Primule rosse in fuga

I latitanti di Stato

Si parla molto di Alessio Casimirri, il brigatista rosso rifugiato in Nicaragua per il quale nessun governo italiano si è mai attivato per ottenerne l’estradizione in Italia perché a conoscenza dei segreti del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro.
Solo dopo l’estradizione di Cesare Battisti si è, invece, parlato poco di Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni di reclusione per l’omicidio del commissario di PS Luigi Calabresi.
Qualcuno lo ha definito «primula rossa in fuga», il giudice istruttore Guido Salvini ne ha parlato come di un individuo che «vive protetto all’estero, probabilmente in Francia».
Apriti cielo!
A indignarsi dinanzi alla pretesa di considerare Giorgio Pietrostefani un «latitante», anzi una «primula rossa in fuga», è il suo compagno di omicidio Adriano Sofri il quale interviene con un articolo su Il Foglio del 17 gennaio 2019 intitolato: «No, Giorgio Pietrostefani non è una “primula rossa in fuga”».
Come si permettono costoro a definirlo un fuggiasco? Sofri spiega, con il solito tono borioso e arrogante, che per quanto riguarda Pietrostefani «non c’è niente di clandestino nella sua esistenza. Ha sempre e regolarmente lavorato. Chiunque voglia frequentarlo – e lui voglia frequentare – lo può fare: io per esempio».
Giusto! Latitanti sono gli altri mentre non può esserlo uno che ha riportato una condanna a 22 anni di reclusione per aver ammazzato (in concorso con Sofri e Bompressi) un commissario di Pubblica sicurezza, perché lui è di Lotta continua.
Lo sappiamo: abbiamo letto gli insulti a Salvador Allende pubblicati sul loro giornale, è noto che lo stesso veniva stampato in una tipografia di pertinenza della CIA, è di pubblico dominio il rapporto amichevole con il prefetto Umberto Federico D’Amato, direttore della divisione «Affari riservati» del ministero degli Interni, lo dice il giudice Guido Salvini che nell’esecutivo del gruppo c’era la fonte «Como», informatore dei servizi segreti mai identificato, lo ha scritto Mino Pecorelli che a Lotta Continua giungevano finanziamenti da parte del ministero degli Interni, del Partito Socialista e del petroliere Nino Rovelli.
Con questo passato alle spalle perché mai Giorgio Pietrostefani deve essere considerato un latitante?
È un probe servitore dello Stato per il quale, insieme ai compari Sofri e Bompressi, la magistratura milanese si è coperta di ridicolo e di vergogna condannandolo a 22 anni di reclusione invece che all’ergastolo per omicidio premeditato aggravato dalle finalità di terrorismo di un commissario di Pubblica sicurezza.
Una condanna che viene inflitta a pentiti e dissociati, solo che i tre non lo erano e la sentenza che li riguarda rimane uno scandalo giudiziario senza precedenti, considerando che cittadini comuni per lo stesso reato (omicidio premeditato) senza aggravanti ai danni di altri cittadini non appartenenti alle forze di polizia sono stati sempre condannati all’ergastolo.
E con questi precedenti qualcuno si permette di considerare Giorgio Pietrostefani una «primula rossa in fuga»?
Ha ragione a indignarsi Sofri e a chiarire che l’amico suo in Francia ha sempre fatto i fatti suoi alla luce del sole perché nessuno lo ha mai cercato, anzi non si è mai permesso di cercarlo.
Ci mancherebbe altro!
A questo punto l’accusa di favoreggiamento personale nei confronti di tutti i ministri degli Interni e della Giustizia in carica dal giorno in cui, con l’autorizzazione della polizia, Pietrostefani si è trasferito in Francia, sarebbe doverosa, anche nei confronti di Matteo Salvini.
Ma, a quanto pare, Pietrostefani non è Cesare Battisti, non è un fuggiasco senza segreti e capacità di ricatto, ma è di Lotta Continua e per lui (e gli altri due) il Parlamento varò addirittura una legge ad personam per fargli ottenere la revisione dei processo perché i tre dovevano essere salvati a ogni costo.
Chissà perché?
È normale che con cotanta storia alle spalle, Adriano Sofri, sicuro che ancora oggi può contare sull’aiuto di tutti i rinnegati di Lotta continua passati al centro-destra, possa esibire per l’ennesima volta la sua arroganza con la certezza che nessuno si prenderà la briga di agire di conseguenza nei confronti suoi e di Giorgio Pietrostefani.
Ma, forse, Sofri è rimasto sconvolto dal fatto che l’amico è stato definito «primula rossa», perché di rosso qui non c’è niente e non c’è mai stato se scriviamo la storia di Lotta Continua.
Dopo l’11 settembre 2001, Sofri mandò i suoi compari in piazza con un cartello nel quale era scritto: «Lotta continua per gli Stati Uniti».
Non ne avevamo mai dubitato.
Vincenzo Vinciguerra

