Scudo antimissile: le reazioni russe alla firma ceca

E’ successo.
Lo scorso 8 luglio, il Ministro degli Esteri della Repubblica Ceca, Karel Schwarzenberg, ed il Segretario di Stato USA, Condoleeza Rice, hanno firmato il protocollo d’intesa per l’installazione sul suolo ceco di un radar adibito alla localizzazione di missili. I due Paesi, appena pronto, sigleranno anche l’accordo che regola lo status dei militari statunitensi addetti alla gestione della base, inizialmente previsti in duecento unità. Nel protocollo d’intesa è inserita anche una clausola che contempla l’eventualità di una disdetta, in tal caso gli Stati Uniti avranno tempo due anni per ritirare il proprio contingente.
Ora la parola passa al Parlamento, dove il governo guidato dal premier Mirek Topolanek ha una maggioranza risicatissima. La discussione probabilmente non sarà avviata prima dell’autunno inoltrato, e cioè dopo l’elezione del nuovo Presidente americano. Nel frattempo, Schwarzenberg ha già minacciato di dimettersi in caso di mancata ratifica parlamentare. Fuori dalle stanze del potere, l’opposizione all’accordo continua ad assestarsi su percentuali oscillanti attorno al 70% e domanda lo svolgimento di un referendum nazionale.
In terra polacca, invece, le trattative proseguono, al fine di colmare un divario tra domanda ed offerta che a prima vista pare incolmabile. Fonti ben informate riferiscono di una richiesta dell’esecutivo di Donald Tusk che ammonta a 20 miliardi di dollari per l’ammodernamento delle forze armate nazionali, mentre gli Stati Uniti non sarebbero disposti a concedere più di “soli” 47 milioni, definendo le pretese polacche del tutto fuori dalla realtà.
Ed in effetti, se si considerano i tagli ai finanziamenti per il progetto appena operati dalla Camera dei Rappresentanti di Washington (meno 232 milioni di dollari per l’anno corrente ed addirittura meno 341 milioni per il 2009, con un abbattimento di quasi il 50% rispetto alla somma inizialmente stanziata), il giudizio sembra più che appropriato. Dal canto suo, il Pentagono – attraverso il suo portavoce Geoff Morell – fa sapere che “la Lituania potrebbe essere uno dei Paesi dove installare parte dello scudo, nel caso in cui i negoziati con la Polonia dovessero finire con un fiasco”. Al momento, si precisa, comunque non sarebbero in corso negoziati con Vilnius. Terza – ed ultima, per ora – alternativa l’installazione dei missili intercettori su unità navali di stanza nei mari vicini ai Paesi baltici, come ha ipotizzato la stessa Rice.

Il lato più “succulento” – e, per certi versi, persino divertente – della questione sono le reazioni della parte russa, sempre convintissima che sarà lei – e non certo l’Iran né la Corea del Nord – a finire nel mirino dei nuovi insediamenti militari a stelle e strisce. Tanto è vero che un analista dell’Accademia delle Scienze di Mosca, Aleksander Pikayev, ha ipotizzato che in Polonia non vengano dispiegati semplicemente dei missili intercettori con testate convenzionali come annunciato, ma piuttosto dei vettori balistici a corto e medio raggio in grado di portare testate nucleari.
Queste le possibili contromisure minacciate da Mosca:
– la costruzione, che sarebbe già in corso, di una nuova base missilistica nel Caucaso, presso la città di Noyemberyan in Armenia, non distante dal confine con la Georgia;
– il ritiro dal Trattato sulle Forze Nucleari a Medio Raggio firmato nel 1987 ed il dispiegamento, nell’enclave russa di Kaliningrad, con a tiro le eventuali rampe di lancio polacche, di missili Iskander-M e di bombardieri strategici Tupolev-22 armati con missili da crociera a lungo raggio;
– l’interruzione dello smantellamento della divisione missilistica di Kozelsk, nella Russia centrale – realizzato nel quadro dell’Trattato russo-statunitense per la Riduzione del Potenziale Offensivo Strategico (2002) – ed il dispiegamento in loco di avanzate testate ipersoniche in grado di penetrare le difese antimissile. La Russia metterebbe sui suoi missili Topol M testate autonome capaci di staccarsi e cambiare traiettoria, la cui caratteristica è proprio quella di ingannare i sistemi antimissile, che sono in grado di controllare la traiettoria dei vettori ma non quella degli ordigni che lancerebbero. Tale tecnica, unita alla moltiplicazione di stazioni di disturbo per i radar, abbasserebbe di decine di volte l’efficienza dello scudo antimissile;
– lo stazionamento di bombardieri strategici a Cuba, o più probabilmente l’uso dell’isola caraibica quale infrastruttura logistica per la manutenzione ed il rifornimento di carburante ai Tupolev-160 Blackjack e 95 Bear. L’insediamento di basi logistiche per i bombardieri strategici potrebbe riguardare anche il Venezuela e l’Algeria, dove stazionerebbero aerei cisterna Ilyushin-78 addetti al rifornimento in volo, in modo da evitare la presenza permanente dei bombardieri nei pressi del territorio statunitense e degli altri Paesi della NATO;
– la riapertura, sempre a Cuba, della centrale spionistica di Lourdes, che – prima della chiusura avvenuta nel 2002 – rappresentava il più grande ed importante sito del sistema d’intelligence russo Sigint su territorio straniero, capace di tenere sotto controllo i movimenti e le comunicazioni militari nel sud-est USA, nonché gli scambi di informazioni commerciali e politiche fra Stati Uniti e Europa;
– il boicottaggio della… birra ceca;
– la Russia potrebbe infine riprendere il programma di missili orbitali che, evitando i sistemi radar esistenti e potenziali, raggiungerebbero il territorio statunitense attraverso il Polo Sud.

