenzione di Klarenberg, la polizia ha sequestrato i dispositivi elettronici e le schede SD del giornalista, gli ha preso le impronte digitali, ha preso i tamponi del DNA e lo ha fotografato intensamente. Hanno minacciato di arrestarlo se non si fosse conformato.
L’interrogatorio di Klarenberg sembra essere il modo di rappresaglia di Londra per i reportage di successo del giornalista che denunciano i principali intrighi dell’intelligence britannica e statunitense. Solo nell’ultimo anno, Klarenberg ha rivelato come una cabala di intransigenti Tory abbia violato l’Official Secrets Act per sfruttare la Brexit e insediare Boris Johnson come Primo Ministro. Nell’ottobre 2022, ha guadagnato titoli internazionali con la sua denuncia dei piani britannici di bombardare il ponte di Kerch che collega la Crimea alla Federazione Russa. Poi è arrivato il suo rapporto sul reclutamento da parte della CIA di due dei dirottatori dell’11 settembre.
Tra le rivelazioni più importanti di Klarenberg c’era il suo rapporto del giugno 2022 che smascherava il giornalista britannico Paul Mason come un collaboratore dell’apparato di sicurezza del Regno Unito determinato a distruggere The Grayzone, altri media e accademici e attivisti critici del ruolo della NATO in Ucraina.
Le autorità britanniche non hanno arrestato Klarenberg per alcuna violazione legale, ma perché ha riportato storie fattuali che hanno esposto le violazioni del diritto interno e internazionale da parte dello Stato di sicurezza nazionale, nonché le trame maligne dei suoi lacchè dei media. Una settimana dopo aver rilasciato Klarenberg dalla detenzione, la polizia ha restituito il suo tablet con nastro adesivo sulle telecamere, insieme a due schede di memoria. La polizia ha conservato una vecchia scheda SD, contenente principalmente musica, perché potrebbe essere “rilevante per procedimenti penali”.
Laura Ruggeri
Come la NATO ha sedotto la Sinistra europea
Il movimento contro la guerra si è ridotto a circo progressista,
di Lily Lynch, scrittrice e giornalista che vive a Belgrado, per Unherd, 16 Maggio 2023
Nel gennaio 2018, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg tenne una conferenza stampa senza precedenti con Angelina Jolie. Mentre InStyle riportava che Jolie “era vestita con un tubino nero con le spalle scoperte, una mantellina abbinata e classiche decolleté (anche nere)”, c’era uno scopo più profondo in questo incontro: la violenza sessuale in guerra. La coppia aveva da poco scritto insieme un pezzo per il Guardian dal titolo “Perché la NATO deve difendere i diritti delle donne”. Il tempismo era significativo. Al culmine del movimento “MeToo”, l’alleanza militare più potente del mondo era diventata un’alleata femminista. “Porre fine alla violenza di genere è una questione vitale di pace e sicurezza, nonché di giustizia sociale”, scrivevano. “La NATO può essere un leader in questo sforzo.”
Questo è stato un volto nuovo e progressista per la NATO, lo stesso che ha da quando lo usò per sedurre gran parte della Sinistra europea. In precedenza, nei Paesi nordici, gli atlantisti hanno dovuto vendere la guerra e il militarismo ad un pubblico in gran misura pacifista. Ciò si ottenne in parte presentando la NATO non come un’alleanza militare rapace ed a favore della guerra, ma come un’alleanza di pace illuminata e “progressista”. Come Timothy Garton Ash effondeva sul Guardian nel 2002, “La NATO è diventata un movimento europeo per la pace” dove è possibile guardare ”John Lennon che incontra George Bush”. Oggi, al contrario, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina su vasta scala, Svezia e Finlandia hanno abbandonato le loro tradizioni di lunga data di neutralità e hanno optato per l’adesione. La NATO è rappresentata come un’alleanza militare — e l’Ucraina una guerra — che anche gli ex pacifisti possono sostenere. Tutti i suoi sostenitori sembrano cantare “Dai alla guerra una possibilità” [parafrasano il “Give peace a chance” di Lennon – n.d.c.].
La campagna di Angelina Jolie segnò una svolta drammatica in ciò che Katharine A. M. Wright e Annika Bergman Rosamond chiamano “la narrativa strategica della NATO” in diverse modalità. In primo luogo, l’Alleanza ha abbracciato lo status delle celebrità per la prima volta, permeando il suo marchio insignificante con il glamour e la bellezza d’élite. Lo status di celebrità della Jolie ha fatto sì che le immagini seducenti dell’evento raggiungessero un pubblico apolitico con poca conoscenza della NATO. In secondo luogo, la partnership sembrava inaugurare un’era in cui i diritti delle donne, la violenza di genere e il femminismo avrebbero assunto un ruolo più importante nella retorica della NATO. Da allora, e soprattutto negli ultimi dodici mesi, leader femminili telegeniche come il primo ministro finlandese, Sanna Marin, il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, e il primo ministro estone, Kaja Kallas, hanno servito sempre più come portavoce del militarismo illuminato in Europa. L’Alleanza ha anche intensificato il suo impegno con la cultura popolare, le nuove tecnologie e gli influencer giovanili.
Naturalmente, la NATO è sempre stata attenta alle pubbliche relazioni ed a lungo ha coinvolto la cultura, l’intrattenimento e le arti. Chi potrebbe dimenticare l’album del 1999 Distant Early Warning del duo elettronico Icebreaker International, registrato con il finanziamento della defunta “NATOarts” ed ispirato dalle stazioni radar lungo l’Alaska e la periferia settentrionale del Canada costruite per avvisare la NATO di un attacco nucleare sovietico in arrivo? O il film del 2007 HQ, prodotto dalla divisione diplomazia pubblica della NATO, che descrive la vita all’interno dell’Alleanza ed una finta risposta diplomatica ad una crisi nello Stato immaginario di Seismania? Risulta quasi tutti. Ma ciò che rende così efficace la svolta strategica più recente della NATO è che ha riecheggiato con successo le tradizioni e le identità locali progressiste dei Paesi candidati.
Nessun partito politico in Europa esemplifica meglio il passaggio dal pacifismo militante all’ardente atlantismo pro-guerra dei Verdi tedeschi. La maggior parte dei Verdi in origine aveva assunto posizioni radicali durante le proteste studentesche del 1968; molti avevano manifestato contro le guerre americane. I primi Verdi sostenevano il ritiro della Germania Ovest dalla NATO. Ma quando i membri fondatori entrarono nella mezza età, cominciarono ad apparire nel partito incrinature che un giorno lo avrebbero fatto a pezzi. Due gruppi cominciarono a fondersi: i “Realos” erano i Verdi moderati, pragmatici politicamente. I “Fundis” erano il gruppo radicale e intransigente; volevano che il partito rimanesse fedele ai suoi valori fondamentali, qualunque cosa accadesse.
Prevedibilmente, il gruppo dei Fundis credeva che la pace europea sarebbe stata meglio servita dal ritiro della Germania Ovest dall’Alleanza e tendeva a favorire la neutralità militare. Nel frattempo, il gruppo dei Realos credeva che la Germania Occidentale avesse bisogno della NATO. Sostennero persino che il ritiro da essa avrebbe significato il ritorno delle questioni di sicurezza per la Germania e avrebbe rischiato di riaccendere il nazionalismo militarista. La loro NATO era un’alleanza post-nazionale cosmopolita, che parlava numerose lingue e sventolava una moltitudine di bandiere, proteggendo l’Europa dagli impulsi più distruttivi della Germania. Ma l’adesione alla NATO in fin dei conti era solo una cosa. La Germania che torna in guerra -il più proibito dei tabù dopo la Seconda Guerra mondiale- era tutt’altra questione.
Il Kosovo cambiò tutto. Nel 1999 – il 50° anniversario della fondazione della NATO — l’Alleanza cominciò quella che l’accademico Merje Kuus ha definito una “metamorfosi discorsiva”. Dalla semplice alleanza difensiva che era durante la Guerra Fredda, stava diventando un patto militare attivo che si occupava di diffondere e difendere valori come i diritti umani, la democrazia, la pace e la libertà ben oltre i confini dei suoi Stati membri. Il bombardamento NATO di 78 giorni di ciò che rimaneva della Jugoslavia, ufficialmente per fermare i crimini di guerra commessi dalle forze di sicurezza serbe in Kosovo, avrebbe trasformato per sempre i Verdi tedeschi.
In un caotico congresso del partito a maggio del 1999 a Bielefeld, i gruppi Realos e Fundis combatterono aspramente per stabilire la linea del partito sul bombardamento della NATO nell’ex Jugoslavia. Il ministro degli Esteri verde Joschka Fischer, la personalità più importante all’interno del gruppo Realos, sosteneva la guerra della NATO; per questo, i partecipanti al congresso lo presero di mira con della vernice rossa. La proposta del gruppo dei Fundis richiedeva una cessazione incondizionata dei bombardamenti, che avrebbe significato anche il crollo del governo di coalizione composto dai Verdi e dai socialdemocratici (SDP).
