Operazione Gladio

Le democrazie non fanno le guerre

“La principale delle vostre tesi è che le democrazie, come voi le chiamate, non fanno le guerre.

Ma, signori, per chi ci prendete? Credete veramente che non abbiamo un minimo di cultura politica e storica? Non è vero che le democrazie non facciano guerre: tutte le guerre coloniali del XIX e XX secolo sono state fatte da regimi che si qualificavano democratici. Così gli Stati Uniti fecero una guerra di aggressione contro la Spagna per stabilire il loro dominio in una parte del mondo che li interessava; fecero la guerra contro il Messico per conquistarsi determinate regioni dove vi erano sorgenti notevoli di materie prime; fecero la guerra per alcuni decenni contro le tribù indigene delle Pellirosse, per distruggerle, dando uno dei primi esempi di quel crimine di genocidio che oggi è stato giuridicamente qualificato e dovrebbe in avvenire essere perseguito legalmente. Della Inghilterra basti ricordare la guerra contro i Boeri, che venne fatta quando l’Inghilterra si diceva paese democratico ed era in effetti una democrazia parlamentare borghese.

Lascio da parte il 1914, perché riconosco che nel 1914 vi fu una responsabilità prevalente, ma non esclusiva, degli Imperi centrali, retti da regimi autoritari. Tutte le indagini storiche hanno però portato alla conclusione che una parte almeno della responsabilità di quel conflitto ricade pure sulle democrazie, in quanto anche nei paesi retti a regime democratico vi erano gruppi aggressivi, gruppi di capitalisti monopolisti, gruppi imperialisti i quali spingevano alla guerra.

Dopo il 1918 si viene al tema di oggi, cioè alla guerra contro l’Unione Sovietica. Chi ha fatto la guerra all’Unione Sovietica dopo il 1918? Chi ha lanciato la parola d’ordine dell’attacco alla giovane Repubblica Sovietica se non l’Inghilterra e la Francia democratiche, se non il Giappone – allora considerato esso pure democratico – se non gli Stati Uniti? Persino l’Italia nostra si sarebbe messa su quella strada se non ci fosse stato un uomo politico saggio e prudente, che al momento opportuno fermò la mano dei criminali che volevano trascinarci a quella guerra. La “Crociata delle 19 nazioni”, come venne chiamata allora da Churchill, chi l’ha organizzata? L’hanno organizzata dei governi democratici. Non crediate quindi di aver convinto l’opinione pubblica col vostro argomento, secondo il quale le democrazie non farebbero guerre, perché il passato ci dice esattamente il contrario. E nemmeno serve il richiamo patetico alla situazione attuale della “povera Olanda”, della “povera Inghilterra”, della “povera Francia”! Ma no: questa “povera” Olanda, il paese dei formaggi e delle regine grasse, sta facendo la guerra in Indonesia a un popolo che, con le armi alla mano, combatte per difendere la propria libertà.

La “povera” Francia sta facendo la guerra al popolo del Vietnam, per impedirgli di organizzare un proprio Stato autonomo e indipendente, anche se – come i Capi di quel popolo avevano ammesso – nell’ambito di una Unione francese.

L’Inghilterra sta facendo la guerra ai popoli della Birmania e difende con le unghie e con i denti l’ultimo brandello di territorio che le rimane attorno alla capitale di Rangoon. Tutto il resto del territorio di quella colonia è ormai governato da un popolo che ha deciso di mettersi sulla via della libertà e dell’indipendenza e che non è nemmeno diretto da comunisti, ma da democratici sinceri, i quali difendono l’indipendenza del loro paese contro lo sfruttamento degli oppressori coloniali.

Quanto agli Stati Uniti, essi hanno fatto fino a ieri la guerra in Cina, e se ne sono ritirati solo perché sono stati battuti dal popolo cinese; oggi stanno facendo la guerra contro il popolo greco e noi auguriamo che presto giunga il momento che anche di lì si ritirino perché battuti dalle valorose truppe della Libera Grecia!

Non crediate, quindi, che il vostro argomento serva. Esso non ha, alle prove dei fatti, nessuna consistenza.”

