Matteo Miotto, una morte al di sotto di ogni sospetto

Le flagranti e pagliaccesche contraddizioni della versione ufficiale

Non ci stupisce che ad appena 24 ore dai funerali a S. Maria degli Angeli il Presidentissimo, influenzato e febbricitante – ci aveva fatto sapere – tanto da non poter essere presente alla cerimonia funebre di Matteo Miotto dopo aver disertato anche quella all’aeroporto di Ciampino, abbia avuto tutto il tempo per rimettersi in perfetta salute e raggiungere Napoli ancora sommersa dalla spazzatura, per farsi ciceronare insieme alla Sign.ra Clio in un evento culturale di grande richiamo come può esserlo una mostra del Caravaggio.
La morte dell’Alpino il 31 Dicembre ha avuto come effetto di disturbargli, oltre che il soggiorno a Villa Roseberry, anche il calendario degli appuntamenti familiari nei primi tre giorni dell’anno.
Il tutto mentre il suo Ministro della Difesa, visto che l’inquilino del Quirinale è anche Capo Supremo delle Forze Armate (almeno così dice), volava a rotta di collo a Herat per portare – questa la motivazione ufficiale del viaggio – il suo saluto al contingente italiano.
Un “corpo di spedizione“ ormai con il morale sotto i tacchi non solo per la morte dell’Alpino ma soprattutto per la nuova tattica, pretesa ed imposta dal generale Petraeus, di stare sul “terreno“ in Afghanistan.
L’allargamento delle “bolle di sicurezza“, che ci ricordano quelle di sapone, e la trasformazione dei reparti ISAF Italia in Task Force, sul famigerato modello 45, più l’approntamento di capisaldi fissi, in zone totalmente fuori controllo con necessità di rifornimenti logistici via aria e terra, non potevano non portare ad un incremento da capogiro delle nostre perdite.
Nel 2010 sono morti 10 militari italiani contro i 25 complessivamente caduti dal 2002, da Kost con la Folgore (base Salerno, confine Af/Pak) fino al 2009, portando il conto, per ora, a 35 morti ammazzati per una “missione di pace“ che fa sabbia da tutte le parti al di là dei costi stratosferici che impone ad uno sfiatatissimo erario pubblico.
Per capire il livello di autentica follìa raggiunto dal Governo basterà ricordare l’ultimo regalo da 6 milioni di euro a Dicembre dell’anno appena concluso, fatto dalla Cooperazione gestita dal Ministro degli Esteri Frattini per lo sviluppo dei progetti agricoli di Kabul, nello stesso giorno in cui Polizia e Carabinieri bastonavano nel porto di Civitavecchia il capo del Movimento Pastori Sardi Piras e la sua delegazione, in rappresentanza di 15.000 produttori ridotti alla fame, intenzionata a raggiungere Roma e protestare sotto Palazzo Chigi.
La visita di La Russa a Herat non ci ha affatto sorpreso. A dire il vero ce lo aspettavamo.
Con il Presidente della Camera in vacanza nell’Oceano Indiano, dopo la visita di Schifani al PRT di Herat non poteva mancare quella del D’Annunzio del XXI° secolo.
E poi la morte di Miotto necessitava di qualche urgente aggiustamento sul posto, vista la brutta piega che stava prendendo la faccenda in Italia quando sono cominciate a filtrare le prime indiscrezioni che smentivano la versione preparata a tavolino a Palazzo Baracchini: il rinvenimento di un proiettile in calibro 7.62 nella mimetica di Matteo Miotto in corrispondenza di un foro di uscita nella schiena.
Ed è così che si tenterà di fare e di impiastricciare.