La proposta di pace fallì, schiacciando la fazione del partito contro la guerra, che avrebbe lasciato in massa i Verdi. Invece, la risoluzione moderata del gruppo dei Realos trionfò con ampio margine. Dopo una breve pausa, fu permesso di continuare il bombardamento della Jugoslavia. Con il supporto cruciale dei Verdi, gli aerei della Luftwaffe effettuarono alcune sortite sui cieli sopra Belgrado, 58 anni dopo il loro ultimo bombardamento aereo della capitale serba. Fu la prima operazione militare tedesca intrapresa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.
Dopo l’inizio della guerra su vasta scala in Ucraina, il ministro degli Esteri dei Verdi tedeschi Annalena Baerbock ha continuato nella tradizione di Fischer, rimproverando i Paesi con tradizioni di neutralità militare e implorandoli di aderire alla NATO. Ella ha invocato la posizione di Desmond Tutu: “Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto la parte dell’oppressore”. E i Verdi hanno fatto da ventriloquo persino ai loro membri morti, tra cui Petra Kelly, un’icona contro la guerra e da lungo tempo sostenitrice del non allineamento, che morì nel 1992.
L’anno scorso, la co-fondatrice dei Verdi Eva Quistorp scrisse una lettera immaginaria a Petra Kelly sul giornale FAZ. La lettera prende a prestito le posizioni morali di Kelly e le inverte per giustificare l’abbraccio dei Verdi alla guerra. Quistorp vuole farci pensare che se Kelly fosse viva oggi, sarebbe stata una sostenitrice della NATO. Rivolgendosi a Kelly, morta da tempo, Quistorp afferma: “Scommetto che urleresti che il pacifismo radicale rende possibile il ricatto”.
All’inizio di quest’anno, il Ministero federale degli Esteri tedesco ha lanciato anche una nuova “Politica estera femminista”, l’ultima di diversi ministeri degli Esteri europei ad averlo fatto. Questo nuovo orientamento, adottato anche da Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna, dipinge il militarismo cosmopolita con una finta lucentezza femminista radicale, aprendo l’ambito della guerra e della sicurezza alle attiviste per i diritti delle donne. Le leader femministe senza fronzoli sono rappresentate come l’alternativa ideale agli “uomini forti” autoritari.
La Svezia è stato il primo Paese ad adottare tale politica nel 2014, permettendole di proiettare il suo femminismo statale di lunga data all’estero e di assumere un nuovo atteggiamento morale nell’arena internazionale. A livello nazionale, c’erano storie atlantiste positive nelle riviste femminili. Nella sezione ”Mama” del quotidiano svedese Expressen, rivolta alle lettrici, un’intervista con Angelina Jolie enfatizzava che la NATO può proteggere le donne dalla violenza sessuale in guerra. La Jolie poneva enfasi anche sul fatto che c’è poca differenza tra gli operatori umanitari e i soldati della NATO, poiché “si stanno impegnando per raggiungere lo stesso obiettivo: la pace”.
L’accademica Merje Kuus ha scritto che l’allargamento della NATO implica “una duplice strategia di legittimazione”. In primo luogo, la NATO è resa ordinaria ed insignificante, mediocre e quotidiana, e in secondo luogo, è descritta come al di sopra di ogni rimprovero, vitale, un bene morale assoluto. L’effetto di questo, dice, è la simultanea banalizzazione e glorificazione della NATO: diventa così blandamente burocratica che è al di sotto del dibattito, e così “esistenziale ed essenziale”, che è al di sopra del dibattito.
E questa strategia di legittimazione è stata evidente nel dibattito limitato e strettamente controllato sull’integrazione euro-atlantica nei Paesi nordici, nessuno dei quali ha tenuto referendum sull’adesione. Dopo decenni di resistenza popolare all’Alleanza, la NATO, a quanto sembra, è al di sopra della democrazia. Ma come scrive Kuus, ciò non significa che la NATO sia stata imposta ad una società. L’obiettivo è invece “integrarla nell’intrattenimento, nell’educazione e nella vita civile più in generale”.
La prova di questo è ovunque. A febbraio, la NATO ha tenuto il suo primissimo evento video ludico. Un giovane dipendente dell’Alleanza si collegò al popolare utente di Twitch [piattaforma video ludica di Amazon – n.d.c.] ZeRoyalViking, per suonare “Fra di noi” e chiacchierare casualmente sul pericolo che la disinformazione pone alla democrazia.
Con loro c’era una alpinista influencer ed attivista ambientale di nome Caroline Gleich. Mentre i loro avatar astronauti navigavano come un cartone animato spaziale, parlavano della NATO in termini entusiastici. Alla fine dell’evento, lo streaming si era trasformato in uno sforzo di reclutamento: il dipendente dell’Alleanza parlò dei vantaggi del suo lavoro e incoraggiò gli spettatori a cercare il sito internet della NATO per le opportunità di lavoro in settori come la progettazione grafica e il montaggio video.
L’evento faceva parte della campagna della NATO “Proteggere il Futuro”. Quest’anno includeva un concorso sui fumetti per giovani artisti. L’Alleanza corteggiò decine di influencer con grandi seguiti su Tik Tok, YouTube ed Instagram, e li portò alla sede centrale di Bruxelles. Altri influencer furono inviati al Vertice NATO dello scorso anno a Madrid, dove fu chiesto loro di creare contenuti per il loro pubblico.
La Sinistra europea è stata ammaliata da questo spettacolo. Seguendo il percorso intrapreso dai Verdi tedeschi, i principali partiti di sinistra hanno abbandonato la neutralità militare e l’opposizione alla guerra e ora sostengono la NATO. Si tratta di un’inversione sbalorditiva. Durante la Guerra Fredda, la Sinistra europea organizzava proteste di massa con milioni di partecipanti contro il militarismo guidato dagli Stati Uniti e contro il dispiegamento della NATO di missili Pershing-II e Cruise in Europa.
Oggi, rimane poco più della svuotata retorica radicale. Con quasi nessuna opposizione alla NATO rimasta in Europa, e l’insidiosa espansione dell’Alleanza oltre l’area euro-atlantica, la sua egemonia è ora quasi assoluta.
[Traduzione a cura della redazione]
Fobie
A lingue unificate
Idioti
“I nostri valori”
Le vie dei Signori sono infinite
Ucraina, le bare dei mercenari uccisi usate per il traffico di droga
Questa notizia non ve la darà nessuno anche se è quella che sta circolando nel resto del mondo. Non verrà data nemmeno come “voce” perché essa rappresenta in maniera icastica come si diceva un tempo, prima che tutto fosse sostituito da wow, vocabolo simbolo della stupidità contemporanea, la cattiva coscienza dell’occidente, la scomparsa di qualsiasi etica e confutazione della retorica della guerra: le bare con cui tornano in patria i mercenari della NATO vengono utilizzate per il traffico di droga. Il 14 aprile scorso la bara che trasportava i resti di un mercenario polacco è stata accidentalmente danneggiata durante il trasporto ed è stata perciò sostituita, ma durante l’operazione si è visto che assieme ai resti del mercenario c’era anche un carico di 30 chili di droga confezionata in sacchetti sigillati. Qualche giorno dopo dentro un container che trasportava i corpi di contractor inglesi è stata rinvenuta altra droga in quantità ancora maggiore. È diventato chiaro che esiste uno schema consolidato per il trasferimento di droga dall’Ucraina alla Polonia e da lì all’Europa. E l’impresa di pompe funebri ucraina che trasporta le salme dei mercenari è di fatto un “hub” attraverso il quale le sostanze stupefacenti vengono trasportare alle “filiali” di tutta il continente. Lì, la droga viene recuperata per arrivare ai mercati locali.
