
A seguire, la seconda parte dell’articolo di Jean Thiriart, la cui prima parte (corredata di nota biografica dell’autore) è qui.
Il fiasco di uno Stato continentale abortito: l’URSS
L’esplosione, deplorevole, dell’URSS è notoriamente dovuta alla debolezza concettuale della nozione di Stato in Marx, Engels, Lenin e parzialmente Stalin. Già nel 1984 il mio collaboratore e discepolo José Cuadrado Costa, ispirandosi agli scritti di Ortega y Gasset e miei, ha pubblicato uno studio (disponibile in spagnolo, russo e francese) illuminato e profetico, intitolato Insuffisance et dépassement du concept marxiste-léniniste de nationalité [Insufficienza e superamento del concetto marxista-leninista di nazionalità, n.d.t.] (3).
Sul piano del concetto di Stato i Giacobini si erano mostrati di gran lunga superiori ai marxisti. In questo ambito Marx resterà per sempre un romantico del 1848. Già alla fine del XVIII secolo, Sieyès ci diceva come rendere omogeneo uno Stato-Nazione. Lo Stato-Nazione è figlio di una volontà politica.
Altra sciocchezza marxista dovuta al romanticismo del XIX secolo: l’idea del declino dello Stato. E’ difficile essere più stupidi. Ecco il vecchio sogno anarchico (4).
Lenin ha dunque mantenuto la finzione delle repubbliche. Insisto sul plurale.
Grazie al centralismo del Partito e alla straordinaria personalità di Stalin questa finzione, questa commedia, è durata fino al 1990. Il declino del partito ha fatto saltare l’URSS su linee di frattura risalenti al 1917-1922.
La finzione è divenuta realtà.
I Giacobini avrebbero creato nel 1917 “la” (insisto sul singolare) Repubblica dei Sovieti. Lenin ha accettato, tollerato la finzione dell’Unione “delle” (insisto sul plurale) Repubbliche Sovietiche.
Fra il 1946 e il 1949 Stalin, all’apice della sua potenza, ha mantenuto anche lui la finzione degli Stati “indipendenti” dalla Polonia alla Bulgaria.
Altra imprudenza concettuale.
Lo Stato politico opposto allo Stato etnico
Il Petit Larousse dice che l’etnia cerca la propria omogeneità attraverso la lingua e la cultura.
Personalmente e ad avvalorare il presente scritto, estenderei questo concetto dicendo che lo Stato etnico cerca la propria giustificazione di unità attraverso razza, religione, lingua, fantasmi comuni, ricordi comuni, frustrazioni o fobie comuni.
Lo Stato politico (sistema aperto, estensivo) è diametralmente opposto al concetto di Stato etnico (sistema chiuso, fisso). Lo Stato politico rappresenta una volontà di uomini liberi di vivere un avvenire comune.
Lo Stato politico, o più precisamente lo Stato-Nazione politico di cui io sono il teorico moderno dopo Ortega y Gasset (5) permette agli uomini di conservare la propria individualità personale (passatemi questo pleonasmo barbaro, anzi rustico) nel seno di una collettività.
Meno di due mesi fa (6) ho avuto modo di esprimermi una volta di più sulle nozioni capitali di Imperium e di Dominium. Fin dal 1964 insisto su questo concetto di matrice antico-romana.
A un amico politico che mi aveva fatto diventare “vallone” (il colmo!) ho scritto – più che altro pro forma – di non essere né vallone né fiammingo, né tedesco, né belga e nemmeno europeo. Io sono me stesso. L’identità di Jean Thiriart è Jean Thiriart, gli ho scritto. Non ci tengo ad essere infilato nel cassetto di chissà che schedario insieme a delle persone che sarebbero in qualche modo “simili” a me.
Ci tengo invece a conservare, in permanenza, la mia ironia socratica. Totalitario quando si tratta di Imperium, divento libertario nella sfera del Dominium.
Marx e Engels ignoravano tutto della dicotomia fondamentale Imperium/Dominium; così finirono per scrivere L’ideologia tedesca contro Max Stirner.
La visione dell’Imperium di Max Stirner (libera scelta federativa, diritto di secessione… sic! e ri-sic!) resterà sempre ridicola e inutilizzabile. Al contrario la sua visione della libertà interiore, di ciò che si riferisce al Dominium resterà sempre e comunque interessante. Bolscevico, giacobino, prussiano, staliniano per quanto riguarda l’Imperium e la sua disciplina civica/civile; invece i miei gusti e le mie inclinazioni intellettuali nella vita privata, cioè della mia vita nell’ambito del Dominium, si rifanno a Ulisse, modello dei Cinici.
E a Diogene, il quale, interrogato se vedesse da qualche parte in Grecia degli uomini dabbene, rispose: “In Grecia proprio no, ma vedo dei ragazzi niente male a Sparta”…
Diogene e gli altri Cinici ammiravano le istituzioni spartane, loro che sono appunto noti come fautori della disciplina e della frugalità contro il lusso e le mollezze.
Anch’io sono con Diagora contro le religioni. In privato, beninteso!
E sono certo l’araldo riconosciuto dell’Europa unita da Dublino a Vladivostok (7).
