Le droghe e l’Esercito Italiano

“Sappiamo che il 18 aprile [2011 – n.d.c.], in un luogo dove è in corso un’esercitazione militare nel teramano, viene uccisa Melania Rea e nessuno – nemmeno le vedette in divisa che controllano le uniche due strade di accesso – dirà poi di avere visto nulla.
Sappiamo un po’ meno che il 27 marzo, nella caserma Manlio Feruglio di Venzone (UD) occupata dagli alpini della Julia – lo stesso corpo di Parolisi – un militare trova degli involucri pieni di eroina mentre sta pulendo le casse di armi appena tornate dall’Afghanistan, come mi venne confermato dal sostituto della Procura di Tolmezzo. Anche questa inchiesta viene “strappata” dalla Procura Militare, e non se ne saprà più niente.
Il 3 giugno, ancora, il tenente colonnello Cristiano Congiu – un carabiniere di grande esperienza – viene assassinato nella valle del Panjshir, in Afghanistan. Il motivo della sua morte resta tuttora avvolto nel mistero.
Congiu era un agente antidroga sotto copertura che, stando alle mie fonti, stava indagando proprio sui presunti traffici di stupefacenti operati a bordo dei voli militari. Al momento del fatto si trovava con una donna statunitense poi sparita nel nulla, e di cui non sono mai state rese note le generalità.
Negli anni Novanta, Congiu comandava la compagnia dei carabinieri del Rione Traiano, a Napoli. Il suo nome finì però, senza essere mai indagato, nelle carte di un’inchiesta sui Casalesi — non per legami diretti con la criminalità organizzata, ma perché aveva stretto una relazione con una soldatessa statunitense di stanza nel capoluogo partenopeo che, a sua volta, frequentava Francesco Schiavone detto Sandokan, il capo dei capi della sanguinaria camorra di Casal di Principe.
Ancora una volta, dunque, in questa storia tornano i Casalesi. E non è nemmeno l’ultima. Undici giorni dopo, il 14 giugno 2011, l’antimafia di Napoli bussa proprio alla porta della caserma di Parolisi per arrestare Laura Titta, militare nonché autista del boss Emilio Di Caterino – allora reggente dei Casalesi – ma anche di Giuseppe Setola, suo predecessore a capo dell’ala stragista del clan. Setola è stato autore, per esempio, della strage di Castel Volturno del settembre 2008: 7 morti e un ferito, tutti immigrati.
La caserma di Parolisi, ad Ascoli Piceno, addestra tutte le reclute femminili d’Italia, e lui stesso è stato in missione in Afghanistan. Ma il nome “Titta” – afferma – non gli dice nulla. La giovane recluta nel 2009 si era trasferita a Napoli. Dopo il ritrovamento del cadavere della Rea, nonostante il congedo, chiede però di tornare ad Ascoli. Ad oggi non se ne conoscono le ragioni.
C’è infine quanto accade due mesi dopo, il 13 agosto del 2011, a Genova, quando i carabinieri arrestano Alessandra Gabrieli, caporalmaggiore dei parà, con 35 grammi di eroina purissima. Al processo sosterrà di essere diventata eroinomane in caserma, a causa del giro di droga dei soldati della Folgore di Livorno tornati dall’Afghanistan con quella sostanza.
(…)
All’alba del 25 luglio 2010, un carabiniere trova il corpo privo di vita di un militare italiano nel suo ufficio, all’aeroporto di Kabul. È il capitano dell’esercito Marco Callegaro, addetto proprio alla gestione finanziaria dei rifornimenti della missione.
Ufficialmente si parla di suicidio, ma anche su questo caso i dubbi sono tanti, a partire dalla presunta lettera d’addio mai stata consegnata ai familiari, che infatti non credono a questa versione — il padre sostiene, anzi, che pochi giorni prima il figlio gli avesse raccontato di aver fatto una scoperta sconvolgente.
Dopo queste dichiarazioni, i Radicali presentano un’interrogazione parlamentare a risposta scritta al ministro della Difesa, allora Ignazio La Russa, per chiedere tra l’altro “se esista e quale sia il contenuto del biglietto a cui fa riferimento il genitore del militare deceduto.”
Verranno presentati ben 13 solleciti, l’ultimo dei quali risale al 6 dicembre 2012, due mesi prima che i Radicali – con la lista Lista Amnistia Giustizia Libertà – restino fuori dal Parlamento per non avere superato la soglia di sbarramento necessaria per entrare alle Camere.
Una risposta, alla fine, non arriverà mai.”

Da L’eroina, l’esercito e un delitto misterioso: in Afghanistan sulle tracce del caso Parolisi di Alessandro De Pascale.

1 thoughts on “Le droghe e l’Esercito Italiano

  1. Peculato su blindati in Afghanistan, 5 ufficiali assolti

    L’inchiesta parti’ da morte capitano, archiviata come suicidio (ANSA) – BOLOGNA, 11 LUG – Sono stati tutti assolti perche’ il fatto non sussiste i cinque ufficiali dell’Esercito a giudizio davanti al tribunale militare di Roma con l’accusa di concorso in peculato pluriaggravato. Erano coinvolti nell’inchiesta sulla blindatura, piu’ leggera e quindi meno costosa di quella pattuita, secondo l’accusa, dei veicoli civili destinati ai militari di vertice e alle personalita’ in visita al contingente italiano in Afghanistan. L’inchiesta parti’ dalla morte del capitano Marco Callegaro, 37 anni, originario della provincia di Rovigo, ma residente a Bologna con la famiglia. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2010 venne trovato cadavere nel suo ufficio all’aeroporto di Kabul, ucciso da un colpo di pistola. Fatto archiviato come suicidio, ma i familiari e gli amici non hanno mai creduto a quest’ipotesi. Un sesto imputato, un colonnello, e’ morto ad aprile 2017, prima del processo. Fu trovato impiccato, in un ufficio del Comando Truppe alpine di Bolzano. Anche in questo caso si ipotizzo’ un suicidio.(ANSA).

    BOLOGNA, 11 LUG – “Al di la’ dell’esito assolutorio su un reato che non riguarda la morte del capitano Marco Callegaro, le indagini condotte dalla Procura militare e alcune testimonianze ascoltate anche in aula, oltre che documenti che provengono dai Servizi di sicurezza, ci consegnano tuttavia un quadro ricco di circostanze che nel 2010 non erano in alcun modo emerse. Ritengo dunque si debba ripartire da li’, non rinunciando alla ricerca della verita’ su una morte che lascia senza risposta, molti, troppi interrogativi”. Lo dice l’avvocato Andrea Speranzoni, che assiste la vedova dell’ufficiale morto a Kabul nel 2010, Beatrice Ciaramellla, commentando la sentenza del tribunale militare che ha assolto i cinque imputati. Dunque, prosegue il legale, “la battaglia continua, per i familiari di Marco Callegaro e per tutti coloro che conobbero e apprezzarono lo spirito e la condotta di un militare onesto e competente, che ha portato onore al proprio Paese”. Speranzoni ricorda che la decisione del tribunale “avra’ una motivazione tra sessanta giorni. La leggeremo con attenzione – continua – per comprendere quali argomenti utilizzeranno i giudici per fondarla. Nel processo decidemmo di non costituirci parte civile dopo la modifica dell’imputazione avvenuta nel settembre scorso (da truffa a peculato), valutandone l’inopportunita’”. (ANSA).

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