Vari tipi di droga sono prodotti in laboratori sul territorio dell’Ucraina visto che l’esercito fa grande uso di questa sostanze per trasformare i soldati in truppe kamikaze e vengono tenute solitamente nei magazzini dove sono stipale trovano le armi americane, cosa che di certo non può stupire visto che il commercio di droga è l’attività bellica di maggior successo delle truppa USA dovunque esse operino. Poi viene imballata nelle bare dei mercenari morti che sono ormai moltissimi e spedito in tutto il continente: il circuito è affidabile, i container con i corpi solo rarissimamente vengono sottoposte a ispezioni sommarie e viaggiano a velocità sostenuta, la stessa riservata ai trasporti delle munizioni, quindi è difficile che il traffico venga scoperto se non per eventi casuali come appunto è accaduto per la bara danneggiata. Scoperto si fa per dire visto che l’Ucraina e la Polonia, protagoniste principali di questo traffico , stanno facendo di tutto per mettere a tacere questo scandalo e impedire che la notizia si diffonda visto che addenserebbe ulteriori ombre su questa guerra santa. Particolarmente attivo su questo fronte è e il controspionaggio polacco SKE (Służba Kontrwywiadu Wojskowego) che deve evitare qualunque scetticismo della popolazione in merito alla scellerata opera del governo di Varsavia che nel tentativo di impadronirsi del territorio ucraino di Leopoli non si ferma nemmeno di fronte alla possibilità di nuclearizzazione del conflitto. Tuttavia è proprio dalla SKE che sono arrivate le indiscrezioni sulla droga trovata nelle bare, segno che c’è qualche resistenza ai sogni bagnati del governo.
Inoltre una notizia del genere sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso nel momento in cui la perdita di Artemovsk sarà definitiva e non si potrà più nascondere la sconfitta con resistenza suicida delle truppe in pochi quartieri. L’ ennesima sconfitta provocherà un terremoto a Kiev e Zelensky non può illudersi di controbilanciare questo con l’annuncio di attacchi terroristici in territorio russo anche perché questo darebbe a Mosca il destro di distruggere completamente le infrastrutture del Paese, cosa che finora ha tentato di evitare. Ormai è chiaro che il fronte NATO è nella più grande confusione resa ancora peggiore dall’aver incautamente pompato la mitica controffensiva che probabilmente nemmeno ci sarà. Quindi figuriamoci se arrivasse la notizia che i caduti occidentali in questa guerra servono come via della droga: sarebbe come evidenziare simbolicamente tutto il marcio che c’è dietro questo conflitto, ideato, finanziato e armato dalla NATO. I cui capi sono probabilmente i primi consumatori delle sostanze che arrivano nelle bare.
Lei è Giorgia
Concluse le indagini della Russia sui biolaboratori USA
Secondo la commissione parlamentare d’inchiesta russa, Washington starebbe lavorando per creare un’arma biologica geneticamente progettata a livello “universale”.
Di Lucas Leiroz (giornalista, ricercatore presso il Center for Geostrategic Studies, consulente geopolitico) per South Front, 18 aprile 2023
Finalmente, è stata completata l’indagine russa sulle attività biologiche americane sul suolo ucraino. Una commissione parlamentare speciale era stata formata per analizzare attentamente le prove di crimini come la produzione di armi biologiche in biolaboratori militari trovati e neutralizzati dalle forze armate russe. Il gruppo parlamentare ha lavorato in collaborazione con esperti legati alle truppe di difesa radioattiva, chimica e biologica della Russia per oltre un anno. I risultati indicano che in realtà Washington mantiene attività bio-militari illegali.
Gli investigatori hanno fatto notare che gli Stati Uniti starebbero lavorando per la creazione di una sorta di “arma biologica universale”, geneticamente modificata per causare gravi danni, paragonabili a quelli di un “inverno nucleare”. I dati raccolti dai Russi indicano che Washington prevede di sviluppare armi in grado di danneggiare non solo i soldati nemici in uno scenario di guerra, ma anche gli animali e persino le coltivazioni agricole. Con questo, l’obiettivo sarebbe quello di distruggere completamente il Paese colpito dalla proliferazione di questi agenti patogeni, colpendo anche la popolazione civile, la sicurezza alimentare e l’ambiente.
In pratica, l’uso segreto e anticipato di questo tipo di arma garantirebbe alle forze americane un vantaggio strategico virtualmente insuperabile in qualsiasi scenario di conflitto, rendendo impossibile ai nemici sconfiggere le forze americane a causa di ragioni non militari. Gli investigatori hanno chiarito che il possesso di questo tipo di arma cambierebbe completamente la natura contemporanea dei conflitti armati, fattore che genera una vasta lista di preoccupazioni militari, legali e umanitarie.
“Gli Stati Uniti mirano a sviluppare un’arma biologica progettata geneticamente a livello universale in grado di infettare non solo le persone, ma anche gli animali e le coltivazioni agricole. Il suo uso implica, tra le altre cose, l’obiettivo di infliggere danni economici su larga scala e irreparabili al nemico (…) L’uso segreto e mirato di tale arma in previsione di un inevitabile confronto militare diretto potrebbe creare un vantaggio significativo per le forze statunitensi sull’avversario, anche contro coloro che possiedono altri tipi di armi di distruzione di massa (…) Il possesso di armi biologiche così altamente efficaci crea, secondo il punto di vista dell’esercito statunitense, i veri prerequisiti per cambiare la natura dei conflitti armati contemporanei”, afferma il rapporto.
Gli scienziati, comunque, hanno posto enfasi sul fatto che l’esistenza di questo progetto americano non diminuisce la gravità dell’uso di armi biologiche convenzionali, come “il vaiolo, l’antrace, la tularemia e la peste, che possono essere modificati per migliorare le loro proprietà mortali. A questo si aggiunge l’oggettiva difficoltà nel determinare la vera causa delle epidemie di malattie infettive, che possono essere sia naturali che artificiali”. Pertanto, vi è un numero considerevole di rischi da monitorare e controllare simultaneamente.
Sebbene molti biolaboratori siano stati neutralizzati o distrutti a causa dell’operazione militare speciale ai confini russi, il programma bio-militare americano rimane attivo, con diversi laboratori in tutto il mondo che operano ricerche avanzate al fine di sviluppare tali armi. Ci sono anche alcuni rapporti recenti che affermano che gli Stati Uniti tuttora svolgano tali attività sul suolo ucraino, nelle regioni occupate dal regime neonazista.
Il comitato d’indagine russo spiega come questi programmi siano un’eredità fascista degli Stati Uniti. Molti scienziati dell’Asse furono catturati durante la Seconda Guerra Mondiale e, invece di essere arrestati e puniti, ricevettero posizioni dal governo degli Stati Uniti in programmi segreti per sviluppare ricerche militari scientifiche avanzate. Come risultato, Washington creò uno dei sistemi di ricerca militare più complessi al mondo, sostenuto da scienziati tedeschi e giapponesi che stavano già studiando tali argomenti durante gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
I ricercatori russi menzionano anche il fatto che l’assenza di una regolamentazione internazionale chiara e avanzata su tali questioni aumenta la capacità americana di agire all’estero producendo e diffondendo terrore biologico. Usando argomenti umanitari, sanitari e scientifici per sviluppare la ricerca, le forze armate americane e le aziende legate al governo costruiscono laboratori in cui vengono svolte tali attività illegali.
“La mancanza di controllo internazionale su tale lavoro offre agli Stati Uniti l’opportunità di agire in altri Paesi senza essere limitati da norme morali e legali e principi umanitari, e di ignorare le richieste del pubblico”, hanno aggiunto gli investigatori.
Infine, gli scienziati raccomandano che la questione biologica sia trattata dalle autorità russe come una questione di importanza centrale nell’agenda della difesa e della sicurezza. E’ urgente creare misure efficienti per la rilevazione di agenti patogeni geneticamente modificati, così come per la diagnosi precoce, il trattamento e la prevenzione delle malattie causate da questi agenti. La relazione propone la creazione di un “meccanismo di controllo” per la ricerca nel campo della biotecnologia e della biologia sintetica come mezzo per raggiungere una soluzione al problema.
In effetti, la Russia ha avvertito da tanto tempo del grave problema delle armi biologiche del Pentagono. L’argomento è stato ignorato dai Paesi occidentali e dalle organizzazioni internazionali, che sembrano non comprendere il livello di pericolosità generato da questo tipo di atteggiamento. Lo sviluppo di armi biologiche dovrebbe essere indagato e prontamente condannato da tutti i Paesi, anche quelli che hanno buone relazioni con gli Stati Uniti, poiché ciò pone un rischio esistenziale per molte persone.
Inoltre, il caso richiede ancora più attenzione dopo le indagini che evidenziano lo sforzo di creare nuovi agenti patogeni, in grado di infettare e danneggiare esseri umani, animali e piante, mirando all’annientamento totale di un Paese e della sua popolazione. Pertanto, è urgente che vengano fatte discussioni e prese misure alle Nazioni Unite, prima che tali armi inizino ad essere usate sul campo di battaglia, generando un livello inedito di violenza e dannosità.
[Traduzione a cura della redazione]
Per una nuova Liberazione
Burro o cannoni?
Il 14 aprile 2023 è passato dalla stazione di Udine un lungo convoglio con obici semoventi italiani inviati in Ucraina per decisione del governo italiano. Quanti erano? Gli esperti dicono 20 o 30. Intanto, tutti hanno una unico scopo: uccidere e distruggere.
