Base Structure Report 2008

us-army

Il Dipartimento della Difesa USA rimane uno dei più grandi “proprietari terrieri” del mondo con un impianto fisico costituito da più di 545.700 strutture situate in più di 5.400 località su circa 30 milioni di acri (12.140.569 ettari). Il Base Structure Report (BSR) per l’anno fiscale 2008 rappresenta una sintesi unificata dell’inventario annuale delle proprietà e delle strutture del Dipartimento della Difesa, non soggette a segreto militare, al 20 settembre 2007.
Ciascun record comprende il nome del sito, il corpo delle Forze Armate a cui è stato assegnato, il nome della città più vicina, il numero degli edifici di proprietà in affitto o d’altro genere, la superficie in acri totale ed il totale di acri usato, il valore effettivo (in milioni di dollari) ed il numero di personale autorizzato (militare, civile e altro) se disponibile.
Se la struttura fisica della base può cambiare nel corso dell’anno (nuove costruzioni, demolizioni, ecc.), il BSR è un’“istantanea” dell’impianto fisico del Dipartimento della Difesa al 30 settembre 2007. Le basi elencate possono trovarsi a diversi stadi di attività, compreso “non utilizzato” o “in attesa di disposizioni”.
Questo rapporto comprende informazioni specifiche sui siti che rispondono a predefiniti criteri di grandezza e valore (eccetto i siti della Guardia Nazionale della sezione X). Se il sito si trova in un Paese straniero dev’essere più grande di 10 acri (circa 4 ettari) oppure avere un valore effettivo superiore a 10 milioni di dollari per essere indicato singolarmente. Per mantenere la completezza del documento, i siti che non rispondono a questi criteri sono riuniti come “Altri” all’interno di ciascuno Stato o Paese.
I dati sul personale sono inclusi in questo documento unicamente al fine di mostrare l’ordine di grandezza e non devono essere considerati come dati convalidati sulle risorse umane del dipartimento militare. È anche possibile che i totali di questo documento non rappresentino l’effettiva popolazione in un determinato sito.

A seguire, un elenco delle principali definizioni.
Name nearest city: identifica il nome della città in cui si trovano i beni immobiliari o di quella ad essi più vicina.
Buildings: edifici; una struttura (di uno o più livelli) chiusa e provvista di tetto, pavimento e muri costruita su un lotto di terreno e adatta per una tra una vasta gamma di attività (abitazione, spazi riservati a uffici e/o produzione).
Structures: strutture; una struttura classificata diversamente da un edificio o da strutture lineari che è costruita su/nel terreno (per es. strade, ponti, rifugi, poligoni, ecc.).
Linear structures: strutture lineari; un sistema di distribuzione che fornisce un servizio od un bene comune ad uno o più edifici o strutture (per es. linee di comunicazione, distribuzione della corrente elettrica, fognature).
Total acres: acri totali; identifica il numero totale di acri posseduti, usati o affittati dal Dipartimento della Difesa.
Notes on personnel data: note sui dati del personale; pur essendosi fatti tutti gli sforzi per far corrispondere la consistenza del personale al sito giusto, la popolazione può non riflettere l’effettiva popolazione del sito.
MIL: identifica tutto il personale militare noto autorizzato per il sito.
CIV: identifica tutto il personale civile noto del Dipartimento della Difesa identificato per il sito.
OTHER: identifica tutto il restante personale civile identificato per il sito, compresi i cittadini stranieri e, qualora disponibile, qualsiasi contrattista a tempo pieno.

Lo studioso dell’imperialismo statunitense Chalmers Johnson ha avuto a dire: “Secondo il “Base Structure Report” del Pentagono – l’inventario annuale delle proprietà e delle strutture in affitto delle Forze Armate – nel 2008 gli Stati Uniti usufruiscono di 761 “siti militari” in paesi stranieri. (Questo il termine preferito dal Dipartimento della Difesa, invece che basi come di fatto sono). Contando anche le basi militari sul territorio USA arriviamo ad un totale di 5.429.
Le stime all’estero fluttuano di anno in anno. Il totale 2008 scende dalle 823 del 2007 che saliva dalle 766 del 2006. Il totale attuale rimane comunque sostanzialmente meno di quello del picco di 1.014 durante la Guerra Fredda nel 1967. In ogni caso se si considera che ci sono solo 192 Paesi nelle Nazioni Unite, 761 basi militari all’estero sono un notevole esempio di espansionismo imperialista – anche di più se si considera che i comunicati ufficiali militari sottostimano la situazione reale. (Le stime ufficiali omettono le basi di spionaggio, quelle nelle zone di guerra, incluse in Iraq ed Afghanistan, e strutture di entità mista collocate in zone considerate troppo sensibili da discutere o che il Pentagono per le sue più svariate ragioni sceglie di escludere – es. Israele, Kosovo o Giordania).”