Dal discorso tenuto alla Camera dei Deputati dall’on. Palmiro Togliatti, segretario nazionale del PCI, nella seduta pomeridiana di martedì 15 marzo 1949, estratto da Il Patto Atlantico al Parlamento italiano. Le dichiarazioni del Governo e i discorsi dell’Opposizione (11-18 marzo 1949), a cura del Centro Diffusione Stampa del P.C.I., 30 giugno 1949, e ripubblicato in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, n. 1/2022, pp. 163-4.

Com’è NATO un golpe – il caso Moro

Il documentario ripercorre le ultime fasi di vita di Aldo Moro, dal viaggio negli USA del 1974, al rapimento, la detenzione e l’uccisione del Presidente della DC. Una narrazione condotta dal senatore Sergio Flamigni, dall’ex magistrato Carlo Palermo, dai giornalisti ed autori di testi inerenti Marcello Altamura, Rita Di Giovacchino, Carlo D’Adamo e dal perito balistico Martino Farneti.
Una narrazione che si contrappone con dati di fatto alla verità ufficiale del “memoriale”. Una nuova nuova analisi balistica per fare luce sulla dinamica dell’agguato, un filmato inedito di via Fani riguardante la 127 rossa, auto mai presa in considerazione dalle indagini e la fonte “Beirut2”, intervistata da Carlo Palermo, che riferisce di una foto scattata ad Aldo Moro in un cortile durante la prigionia, di come la Guerra Fredda era fattivamente diretta da gruppi che controllavano sia Washington sia il Cremlino, a conferma del fatto che Aldo Moro doveva morire e non per mano delle Brigate Rosse al fine di attuare un golpe in Italia.

Per essere aggiornati sulle proiezioni del documentario o per organizzarne una nella vostra città, potete consultare la seguente pagina.

Questa è sovranità limitata


“C’è un episodio che bisogna richiamare. Quando nel 1973 capita la guerra del Kippur, Moro rifiuta [di concedere] l’utilizzo delle basi militari della NATO per aiutare Israele. Sostiene la tesi, diventata di tutto il governo italiano, che quella guerra esorbita dall’area della NATO, quindi gli Americani non possono utilizzare le basi che sono nel nostro territorio per svolgere un’azione che è sì di aiuto anche ad un Paese nostro alleato come Israele, ma che deve tener conto che noi abbiamo una politica per il Medio Oriente di pacificazione, tendiamo alla soluzione di quel problema e non possiamo metterci contro i Paesi arabi. Pertanto, il nostro governo ritiene di assumere quella posizione e Kissinger “se la lega al dito”. Moro farà riferimento all’acredine che, a seguito di quel fatto, Kissinger crea. E’ una causa che probabilmente ha giocato.
(…) Non ci soffermiamo qui a parlare di quello che avviene a Portorico quando si riunisce lo stato maggiore atlantico e lasciano Moro fuori dalla porta, proprio nel momento in cui si discute sugli aiuti da dare all’Italia e si finisce col condizionare quegli aiuti. Siamo dopo le elezioni del 1976. E’ bene che guardiate cosa avviene a Portorico. In quel momento Moro viene lasciato fuori, eppure è ancora Presidente del Consiglio italiano; ma lui e Mariano Rumor, che è ministro degli Esteri, vengono lasciati alla porta mentre si discute degli aiuti all’Italia. Se ne escono con un comunicato in cui danno l’incarico al tedesco Helmut Schmidt di esprimere la posizione che era quella della discriminazione: “Se voi mettete al governo i comunisti, non vi daremo gli aiuti”.
Questa è sovranità condizionata, limitata, indiscutibilmente, dopo il suffragio popolare che aveva dato quei risultati e che non permetteva il grande gioco politico, perché i rapporti di forza erano quelli che erano e la politica di Moro era lungimirante. Dunque, il fatto di liberarsi di un personaggio che rappresentava quella politica era una tentazione non solo di Kissinger, anche di altri dirigenti di Stato nei Paesi europei, perché avevano timore di una diffusione della stessa formula di collaborazione in altri Paesi.”

Dall’audizione del senatore Sergio Flamigni, svoltasi il 2 dicembre 2014, nell’ambito della II Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.
Ora in Rapporto sul caso Moro. Il sequestro di Aldo Moro, Steve Pieczenik e il golpe atlantico quarant’anni dopo, di Sergio Flamigni, 2019, Kaos edizioni, pp. 75-76.