Ma l’Europa unita che invoco e descrivo risente del concetto di Imperium. E io auspico un Imperium potente, dinamico, implacabile. Perché sia davvero efficace.
Per quanto riguarda la mia identità, invece, essa si richiama al Dominium.
La mia identità culturale non è categorizzabile. Essa è unica, come è unica la mia formula genetica.
Ogni essere umano esprime biologicamente una formula unica. Egli è solo. Culturalmente – musica, architettura, letteratura, pittura etc. – io rivendico qui lo statuto di individualista fatto e finito.
All’interno dello Stato politico non possono esistere “minoranze”, perché quello Stato non conosce se non delle individualità tenute insieme dai legami dell’Imperium.
Quei legami sono i punti di forza che ho evocato precedentemente.
Le formule sbilenche: federalismo, confederalismo
A partire da quando il tandem “Imperium-Dominium” è stato introdotto nel concetto di Stato per costruire quest’ultimo, le soluzioni sbilenche come il federalismo o, peggio ancora, il confederalismo, non hanno più senso né utilità… Niente del tutto.
Non posso esimermi dal citarvi un autore americano che conosco soltanto attraverso una singola citazione, assolutamente pertinente.
“Ogni gruppo di persone, quali che siano il numero e l’omogeneità degli individui che lo compongono e la fermezza con la quale essi professano una dottrina comune, non tarda a scindersi in gruppi più piccoli stretti intorno a versioni differenti della medesima fede; da questi sottogruppi scaturiscono a loro volta dei sotto-sottogruppi, e così di seguito fino al limite ultimo dell’individuo singolo.”
La citazione è attribuita a un certo Adam Ostwald in un testo intitolato La società umana.
Gli anarchici del XIX secolo e tanti altri fra cui Proudhon hanno coltivato l’errore monumentale secondo il quale tutti i conflitti e le tensioni dei grandi gruppi svanirebbero di per sé, risolvendosi spontaneamente nei piccoli gruppi.
E’ l’armonia comunale cara al XIX secolo, l’armonia dei piccoli gruppi opposta al terrore della dominazione insopportabile del grande gruppo.
Anche Lenin concepiva sciocchezze storiche, nel quadro dell’assurdo concetto del “piccolo-gruppo-sempre-virtuoso-e-armonioso”, ciò che lo porto a scrivere, ad auspicare e ad annunciare il declino dello Stato.
L’Europa fino a Vladivostok: la dimensione minimale
Uno Stato-Nazione che voglia l’indipendenza è obbligato a possederne i mezzi militari.
Questi mezzi dipendono dalla demografia, dallo spazio, dall’autarchia delle materie prime, dalla potenza industriale. Fra l’Islanda e Vladivostok possiamo mettere insieme 800 milioni di uomini (non foss’altro che per equilibrare i 1.200 milioni di Cinesi) e trovare nel sottosuolo della Siberia tutto quanto è necessario al nostro fabbisogno energetico e strategico.
Dico che la Siberia è la provincia economicamente più vitale per l’Impero Europeo.
L’unione feconda dell’Europa occidentale estremamente industrializzata e tecnologicamente assai avanzata con l’Europa siberiana pressoché inestinguibile in materie prime darà alla luce una Repubblica Imperiale dotata di eccezionale potenza che il resto del mondo si guarderà bene dal contestare o dall’affrontare.
I punti di forza dell’”Imperium” europeo
Lo Stato è unitario. Esso non conosce né tollera divisioni orizzontali (autonomie regionali) o verticali (classi sociali) (8).
Suo principio di base è la onnicittadinanza: in qualunque luogo dell’Impero europeo il cittadino è elettore, eleggibile, produttore. Egli è libero di spostarsi senza la minima restrizione. La sua qualifica professionale si estende alla totalità dell’Impero: medico laureato a Madrid, eserciterà senza alcuna limitazione a Leningrado.
Non sarà tollerato alcun “corporativismo regionale”.
La secessione di un qualunque territori è esclusa per principio fondamentale, per postulato. Riprendiamo qui il concetto giacobino: “La Repubblica è una e indivisibile”. E’ fuori questione ripetere l’errore leninista del “diritto alla secessione”.
La “regione” o l’antico Stato nazionale (ri)entrano nell’Impero per non uscirne più. L’unità dell’Impero è irreversibile per Diritto Costituzionale.
Per contro l’Impero è estensivo, non già per “conquista” bensì per accrescimento grazie a coloro che vorranno liberamente aggiungervisi – che vorranno raggiungerlo.
L’esercito è popolare e integrato. Nessuna casta militare potrà ritagliarvisi dei monopoli o dei privilegi sotto un qualche pretesto professionale. L’esercito è in tutto e per tutto dipendente dal Potere Politico.
L’esercito è integrato: durante i primi 25 o 50 anni si presterà una cura particolare nel mescolare le reclute provenienti dalle diverse regioni. Non se ne parla neanche di tollerare reggimenti croati o divisioni francesi, corpi d’armata tedeschi o russi.
La moneta è una e unica. La detenzione e le transazioni in valuta estera sono vietate e perseguibili penalmente.