Il Base Structure Report (BSR) per l’anno fiscale 2008 è qui.

A questa pagina, invece, è possibile prendere visione di una efficace elaborazione grafica interattiva della presenza militare statunitense del mondo, messa a punto dalla redazione di Mother Jones.

6 thoughts on “Base Structure Report 2008

  1. L’Ecuador sfratta la base USA, la Colombia ne concede tre

    Il giorno 17 luglio un aereo P3 Orione della Marina statunitense ha completato l’ultimo volo operativo atterrando a Manta alla presenza di autorità ecuadoriane e statunitensi. Le operazioni di trasloco cominciate questa settimana si concluderanno il 18 settembre. Dopo di allora nessun militare straniero potrà più operare in territorio ecuadoriano in osservanza alla Costituzione del paese andino che sta disegnando per Manta un futuro che potrebbe essere molto prospero: diventare l’hub dei voli tra l’Asia e l’America latina.
    Visto dall’Italia (ma non dalla Maddalena) ricorda il “buttiamo a mare le basi americane” degli anni ’60 per l’uscita dalla NATO con battaglie sempre più minoritarie e romantiche. Le basi, statunitensi e della NATO, da noi invece sono lì per rimanere e con difficoltà si troverebbe oggi in Parlamento un solo parlamentare disposto a chiederne, anche solo in maniera formale, la chiusura, nonostante la presenza di bombe atomiche e di altri obbrobri completamente sottratti alla nostra sovranità popolare.
    Visto da un paese povero, dipendente e perfino ancora dollarizzato nell’economia come l’Ecuador, la chiusura della base statunitense di Manta è parola viva, dignità popolare che si fa maggioranza politica, sovranità e precetto costituzionale.
    Sbaglia però chi pensa che il “Comando Sud” possa avere problemi di operatività con l’uscita dall’Ecuador. Contestualmente all’abbandono di Manta il governo colombiano di Álvaro Uribe ha messo a disposizione non una ma tre delle migliori basi in territorio colombiano perché questo possa continuare indisturbato a sorvegliare e minacciare l’America latina utilizzando il problema del narcotraffico come scusa per legittimare la penetrazione nella regione.
    (…)
    In ogni caso almeno 800 soldati e 600 contrattisti civili, tutti dotati di completa immunità per qualunque crimine dovessero commettere in territorio colombiano, si sistemeranno in tre basi al Nord, al Centro e al sud-ovest della Colombia (rispettivamente Malambo, Palanquero e Apiay). Su altre due basi, Tolemaida e Larandía l’accordo non dovrebbe tardare e il tutto rafforza la presenza militare statunitense che conta con megabasi in tutto il paese a partire da quella di Tres Esquinas nel Caquetá, una regione al centro-sud del paese strategica per il controllo di Ecuador, Perù e Amazzonia brasiliana.

    Gennaro Carotenuto,
    21 luglio 2009
    http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=view&id=366&Itemid=146

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  2. On June 29 US President Barack Obama hosted his Colombian counterpart Alvaro Uribe at the White House and weeks later it was announced that the Pentagon plans to deploy troops to five air and naval bases in Colombia, the largest recipient of American military assistance in Latin America and the third largest in the world, having received over $5 billion from the Pentagon since the launching of Plan Colombia nine years ago.

    Six months before the Obama-Uribe meeting outgoing US President George W. Bush bestowed the US’s highest civilian honor, the Medal of Freedom, on Uribe as well as on former British Prime Minister Tony Blair and former Australian Prime Minister John Howard.

    A press account of the time expressed both shock and indignation at the White House’s honoring of Uribe in writing that “Despite extra-judicial killings, paramilitaries and murdered unionists, Colombia’s President Uribe has won the US’s highest honor for human rights.”

    The same source substantiated its concern by adding:

    “Colombia is the most dangerous country on earth for trade unionists. In 2006, half of all union member killings around the world took place there. Since Uribe came into power in 2002, nearly 500 have been murdered. In reply to concern about the assassinations, Uribe dismissed the victims as ‘a bunch of criminals dressed up as unionists.’