Il quarto uomo del delitto Moro

L’introduzione dell’ultimo libro di Sergio Flamigni, pubblicato da Kaos Edizioni, che il parlamentare del PCI dal 1968 al 1987, nonché membro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla P2 e Antimafia, ha dedicato all’enigma del brigatista Germano Maccari.

“La II Commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto Moro (2014-2017) ha accertato tre dati di fatto di estrema gravità sul sequestro e l’uccisione del presidente della DC.
Il primo è che subito dopo la strage di via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, i terroristi in fuga con l’ostaggio si rifugiarono in uno stabile di via Massimi 91 di proprietà dello IOR (la banca vaticana). Dunque non ci furono trasbordi del rapito in piazza Madonna del Cenacolo, né la successiva tappa nel sotterraneo del grande magazzino Standa dei Colli Portuensi, e men che meno l’approdo finale nel covo-prigione di via Montalcini, come sostenuto dalla menzognera versione ufficiale dei terroristi assurdamente avallata dalla magistratura.
Il secondo dato accertato dalla II Commissione parlamentare Moro è che anche le modalità dell’uccisione del presidente DC raccontate dai terroristi – all’interno del box auto di via Montalcini, nel baule dell’auto Renault 4 rossa, con 11 colpi, alle ore 6-7 del mattino – sono una sequela di menzogne. Le vecchie e le nuove perizie hanno infatti definito improbabile il luogo, ben diverse le modalità, e falso l’orario del delitto indicato dalla versione brigatista.
Il terzo dato di fatto è che la “verità ufficiale” sulla prigionia e sull’uccisione di Moro in via Montalcini – originata dal “memoriale Morucci”, poi confermata da altri ex brigatisti, e avallata da un paio di magistrati – è stata confezionata in carcere con la regia del servizio segreto del Viminale (SISDE) e la fattiva collaborazione di settori della DC. Si è trattato cioè di una vera e propria operazione politica e di intelligence, dopo la quale gli ex terroristi hanno ottenuto i promessi benefici penitenziari e la semilibertà. In proposito, le risultanze della Commissione parlamentare sono inequivocabili: «Il memoriale [Morucci] presenta le caratteristiche formali e compositive di un elaborato interno agli apparati di sicurezza, che dunque non possono essere ritenuti a priori estranei alla composizione del testo… La costruzione della verità giudiziaria sulla vicenda Moro appare legata all’azione di una pluralità di soggetti, che operarono attorno al percorso dissociativo di Morucci: i giudici istruttori Imposimato e Priore, il SISDE, alcune figure di rilievo della politica e delle istituzioni».
Del resto, i particolari rapporti del SISDE col terrorista dissociato Valerio Morucci, supportati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con la benedizione dell’allora Presidente del Senato e poi Presidente della Repubblica Francesco Cossiga (già ministro dell’Interno durante il sequestro Moro), erano finalizzati proprio a confezionare una versione di comodo per coprire quelle “verità indicibili” di connivenze e complicità all’interno dei servizi di sicurezza e dei poteri occulti, nazionali e esteri, che hanno accompagnato la preparazione e l’attuazione del delitto Moro. Non a caso Morucci, anni dopo la detenzione, verrà assunto da una società privata di intelligence (la G Risk srl) di proprietà dell’ex colonnello dei Carabinieri e ex dirigente dei Servizi segreti Giuseppe De Donno, e amministrata dal generale dei Carabinieri Mario Mori ex capo del SISDE – plastica saldatura fra un ex capo brigatista e gli ex vertici dei Carabinieri e dei Servizi.
