Come restare 1.000 anni in Irak

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Esiste un sistema grazie al quale i negoziatori statunitensi possano rimediare delle basi permanenti senza il via libera del Congresso? Certo. Si chiama SOFA.
Di Frida Berrigan, 22 agosto 2008

Pochi americani avevano sentito nominare il SOFA prima di quest’anno, quando in rete ha fatto scalpore una rivelazione che molti osservatori della politica estera americana avevano previsto da molto tempo. Malgrado abbiano ripetutamente sostenuto il contrario, le autorità statunitensi stavano facendo pressioni sul governo iracheno perché accettasse una presenza militare degli Stati Uniti a tempo indeterminato, comprese – e questa era la cosa più sconvolgente – fino a 58 basi americane sul suolo iracheno.
Il termine SOFA, acronimo di Status of Force Agreement, è balzato improvvisamente sulle prime pagine. I Paesi hanno negoziato febbrilmente per raggiungere questo ed un altro accordo chiamato Strategic Framework Agreement (Accordo sul Quadro Strategico). I due distinti patti sono stati messi insieme e confusi sia da esperti di politica estera che dalle voci critiche. Il SOFA fornisce la base legale per la presenza e le operazioni delle forze armate statunitensi. L’Accordo sul Quadro Strategico è più vasto – benché non vincolante – e affronta tutti gli aspetti della relazione bilaterale tra l’Irak e gli Stati Uniti, compreso il controllo delle basi, le comunicazioni tra forze di sicurezza irachene e statunitensi e la questione principale: per quanto tempo? Nelle bozze dell’accordo i negoziatori hanno fatto riferimento ad “orizzonti temporali” per il ritiro delle truppe. Semantica astuta, vero? Non serve essere una persona di scienza per capire che un orizzonte non si avvicina mai all’osservatore.
Questi accordi servono a sostituire il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2003, che scadrà alla fine dell’anno e che autorizzava la presenza militare multinazionale in Irak. Emanato senza una significativa partecipazione da parte dell’Irak, dice essenzialmente che l’Irak è sovrano, che l’occupazione militare è una collaborazione temporanea con le forze irachene, che si svolgeranno delle elezioni, che comincerà una fase di transizione democratica e che la forza militare “multinazionale” ricorrerà “a tutte le misure necessarie a contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Irak”. La proroga del 2007 di questo mandato incontrò la strenua opposizione di un parlamento iracheno alle prime armi, che fece appello direttamente (e inutilmente) al Consiglio di Sicurezza quando il Primo Ministro Nouri al-Maliki richiese la proroga senza l’approvazione parlamentare.
I negoziati in corso sono l’ultima occasione dell’amministrazione Bush per risuscitare la sua tormentata politica mediorientale. Se tecnicamente il mandato delle Nazioni Unite potrebbe essere ulteriormente esteso, l’Irak però aveva già indicato che la proroga del 2007 sarebbe stata l’ultima. Richiederne un’altra denuncerebbe la debolezza del governo iracheno, dimostrerebbe che non ha il controllo della situazione ed equivarrebbe a riconoscere davanti al mondo che la politica di Bush in Irak ha fatto fiasco.
Ma quello perseguito dall’amministrazione non era un normale accordo sullo status delle forze. “Si distingue da tutti gli altri SOFA conclusi dagli Stati Uniti in quanto può contenere l’autorizzazione da parte del governo ospite… perché le forze statunitensi possano intraprendere operazioni militari”, osserva il Congressional Research Service (Servizio di Ricerca del Congresso).
È una distinzione cruciale, secondo chi critica la politica statunitense in Irak. In effetti, i negoziatori statunitensi stavano usando il SOFA, che non necessita dell’approvazione del Congresso, come un tentativo sottobanco di far passare un trattato di mutua difesa senza la ratifica del Senato come imposto dalla Costituzione americana. Come ha dichiarato ad una sottocommissione congressuale a febbraio Douglas Macgregor, un colonnello dell’esercito in congedo ed ora esperto militare, l’amministrazione non dovrebbe “fingere che un importante coinvolgimento degli Stati Uniti in termini di difesa, all’interno e all’esterno dell’Irak, sia una faccenda da risolvere in un SOFA”.
La lotta dell’amministrazione per scolpire il futuro dell’esercito degli Stati Uniti in Irak si è dimostrata a dir poco illuminante. Forse per la prima volta nella storia il pubblico americano si sta conquistando un posto in prima fila per assistere al modo in cui il suo governo negozia l’impero.