Un viaggiatore sulla banchina della stazione di Udine ha filmati gli obici semoventi con il proprio cellulare.
PeaceLink ha usato il video per realizzare il clip che vedete qui, “Burro o cannoni” (durata: meno di un minuto).
Ma lasciamo stare il burro. I soldi per costruire i cannoni che vedete nel video, se usati invece per la sanità o per la scuola o per la viabilità, basterebbero per costruire diverse aule scolastiche o reparti ospedalieri oppure per sistemare tutte le strade e tutti i marciapiedi di diversi municipi. E stiamo parlando di un solo convoglio, in un solo giorno, di un solo tipo di arma. Quante ce ne sono stati dal febbraio 2022?
NOTA SULL’AUTENTICITA’ DEL VIDEO:
Questo video è stato messo su Youtube da PeaceLink ed è diventato virale: uno scoop. Ma i giornali mainstream (ad es. Corriere della Sera) hanno preso le distanze; Repubblica ha telefonato alla redazione PeaceLink per dire: “Attenzione, è una bufala, un vecchio filmato, vedi come è sgranato?” In realtà, la versione YouTube è leggermente sgranato perché la redazione di PeaceLink l’aveva postato deliberatamente in bassa risoluzione per poter essere più facilmente visionato sui social. Invece il link qui sopra fa vedere l’originale.
Ieri il Ministero della Difesa ha confermato l’invio degli obici semoventi italiani in Ucraina, passando per la stazione di Udine.
Ci sarà il silenzio assoluto
Il processo a Julian Assange
Uno stupratore, un terrorista e una spia che ha sulle mani il sangue di innocenti. Con queste pesantissime accuse Julian Assange – giornalista che con la sua organizzazione WikiLeaks ha rivelato al mondo le prove di crimini di guerra, torture e altri sporchi segreti dei potenti – da oltre un decennio è al centro di una feroce e sistematica persecuzione politica: indagato in Svezia per stupro e negli Stati Uniti per spionaggio, rifugiato per sette anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, dal 2019 Assange è rinchiuso nel famigerato carcere di massima sicurezza di Belmarsh, la Guantánamo britannica, in attesa della decisione sull’estradizione richiesta dagli Stati Uniti, dove l’attivista australiano rischia fino a 175 anni di carcere.
In questo libro appassionante e inquietante Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, presenta i risultati della sua rigorosa indagine sul caso Assange, documentando nei dettagli come i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Svezia ed Ecuador abbiano messo illegalmente a tacere il fondatore di WikiLeaks. Le sue rivelazioni sono esplosive: Assange ha dovuto affrontare gravi violazioni del diritto a un giusto processo, prove manipolate, tortura psicologica, sorveglianza costante, diffamazioni e intimidazioni. Un vero e proprio calvario che Daniel Ellsberg, whistleblower dei Pentagon Papers, ha definito “lo scandalo giudiziario del secolo”.
«La persecuzione spietata a cui è stato sottoposto Julian Assange e il tradimento vergognoso della giustizia e dei diritti umani dimostrato da tutti i governi coinvolti sono più che indecenti: minano a fondo la credibilità, l’integrità e la sostenibilità della democrazia occidentale e dello Stato di diritto. La persecuzione di Assange stabilisce un precedente che non solo consentirà ai potenti di tenere segreti i loro crimini, ma renderà persino perseguibile per legge la rivelazione di quei crimini. Nel momento in cui dire la verità sarà diventato un crimine, vivremo tutti nella tirannia».
I falsi profeti
Regolarmente mi ritrovo a dover ripetere, con ironia se sono di buon umore, che i Paesi considerati avversari dalla dottrina statunitense sono soggetti ad un’incessante demonizzazione. A questo scopo esiste un intero apparato, con articolazioni regionali, che produce e distribuisce su scala industriale fake news, revisionismo storico e analisi pseudo accademiche per manipolare l’opinione pubblica. Questo apparato si avvale dell’aiuto e della cooperazione di tutte le piattaforme che controlla. E non si tratta solo di quelle ufficiali – agenzie di stampa, media tradizionali e social media, motori di ricerca, centri studi, ecc. – un numero sempre crescente di influencer e canali della cosiddetta controinformazione vengono arruolati per creare confusione e paura, ed impedire così l’esercizio delle più elementari facoltà’ di giudizio. Chiaramente usano il linguaggio del loro pubblico di riferimento e creano narrazioni compatibili con quelle già sedimentate nelle coscienze di chi legge o ascolta. All’alt-right e ai libertari viene spacciato come nemico soprattutto la Cina, ai liberal progressisti soprattutto la Russia, ma si assiste anche ad un crossover. L’ultima follia che ho sentito, i BRICS vorrebbero imporre una dittatura globalista e schiavizzare l’Occidente “democratico”. Narrazione di chiara matrice anglo-americana, costruita sulla falsa dicotomia “democrazia vs autoritarismo”. Il credito sociale, la dittatura politico-sanitaria-digitale, la transizione finto-ecologica di cui un italiano dovrebbe preoccuparsi vengono imposti da chi ha giurisdizione sull’Italia, non dalla Cina che non ha nessuna giurisdizione sul Paese. Prima di credere alle finzioni che circolano sulla Cina o sulla Russia, ci si dovrebbe preoccupare della realtà che tocca ognuno di noi direttamente. Lo sfruttamento, l’inflazione, l’impatto economico delle sanzioni, l’erosione di diritti un tempo dati per acquisiti, la censura, le follie distopiche e pseudo-progressiste di un’élite finanziaria che si spaccia per guida morale nonostante le sue pratiche criminali, l’ingerenza di organismi sovranazionali e non eletti nella politica del Paese, l’isteria bellicista che ci sta portando dritti nel baratro di una guerra mondiale che rischia di sterminare gran parte della popolazione del pianeta… “Se non state attenti, i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori”, ricordava Malcom X. Prima di cercare nemici fuori dall’Occidente, occupiamoci di quelli che hanno rubato le nostre chiavi di casa.
Laura Ruggeri
La guerra mediatica occidentale cancella la verità
Ecco come i media hanno manipolato il discorso della principessa Vittoria Alliata a Mosca
Di Piero Messina per Southfront, 29 marzo 2023
Ci sono guerre che si combattono con le armi, ci sono guerre che si combattono con le armi e con i media. Dal 24 febbraio dell’anno scorso, l’Occidente ha dichiarato una guerra mediatica totale contro la Russia. Ogni voce libera viene repressa, ogni dissenso viene ridicolizzato. In Europa e negli Stati Uniti è quasi vietato non essere contro Putin.
Da oltre un anno, la macchina dell’informazione globale ha costruito una narrazione unificata, identificando il conflitto tra Russia e Ucraina come una guerra tra il bene e il male. Non si possono avere dubbi, perché i dubbi non sono ammessi. La Russia è il male e deve essere distrutta. Amen.
In questa guerra asimmetrica, tra le armi a disposizione dell’Occidente, i media mainstream sono il dispositivo più letale: perché sono uno strumento che manipola le coscienze, cambia la narrazione, cancella la storia e la riscrive. Dieci anni di repressione della popolazione filorussa del Donbass da parte del governo di Kiev sono stati letteralmente cancellati. Non se ne dovrebbe parlare. Quegli eventi non sono mai accaduti e le quasi quarantamila vittime di quella guerra civile non appartengono più alla storia.
A metà marzo si è tenuto a Mosca il primo incontro del Movimento Russofilo. I delegati sono giunti nella capitale russa da 40 Paesi, inclusi gli Stati Uniti d’America. Al dibattito hanno partecipato anche il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova.
Cosa hanno detto i media occidentali di quell’appuntamento che voleva essere un dibattito all’insegna del dialogo e della riflessione politica?
I media occidentali hanno demolito le riflessioni fornite dagli oratori occidentali. I loro discorsi sono stati manipolati, distorti e rielaborati per farli apparire fuori contesto e senza senso. La regola è semplice: chiunque non contesta la Russia e non dica che Putin è pazzo va emarginato.
Tra le “vittime” di questo oblio della verità c’è anche Vittoria Alliata di Villafranca. Scrittrice, giornalista, arabista, Vittoria Alliata ha partecipato all’incontro di Mosca raccontando la sua verità.
I media di tutto il mondo hanno violentato il suo discorso, manipolandolo e cancellando pezzi importanti di storia contemporanea. Dal britannico “The Guardian” ai principali quotidiani italiani, si è fatto a gara per stravolgere il pensiero della raffinata intellettuale italiana.
Ecco cosa aveva realmente detto la principessa di origini siciliane.