Il procuratore generale della Corte d’appello del Tribunale di Roma, Enrico Ciampoli, con la requisitoria dell’11 novembre 2014 aveva già smentito la versione del duo Morucci-Moretti circa la dinamica dell’agguato e della strage. Secondo la versione brigatista, i terroristi in via Fani avrebbero sparato tutti e solo da sinistra, mentre per la Procura generale «il caposcorta dell’on. Moro [maresciallo Oreste Leonardi, nda] fu ucciso inequivocabilmente da destra, come d’altronde conferma la perizia balistica. Quindi, oltre ai 4 brigatisti di cui parlano Morucci e Moretti…, c’era necessariamente un quinto sparatore. Un killer solitario, posizionato a destra, la cui presenza, con alta probabilità, non fu neppure percepita dal caposcorta dell’on. Moro, se è vero che il suo cadavere venne ritrovato “in posizione rilassata e serena”».
I tre dati di fatto accertati dalla II Commissione parlamentare, in pratica, smentiscono la versione ufficiale del delitto Moro dall’inizio (la fuga con l’ostaggio fino in via Montalcini) alla fine (l’uccisione del prigioniero nel box auto di via Montalcini con trasporto del cadavere nel centro di Roma), e confermano che il sequestro del Presidente della DC è rimasto un delitto senza verità. Infatti non c’è nessuna certezza sul luogo (o i luoghi) dove Moro fu tenuto segregato per quasi due mesi, né si sa chi, come e perché lo abbia ucciso. E si tratta di tre questioni – Moro nella fantomatica prigione di via Montalcini, le modalità della sua uccisione, e il castello di menzogne confezionato dal quartetto Morucci-Moretti-destra DC-SISDE – che delineano il contesto in cui si colloca l’enigmatica figura del brigatista Germano Maccari.
Secondo l’ex capo brigatista Moretti, Maccari sarebbe stato presente nel covo di via Montalcini con lo pseudonimo di “Luigi Altobelli” come finto marito dell’intestataria dell’appartamento-covo Anna Laura Braghetti. A detta del trio Faranda-Morucci-Moretti, Maccari sarebbe stato uno dei carcerieri di Moro durante tutti i 55 giorni della prigionia, avrebbe collaborato all’uccisione dell’ostaggio, e avrebbe partecipato poi al grottesco trasporto del cadavere fino in via Caetani la mattina del 9 maggio 1978. La vera identità dell’Altobelli di via Montalcini restò coperta per un quindicennio, fino all’estate del 1993: cioè fino a quando l’ex capo brigatista Mario Moretti, nel ruolo di delatore interessato, decise di permettere l’individuazione e l’arresto di Maccari.
La vicenda che ha avuto come protagonista Germano Maccari è un compendio delle ambiguità, delle menzogne, delle omertà, delle oscurità, del criminale cinismo e delle “verità indicibili” che hanno caratterizzato le sanguinarie BR morettiane e che hanno scandito la strage di via Fani e il delitto Moro. Ed è una vicenda che rende vieppiù inverosimile la versione brigatista, assurdamente avallata dalla magistratura, sulla prigionia e sull’uccisione dello statista democristiano.”