Attualmente non esiste umiliazione peggiore né peggiore riconoscimento del proprio scacco che il poter viaggiare in Russia soltanto se muniti di dollari americani. Umiliazione tanto per il turista proveniente dall’Europa dell’Ovest che per gli stessi Russi.
Simbolo del nostro comune degrado, Europei dell’Ovest colonizzati dal 1945; ed Europei dell’Est balcanizzati e colonizzati dal 1990.
In condizioni normali si dovrebbe pagare l’albergo a Mosca in scudi europei; e non in dollari stranieri.
La lingua veicolare diventa l’inglese (9). Non ho scritto “l’americano”. Da parte mia si tratta qui di una scelta pragmatica, una scelta ineluttabile.
Il concetto di legislazione unitaria costituisce uno dei fondamenti dell’Impero. Il diritto civile, il diritto penale, il diritto del lavoro, il diritto commerciale sono unificati
Il concetto e l’applicazione del diritto è “ubiquitaria”.
Il “Dominium” e i suoi limiti
Tutti conoscono l’adagio secondo il quale la libertà di un uomo finisce là dove comincia quella di un altro uomo.
In un articolo precedente (10) ho tratteggiato i domini dell’Imperium, domini in cui la Repubblica unitaria “non indietreggia mai”.
Quanto al Dominium, esso contiene tutte le scelte, tutte le opzioni, tutte le libertà individuali che non intralciano né limitano l’esercizio dell’Imperium.
Queste libertà sono accordate nei limiti del campo d’azione della vita privata.
Immancabilmente nei sistemi politici o nei regimi al tramonto, usurati, debilitati, malaticci, i sentimenti, le emozioni, le passioni della vita privata tentano, spesso addirittura riuscendoci (ahimé), di fare irruzione nella vita politica.
L’Imperium deve restare un dominio riservato, concepito, amministrato e gestito dal solo neo-cortex.
Per comprendere i comportamenti umani occorre studiare i meccanismi cerebrali (11).
Ripeto la mia battuta preferita, che mi riguarda da vicino: “Io non ho un’anima, ho un cervello”. In realtà, come tutti, di cervelli ne ho tre.
Il più antico è il paleo-cortex, che permette di camminare, di arrampicarsi, di salire o di afferrare al volo un pallone da basket. Segue il cervello “medio”, il meso-cortex, che contiene tutti i miei software emotivi indispensabili alla sopravvivenza; Serghiej Chacotin, discepolo di Pavlov, ha descritto già parecchio tempo fa queste passioni-emozioni: per la conservazione dell’individuo, pulsioni combattive e alimentari; per la conservazione della specie, pulsione sessuale e pulsione parentale (associativa). Infine, ecco il più moderno dei nostri tre software, il neo-cortex, magnifico strumento dell’uomo. Strumento troppo poco utilizzato.
Il paleo-cortex conta già 200 milioni di anni. Il neo-cortex ne ha soltanto un milione.
La teoria dei tre cervelli “sovrapposti”, o del cervello “triunico”, come scrive il traduttore Roland Guyot, è stata formulata dallo psicologo americano Paul D. Mac Lean (12), e resa popolare da Arthur Koestler (13).
Nella sua Psicologia sociale Otto Klineberg si sofferma a lungo sul comportamento affettivo dell’uomo.
Due secoli prima dei lavori scientifici di Paul D. Mac Lean, Sieyès aveva avuto la premonizione dell’attuale teoria dei tre cervelli sovrapposti-embricati.
Bastid, a pagina 328 della sua tesi, cita un manoscritto di Sieyès sul tema Del cervello e dell’istinto.
Sieyès, molto prima di me, era stato colpito e infastidito dalle pseudo-dimostrazioni in linguaggio politico; e ne aveva cercato le ragioni.
Se impongo al lettore questa digressione è appunto per evidenziare che la maggior parte dei discorsi politici odiosi, aggressivi, promanano dal nostro molto emotivo meso-cortex.
Non è possibile studiare bene e a fondo i discorsi politici senza conoscere i meccanismi cerebrali degli uomini.
Il ripiegamento su se stessi, l’odio dell’altro, si spiegano allora facilmente. Tutta la faccenda diviene allora semplicemente un insieme di problemi clinici spiegati attraverso la fisiologia del cervello.
Da anni ormai mi batto contro i “letterati” che descrivono la politica attraverso comportamenti “mesocorticali” (passioni, emozioni, pulsioni, frustrazioni, fobie, repulsioni), laddove io mi affanno a descrivere una Repubblica neocorticale… sic!
Uno dei miei detrattori mi ha definito come un “freddo mostro razionale”.
Accetto: e preferisco questa condizione a quella di “mostro dionisiaco razionale” caro ai discolacci post-nietzscheani. Consiglio vivamente al mio lettore politicamente istruito i lavori di Paul D. Mac Lean.
L’assurdità dei discorsi politici pseudo-razionali che si pretendono persuasivi (l’avvocato persuade, lo scienziato dimostra) è spiegata benissimo da Marc Jeannerod in questa frase: “(…) il carattere non-diretto dei rapporti fra il soggetto e il mondo esterno. Il soggetto costruisce la propria rappresentazione del mondo e tale rappresentazione guida il suo agire. In questa prospettiva l’azione non è una risposta a una situazione esterna ma piuttosto la conseguenza o il prodotto di una rappresentazione”.
