Carattere dell’odierna ascesa cinese

cina

Vi sono molte storie non dette sull’ascesa della Cina.
Reg Little, diplomatico australiano di lungo corso, ne racconta una.
Da “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, n. 2/2015, pp. 82-83.

“Sarebbe errato parlare di ascesa cinese in senso esteso. È molto più appropriato parlare di rinascita della Cina. Fino alle guerre dell’oppio, alla metà del XIX secolo, la Cina aveva guidato il mondo nella tecnologia e nella produzione economica per gran parte della storia umana.. Alla metà del XX secolo, la rivoluzione di Mao Zedong cominciò a gettare le fondamenta della rinascita cinese. Questa rinascita è diventata evidente circa un quarto di secolo più tardi, quando Deng Xiaoping prese il potere.
La nuova evidente caratteristica della Cina contemporanea sta nel fatto che le potenze angloamericane hanno costruito un nascente sistema globale e che la rinascita della Cina deve aver luogo al centro di questa interconnessione globale. È questa la caratteristica veramente unica della contemporanea ascesa, o rinascita, della Cina. È qualcosa che altre potenze hanno reso inevitabile, non qualcosa che sia avvenuto per iniziativa delle guide della Cina.
Perciò nell’ascesa della Cina contemporanea c’è parecchio che può essere compreso soltanto esaminando l’interazione della moderna influenza occidentale con la rinascita della cultura tradizionale cinese. Finora l’impatto dell’influenza occidentale sembra essere stato dominante. Eppure il successo della Cina può essere spiegato solo osservando il modo in cui la sua cultura tradizionale la ha attrezzata per poter competere con l’Occidente.
Analogamente, gran parte dell’attività cinese è stata dettata da imperativi imposti dalla modernità occidentale. Però, a mano a mano che la Cina diventa più forte, più indipendente e più cinese nelle sue scelte, è possibile sottoporre molte iniziative occidentali ad un profondo riesame.
Basta guardare ai danni procurati dagli imperativi industriali occidentali all’ambiente, all’acqua, all’aria, al cibo ed alla medicina, per vedere i possibili benefici di questo sviluppo. Naturalmente, oggi la Cina rappresenta una misera pubblicità in questo senso, poiché, nella fretta di costruire la sua economia, di ristabilire la sua autonomia culturale e di guadagnare un certo controllo sul proprio avvenire, essa ha dovuto accettare molti di tali imperativi. In ogni caso, ora essa ha ampiamente realizzato questi fini ed ha la possibilità di risolvere i suoi problemi.
Per rimediare ai danni prodotti dagl’imperativi industriali, le tradizioni di legge edi governo della Cina possono sembrare molto più adeguate che non le pratiche comuni delle democrazie occidentali. Le grandi multinazionali hanno dimostrato la loro capacità di scrivere le leggi e le normative dei governi eletti servendosi delle consorterie, dell’influenza mediatica, delle perizie industriali e del finanziamento ai partiti, spesso col minimo riguardo per i danni inflitti al bene comune.
In realtà, lo studio dei classici, della storia e della cultura politica della Cina rivela che molti tratti della civilizzazione angloamericana contemporanea traggono origine dalle avventure imperialistiche delle grandi società commerciali inglesi come la Compagnia delle Indie e, più recentemente, dalle iniziative delle multinazionali americane nel sistema istituzionale globale costruito dopo la sconfitta dell’Europa nel secondo conflitto mondiale.
L’ascesa della Cina e dei suoi alleati asiatici induce a pensare che molte pratiche e molti valori angloamericani subiranno probabilmente un riassestamento, secondo prospettive in grado di sorprendere e marginalizzare le certezze odierne. L’incapacità degli strateghi angloamericani di comprendere i punti vulnerabili della loro cultura e di esplorare i punti di forza di una cultura dotata di un patrimonio straordinario ha accelerato sia il tramonto dell’Occidente sia l’ascesa dell’Oriente. È difficile pensare che adesso questa situazione possa essere ribaltata.
Adesso i popoli occidentali hanno a disposizione un periodo più breve per prepararsi ad un futuro prevedibile, nel quale le certezze e le comodità del passato saranno soggette ad un riesame. Il sistema globale esistente è stato costruito sul dogma della superiorità dei valori occidentali, i quali però si sono dimostrati vulnerabili davanti alla sfida asiatica. È ancora troppo presto per delineare il probabile esito di questa interazione di culture in competizione, ma sarà essenziale riservare una profonda attenzione alla cultura tradizionale cinese, se si vuole valutare l’approccio cinese all’Occidente sperando di ricavarne qualche vantaggio.”

Reg Little ha svolto attività diplomatica in cinque missioni australiane per venticinque anni, durante i quali ha studiato giapponese e cinese. A Canberra, ha diretto l’Australian China Council. Autore di tre libri dedicati alla dottrina confuciana, dal 2009 è stato presidente dell’Associazione Confuciana Internazionale, che ha sede a Pechino.
Questo articolo originalmente è apparso sulla rivista australiana New Dawn (Vol. 9, n. 1).

