“Succede quando ci sono di mezzo gli Americani”

Forse non sapremo mai cosa successe quella notte. La morte di Nicola [Calipari – n.d.c.], che conoscevo da appena venti minuti e che si è sacrificato buttandosi addosso a me per salvarmi la vita, resterà uno dei tanti misteri italiani come Ustica e il Cermis. Succede quando ci sono di mezzo gli Americani.
Giuliana Sgrena

(Fonte: Gazzetta di Parma, edizione cartacea del 28 giugno 2018)

Calipari misteri irrisolti

Se non ci fosse stato Regeni, se lo sarebbero dovuto inventare

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“Sono settimane che ci stressano a reti e destre e pseudo sinistre unificate sul povero ragazzo trucidato dagli infami del Cairo. Perorazioni, anatemi, invenzioni fantasmagoriche di dati e fatti, illazioni gonfiate a certezze ontologiche, latrati per chiedere giustizia e che trasudano una protervia razzista da far invidia agli Uebermenschen nazisti o sionisti. Al confronto l’accanimento sugli assassini di Calipari, punito per aver liberato la Sgrena ma, soprattutto, per aver scoperto chi davvero in Iraq rapiva giornalisti scomodi, o quello sui trogloditi che si divertivano sul Cermis a trinciare cavi di funivia e fare stragi, o quello sulle punizioni da infliggere – e sulle oscene grazie napolitanesche e mattarelliane concesse – ai rapitori CIA di Abu Omar, è stata un timido sussurro, un discreto flautus vocis. Vi torna la simmetria? E’ che, una volta, dall’altra parte c’era un Al-Sisi qualsiasi, un parvenu del Terzo Mondo che si permette di pretendere trattamenti alla pari; l’altra volta invece, il padrone. Il quale detta la musica in entrambi i casi.”

Cairo-Roma: come tagliarsi le palle e vivere felici, di Fulvio Grimaldi continua qui.

A che cosa servono le basi americane in Italia

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Dalla rubrica Lettere al Corriere.

Sul giornale Formiche.net , il generale Leonardo Tricarico prende le distanze dall’attacco americano all’ospedale di Medici Senza Frontiere, sostenendo che i termini «NATO» e «USA» siano con troppa disinvoltura usati dai media come sinonimi e aggiungendo, a sostegno delle proprie tesi, che in Italia non vi sarebbero, in punta di diritto, basi USA o NATO, ma solo basi italiane concesse in uso secondo specifici accordi. Persino le regole d’ingaggio NATO sarebbero diverse da quelle americane in termini di sforzi per evitare i tristemente famosi danni collaterali. È così, oppure si tratta soltanto di un tentativo di smarcarsi da un alleato nel cui comportamento ci riconosciamo sempre meno? La risposta credo possa interessare molti lettori, specie ora che c’è la possibilità di una partenza dei nostri Tornado per attaccare l’ISIS.
Francesca Garello