Tutta la logomachia primaria sulle “etnie” si spiega assai bene attraverso questa nozione di “rappresentazione” (fantasmatica) della realtà (situazione reale) rifiutata. Il rifiuto del reale, il bisogno del sogno ad occhi aperti.
Per chiunque abbia una formazione scientifica la politica e i suoi discorsi sono con ogni evidenza assurdi.
La gente si scaglia contro la figura dei fantasmi personali antagonisti, delle rappresentazioni, e si rifiuta di accettare le situazioni…
Veniamo ora ai tre cervelli di Mac Lean.
Quando calcoliamo le orbite dei satelliti, le traiettorie delle sonde spaziali, la resistenza dell’acciaio, le correzioni ottiche da integrare in un obiettivo fotografico, noi utilizziamo unicamente il nostro neo-cortex.
Quando litighiamo con un altro automobilista e finiamo per farci a pugni utilizziamo i meccanismi cerebrali detti reattivo (paleo-cortex) ed emotivo (meso-cortex) e ci comportiamo come anfibi e come rettili.
Nella lite automobilistica la nostra pulsione aggressiva prenderà il sopravvento e arriverà al punto di inibire il funzionamento regolatore del nostro neo-cortex. La pulsione sessuale, talvolta irreprimibile, ci porterà a insidiare la figlia minorenne del vicino di casa.
Lo stesso uomo funziona in permanenza grazie a questi due software, quello delle pulsioni-passioni-sentimenti-emozioni e quello del pensiero totalmente razionale.
Questa digressione ci ha permesso di arrivare alla gestione degli uomini.
Nell’ambito del Dominium si colloca la religione.
Attività privata che in nessun momento deve poter interferire nella vita pubblica (col rischio di vedere degli “islamisti” contestare l’antico potere jugoslavo). E’ buffo ammettere che la religione possa immischiarsi nella vita politica intelligente, nell’Imperium. Per avere ignorato il principio dell’Imperium laico si è arrivati alle carneficine ignobili e imbecilli in Libano, in Palestina, in Armenia, in Jugoslavia, in Moldavia.
Quelli che hanno mischiato religione e politica non sono altro che apprendisti stregoni. E quelli che hanno creato queste tensioni sono colpevoli criminali, ma colpevoli storici sono quelli che hanno tollerato nel loro dilettantismo che quelle passioni religiose potessero essere prese in considerazione in un contesto politico.
Nell’Imperium laico della Repubblica unita europea la pratica religiosa sarà permessa (preferirei scrivere tollerata) nell’ambito del Dominium e implacabilmente repressa nel momento in cui vorrà irrompere nel campo d’azione e applicazione dell’Imperium. Razzisti vergognosi, razzisti ipocriti hanno inventato l’etno-differenzialismo (sic!), le “identità etno-culturali” (ri-sic!). Questo ha portato nei fatti ai massacri in Moldavia, in Jugoslavia, nel Caucaso; massacri praticati da delinquenti comuni, gangsters – per essere più precisi e più immediati.
I delinquenti e i criminali comuni, dopo il furto con scasso, la prostituzione, il gioco, la droga, s’interessano ora da una ventina d’anni della politica delle “minoranze oppresse”.
Le farneticazioni religiose e le farneticazioni etno-differenzialiste ben manipolate da ciarlatani prima, poi da gangsters; le stesse farneticazioni munite di fucili d’assalto nelle mani della plebe ci fanno regredire verso lo statuto delle 1.000 tribù della Nuova Guinea, verso i tagliatori di teste.
Concluderò qui dicendo che il Dominium contiene quasi tutte le libertà di pensare (anche di pensare stupidamente) ma che l’Imperium di una Repubblica unita laica non potrà mai tollerare, nemmeno per un istante, la libertà di fare “qualsiasi cosa”.
Dal 1945 la storia ci mostra, attraverso esempi spettacolari e sanguinosi, quel che NON bisogna fare. Né lasciar più fare domani.
Quando Mosca chiama i mediconi al suo capezzale
Quel che accade in Russia da due anni a questa parte è insensato.
Bisognava liberalizzare l’economia, un livello dopo l’altro a partire dal basso (14) verso l’alto e consacrare dai 2 ai 3 anni per livello.
Invece si consente ai peggiori avventurieri della finanza internazionale di precipitarsi a Mosca. Si svende a poco il lavoro di tre generazioni di sovietici.
I pescecani di Wall Street cominciano a interessarsi un po’ troppo all’apparato economico ex-sovietico.
Bisognava non allentare i bulloni politici dell’URSS, non tollerare le secessioni etniche, anche se Lenin nella sua incultura storica (eredità del marxismo nato nel 1848) aveva ammesso (molto ipocritamente ma anche molto imprudentemente) il “diritto alla secessione”.
Lo smembramento politico e militare dell’URSS fu e resterà un errore storico imperdonabile. Il male è fatto, ed è irreversibile. Le forze centrifughe distruggono in 5 anni quel che le forze centripete hanno costruito in 4 o 5 secoli.