Quando l’Ansa ha battuto il dispaccio del 31 Dicembre ha scritto inequivocabilmente “cecchino“. Un cecchino isolato, un terrorista che ha sparato un unico colpo all’indirizzo dell’Alpino e quella notizia è sicuramente partita dal Ministero della Difesa.
Versione poi confermata ufficialmente da La Russa. Letta quella dichiarazione siamo andati a cliccare “Dragunov“. Lo avevamo visto in Iraq nelle mani della guerriglia baathista.
Ne sapevamo qualcosa e abbiamo voluto rinfrescarci la memoria. Il primo filmato su Youtube che ne è uscito ci mostrava dei rangers USA che si addestravano al tiro con quel “fucile di precisione“ in Afghanistan con l’immancabile accompagnamento di caciara yankee.
In più eravamo certi di non averlo visto, nemmeno una volta, nella disponibilità di qualche formazione pashtun. Le decine di fotografie che via, via nel tempo abbiamo esaminato lo escludevano.
Il generale Marcello Bellacicco, attuale comandante del PRT di Herat, ha definito il Dragunov una “new entry“. Un linguaggio da Grande Fratello. Ma così è… se vi pare.
Un’arma che non ha mai destato allarme nelle forze della coalizione ISAF tanto da poter essere venduto come residuato di guerra nei suk delle principali città del Paese delle Montagne.
Il perché è semplice. I modelli in mostra non hanno ottica né diurna anni ’60 a ingrandimento 4, né notturna che necessita di una pila di alimentazione. Inoltre non è maneggevole, è impreciso nel tiro a media-lunga distanza, non dispone di bipiede di appoggio, ha limitate capacità di fuoco, il serbatoio contiene 10 colpi, e necessita di proiettili in calibro 7.62×54 che sono diversi nelle dimensioni dai 7.62×33 degli AK-47.
Ed in più i pashtun, per “ancestrale arretratezza culturale“, disprezzano il tiratore scelto e camuffato dell’Occidente che colpisce di nascosto.
L’ipotesi del cecchino isolato che aveva colpito Miotto, prima alla spalla, poi al fianco, e poi tra collo e spalla non riusciva a convincerci.
Anche perché il caposaldo Buji o Snow sta in una posizione sopraelevata di 250 mt sul terreno desertico, circostante, non ha torrette come Fort Alamo, ma piazzole, camminamenti ed alloggi approntati con materiale di fortuna ed una protezione passiva fatta di “ecobastian“ addossati l’uno all’altro a formare un cerchio su un area di 3-400 mq, trasportati sul posto con elicotteri CH-47.
Per quanto ne sappiamo, Buji è un avamposto in zona desertica privo di rampa di accesso per mezzi ruotati, rifornibile esclusivamente per via aerea anche per l’avvicendamento del personale, tenuto da un mezzo plotone scarso di militari che vivono in una costante condizione di isolamento psicologico e materiale dal Comando Centrale di Herat.
In alcuni capisaldi, dove il terreno lo consentiva, un quarto dei militari italiani sono stati costretti a scavare trincee con pala e piccone ed a mettere su alloggiamenti con travi, prefabbricati ed ondulati, tenendo le posizioni con temperature oscillanti tra il giorno e la notte tra i +40 ed i -5/-7 in estate ed i –15/-20 in inverno.
Ritenevamo invece che fosse indispensabile trovare il proiettile che aveva attinto Matteo Miotto perché poteva contenere un’enormità di informazioni utili: fattura, calibro, composizione delle leghe, rigature lasciate dalla canna e così via per poter essere certi che non fosse magari un proiettile 308W sparato da “fuoco amico“, molto ma molto simile al 7.62×54 sparato da un Dragunov.
Appena 3 millimetri di differenza in meno nella lunghezza del bossolo.