Fonte

L’unica riconciliazione possibile

“Verificata la possibilità di ottenere i voti di poco più di un milione di Italiani che, abbagliati dalla propaganda antifascista, lo vedevano come l’erede del fascismo, il Movimento Sociale Italiano si offre come ruota di scorta della Democrazia Cristiana con i cui attivisti svolge la campagna elettorale della primavera del 1948 con lo slogan “Chi vota DC vota bene, chi vota MSI vota meglio”.
Dopo, più si allontana dai postulati dottrinari ed ideologici del fascismo più s’impegna nel campo attivistico contro il Partito Comunista per rendersi strumento prezioso ed indispensabile dell’alta borghesia e del Vaticano, non trascurando di servire gli interessi degli Stati Uniti e della neo-costituita Alleanza Atlantica.
Si viene, in questo modo, a formare un “neo-fascismo” di propaganda al servizio dell’antifascismo cattolico e liberale al potere.
Già negli anni Cinquanta, il MSI è solo un partito di estrema destra senza più legami ideologici e storici con il fascismo mussoliniano e rivoluzionario che considerava la borghesia la “rovina dell’Italia” e che aveva invitato i propri militanti ad aderire al Partito Socialista di Unità Proletaria di Pietro Nenni.
Del resto, la Democrazia Cristiana guidata dalla gesuitica politica vaticana la sua riconciliazione l’aveva portata avanti, per fini elettoralistici, fin dal febbraio del 1946, quando aveva chiamato alla leva tutti quei giovani che avevano fatto parte delle Forze Armate repubblicane [si intenda Repubblica Sociale Italiana – n.d.r.].
Erano seguiti la fine dell’operazione, il reimpiego dei licenziati, il reintegro nelle Forze Armate di quanti avevano pur giurato fedeltà allo Stato repubblicano, riconoscimenti pensionistici e quanto altro poteva servire per dimostrare che per la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati la guerra civile italiana era solo un ricordo.
Lo stesso Movimento Sociale Italiano era ritenuto, giustamente, forza politica di sostegno esterno ai governi democristiani e, forse, sarebbe riuscito perfino ad ottenere qualche sottosegretariato se lo scarso seguito elettorale suo e dei partiti laici non avesse convinto Aldo Moro a varare la politica di centro-sinistra con la benedizione dell’amministrazione Kennedy ed il contributo decisivo della CIA.
Un partito di estrema destra che rappresentava solo sé stesso non poteva rappresentare la controparte fascista all’antifascismo perché era al servizio, anche segreto, delle sue componenti cattoliche e liberali.
Quale conciliazione si sarebbe mai potuta fare con una forza fascista che non esisteva se non nelle manifestazioni esteriori di un partito che ingannava i suoi elettori autorizzando saluti romani e slogan nostalgici alle sue manifestazioni salvo servire gli interessi del potere antifascista?
Una commedia all’italiana, una tragica commedia che ha raggiunto il suo apice con i grotteschi abbracci fra reduci della RSI e delle forze di liberazione nel 1994 quando il pregiudicato Silvio Berlusconi sdoganò il Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale per farne il proprio alleato politico.
Non passarono due anni che tutti i “fascisti” del MSI-DN, a partire dal loro segretario nazionale, Gianfranco Fini, si volsero in antifascisti condannando esplicitamente il fascismo ritenuto il “male assoluto”.
A quel punto, non si comprende con chi gli antifascisti avrebbero potuto riconciliarsi, se non con i sparuti gruppuscoli di estrema destra che ostentavano di restare fedeli al Movimento Sociale Italiano che mai era stato fascista.
In realtà, l’unica riconciliazione possibile in questo Paese sarebbe quella con la storia che andrebbe raccontata secondo verità.
Ma questo non è possibile perché il potere antifascista si regge sulla menzogna.
E per non smentirsi inventa l’esistenza, ancora nel 2017, di temibili gruppi “fascisti” la cui unica attività è quella di presentarsi ogni anno, almeno a Milano, nella parte del cimitero riservata ai caduti della RSI per offenderne la memoria con il saluto romano.
Per il resto dell’anno brigano con La Russa, Alemanno, Meloni, Salvini con i quali devono salvare l’Italia da migranti, zingari e barboni.
Anche le pulci reclamano un palcoscenico saltellando fra i piedi dei Pulcinella e degli Arlecchino nazionali.
Nessuna riconciliazione nazionale, quindi, è mai stata fatta e mai potrà essere fatta in un Paese in cui solo i morti rimangono coerenti: così per i fascisti, così per i comunisti, così per i “terroristi”.
Per i pochissimi che non rinnegano, non ripudiano, non si dissociano rimane la prospettiva consolante di morire in una solitudine orgogliosa, dimenticati nel tempo presente perché mai vinti.
Ed è quello che alla fine conta.”

Da Riconciliazione, di Vincenzo Vinciguerra.