Bisognava riempire i negozi di pane e salame favorendo l’apparizione rapida di un milione di piccole imprese economiche (comprendenti da 1 a 50 persone ciascuna). E simultaneamente rinforzare la repressione politica nei confronti di tutti i secessionisti, indipendentisti e autonomisti.
Altro atteggiamento suicida dei nuovi leader russi: correre a Washington invece di negoziare un aiuto economico con l’Europa dell’Ovest.
Gli Stati Uniti sono geopoliticamente e storicamente il nemico specifico dell’URSS.
La strategia storica degli Stati Uniti è la divisione dell’Europa, lo smembramento dell’URSS.
Per 4 secoli l’Inghilterra ha fatto questo gioco contro i Re di Spagna, contro la Francia, contro la Germania.
Oggi l’Inghilterra è stata sostituita dagli Stati Uniti.
Ieri l’Inghilterra è stata sempre impegnata a distruggere “la” potenza continentale predominante, virtualmente capace di federare il Continente europeo: gli Asburgo di Madrid, Bonaparte, Guglielmo II, Hitler.
La Russia “sola”: molto presto un Brasile-delle-nevi
Lo smembramento dell’URSS è irreversibile.
La “Grande Russia” non ha la minima possibilità di diventare una grande potenza.
La “Russia sola” è oggi un Paese senza destino come lo sono la Germania dal 1945 e la Francia dal 1962.
La Germania è stata storicamente castrata nel 1945. Solida potenza industriale, essa è totalmente passiva, totalmente inesistente sul piano internazionale (15).
La Germania non ha più una politica estera da 47 anni.
E questo non è poi un gran male in sé per l’unità europea.
Le isterie nazionaliste hanno fatto abbastanza male all’Europa, con le due guerre suicide nate nel 1914 e nel 1939.
Se qualche sognatore vuole cullare la speranza di una “Grande Russia” potenza di primo piano, sappia fin da ora che Washington ha ancora molte frecce al suo arco. Washington ha cinicamente giocato prima la carta di Baghdad contro Teheran, e poi Riyad e gli Harki di Damasco e del Cairo contro Baghdad.
Washington dispone ancora di molti coltelli per portare a compimento, se ce ne fosse bisogno, lo smembramento dell’URSS e continuarlo mediante la decomposizione della Russia.
Se ce ne sarà bisogno Washington giocherà, senza la minima esitazione, Pechino contro Mosca, il mondo islamico (dal Pakistan al Marocco) contro Mosca.
La Francia, l’Inghilterra, la Germania non sono altro che delle finzioni storiche, parodie di Stati indipendenti.
Tutti questi sedicenti “grandi” Paesi non hanno più una politica estera.
La guerra in Irak ha mostrato chiaramente che per Washington Francia e Inghilterra costituiscono tutt’al più delle riserve di fucilieri senegalesi.
Reintegrare l’URSS nella costruzione europea
Secondo le mie vedute geopolitiche i vecchi territori dell’URSS sono dei territori europei; le vecchie frontiere dell’URSS sono le future frontiere della Grande Europa.
Per postulato geopolitico la benché minima particella dell’ex-URSS dovrà integrarsi nella costruzione della Grande Repubblica Unita da Dublino a Vladivostok.
L’alternativa per i Russi è la seguente: o farsi fagocitare – castrare – da Washington oppure giocarsi tutto e partecipare totalmente alla costruzione europea.
La “terza soluzione”, la “Grande Russia” unica e sola, è illusoria.
La sparizione dell’URSS avrà quanto meno dato vita a un fattore assai positivo: la sparizione della barriera di repellenza.
Così nell’estremo occidente d’Europa non si ha più paura del Grande Orso Cattivo. Non si è mai presentata occasione più favorevole per l’unione benedetta “Ex-URSS e Mercato Comune dei Dodici.”
Azioni pragmatiche a breve termine
Nell’Europa estremo-occidentale è venuto il momento perché un gruppo elitario d’avanguardia intraprenda una lotta politica violenta sul tema “NATO fuori d’Europa”.
Quello che ho scritto già 25 anni fa si realizza ora: la NATO sedicente scudo militare “contro il comunismo ateo” era soprattutto uno strumento di vassallizzazione politica. Da due anni Washington ha lasciato cadere la maschera.
Non vi è più alcun esercito sovietico che minacci l’Europa occidentale – ciò che non impedisce di fatto a Washington di mantenere le strutture della NATO, se non addirittura di rafforzarle.
E’ necessario sostenere tutto il lavoro di legislazione socio-economica realizzato dalla Comunità Europea. La Comunità dei Dodici deve accordarsi quanto prima possibile su di una moneta unica e comune.
Malgrado tutti i suoi difetti e tutte le sue lentezze, la Comunità dei Dodici realizza nei fatti una sorta di Zollverein (1834).
Non ci sarebbe stato un Bismarck se prima non ci fosse stato Friedrich List (16).
L’Europa dell’Ovest deve salvare finanziariamente il programma spaziale sovietico.
Su questo punto preciso le disposizioni d’intesa e di collaborazione devono essere immediate. Il programma spaziale sovietico deve assolutamente essere mantenuto e sviluppato.