In breve, un SOFA traccia le regole di base. Ovunque vada, l’esercito degli Stati Uniti negozia uno Status of Force Agreement e accordi correlati che stabiliscono diritti e responsabilità degli Stati Uniti e del paese ospite e specificano le norme di diritto civile e penale a cui il personale statunitense è soggetto. Alla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti avevano SOFA con circa 40 nazioni. Oggi hanno più di 100 accordi, e tra questi almeno 10 sono segreti, secondo il Servizio di Ricerca del Congresso.
I patti possono essere piuttosto vaghi o molto dettagliati. Accordi con paesi come il Bangladesh ed il Botswana per spiegamenti a breve termine si sono limitati ad una sola pagina, mentre il SOFA con la Germania è un supplemento di 200 pagine al SOFA della NATO, e schiaccia le 13 pagine di quel documento relativamente snello con un elenco stupefacente di dettagli, che precisano perfino dove debba essere consegnata la posta, e da chi.
Contando le zone di guerra in Irak ed Afghanistan, nel mondo è dislocato più di mezzo milione di soldati, marinai, marines, uomini della guardia nazionale ed altro personale in uniforme. Cosa succeda quando una di queste persone fa qualcosa di illegale è la questione affrontata più frequentemente ed uno dei punti più discussi nella relazione USA-Paese ospite. Il Pentagono considera i SOFA come essenziali ad impedire che le truppe statunitensi vengano giudicate e condannate da tribunali stranieri, la cui idea di giustizia può differire in misura sostanziale dal sistema conosciuto dagli americani. In Giappone, per esempio, dopo l’indagine e l’arresto, la polizia conduce spesso lunghi interrogatori che portano a confessioni, ammissioni di colpa, espressioni di rammarico e sentenze più lievi. Nei processi giapponesi non ci sono giurie popolare, de organizzare una difesa aggressiva è considerato un’ammissione di colpa.
Perfino in altre democrazie occidentali le procedure legali vigenti sembrerebbero strane anche ad un fan distratto di Law and Order. In Francia il giudice partecipa all’indagine criminale (recandosi perfino sulla scena del crimine, a volte con l’accusato) e dirige le linee di inchiesta durante tutto il processo. Mentre nelle corti americane il pubblico ministero e l’avvocato della difesa sono figure chiave, nel sistema francese hanno un ruolo secondario.
In ogni caso, questi accordi bilaterali favoriscono quasi sempre gli Stati Uniti. Per esempio, il SOFA tra Stati Uniti e Mongolia dichiara che “i crimini commessi contro le leggi della Mongolia da un membro delle forze armate degli Stati Uniti verranno riferiti alle autorità statunitensi appropriate, alle quali competono le indagini e le successive disposizioni”. Le autorità mongole possono chiedere la rinuncia a questo diritto, ma le autorità americane non sono obbligate a esaudirle: il patto dichiara soltanto che devono “prendere in considerazione in maniera comprensiva” tali richieste.
(Cosa vogliono gli Stati Uniti dalla Mongolia, comunque? La posizione strategica! Negli ultimi sette anni le truppe americane hanno condotto l’esercitazione del Pentagono chiamata “Khan Quest” insieme alle forze mongole ed altri eserciti regionali in zone vantaggiosamente vicine alla Russia a nord ed alla Cina a sud. Quest’anno le esercitazioni, provvisoriamente programmate subito dopo la chiusura dei Giochi Olimpici di Pechino, coinvolgeranno truppe del Bangladesh, di Tonga, della Corea del Sud, del Brunei, dello Sri Lanka, dell’Indonesia e della Cambogia).
Anche se un SOFA non è esplicito le protezioni legali ci sono sempre, spesso contenute in una sola frase come “Al personale degli Stati Uniti dev’essere concesso uno status equivalente a quello accordato al personale tecnico e amministrativo dell’ambasciata degli Stati Uniti”. Traduzione: immunità diplomatica.
Il Pentagono ottiene l’immunità per il suo personale anche attraverso l’American Service-Members Protection Act (Legge per la Protezione dei Soldati Americani). Votato al Congresso nel 2002, vieta di prestare assistenza a qualsiasi Paese non abbia firmato il cosiddetto accordo dell’Articolo 98, in cui il Paese in questione promette di non consegnare i membri del personale militare americano alla Corte Penale Internazionale. La legge ebbe un impatto immediato; l’assistenza militare a 35 Paesi, che comprendeva anche l’addestramento, fu sospesa nel 2003, quando i Paesi in questione mancarono di attenersi ai termini prefissati, e la CPI – istituita l’anno precedente per perseguire crimini contro l’umanità, come il genocidio e la pulizia etnica – cominciò il proprio lavoro indebolita dalle interferenze statunitensi.