Un gigantesco fenomeno culturale

All’intervistatore che, rilevando come sia ormai un dato di fatto il sostegno di numerosi ambienti progressisti all’impero USA, si rammarica dell’indifferenza della sinistra europea al “messianesimo realizzato” americano, mentre per lungo tempo le lotte anti-imperialiste degli anni ’50 e ’60 erano state un suo importante riferimento ideale, Costanzo Preve replica:

“In realtà a questa domanda è difficile rispondere, perché cerca di trovare le radici di un gigantesco fenomeno culturale che è la riconversione dell’identità culturale di sinistra dalla vecchia fase classista anti-imperialista alla nuova fase della religione olocaustica e della religione individualistica dei diritti umani. Nel caso di Obama si tratta di una delle tante illusioni. Da questo punto di vista si tratta dell’incapacità strutturale di una cultura come quella europea, che ha perduto ogni sovranità storica e geografica e che perciò è costretta dopo il 1945 a correre dietro a dei miti esotici. Il mito di Kennedy negli anni sessanta e di Obama negli anni duemila non sono diversi, come può sembrare, dal mito di Che Guevara o di Mao Tse-tung. Si tratta in ogni caso di miti esotici, che non sarebbero tali se non ci fosse prima una totale mancanza di radici, una totale mancanza di sovranità della cultura europea. La sovranità culturale è parzialmente autonoma ma dipende anche dalla sovranità politico-militare. La grande filosofia greca del tempo di Platone e Aristotele si basava sulla sovranità politica dei Greci, non ancora occupati né dall’impero persiano né dalla repubblica romana né dai regni ellenistici. E’ vero che ci può essere una cultura interessante anche in condizioni di oppressione politica, pensiamo ad esempio alla cultura greca sotto l’impero ottomano o alla cultura polacca sotto l’impero zarista, però in generale una grande cultura presuppone una sovranità politico-militare. L’Europa non esiste più, esiste una eurolandia, che è soltanto uno spazio di banchieri, uno spazio monetario. In mancanza di Europa è chiaro che si cercano miti stranieri: il mito della Cina come grande Paese industriale produttivo, il mito di Obama, che per di più è anche un nero, il che vuol dire che sembra il portatore della famosa emancipazione antirazziale di Martin Luther King. Si tratta fondamentalmente di un mito di oppressi, di un mito di una cultura senza più radici e sovranità, perciò non ha molta importanza. Questi miti cambiano continuamente, tra uno o due anni non ci sarà più il mito di Obama e se ne cercherà un altro.
(…)
La cultura americana continua ad essere per gli Europei sostanzialmente un enigma. Gli Europei hanno sempre esaltato la rivoluzione americana come una rivoluzione illuministica ed è sempre rimasto poco noto il sottofondo vetero-testamentario di questo messianesimo. In mancanza di questa comprensione si appiccica all’America la dicotomia sinistra/destra, per cui Obama è di sinistra e Bush di destra, e non si vede il comune aspetto messianico di entrambi. A questo punto la cultura europea non è in grado, tolte piccole eccezioni, di capire non tanto il fenomeno Obama quanto il fenomeno imperiale americano.”

Fra queste “piccole eccezioni”, John Kleeves, del quale è da poco tornato disponibile “Un Paese pericoloso. Storia non romanzata degli Stati Uniti d’America”, originalmente pubblicato nel 1999.
Qui, in formato pdf.

La Cina è vicina (agli Stati Uniti)

A partire soprattutto dallo scoppio della Guerra fredda, per decenni la campagna anticomunista dell’Occidente ha ruotato attorno alla demonizzazione di Stalin. Sino al momento della disfatta dell’Unione Sovietica, non era il caso di esagerare nella polemica contro Mao, e neppure contro Pol Pot, fino all’ultimo appoggiato da Washington contro gli invasori vietnamiti e i loro protettori sovietici. Il mostro gemello di Hitler era uno solo: aveva imperversato per trent’anni a Mosca e continuava a pesare in modo funesto e massiccio sul paese che osava sfidare l’egemonia degli USA.
Il quadro non poteva non cambiare con l’ascesa prodigiosa della Cina: ora è il grande paese asiatico che dev’essere incalzato sino a smarrire la sua identità e la sua autostima. Al di là di Stalin l’ideologia dominante è impegnata a individuare altri mostri gemelli di Hitler. Ed ecco riscuotere un grande successo internazionale un libro che bolla Mao Zedong come il più grande criminale del Novecento o forse di tutti i tempi.
Le modalità della “dimostrazione” sono quelle che già conosciamo: si prendono le mosse dall’infanzia del “mostro” piuttosto che dalla storia della Cina.
(…)
Questa storia tragica alle spalle della rivoluzione dilegua nella storiografia e nella pubblicistica che ruotano attorno al culto negativo degli eroi. Se nella lettura della storia della Russia si procede alla rimozione del Secondo periodo dei disordini, per il grande paese asiatico si sorvola sul Secolo delle umiliazioni (il periodo che va dalla Prima guerra dell’oppio alla conquista comunista del potere). Come in Russia, anche in Cina a salvare la nazione e persino lo Stato è in ultima analisi la rivoluzione guidata dal partito comunista. Nella biografia già citata su Mao Zedong non solo si ignora il retroterra storico qui sommariamente ricostruito, ma il primato dell’orrore a carico del leader comunista cinese viene conseguito mettendo sul suo conto le vittime provocate dalla carestia e dalla fame che hanno afflitto la Cina. Un rigoroso silenzio viene osservato sull’embargo inflitto al grande paese asiatico subito dopo l’avvento al potere dei comunisti.
Su quest’ultimo punto conviene allora consultare il libro di un autore statunitense che descrive in modo simpatetico il ruolo di primo piano svolto nel corso della Guerra fredda dalla politica di accerchiamento e strangolamento economico messa in atto da Washington ai danni della Repubblica popolare cinese. Continua a leggere