La ritenzione o meno del proiettile nel corpo di Miotto era un altro problema che avrebbe dovuto uscire dall’autopsia ma così non è stato. Dal momento che le pensiamo tutte ma proprio tutte ci è parso strano che il procuratore aggiunto Saviotti sia stato chiamato il giorno successivo a rapporto dal Copasir. Può essere che D’Alema voglia sentirlo per Calipari, come è stato annunciato, ma… qualche dubbio, di indebita pressione “altra“ non può non rimanere in piedi.
Dal leggìo delle grandi occasioni del PRT di Herat, dall’hangar alla presenza delle truppe schierate, un La Russa in tuta mimetica ha voluto farci sapere quale dovrebbe essere l’ultima versione della morte dell’Alpino del 7° reggimento della Julia.
Lo riportiamo per intero per far capire ai lettori la sfrontatezza con cui si dichiara il falso e le enormi difficoltà che incontra nel dare una spiegazione razionale, logica all’uccisione di Matteo Miotto e le flagranti, pagliaccesce contraddizioni in cui cade.
Le conclusioni le tireremo alla fine, anche se non siamo esperti balistici sappiamo leggere e capire.
“E’ stato ucciso da un cecchino, solo che questo non ha sparato un solo colpo ma diversi colpi. Si può pensare che non fosse solo, anzi è probabile che ci fossero altri 4-5 uomini di copertura ma è possibile che a sparare sia stato soltanto lui. E’ stato un vero e proprio scontro a fuoco. Gli insurgents che hanno attaccato la base, difficile dire quanti fossero, hanno cominciato a sparare con armi leggere [di pesanti non ne hanno mai avute – nda]. I militari italiani hanno risposto. Miotto che faceva parte di una forza di pronto impiego è andato alla garitta a dare manforte al soldato che c’era. Sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. E proprio mentre si stava abbassando che Matteo è stato colpito al collo. Dall’esame del proiettile è stato possibile risalire all’arma che ha fatto fuoco. E’ un Dragunov degli anni ’50 di fabbricazione sovietica. Si trova anche al mercato nero di Farah“.
Dal canto suo il generale Bellacicco, nel tentare di dare due mani e due piedi al suo superiore, senza pensare di poterlo inguaiare ancora di più ha dichiarato con candore quanto segue:
“La battaglia alla base Snow si è conclusa dopo diverse decine di minuti anche in seguito all’intervento di un aereo americano che ha contribuito a bonificare l’area. Secondo indiscrezioni ci sarebbero state 4 vittime tra gli insorti. Non è chiaro se tra di loro ci fosse anche il cecchino“.
Un’ultima annotazione prima di chiudere. La Russa si è portato ad Herat 4 ragazzi sotto i diciotti anni di età che hanno già sperimentato la sua “mini-naja“, due maschi e due femmine che sono stati invitati ad indossare il cappello alpino. Il loro desiderio – ha detto La Russa – è di poter fare i militari ma ancora c’è tempo. Se non quì ad Herat altrove.
Il proiettile che ha ucciso Miotto La Russa dice di averlo trovato. Lo porti in Italia e lo consegni ai pm titolari dell’inchiesta. Il resto si vedrà. Relazioni dei ROS e dichiarazioni a verbale degli altri alpini del 7° Reggimento che erano con Miotto al momento del suo decesso nella base Snow comprese. Ci apettiamo che la Procura di Roma faccia per intero il suo dovere, senza guardare in faccia nessuno, dedicando grande attenzione anche al contenuto del suo testamento per valutare la concreta possibilità di “fuoco amico“.
Giancarlo Chetoni