Qui all’Ovest contiamo 20 milioni di disoccupati a dir poco (17).
In tempi brevissimi la Comunità dei Dodici deve finanziare la rapida costruzione di autostrade da Berlino a Mosca, da Norimberga a Kiev, Kharkov, Saratov, da Vienna a Odessa e a Rostov. Friedrich List è il padre concettuale della rete ferroviaria tedesca, rete che concretizzò lo Zollverein.
Fin da ora l’Europa dell’Ovest e l’ex-URSS devono proporsi di creare una situazione tale che tutta l’aviazione civile sia costruita in comune, autarchicamente, fra Londra e Vladivostok.
Fin da ora l’Europa dell’Ovest deve cessare di acquistare materiale militare americano. Né un solo fucile, né un solo aereo.
Le industrie militari d’Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Italia, Svezia e Russia sono in grado di fabbricare tutto.
In materia di armamenti l’Europa da Dublino a Vladivostok è perfettamente in grado di organizzarsi autarchicamente.
Sul piano politico, l’indecente caccia alle streghe contro gli ex-leaders comunisti della DDR e della Russia deve cessare.
L’interdizione del partito comunista dev’essere denunciata con fermezza per essere abrogata.
Lasciamo ai popoli primitivi la pratica dell’”eterno” odio biblico.
L’Europa dell’Ovest è dal 1945 nelle mani dei lacchè di Washington – dei leccapiedi del Pentagono.
La Russia potrebbe, in brevissimo tempo, vedersi anch’essa dotata di una classe “dirigente” agli ordini di Washington (18).
La risposta è chiara: è necessario creare nel minor tempo possibile delle reti ideologiche, dottrinali, politiche fra l’élite lucida dell’ex-URSS e l’élite lucida dell’Europa dell’Ovest.
Queste due élites rivoluzionarie devono incastrarsi l’una nell’altra e preparare la partenza, l’espulsione dell’occupante americano.
Jean Thiriart
NOTE
(3) José Cuadrado Costa, Insuffisance et dépassement du concept marxiste-léniniste de nationalité (Le concept de nationalité chex Marx, Engels, Lénine, Stalin, Ortega y Gasset de Jean Thiriart), “Conscience Européenne” n. 9, octobre 1984, Charleroi, Belgique. Disponibile in spagnolo, francese e russo.
(4) Bisogna leggere, con spirito critico, l’opera di Daniel Guérin su L’anarchisme (Poche Gallimard). Vi si ritrovano tutte le sciocchezze del romantico XIX secolo. E’ difficile trovare qualcuno più ingenuo, perfino più sciocco di Proudhon. Proudhon descriveva un mondo idilliaco, il mondo delle “federazioni di federazioni”. Peccato che non avesse previsto i massacri moldavi, croati e armeni relativi alla liquidazione bestiale della “minoranza della minoranza”.
(5) José Ortega y Gasset, La Révolte des Masses, Editions Stock 1961; idem, La vocation de la Jeune Europe, in: “La Jeune Europe – rivista delle SS Universitarie”, fasc. 8, Berlino 1942.
(6) Jean Thiriart, Europe: l’Etat-Nation Politique, in: “Nationalisme et République”, n. 8, juin 1992.
(7) Già da un terzo di secolo avevo suggerito il concetto di Europa come a) Stato unico e unitario; b) nazione europea.
Il generale De Gaulle voleva una Francia forte (unitaria) in un’Europa debole (confederale). Perché non voleva l’Europa. Come Maurras, era bloccato.
Lo scrittore tedesco Heinz Kuby mi tirò nel 1965 una frecciata a proposito dei (vecchi) profeti della Grande Germania, fra i quali, appunto, c’ero stato anch’io. Scrive Kuby: “L’Europa: una nazione? – E’ uno dei paradossi del paesaggio politico dell’Europa occidentale che gli avversari più lontani fra loro [nota sul soggetto dell’Europa: gaullisti confederalisti e thiriartisti unitaristi] siano attaccati a una medesima concezione dello Stato. Per de Gaulle, è impensabile che uno Stato possa e debba essere qualcosa di diverso da uno Stato nazionale, dal momento che la nazione costituisce la sola base legittima della politica.
La stessa concezione regna in un’importante frazione dell’opposizione europea [nota: Jeune Europe].
Quest’ultima vuole superare l’ambito delle nazioni ma non può concepire altro Stato che lo (…) Stato nazionale europeo. E vagheggia una nazione europea – non è un caso se in questo essa si affianca ai profeti della “Grande Germania” e agli altri fascisti del passato” (p. 312 dell’edizione francese).
Cfr. Provokation Europa, Kiepenheuer und Witsch, Köln-Berlin 1965; tradotto in francese nel 1967 dalle ed. Seuil col sottotitolo “Sfida all’Europa”.
Lo scacco della “Grande Germania” razziale l’ho vissuto in prima persona, in guerra e poi negli anni della prigionia. Ne ho ricavato un insegnamento fruttuoso – che era impossibile estendere e mantenere lo Stato unitario razziale (quello di Hitler) oltre la condizione di guerra permanente.