Fonte

I figli della CIA

la-lotta-continuaIl giornalista Paolo Cucchiarelli ha recentemente ripubblicato un articolo scritto da Marco Nozza e apparso sul quotidiano “Il Giorno” di Milano il 31 luglio 1988.
Cosa diceva Nozza? Che il giornale di “Lotta continua” si stampava in una tipografia di pertinenza di due agenti della Central Intelligence Agency (CIA), Robert Cunningham senior e junior, il quale ultimo era perfino socio della società “Tipografia 15 giugno” che avrebbe dovuto stampare il giornale di Adriano Sofri e soci ”fino al 31 dicembre 2010″, insieme ad Angelo Brambilla Pisoni, Pio Baldelli, Marco Boato e Lionello Massobrio.
In altre parole, il giornale di “Lotta continua”, organizzazione rivoluzionaria della sinistra extraparlamentare italiana, era stampato dal servizio segreto americano.
Marco Nozza concludeva il suo articolo con una domanda: “Ma lo sapevano, quegli sprovveduti, con chi avevano a che fare?”.
Siamo, in altre e più crude parole, al “vieni avanti cretino” riferito ad Adriano Sofri e colleghi che, a prima vista, erano nemici degli Stati Uniti e della CIA ma stampavano, ingenuamente, il loro giornale in una tipografia di proprietà degli Stati Uniti e della CIA, senza rendersene conto.
Se rivolgiamo lo sguardo al passato e, ancora oggi, ci guardiamo attorno di imbecilli e mentecatti targati “Lotta continua” ne troviamo parecchi in circolazione, magari riciclati a destra, sul libro paga del finanziatore della mafia Silvio Berlusconi, accoppiati con presunti ”neofascisti” insieme ai quali conducono campagne stampa, a mezzo di Internet, contro coloro che cercano ed affermano verità che sono scomode per tutti, dai presunti neofascisti ai presunti rivoluzionari di estrema sinistra.
Il sospetto che, nel loro passato, abbiano come comune denominatore il rapporto di dipendenza dalla Central Intelligence Agency è tutt’altro che peregrino.
Difatti, prima ancora che Sofri e colleghi iniziassero a stampare il loro giornale presso la tipografia della CIA a Roma, il segnale di rapporti non proprio limpidi con gli spioni americani c’era già, evidente ma sottaciuto per evitare inopportune domande all’epoca ed anche oggi.
Il 30 ottobre 1970, proprio su “Lotta continua”, difatti, è pubblicato un articolo dal titolo “La rivoluzione col mitra e con le schede”, dedicato alla situazione politica in Cile nel quale si attacca con asprezza Salvador Allende, definito il “socialista dello yacht”.
Si potrà pensare ad un infortunio, alla trappola tesa da qualche “infiltrato”, sia pure a buon livello nell’organizzazione, che si è fatto beffa del “rivoluzionario” Adriano Sofri e dei suoi soci per buttare fango da sinistra sul Salvador Allende ormai nel mirino della Central Intelligence Agency.
Invece no.
Perché l’8 agosto 1972, Sofri e colleghi tornano ad accusare il presidente cileno con un articolo dal titolo chiarissimo: “Allende spara sui lavoratori”.
Un secondo infortunio? Possiamo escluderlo, perché “Lotta continua”, il 2 settembre 1972, ritorna ad attaccare Salvador Allende con un altro articolo intitolato “Tortura i militanti rivoluzionari”.
Insomma, questo Salvador Allende Sofri e colleghi non lo digeriscono.
Non solo lo hanno accusato di essere un ” socialista con lo yacht”, ma ora lo additano al disprezzo dei proletari come uccisore e torturatore dei compagni cileni. Per fortuna di Sofri e dei militanti rivoluzionari cileni, l’11 settembre 1973, la CIA liquida Salvador Allende con un colpo di Stato militare guidato da Augusto Pinochet Ugarte e libera il Cile dalla tirannica oppressione del “socialista con lo yacht”.
Se Sofri ed i suoi colleghi della CIA e di Lotta continua hanno gioito anche a Roma non possiamo saperlo, ma lo riteniamo probabile.
Se gli uomini della Central Intelligence Agency hanno liquidato un nemico, quelli di Sofri hanno condotto a termine l’operazione contro Luigi Calabresi, fisicamente liquidato il 17 maggio 1972, godendo ora dello spettacolo di magistrati che, negando l’evidenza, inventano una “pista nera” per l’omicidio del commissario di polizia rivendicato, viceversa, da “Lotta continua” con l’arroganza di chi è certo della propria impunità.
Bei tempi, quelli, per Lotta continua e la CIA.
Se è esistita, a sinistra, organizzazione che ha alimentato gli “opposti estremismi”, che ha incitato all’odio e alla violenza contro gli avversari politici, che è stata lasciata libera dallo Stato di pubblicare, vantandosene, perfino gli elenchi dei “fascisti” aggrediti, questa è “Lotta continua” diretta da un individuo, Adriano Sofri, che ha atteso 30 anni per rivelare che aveva un ottimo rapporto con il prefetto Umberto Federico D’Amato, direttore della divisione Affari riservati del ministero degli Interni e uomo della CIA in Italia.
Rivisiteremo la storia di “Lotta continua” perché nessuno ha scritto che solo l’estrema destra è stata eterodiretta dai servizi segreti italiani, atlantici, israeliani ed americani, la cui presenza è, invece, palpabile anche a sinistra.
Per ora ci fermiamo qui, con una domanda alla quale bisognerà dare risposta: perché Adriano Sofri ha deciso l’eliminazione di Luigi Calabresi, traendo spunto da informazioni false diffuse da agenzie di stampa dipendenti dal ministero degli Interni, ovvero da quella divisione Affari riservati diretta dal suo amico Umberto Federico D’Amato?
Per vendicare Giuseppe Pinelli?
Ne dubitiamo, assai.
Vincenzo Vinciguerra