13 thoughts on “Matteo Miotto, una morte al di sotto di ogni sospetto

  1. ”Un’anticipazione del festival di Sanremo”.
    ovverosia, cosa ci siamo risparmiati… per ora

    ROMA, 8 gennaio – Nessun commento diretto da parte di Elisabetta Canalis, Belen Rodriguez e Gianni Morandi, ma la conferma che il giorno della Befana sarebbero dovuti essere – come annunciato oggi dal quotidiano Il Secolo XIX – a colazione con i soldati italiani di stanza in Afghanistan insieme al ministro della Difesa Ignazio La Russa. Un modo per fare omaggio ai militari del nostro Paese per portare serenita’ e un momento di festa. Era previsto appunto, il solo pranzo insieme ai soldati e nessun tipo di spettacolo da parte di quello che sara’ lo staff del prossimo Festival di Sanremo a febbraio. Una breve trasferta in Afghanistan (era previsto il ritorno in Italia il giorno stesso) tenuta in gran segreto e poi ovviamente annullata dopo l’uccisione del caporal maggiore Matteo Miotto.
    ”Un’anticipazione del festival di Sanremo” direttamente in Afghanistan, con Belen Rodriguez ed Elisabetta Canalis ad ”allietare la Befana dei militari italiani” al seguito del ministro Ignazio La Russa nella sua visita ai soldati di stanza tra Herat e il Gulistan. E’ questa, secondo quanto riporta oggi in prima pagina il Secolo XIX, l’operazione del titolare di palazzo Baracchini che sarebbe sfumata dopo l’uccisione del caporal maggiore Matteo Miotto.
    Nel retroscena pubblicato dal quotidiano genovese si legge che l’idea sarebbe venuta a La Russa intorno al 20 dicembre. ”Mentre il presidente del Senato, Renato Schifani, si preparava a passare la vigilia di Natale a Herat insieme ai soldati e a Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa – scrive il Secolo XIX – il ministro contattava in gran segreto Elisabetta Canalis, buona amica di suo figlio Geronimo”. Un invito che sarebbe stato rivolto anche a Belen e al conduttore del festival 2011, Gianni Morandi: tutti avevano accettato, secondo quanto scrive il giornale. Tuttavia, la missione sarebbe stata annullata dopo la tragica notizia dell’uccisione del caporalmaggiore degli alpini, arrivata nell’ultimo giorno dell’anno.
    LA RUSSA, IDEA BELEN-MORANDI DA STAFF SANREMO L’idea di una visita ai militari italiani in Afghanistan da parte di Gianni Morandi, Belen Rodriguez e Elisabetta Canalis era partita dallo staff di Sanremo. Lo spiega all’ANSA il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. ”Loro – ricorda il ministro – ci avevano chiesto di poter incontrare il nostro contingente; io ho contattato per un parere i comandanti e, quando mi hanno detto che la cosa si poteva fare, ho dato parere favorevole all’operazione”. Come data, aggiunge, ”io avevo indicato un giorno di festa come l’Epifania, che mi sembrava indicato per l’evento e gli artisti si erano detti d’accordo, anticipando anche il ritorno dalle vacanze per l’occasione”. Tutto era quindi pronto per la ‘spedizione’ del trio di star di Sanremo ad Herat, ma poi la visita e’ saltata dopo l’uccisione dell’alpino Matteo Miotto il 31 dicembre. ”A quel punto – osserva il ministro – non c’erano piu’ le condizioni per un incontro festoso con Morandi, Belen e la Canalis. Vedremo – aggiunge – se la cosa si potra’ riproporre in futuro”.

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  2. Il Dragunov anni ’50 di La Russa fa il paio con il Mannlicher-Carcano di Oswald… Solo gente che non ha mai visto un’arma (se non nei film di guerra tanto cari ai falconigli guerrafondai con il culo degli altri) può pensare che ci sia gente che se la beva. L’Italia è là per una guerra. Di altre verità ne vedo poche.

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  3. A proposito di mini-naja, perchè questi ragazzi non si fanno un bel periodo nel 118? Sono convinto che con quello che vedranno gli passerà la voglia di gloria bellica… (anche perchè la vita del fante non è solo ricaricare e sparare, ma pure soccorrere un compagno ferito).