Da allora, ho formulato, in nuce, il concetto di Stato unitario politico (non-razziale) estensivo.
Ho sviluppato e perfezionato i concetti di Sieyès e di Ortega Y Gasset, i concetti di nazione politica per portarli alla decimale superiore, alla decimale europea.
(8) L’Abate Sieyès, in occasione della seduta del 7 settembre 1789, dice e ripete chiaramente, senza possibilità di equivoci: “La Nazione soltanto è sovrana. La Nazione non ha ordinamenti, né classi, né gruppi. La Sovranità non si divide né si trasmette”.
Cfr. Colette Clavreul, L’influence de la théorie d’Emmanuel Sieyès sur les origines de la représentation en droit public [L’influenza della teoria di E. Sieyès sulle origini della rappresentanza nel diritto pubblico – n.d.t.], tesi di dottorato, Università di Paris I, 1982.
Cfr. Jean-Denis Bredin, Sieyès, la clé de la Révolution française [Sieyès, la chiave della Rivoluzione francese – n.d.t.], Editions de Fallois, Paris 1988.
Cfr. Paul Bastid, Sieyès et sa pensée [Sieyès e il suo pensiero – n.d.t.], ried. Hachette, 1970.
Mai il concetto di Stato unitario è stato precisato meglio che da Sieyès. Personalmente, trasferisco questo concetto di Repubblica Una e Indivisibile nel mio progetto di una Repubblica Imperiale estesa da Dublino a Vladivostok. Come Sieyès, rigetto tutte le concezioni federative, fonti di ricatti secessionisti, fonti di fratture territoriali.
(9) Per un uomo formato alla scuola scientifica tutte le nostre lingue sono mezzi d’espressione troppo deboli, troppo confusi, troppo incerti. Il linguaggio scientifico è univoco, quello letterario è sempre equivoco. E’ per questo che i “letterati” sono sempre così confusi in sociologia e in politica. Si veda il lavoro magistrale di Louis Rougier La metaphysique e le langage [Metafisica e linguaggio – n.d.t], Denoël, 1973.
In realtà l’inglese è già e irrimediabilmente la lingua comune, nel mondo intero, nelle scienze e nella tecnologia. Un esempio per tutti: l’Institut Pasteur di Parigi non pubblica più niente in francese. Tutte le sue edizioni sono monolingui inglesi.
(10) V. nota n. 6.
(11) Paul D. Mac Lean, Les trois cerveaux de l’homme, Robert Laffont, 1990; Arthur Koestler, Le cheval dans la locomotive ou le paradoxe humain, Calmann-Lévy 1968; cfr. Ch. XVI “Les trois cerveaux “.
Koestler si rivolge soprattutto al grande pubblico colto; Mac Lean scrive per un pubblico ristretto, perfettamente padrone di discipline come la neuropsicologia del cervello.
Serge Tchakhotine [Serghiej Chacotin – n.d.t.], Le viol des foules par la propagande politique, Gallimard 1952. Chacotin è allievo e discepolo di I.P. Pavlov. Il suo Viol des foules… è un testo obbligatorio, capitale, monumentale.
Otto Klineberg, Psychologie sociale, Presses Universitaires de France, 1967.
José M.R. Delgado, Le conditionnement du cerveau et la liberté de l’esprit, Charles Dessart, Bruxelles 1972.
Jean-Didier Vincent, Biologie des passions, Seuil, 1986.
Marc Jeannerod, Le cerveau-machine, Fayard, 1983.
Guy Lazorthes, Le cerveau et l’esprit. Complexité et malléabilité, Flammarion 1982.
(12) Cfr. P.D. Mac Lean, op. cit..
(13) Cfr. A. Koestler, op. cit..
(14) Jean Thiriart e René Dastier (1962-65), Principes d’économie communautaire, riedizione Luc Michel 1986; opera esaustiva sulle concezioni economiche e sociali di Jean Thiriart (“Un socialismo di dimensioni europee: il Comunitarismo”).
Esistono anche brevi riassunti di questa dottrina nell’opuscolo di 42 pagine scritto da Yannick Sauveur e Luc Michel Esquisse du Communautarisme (1987).
Infine, un articolo di Jean Thiriart ne “La Nation Européenne” n. 1, février 1966, intitolato Esquisse du communautarisme européen.
L’attuale regime russo procede alla liberalizzazione dell’economia nel senso più pernicioso del termine. Si comincia col chiamare i capitalisti internazionali. Era l’ultima cosa da fare. E Eltsin l’ha fatta, dichiarando di essere un dilettante, un uomo senza la minima conoscenza dell’economia e della storia. La strada corretta sarebbe stata a) di liberalizzare immediatamente tutte le imprese dotate di un totale di lavoratori – operai e impiegati – compresi tra 1 e 50; b) di liberalizzare, due o tre anni più tardi, le imprese comprendenti fra 50 e 100 operai-impiegati. Si sarebbe dovuto andare dal basso in alto, dalle imprese piccole e piccolissime direttamente verso le grandi imprese, 6 o 8 anni più tardi.