(Fonte)

Lotta Continua e la “pratica” Feltrinelli&Calabresi

Nel 40° del suo assassinio, opera di un ‘commando’ dei servizi militari di Lotta Continua, al comando del cugino-genero di Enrico Berlinguer – ossia Luigi Manconi, marito del direttore del TG più ‘stelle-strisce’ della RAI, e figlia del medesimo Ras della costa catalana di Sardegna allorché ‘ei fu’ – il Commissario Luigi Calabresi non è stato minimamente ricordato sui giornali.
Addirittura, in occasione dell’attentato al dirigente Ansaldo Finmeccanica, dieci giorni fa, nelle pagine dedicate alla nascita del terrorismo degli anni Settanta, in Italia come interfaccia del Libano, sia il Corriere, che La Repubblica, che La Stampa, fra i tanti esempi addotti anche con foto e articoli dedicati, ignoravano l’attentato a Calabresi!
Evidentemente, lo sbirro ficcanaso, nella vicenda di Piazza Fontana; in quelle, ugualmente oscurissime al profano, della ‘nascita delle Brigate Rosse a stelle–strisce’; come in quelle dell’assassinio dell’editore anti-imperialista Giangiacomo Feltrinelli, due mesi prima del suo (15 Marzo-17 Maggio 1972) è tuttora un convitato di pietra troppo ingombrante per poter fare i conti col medesimo da parte degli stessi terroristi-assassini che oggi, in Italia e in Europa, per investitura del SuperStato Federale d’Oltremare, governano totalitariamente la comunicazione mediatica ufficiale, di tutti i tele&giornali, privati e di Stato.
Invece è tutto molto semplice. Continua a leggere

