Succedeva nel 1939

MolotovRibbentropStalin

Una lezione per l’oggi?

“Il 18 settembre 1939, un documento del Governo sovietico, sulla cui autenticità nessuno può porre dubbi, afferma che è intenzione di Mosca “adottare tutte le misure per garantire la protezione del popolo polacco dalla sciagura della guerra, nella quale è stato gettato dalla sconsideratezza dei suoi capi, offrendo al popolo stesso la possibilità di condurre una vita tranquilla”. Non solo: il giorno seguente, il 19 settembre, un comunicato congiunto sovietico–tedesco manifesta la comune intenzione di “aiutare il popolo polacco a riorganizzare la propria compagine statale”. Strano lessico, quello dei documenti in questione, per chi avesse inteso condurre in porto una spartizione, un’annessione, distruggendo per intero la sovranità di uno Stato! Altro elemento che distrugge ogni tesi di “sacra unione” sovietico–tedesca: il 7 settembre, nei suoi diari, Halder, Capo di Stato Maggiore tedesco, aveva affermato che Hitler era pronto a riconoscere, entro certi limiti territoriali, una Polonia sovrana svincolata da Gran Bretagna e Francia. Parimenti, le aree a maggioranza ucraina e russa dovevano essere staccate dalla nuova compagine statale. Il 12 settembre, Canaris aveva ricevuto l’ordine di attivare focolai insurrezionali per creare una Galizia nazionalista e anticomunista sotto l’egida ucraina. E’ evidente che, se è vero questo, non esiste alcuna intesa con l’URSS! Infatti, solo l’intervento dell’Armata Rossa, il giorno 17, evita questo scenario, che avrebbe portato ad uno Stato anticomunista aggressivo e fanaticamente nazionalista alle porte dell’URSS, con rivalse inimmaginabili verso le popolazioni polacca ed ebraica, concepite come dominatrici e vessatrici. Grazie a quell’intervento, la Germania, rappresentata a Mosca da Von der Schulenburg, pezzo da novanta della diplomazia, capisce che l’URSS, corretta nel rispetto dei trattati, non intende avallare espansionismi eccessivi e incontrollati, e nemmeno Stati-fantoccio per essa pericolosi. Da parte sovietica si spera anche, e questo la storiografia non lo ha quasi mai messo in evidenza, che nella leadership nazista prevalga l’ala “eurasista“, non del tutto sopita, desiderosa di addivenire ad un patto organico con l’URSS buttando a mare le farneticazioni imperialiste del “Mein Kampf” e realizzando il “Drang nach osten” pacificamente, con il rafforzamento delle relazioni economiche e politiche con l’URSS e gli Stati dell’area centro–orientale e balcanica. Questa tendenza si paleserà, ad onta di storiografie manichee e tendenziose che nulla hanno di dialettico, tanto meno di marxista, quando nel giugno–luglio 1941 diversi studiosi, militari, politici nazionalsocialisti si dimetteranno dai loro posti, giudicando assurda e inammissibile l’invasione dell’URSS. Nel gruppo dirigente nazista c’è chi carezza l’ipotesi della Polonia indipendente per motivi contrastanti: l’ala eurasista, di cui abbiamo trattato, per rafforzare la propria concezione nel quadro politico–istituzionale del Reich; quella hitleriana ortodossa, per raggiungere, tramite una pace con il Regno Unito, l’obiettivo di una futura crociata unitaria dell’occidente e della Polonia stessa contro l’URSS.
Come abbiamo visto, sono proprio i Polacchi, o meglio il loro gruppo dirigente, a rendere impossibile uno scenario gradito, per ragioni opposte, tanto all’URSS quanto alla Germania: la fuga ingloriosa del governo polacco in Romania distrugge ogni possibilità di accordi e obbliga URSS e Germania a stabilire un confine, in forma pattizia, pubblica e trasparente, in territorio polacco, il 28 settembre 1939. L’URSS si attesta lungo la linea Narev–Bug–San, lasciando la Vistola all’influenza tedesca. Lo Stato sovietico vede riconosciuta anche la Lituania come componente della sua sfera di influenza. Ora, la Vistola sarebbe dovuta entrare, secondo i “protocolli”, nell’area sovietica, mentre la Lituania avrebbe dovuto essere appannaggio della Germania. Se ciò non avviene è per mutamenti completamente indipendenti da inesistenti volontà pattizie presuntamente modificate nel tempo. La Germania, in quel 1939, vuol fare del Baltico un sol boccone, come provano movimenti e trame che dureranno fino a tutto il 1940 e che verranno sventati solo grazie alla volontà sovietica di pace, al movimento dei lavoratori e al barlume di saggezza di settori governativi estoni, lituani e lettoni, consapevoli del rischio di finire sudditi del Reich. Se nel 1940 quei Paesi entreranno a far parte della comunità sovietica, sarà per la loro volontà di non sottostare alle minacce naziste e con il grave scorno della Germania, dimostrato da note di protesta e minacce. Stesso ragionamento vale per la Finlandia che, lungi dall’essere una vittima, in quello stesso periodo provoca l’URSS in nome di un nazionalismo sapientemente rinfocolato da Berlino e finisce per pagarne il prezzo, rinunciando a propositi che prevedevano la conquista di una porzione consistente dell’area di Leningrado assieme all’esercito del Reich.”