Queste protezioni, benché vantaggiose per i soldati, possono provocare tensioni con gli alleati più stretti dell’America. In Giappone – dove gli Stati hanno mantenuto una consistente presenza militare fin dalla seconda guerra mondiale – il SOFA ha permesso a soldati responsabili di gravissimi crimini contro civili di restare in libertà.
Circa 20.000 soldati statunitensi – la metà di tutti quelli schierati in Giappone – sono di stanza a Okinawa, un’isola situata nell’estremità meridionale del Giappone. Nel 2003 – stufo di anni di ostruzionismo, inazione e crimini violenti ripetutamente compiuti contro donne di Okinawa – il governatore della prefettura, Keiichi Inamine, presentò al Segretario della Difesa Donald Rumsfeld una petizione in cui chiedeva una revisione del SOFA per permettere al Giappone di avere un ruolo maggiore nel procedimento penale.
Mettendo da parte le cortesie diplomatiche, Inamine invitò la stampa all’incontro e citò statistiche sui crimini compiuti contro i suoi cittadini: 5.157 reati perpetrati da soldati statunitensi, personale civile della Difesa e loro dipendenti in un arco di 30 anni, compresi 533 omicidi e stupri. Secondo Chalmers Johnson, ex analista della CIA e stimato esperto di Giappone e Cina, il governatore di Okinawa sottolineò che la situazione continuava a peggiorare, con i reati in aumento anno dopo anno.
Non sono esclusivamente i singoli soldati a cavarsela in caso di reati; anche il Pentagono si è garantito un’ampia impunità. A partire dalla fine degli anni Novanta, decenni di inquinamento militare convinsero la Corea del Sud a rinegoziare il suo SOFA con gli Stati Uniti mentre i due Paesi stavano discutendo della restituzione ai coreani di alcune basi usate dagli Stati Uniti; la versione riveduta comprende procedure per gestire il disastro ambientale. Ma uno studio del gruppo ambientalista Green Korea United ha concluso che le nuove regole sono troppo blande e confuse per essere utili. Per esempio, il SOFA riveduto stabilisce delle regole per l’accesso dei coreani alle basi americane. Ma quando nel 2002 un’indagine coreana stabilì che una perdita di petrolio in una stazione della metropolitana veniva dalla vicina base di Yongsan, gli inquirenti militari statunitensi lo negarono, e si rifiutarono di permettere alle loro controparti coreane di fare le necessarie verifiche.
Nonostante le periodiche dispute tra l’America e questi ed altri Paesi alleati che ospitano basi statunitensi – comprese l’Italia e la Germania – i SOFA che governano le relazioni sono perlomeno stati resi pubblici in rete per permettere ai più tenaci e attenti osservatori di analizzarli. E benché deboli, inique e/o prodotto di coercizione, le misure con cui un Paese ospite può cercare di perseguire membri del personale statunitense sono almeno state tentate, provate ed applicate.
Ciò non vale in molti angoli del pianeta. Prendete in considerazione, per esempio, il SOFA con nazioni mediorientali come il Kuwait, l’Oman, il Qatar e gli Emirati Arabi, o con Malesia, Somalia e Kenya. Tutti questi patti restano segreto di Stato. E la rivelazione del Servizio di Ricerca del Congresso che esistono almeno 10 SOFA segreti significa che ce ne sono almeno altri 3 così segreti che non sappiamo nemmeno quali siano le nazioni coinvolte.
In tutto il Medio Oriente i governi fanno di tutto per tenere segreta la presenza militare statunitense sul loro territorio. Quando si preparava l’invasione dell’Irak nel 2003, per esempio, migliaia di soldati delle forze speciali americane stazionavano in Giordania, il cui governo si oppose pubblicamente alla guerra, godeva di stretti legami economici e diplomatici con Saddam Hussein ed è abbastanza autocratico da immaginare di poter nascondere ai propri cittadini una consistente presenza statunitense.
Negoziare un SOFA può essere difficile per questi Paesi, i cui governi camminano sul filo del rasoio. Ma al mondo, all’Occidente e soprattutto a Washington devono sembrare perfettamente allineati nella guerra al terrore. E, a seconda della loro importanza strategica agli occhi degli Stati Uniti, possono essere premiati generosamente per tale cooperazione. Nel 2002 la Giordania, che confina con l’Irak, ha accettato 100 milioni di dollari di finanziamenti militari americani; l’anno seguente, quando Re Abdullah II ha aperto il suo regno alle Forze Speciali degli Stati Uniti, gli aiuti sono schizzati a 604 milioni di dollari, per poi assestarsi su oltre 200 milioni l’anno. Per gestire i cittadini contrari od ostili alla presenza militare americana, una soluzione è semplicemente quella di negare, cosa ben più facile in paesi come la Giordania, dove il governo pone severi limiti alla libertà di stampa e di espressione.
