Aritmetica riformista

Le gazzette ci dicono che nella Repubblica di Teddy Roosevelt, 20 Nababbu posseggono la bellezza di 30 miliardi di franchi.
Essi sono i Morgan, i Rockfeller, i Carnegie, gli Schwaab, i Vanderbildt, i Gould ed altra gentuzza di simile conio.
In verità, quando si è senza un soldo, viene una voglia matta di far conti e castelli in aria coi quattrini delle tasche altrui.
Ecco il perché oggi, in cui la mia bohème assume un carattere di grandezza giobbiana, voglio trastullarmi facendo dei calcoli sulle rispettabili ricchezze dei 20 messeri dell’altro continente, convintissimo che il trastullo, se non arrecherà nelle mie vedove scarselle il becco d’un quattrino, darà, però, seriamente a pensare a molti lettori di questo foglio.
E incominciamo.
L’Italia conta, all’incirca, trenta milioni di abitanti. Supponendo che tutti lavorano di un lavoro utile – dicendo lavoro utile voglio significare, attualmente, qualche cosa diverso da ciò che fanno Alberelli, Totonno, ed altri simili Pinetti – e supponendo anche che i produttori, dal frutto di detto lavoro, dopo aver detratto il necessario per sostentarsi, riescano a metter da parte cento franchi all’anno, ne viene di conseguenza che: la popolazione d’Italia dovrebbe lavorare e risparmiare dieci anni di seguito, per accumulare le ricchezze che in America detengono 20 sole persone.
Ciò dimostra come coll’onorato lavoro e col saggio risparmio si possa diventare anche miliardari.
Ma non basta.
Vediamo quanto tempo l’umanità intera deve lavorare, per guadagnare i baiocchi che racchiudon le casse-forti d’una, pur sì esigua, schiera di vampiri del Nuovo Mondo.
Vivacchiano sulla terra circa un miliardo e mezzo di uomini animali bipedi ed implumi, disse Aristotele.
Di questi animali, detratti i bambini e coloro che esercitano il mestiere di non lavorare mai, restano un mezzo miliardo di produttori genuini.
Supponendo che ognuno di essi venga retribuito con due franchi al giorno – resto al disotto del vero se si considera che i coolies cinesi lavorano per 60 centesimi e che i coolies parmensi, volgarmente direbbesi spesati, lavorano per poco più – con delle semplici moltiplicazioni si venne facilmente ad ottenere come resultato, che: tutta l’umanità deve lavorare un mese di seguito per produrre le ricchezze di 20 miserabili.
E’ divertente nevvero? E allora proseguiamo.
Si supponga che ogni disgraziata vittima dello sfruttamento versi 50 centilitri di sudore al giorno: ossia appena la ventesima parte di un litro. In trenta giorni – tempo necessario accioché l’umanità accumuli quanto posseggono i venti nababbi, e tuttociò, per soddisfare i gusti alla direttorio delle vacche d’oro, tipo Miss Elkias – l’umanità verserebbe l’inezia di settecentocinquanta milioni di litri di sudore.
Ah! Cristoforo Colombo che maledetta idea ti passò mai pel capo!
Ma c’è di più.
Supponiamo che il torrente che scorre in mezzo a Parma, nei periodi di piena, versi tre metri cubi, ossia tremila litri d’acqua al minuto secondo.
Ebbene, volete sapere quanti giorni impiegherebbe, il torrente, a trasportare il sudore che l’umanità stillerebbe dai suoi pori nei trenta giorni necessari a carpire alla terra i miliardi delle venti rancide carcasse americane: 75 giorni!!!
Dopo ciò, o colleghi operai, dalla pancia vuota, dai vestiti a brandelli e dalle scarpe sfondate riformiamo, riformiamo pure.
Riformare?!
Dio degli Dei! Ma se c’è da incenerire il creato e, se esistesse, il Creatore!
Leo Celvisio
(pseudonimo di Filippo Corridoni)

[Articolo apparso nel periodico L’Internazionale, 4 novembre 1908, ora in “… il fuoco sacro della rivolta. Articoli di giornale”, di Filippo Corridoni, 2006, Società Editrice Barbarossa, a cura di Andrea Benzi]

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