“Un anno fa, quando l’insegnamento di Dostoevskij è diventato un problema nelle università italiane e il più grande soprano e direttore d’orchestra viventi al mondo furono costretti a denunciare la loro patria russa od a perdere i loro lavori, ho pensato “Benvenuti a bordo!”. La russofobia è solo l’ultima delle tante fobie costruite appositamente per le moderne formule di colonizzazione. Il suo manifesto può essere considerato il testamento con cui Cecil Rhodes, il fondatore della Rhodesia, stabilì la supremazia degli anglosassoni e il loro diritto a dominare il mondo e a sfruttarne le risorse”.
A Vittoria Alliata viene anche contestato un passaggio del suo discorso relativo al ruolo dell’intelligence e dell’esercito americano nell’aver favorito la mafia siciliana alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Alliata ha pronunciato queste parole: “Vengo dalla Sicilia, un’isola multiculturale del Mediterraneo che è stata – per millenni – crocevia di raffinate civiltà che costruirono un glorioso patrimonio ancora molto vivo. Eppure negli ultimi 70 anni la Sicilia è conosciuta soprattutto per le malefatte di un gruppo criminale, la mafia, riportato in auge dall’esercito americano quando sbarcò sull’isola per liberare l’Europa dal nazismo. È stata la prima ISIS, un’organizzazione terroristica che commette liberamente ogni sorta di abusi e massacri e simula una forte appartenenza religiosa. Nonostante gli eroici siciliani di ogni estrazione sociale l’abbiano combattuta, la grande industria cinematografica ha costruito un’immagine svilente della mia terra, tesa a legittimare la sua occupazione con enormi basi militari che operano in prima linea contro la Russia e il mondo arabo”.
Ma per il mainstream occidentale questo non è vero. Eppure documenti storici e analisi approfondite corroborate anche da indagini giudiziarie hanno stabilito l’esistenza di un preciso legame tra i sistemi criminali mafiosi in Sicilia, l’esercito e l’intelligence statunitense. Un legame che è continuato negli anni, culminando persino in quel periodo storico – gli anni ’60/70 del secolo scorso – che in Italia viene chiamato “strategia della tensione”. Per dare torto a coloro come Vittoria Alliata che vogliono promuovere il dialogo tra Occidente e Russia, la storia, quella vera, deve essere cancellata.
Nel suo discorso al Forum di Mosca, Vittoria Alliata ha anche sottolineato la vera natura della russofobia, paragonando questo sentimento politico alla campagna di demonizzazione del mondo arabo.
“La russofobia non è altro che la post-produzione di un progetto a lungo termine: quello di distruggere la Russia esattamente per le stesse ragioni per cui tanti Paesi arabi sono stati distrutti o sono attualmente sotto attacco, come il Libano. E queste ragioni non sono soltanto il petrolio, la ricchezza e le questioni geostrategiche, ma anche la loro capacità di aderire a vari modelli di società multiculturali tradizionali”.
Vittoria Alliata ha concluso il suo intervento ricordando Daria Dugina, la giornalista uccisa in un attentato terroristico lo scorso anno: “Come l’Occidente ha costruito un’icona di Lady Diana per la sua eleganza e il suo stile, noi dobbiamo fare di Daria Dugina il simbolo di tutte quelle donne che ancora lottano costantemente per il rispetto di un mondo tradizionale multipolare. Dobbiamo dare loro la forza di difendere la loro posizione. Non tutte le donne possono essere un’eroina come Daria Dugina. Ma ogni donna può dare un po’ del suo amore per costruire un mondo migliore”.
Nessun giornale europeo ha dedicato una nota o un ricordo a Daria Dugina. Al contrario, c’è stato un accanimento contro quella donna fatta a pezzi da una bomba criminale. Il più importante quotidiano italiano ha raccontato la storia di quell’attentato con un articolo il cui incipit recitava così: “Tale padre, tale figlia”, con un evidente riferimento al professor Aleksandr Dugin. Nessuna pietà nemmeno di fronte al corpo maciullato di una giovane donna. Così va il mondo.
Traduzione a cura della redazione
Minima moralia
Siccome l’idea di spiccare un mandato di cattura contro Putin è probabilmente l’idea più cretina della storia universale, unitamente all’idea di processarlo per crimini di guerra, cioè di processare per crimini di guerra il presidente in carica di uno Stato che ha diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU e 6000 testate nucleari, abbiamo il problema di rispondere alla domanda: perché? Com’è possibile che l’Unione Europea sia caduta così in basso al punto da farci vergognare tutti? Perché Ursula von der Leyen e Roberta Metsola si umiliano attraverso una produzione così copiosa di idee cretine? La risposta è semplice: per nascondere il fatto di non contare niente. Siccome non contano niente; siccome la Commissione europea è un gruppo di passacarte di Biden; siccome non è in grado di proteggere nemmeno i propri gasdotti bombardati da un Paese alleato, allora cercano di gettare fumo negli occhi con iniziative talmente cretine da far apparire intelligenti persino iniziative come la designazione della Russia come Stato sponsor del terrorismo (respinta pure dagli USA). Ci penseranno poi i propagandisti delle radio e delle televisioni italiane a far passare un’idiozia gigantesca per un’idea intelligente da applaudire. Ecco che cosa intendo dire quando dico che la classe dirigente europea è completamente corrotta in senso paretiano. Ursula von der Leyen appartiene semplicemente a una classe dirigente morta. Era morta ben prima del 24 febbraio 2022, altrimenti gli accordi di Minsk 2 non sarebbero naufragati e l’Ucraina non sarebbe una base della NATO da molti anni. L’invasione della Russia ha semplicemente reso evidente la decomposizione di un corpo che si è spento di nascosto. Quando pensate alla Commissione europea, pensate a un gruppo di falliti politici. Pensate alla Commissione europea come la più grande vergogna della civiltà europea. Pensate a un corpo morto che, essendo pesantissimo, ci porta tutti a fondo.
Forza, Commissione europea, proponi o sostieni un’altra idea cretina.
Facci ridere.
Alessandro Orsini
Liriche di Darya Dugina
I proventi della vendita di questo volume saranno devoluti alle associazioni che sostengono il progetto per la costruzione di un parco giochi per bambini, con attrezzature ludiche e sportive, nella città di Alchevsk (regione di Lugansk) e per l’adozione di bambini orfani del Donbass.
Il testo può essere ordinato qui.
Mandatecelo in Italia a scontare la pena, cosa c’è di peggio per un giornalista?!
Milano, 25 marzo 2023
Modena, 18 marzo 2023
Non guardate il dito
Non guardate ai fallimenti bancari, pensate al blocco produttivo occidentale a seguito delle sanzioni alla Russia, pensate agli Arabi, ai Russi, ai Cinesi che nella primavera del 2022 se ne andarono dalle banche inglesi. Pensate alla Truss, che si dimise per questo motivo, non essendoci più, come ai tempi della Thatcher, la City. Pensate alle banche svizzere, che perdevano capitalizzazioni. Pensate ai BRICS, che nel 2022 superavano di PIL il G7. Pensate ai porti cinesi, bloccati per lockdown, pensate ai lockdown occidentali, che hanno provocato un cortocircuito produttivo mondiale. Pensate al PNRR, tutto fondato su digitale e green, i pacchi del XXI secolo per i quali ci siamo indebitati. Pensate ai convegni di banchieri, politici, industriali, consulenti pagati profumatamente sulla transizione digitale ed ecologica, pensate a me, la cui moglie ha un auto di 20 anni fa e non sappiamo cosa sia Musk. Pensate ai colossi high tech americani, che negli ultimi mesi annunciavano migliaia di licenziamenti. Pensate alla confisca delle riserve valutarie russe, alla conseguente non fiducia mondiale, per il quale si aumentarono i tassi di interesse in USA, UK, UE, con la scusa dell’inflazione che era da offerta. Pensate al servizio del debito dei proletari occidentali a seguito di ciò, all’aumento stratosferico delle bollette a seguito di sanzioni. Insomma, pensate all’imbecillità umana e troverete il famoso Occidente.
Pasquale Cicalese
Cavie nucleari bis
8 marzo 2023
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha controllato i ‘vaccini’ COVID fin dall’inizio nell’ambito di un programma di sicurezza nazionale. Hanno mentito per tutto il tempo – non sono mai stati ‘sicuri ed efficaci’
Nuovi documenti rivelano che il Dipartimento della Difesa ha controllato il programma Covid-19 fin dall’inizio.
Il processo di approvazione del vaccino da parte di FDA era teatro.
Una combinazione di Atto Preparatorio, Autorizzazione all’Uso in Emergenza e Altre Transazioni d’Autorità hanno preservato da ogni responsabilità Big Pharma, agenzie governative ed enti medici che hanno distribuito vaccini non regolamentati.