In Irak non si è mai presa in considerazione l’ipotesi di tenere segreti i negoziati per il SOFA. Queste manovre, come pure i colloqui per il quadro strategico, sono state osservate attentamente e pubblicizzate molto bene. Così volevano gli Stati Uniti, almeno inizialmente. Ma i negoziatori statunitensi hanno cercato di stipare il maggior numero di contenziosi possibili nel SOFA: tra questi, il più negativo per gli iracheni (e poi ritirato) era la richiesta che neanche i contractor militari, oltre ai soldati statunitensi, fossero perseguibili dalla legge irachena. (Il ricordo di uomini della Blackwater che uccidevano 17 civili con un fuoco di fila, lo scorso autunno, può avere aumentato la determinazione dei negoziatori iracheni su quel punto).
In aprile una bozza del quadro per la sicurezza, che è stata classificata come “sensibile” e citava il SOFA ancora incompleto, ha scatenato una bufera di critiche, tra cui quelle dei legislatori iracheni. L’America avrebbe collaborato con le forze militari e politiche irachene, dichiarava la bozza, “per metterle in grado di proteggere l’Irak e il suo popolo e per impedire l’aggressione straniera”. La priorità principale, osservava, è “combattere al Qaeda” ed “altri gruppi terroristici e fuorilegge”. Malgrado questo compito apparentemente infinito, gli autori del quadro ribadivano ripetutamente l’affermazione dell’amministrazione secondo la quale la presenza americana è temporanea e “su richiesta ed invito del governo iracheno sovrano”.
Il documento proponeva anche che le forze statunitensi potessero “condurre operazioni militari” e “arrestare se necessario individui per imperative ragioni di sicurezza”. Aveva tutta l’aria di essere una concessione problematica, dato che gli Stati Uniti hanno preventivamente arrestato ed imprigionato decine di migliaia di iracheni, alcuni di essi per più di un anno, senza accuse formali. (A maggio 2007 più di 19.000 si trovavano ancora in stato d’arresto).
A giugno i politici iracheni hanno detto ai giornalisti occidentali che la lista dei desideri degli Stati Uniti per l’occupazione a lungo termine era ancora più ambiziosa. Comprendeva 58 basi statunitensi (la richiesta iniziale era di 200), il controllo dello spazio aereo iracheno e l’immunità giuridica per i soldati ed i contractor civili. E nonostante il Segretario della Difesa Robert Gates abbia affermato il contrario, le proposte americane andavano ben al di là di altri patti a lungo termine degli Stati Uniti in quanto non limitavano né la consistenza del contingente statunitense né i tipi d’arma che poteva utilizzare.
A chi ha obiettato che le sue proposte costituiscono praticamente un trattato per la protezione dell’Irak, l’amministrazione ha risposto sottolineando semplicemente che il quadro strategico è un’intesa non vincolante. In Irak, tuttavia, queste proposte hanno compattato il litigioso parlamento iracheno come poche altre questioni sono riuscite a fare, con una coalizione multietnica, multipartitica emersa per bloccare il SOFA ed il quadro strategico.
Le opzioni future sono povere e limitate dal punto di vista di un’amministrazione Bush tesa a rafforzare i risultati acquisiti. Opzione uno: negoziare un SOFA ed un quadro strategico che sia accettabile sia per gli iracheni che per il Congresso americano, garantendo così che non manchi di fornire una solida giustificazione al perdurare dell’occupazione statunitense. Opzione due: estendere il mandato del Consiglio di Sicurezza e rischiare di ridicolizzare la “sovranità” irachena e di mettere a rischio il concetto di cooperazione tra Stati Uniti e Irak. Opzione tre: mettere insieme un Memorandum d’Intesa che copra le spalle a tutti fino all’insediamento del prossimo presidente.
Ad agosto i negoziatori hanno ancora una volta mostrato le loro carte. L’amministrazione Bush sembra voler perseguire la prima opzione, ammorbidendo moderatamente la propria posizione nei confronti delle principali richieste irachene. Una bozza finale comprende la creazione di un comitato USA-Irak che controllerebbe le operazioni di sicurezza statunitensi (compreso l’arresto di iracheni), e precisa – anche suggerendo date e numeri – in quali circostanze le truppe da combattimento americane comincerebbero ad andarsene. Tuttavia i negoziatori iracheni e statunitensi hanno ammesso che l’accordo è temporaneo, dipende da marcati progressi nel settore della sicurezza ed è soggetto ad approvazione da parte di un parlamento iracheno ancora molto cauto.
Se questa tornata di negoziati fallirà, pare che l’estremo rimedio della Casa Bianca possa essere costituito dall’opzione tre. Basta trovare un titolo altisonante a quel Memorandum d’Intesa e tornarsene a Crawford, lasciando che sia il prossimo presidente a risolvere i dettagli spinosi ed una guerra in corso.