Da Il Patto Molotov–Ribbentropp. Vero patto, finti protocolli di Luca Baldelli.
Per arricchire l’analisi dell’autore in merito al patto tedesco-sovietico di non aggressione del 23/8/1939, si riporta un estratto da Carl Schmitt, La guerra d’aggressione come crimine internazionale (il Mulino, 2015, p. 119):
“Il 28 settembre 1939 fece seguito il Trattato tedesco-sovietico di amicizia e per i confini, che fissava i confini degli interessi imperiali di entrambi i contraenti nel territorio dell’allora Stato polacco; riconosceva questi confini come definitivi e rigettava “ogni intrusione di potenze terze in questa regolazione”. In uno scambio di lettere tedesco-sovietico del 28 settembre 1939 si concordò, sulla base e nel senso della raggiunta intesa politica, di promuovere con ogni mezzo le relazioni economiche e lo scambio di merci tra Germania e Unione Sovietica e di realizzare un programma economico che prevedesse lo scambio tra le materie prime sovietiche e i prodotti industriali tedeschi. Per l’adempimento di questo piano, l’11 febbraio 1940 fu concluso tra i due Paesi un accordo economico e il 10 gennaio 1941 un accordo economico allargato.”

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Quel sentimento di inattaccabilità

isola mondo“La potenza statunitense, insediata su un territorio insulare cento volte più grande dell’Attica a cavallo tra due oceani, dispone delle prerogative necessarie per poter esercitare un’egemonia mondiale. Se ne rese lucidamente conto l’ammiraglio A. T. Mahan, “profeta armato” (così lo definisce Terracciano) della geopolitica americana del XIX secolo, il quale in The influence of sea power upon history. 1660-1783  mostrò l’influenza esercitata dalla potenza marittima (sea power) nei due secoli precedenti. Successivamente, nello stesso anno in cui Mackinder dava alle stampe The Geographical Pivot of History, Mahan pubblicò un saggio che avrebbe richiamato l’attenzione di Carl Schmitt.
“In un saggio del luglio 1904 – scrive nel 1942 Carl Schmitt in Land und Meer – Mahan parla delle possibilità di una riunificazione fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America. La ragione più profonda di tale riunificazione non è da lui ravvisata nella comunanza di razza, lingua e cultura. Egli non sottovaluta affatto questi punti di vista spesso addotti da altri autori, ma li considera soltanto utili elementi aggiuntivi. Decisiva gli appare piuttosto la necessità di mantenere il dominio anglosassone sui mari del mondo, il che può avvenire solo su base ‘insulare’, mediante l’unione fra le due potenze angloamericane. In seguito allo sviluppo moderno, l’Inghilterra stessa è diventata troppo piccola, e quindi non è più isola nel senso inteso finora. Sono piuttosto gli Stati Uniti d’America la vera isola contemporanea. E’ un fatto di cui non ci si è ancora resi conto, sostiene Mahan, a causa della loro dimensione, ma che corrisponde ai parametri e alle proporzioni attuali. Ora, il carattere insulare degli Stati Uniti dovrebbe garantire la salvaguardia e la prosecuzione del dominio sul mare su base più ampia. L’America sarebbe, insomma, l’isola maggiore che perpetuerebbe la conquista britannica del mare e la proseguirebbe su più vasta scala come dominio del mare angloamericano sul mondo intero” .
La coscienza dell’insularità, afferma Terracciano, favorisce negli statunitensi l’insorgere di una sorta di mania di persecuzione: la potenza egemone del continente nordamericano avverte il senso di un’incombente minaccia, che proverrebbe tanto dall’Atlantico quanto dal Pacifico. Si tratta di una specie di paranoia, che induce gli Stati Uniti a perseguire il controllo geopolitico sia della sponda europea sia di quella asiatica. Infatti “la loro ambizione non si fermava alle isole del Pacifico, ma pretendeva di toccare la sponda asiatica e schiacciare l’avversario. Essi non disponevano soltanto dei mezzi per raggiungere questo obiettivo, ma, in Asia come in Europa, potevano servirsi a loro discrezione di indispensabili complici sulle teste di ponte già installate. Per una potenza marittima, il mare è lo spazio vitale e non una frontiera. Le sue frontiere si trovano sulle sponde opposte”.
Simultaneamente, l’esistenza insulare ha infuso nei nordamericani quel sentimento di inattaccabilità che promana dalle parole di Thomas Jefferson: “Per nostra fortuna la natura ed un vasto oceano ci separano dalle devastazioni sterminatrici di un quarto del globo”. Così la fortezza insulare inespugnabile è la “terra promessa” separata dalle nazioni corrotte che abitano il resto della terra: un elemento fondamentale di quella parodistica teologia che informa la visione americana del mondo e che ispira l’imperialismo statunitense.”

Dalla prefazione di Claudio Mutti a L’Isola del Mondo alla conquista del pianeta, di Carlo Terracciano, Anteo edizioni, 2012.