    “More than 1,000 cases of illegal killings by the military are being investigated. There are dozens of cases of soldiers taking innocent men, murdering them and dressing them up as enemy combatants. Hundreds of
    members of the security forces are thought to have taken part in such activities.”
    (…)

    From its very advent it was intended to be more than an intensification of the decades-old counterinsurgency war in Colombia and to be the opening salvo of a US campaign to escalate the militarization of the Andes region. White House and Pentagon plans to employ Colombia as a regional military force and operating base to police South America have gained new urgency for Washington with political transformations in Venezuela, Bolivia, Ecuador, Argentina and Paraguay heralding the end of US political, economic and military domination of the continent.
    (…)

    Since the implementation of Plan Colombia in 2000 the US has enlisted several NATO allies for the counterinsurgency war in the nation and for broader purposes in the region. British SAS (Special Air Service) personnel have been assigned to the Colombian military for training purposes and Spain also sent military personnel.

    The North Atlantic Treaty Organization has members in Europe and North America and partnerships in Asia (Afghanistan, Japan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan, Singapore, South Korea, Tajikistan, Turkmenistan and Uzbekistan) and Africa (Algeria, Egypt, Mauritania, Morocco and Tunisia) and with Australia.

    The only inhabited continent it hasn’t penetrated yet is South America.

    In January of 2007 Colombian defense chief Santos traveled to Washington, London and Brussels, in the last-named city “for talks with the European Union,” and then to Munich, Germany “for a meeting of NATO defense ministers.” Santos of course made the tour to garner more military aid from the US and its NATO allies. The European Union was reported to have provided $154 million annually as of that year.

    Venezuelan President Hugo Chavez warned in September of 2005 that “We discovered through intelligence work a military exercise that NATO has of an invasion against Venezuela, and we are preparing ourselves for that
    invasion.”

    He detailed the plan as consisting of a “military exercise…known as Plan Balboa [that] includes rehearsing simultaneous assaults by air, sea and land at a military base in Spain, involving troops from the US and NATO countries.” US troops deployed to the Dutch possession of Curacao off Venezuela’s northwest coast were also part of the planned operation.
    (…)

    Also in April of 2008 the US Air Forces Southern director of operations, Col. Jim Russell, advocated that troops being withdrawn from Iraq be redeployed to the Pentagon’s Southern Command which takes in South and Central America and the Caribbean. He stated at the time: “We think, as we move ahead, we will see more of a shift of attention towards the region.

    “We’re seeing problems right at the mouth of Central America. That’s the gateway to our southern border.”

    On July 12, 2008 the US Navy reestablished its 4th Fleet, encompassing South and Central America and the Caribbean as does the Pentagon’s Southern Command, after it was disestablished in 1950 following World War II.

    Earlier this year the chief of the Southern Command, Admiral James Stavridis, became NATO Supreme Allied Commander and head of the Pentagon’s European Command. Three of the last five NATO top military commanders – Stavridis, his predecessor Bantz John Craddock and Wesley Clark – moved to that post from being head of Southern Command.
    (…)

    Ecuador refused to renew an agreement with the US for the use of its Manta military base and so Washington lost its basing rights there this month. With the corresponding announcement last week by Colombian President Uribe that he was turning five more military bases over to the Pentagon – three airfields and two navy bases – President Chavez was correct in seeing the move as “a threat against us,” and warning that “They are surrounding Venezuela with military bases.”

    Since the overthrow of Honduran President Manuel Zelaya on June 28, led by military commanders trained at the School of the Americas, alarms have been sounded in Latin America and throughout the world that the coup, far from being an aberration or anachronism, may mark a precedent for more in the near future.

    And just as in the final months of the Bush presidency and the first seven months of the current one military operations in Afghanistan, for five years given secondary importance in relation to Iraq, have escalated into the world’s major war front, so plans for direct US military aggression in Latin America, dormant since the invasion of Panama in 1989, may be slated for revival.