FONTE: motherjones
Traduzione di Manuela Vittorelli

Qui il testo integrale e definitivo del SOFA Irak-Stati Uniti.

13 thoughts on “Come restare 1.000 anni in Irak

  1. Baghdad, 21 nov. (Adnkronos) – Migliaia di persone si sono riunite nella capitale irachena per dar vita ad una manifestazione contro il previsto accordo sulla sicurezza, lo Status of Forces Agreement (SOFA) firmato da Stati Uniti ed Iraq e attualmente al vaglio del parlamento di Baghdad. A convocare la manifestazione il leader spirituale sciita Moqtada al Sadr, fortemente contrario ad un qualunque accordo con Washington.

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  2. Iraq: a Luglio Si Terra’ Referendum Su Patto Sicurezza Usa

    (ASCA-AFP) – Baghdad, 26 nov – A luglio in Iraq si terra’ un referendum sul contestato patto militare che prevede tra l’altro il ritiro delle forze americane dal Paese entro il 2011. Muwafaq al-Rubaie, uomo a capo dei negoziati e consigliere della sicurezza nazionale, ha dichiarato all’emittente televisiva saudita Al-Arabiya che ”il parlamento iracheno non e’ l’unico ad avere un ruolo nella supervisione dell’accordo con l’America, anche gli iracheni avranno voce in capitolo grazie ad un referendum che si terra’ il 30 luglio prossimo, affinche’ anche i cittadini possano controllare se il patto e’ corretto o meno, sei mesi dopo la sua entrata in vigore”.

    Baghdad, 26 nov. (Adnkronos/Dpa) – L’Assemblea nazionale irachena ha rimandato di un giorno il voto dell’Accordo sullo status delle forze (Sofa) siglato con gli Stati Uniti. Lo ha annunciato il Presidente del Parlamento, Mahmoud al-Mashhadani dopo la cancellazione della seduta di questo pomeriggio in cui era previsto il voto. L’accordo regola la presenza dei militari americani in Iraq a partire dal prossimo primo gennaio, quando scade il mandato alla forza internazionale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla fine del 2011. I sunniti del Fronte dell’Accordo hanno condizionato il loro voto alla convocazione di un referendum di ratifica. La richiesta sembra essere stata approvata dagli sciiti del Dawa cosi’ come dai curdi, secondo quanto hanno anticipato deputati degli schieramenti. Un portavoce del Premier Nouri al-Maliki, aveva spiegato inoltre che la proposta non costituiva ”un problema”.

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  3. Iraq: Parlamento approva accordo Usa

    (ANSA) – BAGHDAD, 27 NOV – Il parlamento iracheno ha approvato l’accordo tra Iraq e Stati Uniti sulla sicurezza, che prevede il ritiro delle forze Usa entro il 2011. Hanno votato a favore 149 dei 198 presenti, su 275 che formano il parlamento iracheno. Il presidente dell’Assemblea, Mahmoud al Mashhadani, ha inoltre dato lettura, prima del voto, di un’intesa politica raggiunta dai leader dei maggiori partiti che prevede lo svolgimento di un referendum popolare sull’accordo ‘entro il 31 luglio 2009’.