Secondo la normativa approvata a livello congressuale, la ricerca di leggi attive e ulteriori dettagli ottenuti attraverso il Freedom of Information Act, il Dipartimento della Difesa possiede, implementa e supervisiona il programma del vaccino Covid-19 come “contromisura” agli attacchi stranieri. Mentre l’opinione pubblica veniva bombardata con un’orchestrata campagna propagandistica basata sulla paura, il governo degli Stati Uniti gestiva la risposta al Covid come una minaccia alla sicurezza nazionale.
La ricerca e i documenti sono stati ottenuti da una ex dirigente di una società di ricerca farmaceutica a contratto, Sasha Latypova, e dalla impegnata ricercatrice legale Katherine Watt.
Le Tre Fonti Primarie
L’operazione sotto copertura è stata orchestrata utilizzando tre cruciali procedure legali:
1. Autorizzazione all’Uso in Emergenza,
2. Atto Preparatorio,
3. Altre Transazioni emanate d’Autorità.
Il 13 marzo 2020, il Presidente Trump dichiarò un’Emergenza Sanitaria Pubblica ai sensi dello Stafford Act, ponendo il Consiglio di Sicurezza Nazionale a capo della politica riguardante il Covid. I vaccini Covid-19 sono “contromisure mediche” – una zona grigia di prodotti che non sono regolamentati come vaccini o farmaci.
“Misero il Consiglio di Sicurezza Nazionale al comando e trattarono ciò come un atto di guerra”, ha detto Sasha Latypova.
Secondo i rapporti dell’Operation Warp Speed [una partnership pubblico-privata avviata dal governo degli Stati Uniti e dall’allora presidente Donald Trump, per facilitare ed accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini, terapie e sistemi diagnostici per contrastare il Covid-19 – n.d.c.] e dell’ASPR [acronimo di Administration for Strategic Preparedness and Response, Amministrazione per la Risposta e Prontezza Strategica – n.d.c.], il Dipartimento della Difesa ordinò, supervisionò e gestì in modo rigoroso lo sviluppo, la produzione e la distribuzione delle contromisure riguardanti il Covid, utilizzando principalmente la rete di appaltatori e consorzi militari precedentemente costituita dal Dipartimento.
Il Dipartimento della Difesa, il BARDA [acronimo di Biomedical Advanced Research and Development Authority, Autorità per lo Sviluppo e la Ricerca Avanzata Biomedica – n.d.c.] e l’HHS [acronimo di US Department of Health and Human Services, Dipartimento USA della Salute e dei Servizi Sociali – n.d.c.] ordinarono tutte le contromisure riguardanti il Covid, compresi i “vaccini”, come prototipi dimostrativi di produzione su larga scala, evitando i regolamenti e la trasparenza secondo l’Altra Transazione di Autorità citata. In quanto prototipi utilizzati nell’ambito di un’Autorizzazione all’Uso in Emergenza durante un’Emergenza Sanitaria Pubblica, le contromisure Covid, compresi i “vaccini”, non sono tenute a rispettare le leggi statunitensi in materia di qualità di produzione, sicurezza ed etichettatura.
“L’implicazione è che il governo degli Stati Uniti autorizzò e finanziò il dispiegamento sugli Americani di materiali biologici non conformi senza chiarire il loro status legale di “prototipi”, rendendo i materiali non soggetti alla normale supervisione legale, il tutto mentre mantenevano una fraudolenta pseudo presentazione “regolamentare” al pubblico”, ha detto Sasha Latypova.
“La cosa più incredibile è il fatto che le attuali leggi promulgate dal Congresso degli Stati Uniti sembrano rendere le azioni di occultamento LEGALI!”.
Nello stato di Emergenza Sanitaria Pubblica, le contromisure mediche non sono regolamentate o tutelate come prodotti farmaceutici (21 USC 360bbb-3(k)).
Il popolo americano fu indotto a credere che FDA, CDC e figure di primo piano come Anthony Fauci avessero supervisionato il programma del vaccino Covid-19.
Il loro coinvolgimento fu un’orchestrata operazione di intelligence. Tutte le decisioni riguardanti la ricerca sul vaccino Covid-19, l’acquisizione dei materiali, la distribuzione e la condivisione delle informazioni furono strettamente controllate dal Dipartimento della Difesa.
Sono stati scoperti centinaia di contratti per le contromisure riguardanti il Covid. Molti particolari di essi sono stati oscurati. Tuttavia, Latypova e Watt hanno trovato le fonti per inserire i dettagli mancanti. Un esame di questi contratti indica un elevato grado di controllo da parte del governo statunitense (Dipartimento della Difesa/BARDA). Il contratto specifica l’ambito dei prodotti finali come “dimostrazioni” e “prototipi” solo escludendo le sperimentazioni cliniche ed il controllo di qualità della produzione dall’ambito del lavoro pagato dai contratti. Per garantire che le aziende farmaceutiche fossero libere di condurre le false sperimentazioni cliniche senza rischi finanziari, i contratti comprendono la rimozione di ogni responsabilità per i produttori ed eventuali appaltatori lungo la catena di fornitura e distribuzione ai sensi del PREP Act del 2005 e della correlata legislazione federale [il PREP Act, promulgato nel 2005, autorizza il Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) a rilasciare una Dichiarazione per fornire l’immunità di responsabilità a determinati individui ed enti contro qualsiasi richiesta di risarcimento causata da, derivante da, relativa a o risultante dalla produzione, distribuzione, somministrazione o uso di determinate contromisure mediche, ad eccezione delle richieste di risarcimento che comportano una “cattiva condotta intenzionale” – n.d.c.].
Perché non c’è nessuna iniziativa legale da parte degli enti di regolamentazione e dei tribunali? Secondo Sasha Latypova e Katherne Watt, una combinazione di legislazione approvata recentemente e di ordini esecutivi fa sì che sia legale mentire! Il Segretario del Dipartimento USA della Salute e dei Servizi Sociali non deve rendere conto a nessuno se l’Emergenza Sanitaria Nazionale continua a essere prorogata dal Congresso ogni tre mesi.
Una significativa operazione informativa fu messa in moto non appena il Covid-19 colpì. Il governo degli Stati Uniti, la comunità dei servizi segreti, i media e le Big Tech cospirarono per orchestrare ed attuare un’intensa campagna di pressione concepita per ottenere che il vaccino fosse legalmente designato secondo la Legge per l’Autorizzazione all’Uso in Emergenza, diffamando al contempo i medici dissenzienti, i critici ed i trattamenti alternativi praticabili. Questa designazione permise una rapida produzione priva dei protocolli standard di sicurezza e di salute pubblica.
Affinché un vaccino riceva la designazione ai sensi dell’Autorizzazione all’Uso in Emergenza, non possono esistere altri trattamenti o cure conosciuti. Pertanto, molti trattamenti comprovati, come l’ivermectina e l’idrossiclorochina, furono inseriti nella lista nera dei media e liquidati come “sverminatori per cavalli”, mentre in passato questi farmaci economici e prontamente reperibili erano stati acclamati per la loro efficacia.
Eminenti medici che trattano il Covid, come Peter M. McCullough e Pierre Kory, hanno affrontato attacchi senza precedenti alle loro credenziali mediche.
Qui c’è un tipico contratto di scopo per “vaccini”.
(Fonte – traduzione a cura della redazione)
Fermare la Terza Guerra Mondiale
La guerra non poteva essere impedita
“Chi ha seguito le vicende ucraine senza pregiudizi ideologici, e con un minimo di onestà intellettuale, sa che al momento della dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina era una potenza economica, la terza potenza industriale dell’Unione Sovietica dopo Russia e Bielorussia, oltre che il suo granaio. Questa repubblica sovietica possedeva industrie aerospaziali, automobilistiche e di macchine utensili, i suoi settori minerario, metallurgico e agricolo erano ben sviluppati, come i suoi impianti nucleari e petrolchimici, le sue infrastrutture turistiche e commerciali. Ospitava inoltre il più grande cantiere navale dell’URSS.
A partire dal 1991, anno della sua indipendenza, il PIL dell’Ucraina è rimasto indietro rispetto al livello raggiunto in epoca sovietica, la capacità industriale si è notevolmente ridotta e la popolazione è diminuita di circa 14,5 milioni di persone in 30 anni a causa dell’emigrazione e del più basso tasso di natalità in Europa. Non solo, l’Ucraina è anche diventata il terzo debitore del FMI e il Paese più povero d’Europa. Questi record negativi non possono essere imputati solo alla corruzione sistemica e spaventosa dell’Ucraina: le reti di corruzione che hanno spremuto l’Ucraina sono transnazionali.
L’Ucraina è stata vittima di due rivoluzioni colorate finanziate dagli Stati Uniti che hanno portato a un cambio di regime e ad una guerra civile che l’hanno separata a forza dal suo principale partner economico, la Russia. La sua storia è stata cancellata e riscritta, le ricette neoliberali hanno distrutto il suo tessuto economico e sociale instaurando una forma di governo neocoloniale.
