“Undici zone di rilascio al largo delle coste pugliesi. La mappa diffusa dalla Capitaneria di Porto di Molfetta durante il conflitto in Kosovo, parla chiaro: i caccia della NATO sganciarono ordigni inesplosi – probabilmente caricati con uranio impoverito – nel basso Adriatico in undici aree, due delle quali a 12 miglia dalla costa.
Questa mappa si infranse, qualche mese dopo la fine della guerra, nel disconoscimento dell’unità di crisi italiana che si occupava della vicenda bombe. «Circa la mappa del basso Adriatico indicante 11 siti di “probabile rilascio”… i rappresentanti del Comando Generale delle Capitanerie di Porto e del Ministero della Difesa non ne hanno riconosciuto l’attendibilità». Ma è difficile credere che allora la mappa non sia stata sconfessata proprio per prevenire possibili rivendicazioni. Quella mappa, redatta sulla base delle indicazioni fornite dalle Autorità militari, avrebbe legittimato la richiesta di una bonifica del basso Adriatico. Disconoscerla ha significato “legittimare” una bonifica mai avvenuta. Le operazioni di sminamento condotte dalla Marina militare e dalla NATO, si sono fermate al di là del Gargano, escludendo la costa pugliese a sud di Manfredonia. Il fermo bellico disposto dal governo nel ’99 fu imposto anche ai pescatori pugliesi, ma accertato che la bonifica del basso Adriatico non è mai stata realizzata, ci chiediamo perché all’epoca del conflitto sia stato ordinato anche a quelle marinerie la sospensione delle attività: un intervento indispensabile, si diceva allora, per il recupero degli ordigni. In Puglia il fermo bellico ha garantito, peraltro con un anno di ritardo, solo gli indennizzi agli operatori. Un tardivo rimborso spese, insomma: il contentino fatto apposta per tacitare gli animi. Di misure di sicurezza e prevenzione degli incidenti sul lavoro, neanche a parlarne. “Continueremo comunque a pescare bombe” – ci disse all’epoca un pescatore, profeta suo malgrado.
Di contro alla rassegnazione dei pescatori, le autorità militari ostentavano sin d’allora il successo delle prime operazioni di bonifica. Ancora, dai documenti ufficiali si apprendeva che le aree designate per il rilascio del carico bellico fossero sei in tutto l’Adriatico (mentre la sola mappa redatta a Molfetta, ne segnalava undici) e che le zone dove erano stati “effettivamente affondati gli ordigni” fossero state “tutte indagate” con le prime operazioni di bonifica. Ma i dati ufficiali sembrano smentiti dalla realtà: molti i ritrovamenti accidentali di bombe finite nelle reti dei pescatori anche dopo la bonifica, mentre sempre l’Icram dichiarava già nel ’99 (verbale della riunione del 30 agosto 1999 dell’Unità di crisi per gli ordigni NATO affondati in Adriatico) l’eventualità che, a operazioni concluse, fosse “rimasto sui fondali adriatici un numero rilevante, probabilmente dell’ordine delle migliaia, di ordigni dispersi” rappresentati soprattutto da piccole bomblets, dell’ordine di grandezza di una ventina di centimetri, provenienti dall’apertura delle bombe a grappolo. La portata di queste dichiarazioni fu tale da indurre il governo ad avviare una nuova fase di bonifica qualche mese più tardi (gennaio 2000). Ma sull’attendibilità della mappa con le zone di rilascio nei mari di Puglia pendeva ancora l’invalicabile veto della NATO, e così le autorità decisero che, di nuovo, il Basso Adriatico potesse attendere.
Nessuna bonifica neppure per gli ordigni a caricamento speciale (iprite e composti contenenti arsenico), affondati nel basso adriatico nel corso della seconda guerra mondiale.
A seguito di specifiche campagne di indagine, l’allora Icram, oggi Ispra, ha accertato la presenza sui fondali del Basso Adriatico di almeno ventimila ordigni con caricamento chimico…”.
Da Armi chimiche: un’eredità ancora pericolosa. Mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale, a cura di Legambiente e Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, pp. 12-13.
Oggi, sul Portale Ambientale della Regione Puglia, alla voce Disinquinamento del Basso Adriatico, si legge:
“La verifica della presenza degli ordigni bellici nelle aree individuate (già effettuata nel Porto di Molfetta) sarà effettuata dall’ISPRA con il concorso del Centro di Ricerca della NATO “NURC” (NATO Underwater Research Centre). Il piano prevede che la bonifica degli ordigni bellici sia attuata dallo SDAI – Corpo Speciale dello Stato Maggiore della Marina Militare.
Il nucleo SDAI, una volta rinvenuti gli ordigni a caricamento speciale, si avvale del supporto del Centro Tecnico Logistico Interforze Nucleare Biologico e Chimico (CETLI NBC) di Civitavecchia e dell’11° Reggimento Genio Guastatori di Foggia. Obiettivo complementare del Piano è quello di definire lo stato di qualità dei fondali delle aree in esame (prioritarie e non, per un totale di 19) e accertare eventuali successivi interventi di messa in sicurezza e bonifica, a tal fine l’ARPA Puglia, di concerto con il CETLI NBC, effettuerà le apposite determinazioni analitiche dei fondali marini.
L’ARPA Puglia, di concerto con la Direzione Marittima di Bari, sta curando l’organizzazione di corsi di informazione e formazione rivolti agli operatori della pesca circa le migliori pratiche da adottare nel caso di salpamento a bordo di residuati bellici o altri rifiuti pericolosi.”
Ma il sito web specifico per il programma risulta inattivo.
[Il Pentagono, ovverossia Il peggior inquinatore del Pianeta]