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  4. il primo dietrofront

    Baghdad, 13 dic. – (Adnkronos) – Migliaia di soldati americani continueranno a restare nelle citta’ anche dopo l’estate, per sostenere l’addestramento delle forze irachene, nonostante l’impegno a ritirare le truppe da combattimento dalle aree urbane per quella data. “Noi crediamo che dovrebbero restare anche dopo l’estate”, ha detto il generale americano Ray Odierno, confermando le voci circolate nei giorni scorsi dopo la conclusione del Sofa (l’accordo sullo status delle forze americane in Iraq), che lasciavano spazio alla possibile permanenza dei soldati nelle citta’.

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  5. Usa, spesi quasi 900 miliardi dollari guerre Iraq e Afghanistan

    WASHINGTON (Reuters) – Le operazioni militari degli Stati Uniti, incluse quelle in Iraq e Afghanistan, sono costate 904 miliardi di dollari dal 2001 e potrebbero toccare quota 1.700 miliardi entro il 2018, anche con massicci tagli delle truppe all’estero.
    E’ quanto rivelato ieri da un rapporto.
    Un nuovo studio diffuso dal Center for Strategic and Budgetary Assessments (Csba), super partes, dice che il costo del conflitto in Iraq (687 miliardi di dollari) supera quello di qualunque altra guerra a cui in passato abbiano partecipato gli americani, ad eccezione della Seconda guerra mondiale.
    Con altri 184 miliardi di dollari per l’Afghanistan, i due conflitti superano i costi della guerra in Vietnam di circa il 50%.
    Il Csba dice che le operazioni militari Usa hanno già raggiunto i 904 miliardi di dollari dal 2001, includendo le spese per il rafforzamento della sicurezza interna e quelle per i veterani. Lo studio considera anche i fondi stanziati per il 2009.

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  6. Iraq: Governo Presenta Legge Per Ritiro Forze Straniere Entro Meta’ 2009

    Baghdad, 17 dic. (Adnkronos/dpa)- Il governo iracheno ha approntato una bozza di legge per il ritiro delle truppe straniere non americane dal paese entro il 31 luglio 2009. Lo ha reso noto il portavoce del governo Ali al Dabbagh. La bozza dovra’ ora essere approvata dal parlamento.

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  7. Iraq: restano truppe GB e Australia

    (ANSA) – BAGHDAD, 30 DIC – L’Iraq ha siglato con Gran Bretagna ed Australia un’intesa che permettera’ alle loro truppe di rimanere nel Paese oltre il 31 dicembre. Lo ha reso noto il portavoce del ministero della Difesa iracheno, Mohammed al-Askari. L’accordo che consente alle truppe di rimanere in Iraq dopo la fine del mandato Onu, che scade domani, impegna le truppe britanniche ed australiane (in tutto oltre 5 mila uomini) a lasciare il Paese entro la fine del prossimo luglio.

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  8. Iraq: generali Usa per ritiro lento

    (ANSA) – NEW YORK, 7 FEB – I comandanti militari Usa in Iraq hanno prospettato tre opzioni per il ritiro dall’Iraq, preferendo quella piu’ a lunga scadenza. Gli scenari prevedono un ritiro in 16, 19 e 23 mesi, hanno detto fonti del Pentagono precisando che il comandante Usa in Iraq, gen.Ray Odierno, e il capo del Comando Centrale, gen.David Petraeus, preferiscono la terza opzione ‘per non mettere in pericolo le conquiste sul fronte della sicurezza’, ha detto una fonte. Si trovano in Iraq circa 144 mila soldati.

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  9. Iraq: Al-Maliki, Non Siamo Preoccupati Per Ritiro Forze Usa

    (ASCA-AFP) – Baghdad, 26 feb – L’Iraq non e’ preoccupato per il ritiro delle truppe americane dal Paese. Lo ha affermato il Primo ministro Nuri al-Maliki, mentre Obama si appresta ad annunciare un calendario per il ritiro delle forze statunitensi.
    ”Abbiamo fiducia nel fatto che le nostre forze armate e i nostri servizi di sicurezza saranno in grado di proteggere il Paese e rafforzare la sicurezza e la stabilita”’, ha detto al-Maliki durante un incontro a Baghdad con il ministro degli Esteri del Kuwait, Shiekh Moahmmed al-Sabah, secondo quanto si legge in un comunicato.
    ”Non siamo preoccupati per l’Iraq se le truppe americane si ritirano”, ha aggiunto il premier iracheno. Obama annuncera’ domani il suo calendario per il ritiro delle truppe americane dall’Iraq. Secondo fonti ufficiali, il nuovo inquilino della Casa Bianca e’ orientato verso un ritiro entro 19 mesi piuttosto che verso l’obiettivo di un ritiro in 16 mesi come aveva sostenuto durante la sua campagna elettorale.