    US Escalates War Plans In Latin America.
    US Military: After Iraq, Latin America,
    by Rick Rozoff

    http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14503

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  3. However ambitious President Barack Obama’s domestic plans, one unacknowledged issue has the potential to destroy any reform efforts he might launch. Think of it as the 800-pound gorilla in the American living room: our longstanding reliance on imperialism and militarism in our relations with other countries and the vast, potentially ruinous global empire of bases that goes with it. The failure to begin to deal with our bloated military establishment and the profligate use of it in missions for which it is hopelessly inappropriate will, sooner rather than later, condemn the United States to a devastating trio of consequences: imperial overstretch, perpetual war, and insolvency, leading to a likely collapse similar to that of the former Soviet Union.
    (…)

    We are like the British at the end of World War II: desperately trying to shore up an empire that we never needed and can no longer afford, using methods that often resemble those of failed empires of the past — including the Axis powers of World War II and the former Soviet Union. There is an important lesson for us in the British decision, starting in 1945, to liquidate their empire relatively voluntarily, rather than being forced to do so by defeat in war, as were Japan and Germany, or by debilitating colonial conflicts, as were the French and Dutch.
    (…)

    Dismantling the American empire would, of course, involve many steps. Here are ten key places to begin:

    1. We need to put a halt to the serious environmental damage done by our bases planet-wide. We also need to stop writing SOFAs that exempt us from any responsibility for cleaning up after ourselves.

    2. Liquidating the empire will end the burden of carrying our empire of bases and so of the “opportunity costs” that go with them — the things we might otherwise do with our talents and resources but can’t or won’t.

    3. As we already know (but often forget), imperialism breeds the use of torture. In the 1960s and 1970s we helped overthrow the elected governments in Brazil and Chile and underwrote regimes of torture that prefigured our own treatment of prisoners in Iraq and Afghanistan. (See, for instance, A.J. Langguth, Hidden Terrors [Pantheon, 1979], on how the U.S. spread torture methods to Brazil and Uruguay.) Dismantling the empire would potentially mean a real end to the modern American record of using torture abroad.

    4. We need to cut the ever-lengthening train of camp followers, dependents, civilian employees of the Department of Defense, and hucksters — along with their expensive medical facilities, housing requirements, swimming pools, clubs, golf courses, and so forth — that follow our military enclaves around the world.

    5. We need to discredit the myth promoted by the military-industrial complex that our military establishment is valuable to us in terms of jobs, scientific research, and defense. These alleged advantages have long been discredited by serious economic research. Ending empire would make this happen.

    6. As a self-respecting democratic nation, we need to stop being the world’s largest exporter of arms and munitions and quit educating Third World militaries in the techniques of torture, military coups, and service as proxies for our imperialism. A prime candidate for immediate closure is the so-called School of the Americas, the U.S. Army’s infamous military academy at Fort Benning, Georgia, for Latin American military officers. (See Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire [Metropolitan Books, 2004], pp. 136-40.)

    7. Given the growing constraints on the federal budget, we should abolish the Reserve Officers’ Training Corps and other long-standing programs that promote militarism in our schools.

    8. We need to restore discipline and accountability in our armed forces by radically scaling back our reliance on civilian contractors, private military companies, and agents working for the military outside the chain of command and the Uniform Code of Military Justice. (See Jeremy Scahill, Blackwater:The Rise of the World’s Most Powerful Mercenary Army [Nation Books, 2007]). Ending empire would make this possible.

    9. We need to reduce, not increase, the size of our standing army and deal much more effectively with the wounds our soldiers receive and combat stress they undergo.

    10. To repeat the main message of this essay, we must give up our inappropriate reliance on military force as the chief means of attempting to achieve foreign policy objectives.

    Unfortunately, few empires of the past voluntarily gave up their dominions in order to remain independent, self-governing polities. The two most important recent examples are the British and Soviet empires. If we do not learn from their examples, our decline and fall is foreordained.

    Liquidating Our Empire.
    Three Good Reasons And Ten Steps to Take to Do So,
    di Chalmers Johnson

    http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14714

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  4. notare l’uso dei termini “accedere” e “accesso”, in stile neolingua orwelliana

    Venezuela, Chavez minaccia rottura diplomatica con Colombia
    di Ana Isabel Martinez
    Reuters, 26 agosto

    Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha minacciato di rompere le relazioni diplomatiche con la Colombia dopo la decisione di Bogotà di consentire all’esercito americano l’accesso alle sue basi militari.

    “Dobbiamo preparare la rottura dei rapporti con la Colombia, Nicolas. Succederà”, ha detto Chavez al suo ministro degli Esteri, Nicolas Maduro, in una trasmissione della televisione statale.

    Chavez è furioso per l’accordo tra Stati Uniti e Colombia, che consentirà all’esercito Usa di accedere a sette basi militari colombiane, all’interno del programma comune di lotta ai trafficanti di droga e ai guerriglieri.

    Il presidente venezuelano vede nell’accordo un tentativo di circondare e isolare il suo governo e ha paventato una possibile guerra in Sud America come conseguenza dell’aumento di truppe nella zona.