Chi vivrà, vedrà.
[segue nella pagina dei commenti]

Scudo antimissile: l’Europa alza la voce, Varsavia e Praga la posta

Il progetto statunitense di scudo antimissilistico in Europa Orientale, i cui costi ammonterebbero a circa 5 miliardi di dollari, ha suscitato non poche perplessità anche negli ambienti istituzionali europei, e tedeschi in particolare.
Ad iniziare dal ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, che in un’intervista pubblicata dall’Allgemeine Sonntagszeitung il 19 marzo 2007, ha avvertito Washington di non cercare di dividere l’Europa in “vecchia” e “nuova”. Anche il presidente del SPD, Kurt Beck, ha criticato gli Stati Uniti per il loro tentativo di cooptare gli europei in chiave antirussa, dichiarando alla Bild che il suo partito non vuole una nuova corsa agli armamenti in stile Guerra Fredda.
Lo stesso ex leader socialdemocratico Gerhard Schroeder, dopo più di un anno di assenza dalle scene, è riapparso per affermare che “gli Stati Uniti stanno tentando un ridicolo accerchiamento della Russia che è tutto tranne che nell’interesse dell’Europa”, ossia quello di “collegare più strettamente la Russia alle strutture europee” (gasdotto North Stream docet).
Dal canto suo Joshka Fisher, il verde già Ministro degli Esteri nel governo Schroeder, ha smesso la veste del pacifista ed invocato un esercito comune europeo per affrancarsi dalla tutela a stelle e strisce. “A mio avviso si tratta di un errore” ha infine chiosato il Ministro della Difesa Franz Jung.
Nonostante il Parlamento Europeo abbia invitato il Consiglio dell’Unione Europea e l’Alto Rappresentante per la politica estera, Javier Solana, ad occuparsi direttamente della questione, nulla è stato fatto sotto questo riguardo, contraddicendo nei fatti le ambizioni dichiarate dell’Unione Europea di definire una propria politica di difesa ed istituire un esercito cosiddetto europeo.
Nel frattempo, fra le parti direttamente interessate i negoziati sono proseguiti.
Dopo che nell’autunno 2007 l’esecutivo dei gemelli Kaczynski è stato rimpiazzato dal governo di Donald Tusk, il nuovo ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski ha dichiarato che il suo governo doveva riconsiderare i vari costi e rischi dell’operazione, affermando inoltre che il progetto ha origini unicamente statunitensi e che i polacchi non si sentono affatto minacciati dall’Iran. “Dobbiamo discutere a fondo non solo dei benefici, ma anche dei rischi. Non può essere che siamo gli unici a pagare dei costi”. La virata polacca, più che un ripensamento della propria politica estera, può essere letta sotto la lente del pragmatismo. Varsavia sta infatti negoziando con gli Stati Uniti degli aiuti per la formazione e l’equipaggiamento del suo esercito, ed il passo indietro sullo scudo potrebbe mascherare la volontà di trattare da una posizione più forte. Sikorski non ne ha fatto mistero quando ha affermato di attendersi un’offerta statunitense tale da convincere la maggioranza del Parlamento, visto che esso dovrà comunque ratificare ogni eventuale accordo.
Questioni non dissimili da quelle affrontate durante i negoziati intercorsi con la Repubblica Ceca, dove dovrebbe essere ricollocato il radar attualmente in uso sull’atollo di Kwajalein nell’Oceano Pacifico. Le richieste formulate agli statunitensi dal Primo Ministro ceco Mirek Topolanek riguardano il raggiungimento di un accordo per facilitare le procedure dei visti di ingresso e, soprattutto, la partecipazione ad almeno cinque progetti di ricerca in campo militare. Probabilmente per fronteggiare adeguatamente quella che Topolanek ha definito – in un discorso pronunciato alla Heritage Foundation di Washington – la “rinnovata politica imperialista “ della Russia, che “utilizzando una aspra retorica, vuole spargere i semi della confusione tra gli alleati occidentali al fine di indebolire la NATO”. Senza accorgersi del proprio involontario umorismo, Topolanek ha quindi concluso il proprio intervento affermando che “è un imperativo storico della nazione ceca non diventare ancora un burattino di interessi militari stranieri”.
In occasione del recente Vertice NATO di Bucarest, le diplomazie statunitensi e ceche hanno comunicato la conclusione dei negoziati, e che la firma del relativo accordo (e di quello che regola lo stazionamento delle truppe americane nella Repubblica Ceca) sarebbe giunta entro il mese di maggio. A fine aprile è poi giunto l’annuncio di uno slittamento a giugno, causato da impedimenti “logistici” del Segretario di Stato USA Condoleezza Rice. Il trattato sarà successivamente sottoposto alla per nulla scontata ratifica parlamentare ed infine dovrà essere controfirmato dal Presidente ceco Vaclav Klaus.