L’Ucraina è entrata a far parte del nefasto Partenariato Orientale dell’UE nel 2009 e, fin dalla sua indipendenza, è stata invasa da ONG, consulenti economici e politici occidentali. Lo stato di soggezione del Paese ostaggio degli interessi anglo-americani si è cementato dopo che l’ultimo governo ucraino che si era opposto alle dure condizioni del FMI è stato rovesciato dal colpo di Stato sponsorizzato dagli Stati Uniti nel 2014.
Il 10 dicembre 2013, il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva dichiarato che le condizioni poste dal FMI per l’approvazione del prestito erano inaccettabili: “Ho avuto una conversazione con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, mi ha detto che la questione del prestito del FMI è stata quasi risolta, ma gli ho ripetuto che se le condizioni fossero rimaste tali non avremmo avuto bisogno di tali prestiti”. Yanukovich ha quindi interrotto i negoziati con il FMI e si è rivolto alla Russia per ottenere assistenza finanziaria. Era la cosa più sensata da fare, ma gli è costata cara. Non è possibile rompere impunemente le catene del FMI: questo fondo a guida americana concede prestiti a Paesi con l’acqua alla gola in cambio della solita shock therapy fatta di austerità, deregolamentazione e privatizzazione, e prepara in questo modo il terreno per gli avvoltoi della finanza internazionale, quasi sempre angloamericani.
Se si permette a coloro che hanno distrutto un Paese di essere coinvolti nella sua ricostruzione, essa sarà inevitabilmente solo un punto sul continuum di conquista, occupazione e saccheggio, anche se viene imbellettato. La distruzione produce quella tabula rasa su cui l’occupante può scrivere le proprie regole: “Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace”. Tacito conosceva bene sia la realtà che la propaganda dell’imperialismo romano. Ci si può solo chiedere se coloro che parlano di “ricostruzione”, “ripresa”, “riforma”, “ordine fondato sulle regole”, “reset” o qualsiasi altra espressione di moda al momento, siano consapevoli di questa realtà brutale o credano veramente alla propria propaganda. In ogni caso, promettono un’utopia futura per la quale vale la pena uccidere e morire.
(…) Vendere una guerra richiede un impegno a tutto campo, ed è per questo che i think tank e gli specialisti di marketing sono stati coinvolti fin dalle prime fasi. Essi generano narrazioni che contribuiscono a plasmare lo spazio discorsivo, a creare una percezione di sostegno universale per l’Ucraina, a fornire punti di discussione e versioni della verità sia ai politici che ai media. Devono motivare gli ucraini affinché continuino a combattere e i vassalli europei affinché continuino a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina, indipendentemente dalle devastanti perdite umane ed economiche che ciò comporta.
(…) I politici europei, mentre sono alle prese con i costi sempre più crescenti di una guerra per procura degli Americani nel loro continente, come meccanismo di compensazione sostengono l’idea assurda che una soluzione di pace in Ucraina minaccerebbe la sicurezza europea e non sarebbe nell’interesse del Vecchio Continente. La retorica della ricostruzione, intrecciata all’illusione di una vittoria dell’Ucraina, permette al partito transatlantico della guerra di presentarsi come una forza del bene e un motore di crescita futura. I promotori della ricostruzione hanno cercato aggressivamente di occupare il terreno morale estromettendo i costruttori di pace e per farlo hanno spinto la tesi che la guerra non poteva essere impedita né fermata.”
Da Promuovere la ricostruzione in Ucraina per alimentare la guerra, di Laura Ruggeri.
Start Up a War
“Start Up a War. Psicologia di un conflitto” è un documentario sul punto di vista di una psicologa che, nel 2016, esce dal suo studio per tornare su un fronte bellico, nella regione del Donbass. Attraverso la comprensione di quei meccanismi che si celano dietro allo scoppio di una guerra, con immagini e documenti inediti è messo in luce un modello psicologico che applica ai conflitti geo-politici strumenti di lettura propri dei conflitti relazionali tra individui.
Nella prima parte del documentario sono illustrate alcune tecniche mediatiche e di manipolazione di massa utilizzate durante la rivolta di Maidan, nella capitale ucraina di Kiev. Nella seconda parte si entra nel vivo della guerra del Donbass, attraverso la descrizione psicologica di un conflitto bellico narrato come un conflitto tra individui. Sono integrate opinioni di professionisti della psicologia, combattenti di battaglioni, rifugiati e superstiti, passando dai drammatici eventi di Kiev alla vita dei miliziani al fronte, dalla testimonianza di chi è sopravvissuto al massacro del 2 maggio a Odessa alla speranza nei momenti di festa nelle auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, in Donbass. Molteplici punti di vista accompagnano nella conoscenza di quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti bellici, così simili a quei meccanismi che innescano e alimentano conflitti relazionali.
CREDITI
Regia, produzione e montaggio: Sara Reginella
Immagini: Sara Reginella, Ruptly video News Agency, Eliseo Bertolasi, Sergey Rulev
Con: Galina Zaporozhtseva – Psicologa, ex Prof. Accademia Ucraina di Polizia, Oleksiy Zhuravko – Ex deputato Parlamento ucraino, Piotr Biriukov “Arkadich” – Generale IV^ Brigata, già Comandante Battaglione Prizrak, Aleksey Markov “Dobrij” – Comandante XIV° Battaglione Prizrak, Yana Alekseenko – volontaria, Padre Alexander – Sacerdote Chiesa Ortodossa di Lugansk, Igor Nemodruk – Superstite strage del 2 maggio 2014 a Odessa
Voce commento: Giulia Poeta
Post-produzione video e color-grading: Michele Senesi
Post-produzione audio: Minestudio Recording
Musiche: Banda Bassotti e Oceans on the Moon
Per vedere il documentario, occorre l’iscrizione a YouTube.
Digitalizzazione, lotta al contante e un’umanità inaridita
“Fino a pochi anni fa i regimi sguinzagliavano le spie per registare e reprimere il malcontento dei sudditi. E il tiranno Dionigi di Siracusa, si dice, ascoltava i sussuri dei prigionieri facendoli rinchiudere nella grotta a forma di orecchio che porta il suo nome. Oggi queste smanie dispotiche e paranoiche sono rese ordinarie dalla digitalizzazione di ogni dettaglio della vita pubblica e privata – conversazioni, documenti, registrazioni audiovisive e, appunto, transazioni economiche – che può essere comodamente scandagliato con un PC in rete e la password giusta. Sicché la lotta al contante riflette anche la volontà di espugnare uno degli ultimi fortini rimasti immuni dallo scrutinio del panopticon elettronico: la libertà di vendere e di comprare senza lasciar traccia di sé.
L’onniscenza è l’anticamera dell’onnipotenza, la mappa per colpire chirurgicamente chiunque e dovunque. L’anno scorso il presidente del Canada Justin Trudeau ha fatto bloccare i conti correnti dei manifestanti che protestavano contro le misure sanitarie imposte nel Paese. La legge glielo consentiva? No, ma gli è bastato proclamare una «emergenza nazionale» (Emergency Act) per mandare legalmente sul lastrico i suoi oppositori e chiudere anche i wallet in criptovalute collegati ai manifestanti, dando (si spera) una sveglia a chi ancora credesse di trovarvi un porto sicuro. Il precedente ha poi ispirato la Corte Suprema brasiliana che nell’ultimo mese ha fatto chiudere i conti bancari di chi contestava l’esito delle elezioni presidenziali. E PayPal, la più importante piattaforma di pagamenti online che già in passato aveva sospeso i conti di alcune testate web e associazioni non allineate con le opinioni ufficiali, l’ottobre scorso ha pubblicato un aggiornamento delle sue condizioni d’uso in cui si arrogava il diritto di confiscare 2.500 dollari agli utenti che avessero diffuso «disinformazione». Travolta dalle polemiche, il giorno dopo ha corretto il tiro precisando che si sarebbe trattato di «un errore». Di un errore ragionato, scritto e approvato fino all’ultima revisione. Appoggiato lì, forse in attesa di tempi peggiori.
Chi si consola pensando che queste ritorsioni sarebbero «giustificate» dimentica che la tirannide è un metodo di governo, non un’idea o una bandiera. È un peso senza contrappesi, garanzie, mediazioni, opposizioni e processi, che una volta istituito può realizzare all’istante qualsiasi capriccio insindacabilmente «giusto» per chi comanda e solo incidentalmente tale per chi si spella le mani dal basso. Il controllo attivo e passivo sulle compravendite, già alluso nell’ultimo testo della Bibbia (Ap 13,16-17), sgombrerebbe ogni ostacolo sulla via infernale dei «crediti sociali» e il collegato automatismo di sorveglianza e sanzione.