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  4. LA QUESTIONE RICHIEDE ULTERIORI PRECISAZIONI.
    1) Siamo sufficientemente ANZIANI per aver conosciuto DIRETTAMENTE la guerra. Ciò significa che: chi è della MIA generazione ed è vissuto per DUE anni sulla linea del fronte, assieme ai militari accampati attorno o dentro il podere dove ervamo sfollati, ha fatto PER intero la vita del militare. Di quei militari. In mezzo al fischio delle schegge e al frullare dei proiettili di cannone sopra la testa. Compreso “Pippo” che veniva tutte le notti a tenerci svegli e che buttava una o due bombe a casaccio, ed il Tigre che arrivava sferragliando e giunto all’altezza della casa dove alloggiavamo, tirava un colpo di cannone in modo che si pensasse che lì c’era una intera batteria. Le conseguenze sono immaginabili. D’altronde non ho mai dormito così bene che nella stalla. Ce ne è da scrivere a lungo.
    2) Morire per fuoco “amico” è la morte più frequente in guerra. Da sempre. Non lo dicono mai. Ma basterebbe vedere un classico della filmistica bellica: Orizzonti di gloria, per capirlo. In quel film, in particolare, un generale ordina all’artiglieria di tirare sulla fanteria che, spossata ed impaurita, non vuole tornare all’assalto/cerneficina. Anche il grande imperatore Giuliano Flavio è morto a causa di una “lancia amica”.
    3) La situazione particolare in cui si trovavano quei nostri alpini è sicuramente all’origine della morte del giovane Miotto. In questo caso è lecito sollevare la questione della , molto nota agli psicologi. A questa sindrome, che naturalmente prende tutti coloro che si trovano in un avamposto isolato, e che vedono OMBRE minacciose ovunque ( giustamente!) il sottoscritto aggiungerebbe anche la Questa sindrome prende chiunque si trovi in armi ad attendere qualcuno che NON si VEDE MAI, ma che attesta la sua presenza in modo enigmatico, tale da suscitare l’immaginazione. Il desiderio di battersi, tipico degli isolati al confine del Deserto dei Tartari, fa cogliere qualsiasi occasione per poter scaricare la tensione tirando il grilletto.
    5) Avendo vissuto con reduci dell’ultimo conflitto, sappiamo bene cosa succede sulla linea del fronte. Appena si sente da qualche parte un botto di qualsiasi origine, si scatena un PUTIFERIO. Sparano tutti con tutti i mezzi a disposizione. Tirerebbero anche i mortaretti se ce li avessero. In quel contesto i proiettili volano ovunque, ed in qualsiasi direzione.
    6) Conclusione: parlare di Peacekiping è una vergognosa MENZOGNA. Si tratta di GUERRE COLONIALI DI CONQUISTA. E guerre di conquista per il Gas/petrolio. Oltre che…quello che nell’ ottocento si chiamava il GRANDE GIOCO, ovvero, per gli Occidentali, contenimento della Russia. ( Impero o Bolscevismo, la geopolitica è sempre la stessa.)[ Per inciso, proprio nello stesso periodo, l’Impero inglese era impegnato anche in Sudan.] Cosa fanno gli italiani in quel contesto? Semplicemente per la garanzia della propria fetta di petrolio. ( Leggere, di Zischka: La guerra segreta per il petrolio.) La geopolitica energetiche è esigenza prioritaria su tutto il resto. Senza energia non si campa. Come insegnano i videogiochi.
    [ Le cose passate fanno luce alle future, perché el mondo fu sempre di una medesima sorte. Guicciardini.]

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  5. AGGIUNTA. POICHè NON è DEL TUTTO COMPRENSIBILE il mio precedente intervento, essendo state tagliate le denominazioni delle due sindromi alle quali mi riferivo, aggiungo adesso:
    La prima è la “Sindrome del Fort Apache” soldati chiusi in un fortino circondato da pellerosse. Ogni sortita è pericolosa, ed occorre stare sempre col dito sul grilletto.
    La seconda è la “Sindrome del Deserto dei Tartari”. Una situazione di frontiera dove il nemico è spasmodicamente atteso, ma non si vede mai. Esiste solo come incubo.

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  6. D’accordo con tutti.
    Le visite dei “divi” ai soldati al fronte vengono fatte (io non sono stato mai d’accordo su tali americanate) in tempo di guerra e non di pace. Ma allora siamo in guerra, cribbio! Non lo sapevo, e la Costituzione?