La libera impresa è tonificante e stimolante. Non è lo stesso per la finanza speculativa internazionale, che ricerca soltanto il profitto immediato. Non è questo il luogo per descrivere le differenze considerevoli fra capitalismo industriale (Ford, Renault, Citroën) e il capitalismo bancario speculativo (Fondo Monetario Internazionale). Esistono centinaia di pagine di studi economici di Dastier e Thiriart (1962-1965) sull’argomento.
Esagerando, si potrebbe dire che il Comunitarismo è l’economia totalmente libera fino a 50 operai, co-gestita da 50 a 500, controllata da 500 a 5.000, statalizzata al di sopra dei 5.000. Si tratta di una concezione a geometria variabile fra capitalismo e socialismo classico.
(15) La Germania attuale è simultaneamente un gigante economico e un eunuco politico. E’ un Paese storicamente castrato dal 1945. La Germania attuale costituisce una delle zone di sfruttamento dell’economia cosmopolita radicata a Wall Street.
L’economista List ha dimostrato con ammirevole chiarezza la differenza fra economia cosmopolita ed economia politica.
Thiriart vi si ispirerà per la propria teoria dell’economia di potenza opposta all’economia di profitto degli Stati Uniti.
Esiste un’eccellente analisi di List fatta dall’autore americano Edward Mead Earle in Makers of modern strategy (Princeton University, 1943); pubblicata in francese nel 1980 da Berger-Levrault sotto il titolo Les maîtres de la stratégie (ch. 6: “Adam Smith, Alexander Hamilton, Friedrich List: les fondements èconomiques de la puissance militaire”). List visse a lungo negli Stati Uniti; disse che “La ricchezza è inutile senza l’unità e la potenza della nazione”. L’analisi di E.M. Earle costituisce, per il livello e la qualità, un brano di antologia geopolitica.
(16) Cfr. nota precedente.
(17) Il Mercato Comune dei Dodici comprende circa 20 milioni di disoccupati. Nessuno ignora, credo, le nozioni di disoccupazione strutturale e disoccupazione congiunturale. Ma l’ipocrisia delle società plutocratiche non menziona mai la disoccupazione “istituzionale”, per non dire “professionale”.
I disoccupati contenti di esserlo sono ahimé molto numerosi. Questi disoccupati sono degli elettori. Allora è fuori discussione far loro la morale, o rimproverarli. Prendiamo la Vallonia: “Una famiglia di quattro disoccupati vive bene”. Quando Cesare prese il potere a Roma, la città contava allora 320.000 “assistiti” (disoccupati-elettori). Cesare riuscì a portare quella cifra a 150.000 con la legge da lui varata detta Lex Julia Municipalis.
In Belgio la burocrazia ha creato termini come “beneficiari” e “aventi diritto” (… a dei sussidi di disoccupazione). Il cittadino è stato rimpiazzato dal beneficiario.
I delinquenti recidivanti e gli omosessuali votano anche loro: neanche parlarne di infastidirli, figuriamoci angariarli.
Una presa di possesso (del piatto del burro) può dipendere da uno score elettorale 52-48. Quando si sa che la Francia conta il 10% di disoccupati, il 5% di omosessuali, il 7% di delinquenti recidivi, l’8% di etilisti, il 19% di persone che giocano regolarmente al Lotto o al Tiercé [gioco pubblico di scommesse settimanali basato sul pronostico dei primi tre cavalli classificati in una corsa; analogo al nostro Totip o Totocalcio – n.d.t.], il 34% di fiduciosi-a-oltranza nell’oroscopo, e il 3% di drogati permanenti od occasionali, ci si può fare un’idea di ciò in cui può sfociare un sistema elettorale applicato in regime di plutocrazia. Da rileggere: Bertolt Brecht, Gli affari del signor Giulio Cesare.
(18) L’imperialismo americano utilizza una vecchia ed efficace ricetta: quella della classe-cuscinetto.
Questa classe-cuscinetto reclutata sul posto procura alla plebe indigena di essere governata “dai suoi”. In Marocco, al tempo di Lyautey, si era deliberatamente lasciata in pace una classe-cuscinetto musulmano col “suo” sultano. Questa classe-cuscinetto era, in privato, ironicamente chiamata i beni-oui-oui [lett. benben-sì-sì; espressione familiare, scherzosa o spregiativa, indicante persone sempre pronte ad approvare le iniziative di un’autorità costituita – n.d.t.].
Mitterand, Kohl e tutti gli altri burattini di Bonn, Madrid, Londra e Bruxelles rassicurano le plebi indigene. Quando parlate all’uomo della strada dell’occupazione americana dell’Europa passate per pazzo. Occorrerà ancora soltanto qualche mese perché Washington schieri in campo delle classi-cuscinetto in Russia, Ucraina, etc.. La classe cuscinetto diverte il popolino con un po’ di problemi minori. Lo diverte, lo distrae, lo distoglie. E’ la diversione mediatica. Tutte le grandi decisioni strategiche, bancarie, storiche sono prese a Washington o a Wall Street.
Fonte: Orion, n. 96, settembre 1992, pp. 11-23
(Fine seconda parte – Le opinioni espresse in questo articolo sono solamente dell’autore e possono non coincidere con quelle del curatore del blog)

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