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  10. Obama’s Iraq withdrawal plan sets stage for continued war,
    by Bill Van Auken

    Citing two unnamed administration officials, the Associated Press reported: “The US military would leave behind a residual force, between 30,000 and 50,000 troops, to continue advising and training Iraqi security forces. Also staying beyond the 19 months would be intelligence and surveillance specialists and their equipment, including unmanned aircraft.”

    Moreover, it appears that “combat troops” may remain in Iraq with the Pentagon merely changing their designation to support units. The New York Times quoted military officials as saying that “they did not know how many combat troops would stay behind in new missions as trainers, advisers or counterterrorism forces, at least some of whom would still be effectively in combat roles.”

    The Times continued: “Military planners have said that in order to meet withdrawal deadlines, they would reassign some combat troops to training and support of the Iraqis, even though the troops would still be armed and go on combat patrols with their Iraqi counterparts.”

    The Los Angeles Times quoted a senior military officer who seemed to suggest that the withdrawal timetable was really of secondary importance.

    “The thing I would pay attention to is what will remain,” said the officer. “The key decision for the president is: what is that force and what specific duties does it have?”

    The officer added, “When President Obama said we were going to get out within 16 months, some people heard ‘get out’ and everyone’s gone. But that is not going to happen.”

    (…)

    The mission of the US military left behind in Iraq will not be confined merely to training, protection of US interests and “anti-terrorism” operations. With a continued monopoly over air power and heavy artillery in the country, it will remain the dominant force, with the Iraqi army functioning essentially as a US puppet force.

    The essential mission of the US troops, whether they number 50,000 or more, will remain the one they were given with the invasion of Iraq nearly six years ago—the neo-colonial subjugation of one of the most oil-rich nations on the planet.

    The Obama administration continues to pursue this goal—albeit by somewhat altered means. Its aim, like the Bush administration before it, is to secure a strategic advantage over US imperialism’s principal economic rivals in Europe and Asia by establishing hegemony over key energy supplies upon which they depend.

    http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=12464

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  11. Iraq, Obama: fine dei combattimenti entro agosto 2010

    Ven 27 Feb – 18.19
    Reuters

    Il presidente Barack Obama ha annunciato che entro l’agosto del 2010 finiranno tutte le azioni di combattimento in Iraq anche se tra i 35.000 e i 50.000 soldati potranno restare nel Paese sino al 2011 a sostegno del governo iracheno e delle forze di sicurezza.

    “L’Iraq non è ancora sicuro”, ha detto Obama in un discorso nella base dei Marine di Camp Lejeune nel North Carolina, aggiungendo che restano all’orizzonte dei giorni difficili ma che la sua amministrazione intende ritirare tutte le truppe Usa dall’Iraq per la fine del 2011.

    A sei anni dall’ingresso nel Paese delle forze a guida Usa per estromettere dal potere Saddam Hussein, l’annuncio rappresenta una mossa storica nella guerra impopolare che è costata enormemente sia in termini economici che di vite umane all’America (4.250 soldati morti) e che ha segnato la presidenza di George W. Bush, oltre che la percezione degli Stati Uniti nel mondo.

    La decisione del presidente di lasciare comunque una forte presenza militare per consolidare la stabilità del Paese è stata elogiata al Congresso dai repubblicani, tra i quali il senatore John Mccain che è stato rivale di Obama nella corsa alla presidenza Usa.

    Camp Lejeunne è una base dei Marine da dove 8.000 soldati partiranno per l’Afghanistan, Paese in cui le condizioni di sicurezza stanno peggiorando.

    Dai 35.000 ai 50.000 uomini resteranno in Iraq contro i 142.000 attuali, per addestrare ed equipaggiare i soldati iracheni, proteggere i progetti di ricostruzione e condurre limitate operazioni antiterrorismo, aveva spiegato in precedenza un ufficiale.

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