A un livello ancora più radicale, la smania di tracciare ogni centesimo rispecchia l’ossessione di una civiltà che ha smesso da tempo di considerare il denaro e i suoi movimenti come uno strumento e ne ha fatto invece il metro universale dell’essere: spostamenti, stili di vita, relazioni, affetti, caratteri, fantasie, opinioni e quindi anche «virtù» singole o nazionali. Un mondo dove tutto si può comprare pone innanzitutto il problema ontologico di un’identificazione totale col soldo che, in quanto creduta, è anche voluta: tutto si deve comprare e ciò che non è in vendita non può essere.
(…) Chi controlla il denaro minaccia di controllare ogni cosa perché il denaro controlla già ogni cosa. E la controlla perché la informa, ne costituisce per sciagurato consenso l’unica rappresentazione plausibile. Perciò la guerra alle monetine non fa che perfezionare una profezia già avverata e tradurre in pratica una volontà di dominio che ha già trionfato nell’idea. È l’ultima saldatura di una visione che fa impallidire il pur squallido riduzionismo cartesiano e il pur tetro «regno della quantità» guénoniano, di una Flatlandia usuraia dove una sola dimensione surroga la realtà fisica e morale finendo per reclamare la nullità di tutto ciò che non può misurare. Di ciò che, non a caso, dà luce e senso alla vita: la gratuità, la dignità, la divinità, gli stessi beni materiali di cui mammona si scoprirebbe un’ombra rachitica, un Tauschwert parassitico e ancillare. Di questo deserto inumano la lotta al contante non è la causa ma il prodotto inevitabile e atteso, lo svelamento finale.”
Da Niente denaro, tutto denaro de Il Pedante.
La nostra inadeguatezza nella lotta alla guerra e nel conflitto sociale
Tra pochi giorni il primo anniversario della guerra in Ucraina e nella occasione vogliamo aprire una discussione dentro le realtà che si oppongono al conflitto, all’invio di armi all’Ucraina e alle politiche della NATO.
La prima considerazione riguarda la debolezza del movimento contro la guerra che ha portato nelle piazze numeri ridotti di manifestanti relegando al solo sindacalismo di base il compito, arduo, di indire scioperi contro le politiche di guerra che impongono tagli allo Stato sociale e sacrifici crescenti alle classi sociali meno abbienti. Invocare l’unità del popolo contro la guerra è anche un sintomo di debolezza perché a forza di creare ponti con posizioni contraddittorie e dettate dalla equidistanza e dalla negazione del conflitto di classe abbiamo scavato una fossa nella quale noi stessi stiamo sprofondando.
Per troppi anni abbiamo scisso le politiche economiche e sociali da quelle di guerra, l’assenza di una lettura oggettiva delle ragioni del conflitto spinge molti, troppi, a irrigidirsi sulle posizioni ideologiche e di principio perdendo di vista invece l’obiettivo di unificare il conflitto contro il nemico esterno e quello interno.
Se pensiamo alla Bussola europea è difficile trovare qualche analisi critica sulle strategie neokeynesiane di guerra della UE, come è ormai raro individuare qualche piazza apertamente schierata contro la NATO. La Bussola europea spinge l’Italia e il vecchio continente alla guerra, prima ce ne rendiamo conto meglio è.
La debolezza del movimento contro la guerra nasce a nostro avviso dalla debolezza di contrapporsi alle politiche economiche e sociali che le guerre alimentano, dalla debacle dei movimenti operai e conflittuali soprattutto in Italia.
Se pensiamo a quanto accade in GB, Francia e Spagna con milioni di manifestanti in piazza contro i tagli alla previdenza al welfare e contro le riforme previdenziali non possiamo che constatare quanto sia arretrato il conflitto in Italia e da qui comprendere anche i consensi elettorali alle destre.
Possiamo irrigidirci sulle parole d’ordine, possiamo inserire questa o quella frase per noi discriminante nei manifesti e nelle piattaforme di qualche iniziativa ma resta ineludibile il fatto che in Italia non ci si mobiliti contro la guerra, contro l’aumento delle spese militari e nello stesso tempo si assista passivamente alla ulteriore precarizzazione del lavoro e ai tagli al sociale.
Forse, con il beneficio del dubbio e senza certezze precostituite, è arrivato il momento di fare i conti con la nostra inadeguatezza e per farlo non servono posizionamenti ideologici ma una lettura della realtà oggettiva e pratiche politico sociali e sindacali conseguenti.
(Fonte)
Perché Substack?
Il messaggio per voi, lettori, su di me e su “Substack”
Di Seymour M. Hersh, autore della recentissima inchiesta su quanto successo ai gasdotti North Stream 1 e 2
Sono stato un freelance per gran parte della mia carriera. Nel 1969 raccontai la storia di un’unità di soldati americani in Vietnam che aveva commesso un orribile crimine di guerra. Avevano ricevuto l’ordine di attaccare un normale villaggio di contadini dove, come sapevano alcuni ufficiali, non avrebbero trovato alcuna opposizione, e gli fu detto di uccidere a vista. I ragazzi uccisero, violentarono e mutilarono per ore, senza trovare alcun nemico. Il crimine fu insabbiato ai vertici della catena di comando militare per diciotto mesi, finché non lo scoprii.
Per quel lavoro vinsi un premio Pulitzer per il giornalismo internazionale, ma farlo conoscere al pubblico americano non fu un compito facile. Non ero un giornalista di lunga data che lavorava per un gruppo mediatico affermato. La mia prima storia, pubblicata da un’agenzia di stampa a malapena esistente gestita da un mio amico, fu inizialmente rifiutata dai direttori delle riviste Life e Look. Quando finalmente il Washington Post la pubblicò, la disseminò di smentite del Pentagono e dello scetticismo sconsiderato dell’addetto alla revisione.
Per quanto possa ricordare mi è stato detto che le mie storie erano sbagliate, inventate, oltraggiose, ma non mi sono mai fermato. Nel 2004, dopo aver pubblicato le prime storie sulla tortura dei prigionieri iracheni ad Abu Ghraib, un portavoce del Pentagono rispose definendo il mio giornalismo “un insieme di sciocchezze”. (Disse anche che ero uno che “tira fuori strambe teorie” e che “si aspetta che qualcuno rimuova ciò che è reale”. Per quel lavoro vinsi il mio quinto premio “George Polk”.)
Ho fatto il mio dovere presso le maggiori testate, ma lì non mi sono mai trovato a mio agio. In tempi più recenti, non sarei stato comunque il benvenuto. Il denaro, come sempre, era parte del problema. Il Washington Post e il mio vecchio giornale, il New York Times (per citarne solo alcuni), si sono ritrovati in un ciclo di diminuzione delle consegne a domicilio, delle vendite in edicola e di visualizzazioni pubblicitarie. La CNN e i suoi derivati, come MSNBC e Fox News, si battono per i titoli sensazionalistici piuttosto che per il giornalismo d’inchiesta. Ci sono ancora molti giornalisti brillanti al lavoro, ma gran parte del giornalismo deve rientrare in linee guida e in vincoli che non esistevano negli anni in cui scrivevo storie quotidiane per il Times.
È qui che entra in gioco Substack. Qui ho il tipo di libertà per cui ho sempre lottato. Su questa piattaforma ho visto come tanti scrittori si sono liberati dagli interessi economici dei loro editori, hanno approfondito le storie senza temere il numero di parole o i millimetri della colonna e, cosa più importante, hanno parlato direttamente ai loro lettori. E quest’ultimo punto, per me, è il fattore decisivo. Non sono mai stato interessato a socializzare con i politici o ingraziarmi i tipi danarosi ai boriosi cocktail – le fottute feste delle star, come mi è sempre piaciuto chiamarle. Do il meglio di me quando sorseggio bourbon a buon mercato con i militari, lavoro con i novellini degli studi legali per ottenere informazioni o scambio storie con il neoministro di un Paese che la maggior parte delle persone non sa nominare. Questo è sempre stato il mio stile. E a quanto pare, è anche l’ethos di questa comunità telematica.
Quello che troverete qui è, spero, un riflesso di questa libertà. La storia che leggerete oggi è la verità per trovare la quale ho lavorato tre mesi, senza alcuna pressione da parte di editori, direttori o colleghi per renderla conforme a certe linee di pensiero o ridimensionarla per alleviare le loro paure. Substack significa semplicemente che l’inchiesta giornalistica è tornata… senza filtri e programmi – proprio come piace a me.
[Fonte – i collegamenti inseriti sono a cura della redazione]
Questa canzone è dedicata a tutte le persone amanti della pace che stanno assumendo una coraggiosa posizione contro l’imperialismo USA e l’espansione della NATO, alleanza militare aggressiva e bellicista.