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  7. Beh!! Diciamo che la consuetudine è vecchia come gli eserciti. Una volta, in assenza di cantanti e ballerine, c’erano ALTRE figure femminili AL SEGUITO DELLE TRUPPE. Cribbio! E chi SE NO, avrebbe PREPARATO I CIBI???
    Circa la Costituzione, diciamo che è stata una grande BALLA. Tutte questioni di principio, nelle quali I PUNTI ATTUATI sono quelli già presenti in precedenza. Tutto il resto NON è MAI stato attuato: come la SOCIALIZZAZIONE della PRODUZIONE e l’attuazione dell’Art.32 ( Prevenzione, Cura, Riabilitazione), realizzata nel 1978 [ Legge 833, istitutiva del S.S.N. ] solo per quanto riguarda la Cura ( che interessa soprattutto le Multinazionali).

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  8. Io la verità la so perfettamente ma non voglio dirla.
    Ad ogni modo credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che chi ha ucciso Miotto la deve pagare, siano gli Insurgents Afghani o qualcun altro.
    Se fosso qualcun altro le armi del cosiddetto “stato” non servirebbero comunque a granchè.

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  9. scommettiamo che Luca è un militare?
    magari reduce proprio da un periodo trascorso in Afghanistan…
    comunque, il cosiddetto “Stato”, attraverso i suoi organi di magistratura, può garantire giustizia accertando il reale andamento dei fatti.
    difficile però che accada quando il responsabile della “Difesa”, di nuovo ieri alla Camera, ha ribadito la versione del “tiratore scelto con un fucile di precisione degli anni 50 di fabbricazione sovietica”.
    Inoltre, La Russa ha voluto aggiungere subito che, pero’, non si puo’ aver timore di dire che in Afghanistan i nostri soldati non svolgono solo una missione di pace ma, quando serve, devono ”far uso della forza giusta”. E su questa impostazione, ha concluso il ministro, i militari hanno dato il loro pieno appoggio

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  10. MA IL PROBLEMA è PROPRIO QUESTO: la guerra è “latente” ma sempre presente su questo Globo. Prima e dopo la globalizzazione. Chi la nega è un falsario e la domanda retorica se siamo in guerra o no non serve a nulla ed a nessuno. La nostra presenza in Afghanistan è motivata da interessi nazionali. Il rischi è forte e man mano che la guerra procede le “scaramucce” aumenteranno. Ma noi abbiamo dimenticato la guerra che, sempre in Afghanistan, decretò la fine dell’URSS, e che interpretata da tutti i commentatori bellici come la “vendetta” americana del Viet-Nam. Il fuoco amico, come ho già scritto, ed in presenza della generalizzata “Sindrome del Deserto dei Tartari”, non è un caso isolato, ma la norma. Il fatto che non se ne parli è dovuto semplicemente al pareggio dei conti. In guerra il “fuoco amico” decima in proporzioni uguali i contendenti.

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  11. si raccolgono firme…

    “Immaginiamoci, per ipotesi, un ministro della Difesa che frequenti abitualmente i salotti televisivi disquisendo del più e del meno e lasciandosi andare a intemperanze; che intervenga con vis polemica in fatti che sono competenza d’altri ministri; che, qualora sorgano incomprensioni coi vertici militari, anziché discuterne con loro tra le quattro mura del Ministero, preferisca criticarli a mezzo stampa cercando d’umiliarli davanti all’opinione pubblica. Non si dovrebbe concludere che un siffatto ministro della Difesa, se esistesse, dovrebbe essere giudicato inadatto a quel ruolo e venire dimissionato quanto prima?”

    da L’affaire Battisti. Una crisi evitabile,
    di Daniele Scalea
    http://www.eurasia-rivista.org/7668/laffaire-battisti-una-crisi-evitabile

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