Abu Omar come l’Achille Lauro?

achillelauro

Il “caso Abu Omar”, ossia la vicenda del rapimento, a Milano ed in pieno giorno, del predicatore integralista islamico da parte di un commando della CIA, presenta caratteristiche di simmetria e specularità con un caso ancora più clamoroso, conseguenze incluse, che appassionò il mondo ventiquattro anni fa, il sequestro della nave Achille Lauro.
Ricordiamolo per sommi capi.
Il 7 ottobre del 1985, un gruppo di palestinesi armati nascosti a bordo sequestra l’ ammiraglia della flotta turistica italiana, appena salpata da Alessandria d’Egitto, con tutto l’equipaggio e 450 passeggeri a bordo, di varie nazionalità. A quale scopo, ci si chiede subito…? Allo scopo, rispondono i sequestratori, che Israele liberi 52 detenuti palestinesi: viceversa, l’Achille Lauro salterà in aria. Figuriamoci.
Un curioso sistema, da parte di un commando terrorista ritenuto “vicino” al Fronte di Liberazione Popolare, di ottenere lo scopo: attaccando militarmente cioè, nel piroscafo (che ne fa parte integrale ai fini del diritto di navigazione) il territorio di un paese naturalmente amico della causa palestinese; e per di più allora guidato da un governo “Craxi-Andreotti” che ancor oggi il sito “liberali per Israele” designa ingiustamente come “amico dei terroristi”. Che tale non era affatto, naturalmente: ma bensì desideroso di contribuire alla pace in Medio Oriente, risolvendolo alla stregua delle risoluzioni ONU che prevedono la costituzione di uno Stato Palestinese sulle terre occupate da Israele durante l’attacco bellico del giugno 1967, Cisgiordania in primis. E in questa chiave aveva accolto in Italia, con protocollo da Capo di Stato incluso discorso in Parlamento, Yasser Arafat nel 1983.
Agli occhi di qualcuno, una colpa imperdonabile…
Bene, dopo due giorni di sequestro, e di frenetiche trattative triangolari fra Italia, Egitto, OLP di Arafat e Abu Abbas capo del FLP residente in Egitto, al quale gruppo risulta aderente l’autolesionista commando di sequestratori, gli stessi cedono: otterranno un salvacondotto per giungere in Italia ove saranno giudicati dalla giustizia italiana, perché i ponti, le cabine, la tolda di una nave italiana sono territorio nazionale a tutti gli effetti. Garanti della mediazione con il governo italiano sono il Presidente egiziano Hosni Mubarak ed il capo dell’OLP Yasser Arafat, che ne rispondono alle opinioni arabe se qualcuno tradisse il compromesso stesso.
Il 9 ottobre il commando abbandona la nave, non senza aver firmato la provocazione con un delitto gratuito ed odioso, solo apparentemente “inutile”: l’assassinio a sangue freddo, e senza giustificazione di alcun tipo, di un solo passeggero. Leon Klinghoffer, un crocerista paralitico di appartenenza ebraica, con passaporto USA.
La vicenda, fin qui solo “drammatica”, allora assume di colpo un profilo “tragico” ed emozional-mediatico che ribalta completamente quello “solo” giuridico: ai fini del quale invece, non cambia nulla; solo un altro reato, il più grave peraltro (l’omicidio in forma abbietta), si aggiunge alla lista di quelli addebitabili al commando in sede penale. E coinvolge, insieme dalla stessa parte, Stati Uniti e Israele contro l’Italia: perché il governo, ad onta dello scandalo, intende mantener dritta la barra del compromesso stipulato con garanti così autorevoli che rischierebbero grosso in caso opposto. “Bruciare” politicamente Mubarak ed Arafat agli occhi arabi – come responsabili di un accordo tradito dall’ Italia, che dovrebbe, negli intenti israelo-USA, consegnare loro i sequestratori – lo Stato italiano questo non può farlo.
A questo punto entrano in scena i “diversori” per linee interne: Continua a leggere