Giorgio Napolitano l’anti-amerikano

Giorgio-Napolitano-PCI

“Onorevoli colleghi, applicare la Convenzione di Londra ed il Protocollo di Parigi con le deroghe che essi prevedono al nostro ordinamento giuridico, fiscale, doganale, senza che fossero stati approvati dal Parlamento, è stata una grave illegalità.
Ma assurdo è poi che si esegua la Convenzione, anche se non ratificata, nelle disposizioni che interessano e avvantaggiano le forze straniere, e non la si esegua solo nelle disposizioni che in qualche modo difendono gli interessi e garantiscono i diritti del nostro Paese.
Questo è quanto è accaduto, e ne abbiamo avuto conferma dall’onorevole Vedovato, che ha lamentato che la mancata ratifica della Convenzione e del Protocollo abbia causato danni finanziari al nostro Paese, perché ci ha impedito di ottenere certi indennizzi. Dunque, quando si trattava di ottenere indennizzi, ci0é della tutela di un nostro diritto in base alla Convenzione, vi ostava il fatto che la Convenzione non era stata ratificata dal Parlamento; quando si trattava di fare entrare in franchigia delle automobili o delle merci a tutto vantaggio degli Americani, allora non aveva alcuna importanza che la Convenzione non fosse stata discussa e ratificata dal nostro Parlamento.
Ma la illegalità che forse ha maggiormente colpito l’opinione pubblica napoletana è stata quella compiuta dalle forze straniere di stanza a Napoli, in violazione di un nostro diritto, nel caso del complesso di edifici costruito a Bagnoli dalla fondazione del Banco di Napoli. Il Banco di Napoli aveva costruito anni addietro un grosso complesso che doveva servire da asilo per l’infanzia povera e abbandonata di Napoli: 374 mila metri cubi, 400 mila metri quadrati di superficie, 77 mila metri quadrati di piazzali e di viali. Questi sono i dati, e credo che sia veramente il caso di definire imponente un tale complesso di opere, che avrebbe potuto accogliere ed assistere ben 4 mila bambini napoletani e, in un secondo momento, attraverso modeste estensioni, 7 mila bambini.
Subito dopo la guerra questo complesso di edifici fu occupato dagli Alleati, i quali ne fecero un ricovero per profughi dell’I.R.O. Ebbene, quando, a seguito di una lunga campagna di stampa e di opinione pubblica, sembrava finalmente che questi edifici potessero ritornare alla loro naturale destinazione e che la fondazione del Banco di Napoli potesse iniziare la propria opera di assistenza all’infanzia napoletana, ecco che questo complesso di edifici viene dato in affitto al comando delle forze atlantiche del sud Europa a Napoli, violandosi in questo modo le norme del codice civile che, agli articoli 25 e 28, stabilisce che non si possa disporre dei beni di una fondazione per uno scopo diverso da quello cui essi erano stati destinati.
Né questa illegalità, che è stata anche e soprattutto una cattiva azione contro l’infanzia napoletana, contro i bambini poveri di Napoli, può essere cancellata dal fatto che si ricavi un affitto di 300 milioni annui, tanto più che non si è avuta alcuna documentata assicurazione che essi (se pure sono regolarmente pagati) siano stati devoluti all’assistenza dei bambini di Napoli. Invece, da parte governativa, in risposta all’onorevole  Maglietta, è stato confermato che una certa somma è stata, anch’essa illegalmente, attribuita ad un ordine religioso, ai salesiani, per proprie attività di assistenza all’infanzia.
Onorevoli colleghi, abbiamo voluto intrattenervi su queste questioni per richiamare alla vostra attenzione delle gravi realtà che esistono nel nostro Paese, frutto della politica atlantica e di una anticipata, illegale applicazione della Convenzione di Londra e del Protocollo di Parigi. Le situazioni che si sono negli anni scorsi create a Napoli, a Livorno e nel Veneto con l’insediamento di basi e di forze straniere, non trovano più alcuna giustificazione nell’attuale fase dei rapporti internazionali, nella quale non troverebbe ugualmente alcuna giustificazione la, ratifica della Convenzione di Londra e del Protocollo di Parigi.
Con il nostro voto contrario alla ratifica degli strumenti che ci sono stati sottoposti, noi siamo certi di rappresentare i sentimenti e le aspirazioni del popolo di Napoli, di Livorno e del Veneto, che vuol essere liberato dai pesi e dai pericoli della occupazione americana, i sentimenti e le aspirazioni di tutto il popolo italiano che non vuol veder ribaditi e aggravati – da atti come la Convenzione di Londra e il Protocollo di Parigi – gli oneri e i vincoli di una politica di oltranzismo atlantico e di riarmo, nel momento stesso in cui possibilità nuove di distensione e di pace maturano, anche se fra inevitabili contrasti e difficoltà, all’orizzonte internazionale. (Applausi a sinistra – Congratulazioni)
Giorgio Napolitano

Dagli atti della discussione svoltasi il 10 novembre 1955 presso la Camera dei Deputati, pagg. 22050-22051 in merito a S. 679: ratifica ed esecuzione del Protocollo sullo statuto dei Quartieri generali militari internazionali creati in virtù del Trattato Nord Atlantico, firmato a Parigi il 28 agosto 1952 (A.C. 1445); S. 678: ratifica ed esecuzione della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951 (A.C. 1446).

GRAZIE, NAPOLITANO