    Ma sia Washington che Bogotà hanno negato di avere il Venezuela come obiettivo e hanno, invece, sottolineato come il numero massimo di soldati Usa presenti sul suolo colombiano rimarrà fermo a 800, esattamente come prima.

    In ogni caso, le preoccupazioni di Chavez hanno trovato supporto in altri governi dei paesi latino-americani, anche più moderati di quello venezuelano, come quello brasiliano.

    La minaccia di Chavez di rompere i rapporti diplomatici con la Colombia arriva prima del summit regionale, in programma venerdì a Bariloche, in Argentina, dove i leader del Sud America discuteranno anche dell’accordo Colombia-Stati Uniti.

    I due paesi andini condividono rapporti commerciali per sette miliardi di dollari, ma Chavez ha già fatto sapere di voler spostare i propri affari in Argentina o in altre nazioni considerate alleate.

    Il presidente venezuelano ha spesso avuto dispute con il suo alter ego colombiano Alvaro Uribe, presidente del paese più vicino agli Usa nella regione, ma in questa circostanza le tensioni sembrano essere più gravi rispetto al passato.

    Chavez ha anche richiamato il suo ambasciatore a Bogota ad inizio agosto, salvo poi farlo tornare in Colombia qualche giorno più tardi. Ma il fatto che la Colombia abbia giudicato un’intromissione la presa di posizione del Venezuela ha nuovamente alimentato le tensioni.

    Questa disputa rischia anche di danneggiare e minare l’impegno del presidente Usa Barack Obama per migliorare i rapporti con i paesi del Sud America tradizionalmente più critici nei confronti di Washington.

    I responsabili della sicurezza Usa hanno cercato di minimizzare la portata dell’accordo, sottolineando come l’obiettivo sia solo aumentare la capacità di sorveglianza della zona contro i narcotrafficanti, indebolita dalla decisione del governo dell’Ecuador, vicino a Chavez, di negare agli Stati Uniti l’accesso alla base di Manta, sulla costa pacifica.

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  5. Colombia: Lula, Basi Americane Sono Un ”Problema Serio”

    (ASCA-AFP) – Brasilia, 31 ago – L’imminente utilizzo di sette basi in Colombia da parte dell’esercito statunitense e’ ”un problema serio” che deve essere discusso ulteriormente dai leader sudamericani. E’ quanto ha affermato il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. ”Il trattato tra Colombia e Stati Uniti deve avere una garanzia legale che consenta a qualsiasi altro Paese che si sente minacciato di presentarsi davanti a forum internazionali”, ha dichiarato Lula nel suo discorso radiofonico settimanale.
    Il controverso accordo sulle basi, dettagli del quale sono venuti alla luce per la prima volta sulla stampa colombiana a meta’ luglio, e’ stato oggetto di un infuocato summit tra i presidenti sudamericani lo scorso venerdi’. Nel corso del vertice, Venezuela e altri Paesi hanno espresso il timore che la maggiore presenza militare americana in Colombia – apparentemente per combattere i trafficanti di droga – possa essere utilizzata contro le nazioni vicine, diverse delle quali hanno governi di sinistra anti-americani. Il summit ha diffuso una dichiarazione nella quale si diffidano ”le forze militari straniere” dal minacciare la sovranita’ nazionale di altri Paese, senza citare specificamente gli Stati Uniti o il Venezuela. Si e’ inoltre deciso che le nazioni sudamericane esamineranno ulteriormente la questione in futuri incontri.
    Lula ha spiegato di volere che il consiglio per la difesa della regione studi la ”vera situazione delle frontiere di tutti i Paesi” e che il consiglio per la lotta al traffico di droga esamini come la regione puo’ contrastare il problema senza il coinvolgimento americano. ”Dobbiamo assumerci la responsabilita’ di prenderci cura del nostro territorio e dei nostri confini”, ha sottolineato.

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  6. Le “basi” in Colombia sono strategiche per gli USA

    Lo storico e geopolitico brasiliano, Luiz Moniz Bandeira – in un’intervista rilasciata all’argentina LA ONDA digital sulle recenti dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, il quale ha negato che il suo governo voglia insediare basi militari in Colombia – dichiara che, in realtà, “quell’affermazione è ingannevole” perché “le basi rimangono nominalmente sotto il controllo delle Forze Armate colombiane, ma i militari americani le amministrano di fatto e possono usarle come e quando lo desiderano”.

    http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkVEZAuyFyPQdFDWeV.shtml

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