Cara Signora, Le basi americane in Italia rappresentano un duplice problema. In primo luogo sono regolate da accordi largamente superati dalle condizioni e circostanze in cui stanno operando dopo la fine della Guerra fredda. Gli accordi garantiscono la continuità della sovranità italiana, ma dubito che il Dipartimento della Difesa, a Washington, presti a quelle intese una particolare attenzione. Nell’articolo che il generale Tricarico ha scritto per Formiche ho letto: «Quando il Prowler statunitense tranciò nel 1998 la funivia del Cermis causando 20 morti, all’equipaggio fu concesso di avvalersi dello status NATO e dei relativi privilegi, quando invece la loro condizione legale era quella di aviatori statunitensi di passaggio in Italia. In altre parole, il nostro Paese avrebbe potuto rivendicare il diritto di processarli in un nostro tribunale. Quell’equipaggio infatti, pur di potere operare con le regole più semplici che si applicano all’interno della NATO, inserì il proprio volo, con l’inganno, nell’elenco dei voli giornalieri (quelli sì NATO!) del gruppo USAF dislocato permanentemente sulla base di Aviano». L’episodio del Cermis dimostra, insieme ad altri, che gli accordi sono meno importanti del peso dominante degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza. Il secondo problema è quello della funzione che le basi hanno assunto per la politica estera americana. Quando furono create, all’inizio degli anni Cinquanta, vi era per i tutti membri della NATO uno stesso potenziale nemico; e le circostanze potevano giustificare qualche eccezione alla regola. Oggi, a meno che non si vogliano risvegliare le passioni della Guerra fredda, il nemico comune, dopo l’intervento dell’ISIS in Irak e in Siria, non è quello di allora. Ma gli Stati Uniti continuano a usare le loro basi, soprattutto nel Mediterraneo, come se i loro obiettivi fossero necessariamente quelli dell’Alleanza. Lo fecero contro la Libia di Gheddafi negli anni Ottanta, ma vi fu allora il caso in cui il governo Craxi impedì agli americani di usare una base in Sicilia (Sigonella) per impadronirsi di un commando palestinese. Il commando aveva dirottato la nave «Achille Lauro» e Craxi, per liberarla, aveva negoziato con i buoni uffici del leader palestinese Yasser Arafat e si era impegnato a permettere che il commando partisse per la Tunisia. È giunta l’ora di rivedere gli accordi sulle basi. Non credo che l’Italia possa continuare a ospitare sul proprio territorio senza qualche necessario aggiornamento alcune enclave militari americane, strumento di una politica che non è sempre quella del suo governo.
Sergio Romano

Per i soldati americani in Italia un regime d’eccezione che li rende impuniti

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Disastri, stupri e sequestri: gli impuniti a stelle e strisce. Dal MUOS alle violenze nelle basi passando per gli incidenti stradali: perché non pagano mai.

Un militare statunitense incarcerato in Italia su 200 accusati. La statistica arriva dagli stessi Americani, dal giornale Stars & Stripes, Stelle e Strisce, distribuito tra i militari USA: “Negli ultimi cinque anni ci sono state 200 indagini per accuse che vanno dall’aggressione, allo stupro fino all’omicidio colposo, ma solo una persona è stata incarcerata in Italia”, scrive la giornalista Nancy Montgomery in un articolo dal titolo “Le truppe americane sotto accusa in Italia spesso sfuggono la pena”.
Un fenomeno noto da decenni e, però, taciuto: in Italia la giustizia per i militari americani è meno uguale. Quando compiono reati in servizio, ma anche quando si rendono responsabili di reati comuni: incidenti stradali, botte e stupri. E oltre le statistiche emergono storie dolorose. Una in particolare è diventata un simbolo: quella di Jerelle Lamarcus Grey, un ragazzone americano di 22 anni che prestava servizio presso la base a stelle e strisce di Vicenza, la Del Din (ex Dal Molin) nota per le proteste dei vicentini.
È il 9 novembre 2013, al Disco Club Cà di Denis alla periferia della città è in programma una festa: musica reggae, champagne e porchetta. Ci sono giovani del posto e militari americani reduci da missioni di guerra. Magari vogliono sfogare la tensione pazzesca che si portano dentro. Quando una ragazzina sudamericana di 17 anni esce dal locale si trova davanti un soldato che la spinge in un angolo buio. La stupra.
I carabinieri sono convinti di averlo identificato: è Jerelle. L’accusato resta a piede libero – non ci sarebbe pericolo di reiterazione del reato – finché pochi mesi dopo ecco un altro stupro: una prostituta incinta di sei mesi viene aggredita e violentata. E l’indagine porta di nuovo a lui, a Jerelle e a un suo commilitone: Darius Mc Cullough. Sarebbero loro i responsabili. Ma com’è possibile, si chiedono in tanti a Vicenza, che Jerelle sia libero?
La Procura intanto dispone per lui gli arresti domiciliari. Dove? Nella base Del Din, dove pare girasse indisturbato. Ma la storia non è ancora finita: una notte del dicembre scorso, Jerelle riempie il suo letto di stracci, per far credere di dormire. E senza difficoltà scappa. Viene infine arrestato vicino a un residence frequentato da prostitute: ne avrebbe picchiato un’altra, sempre incinta, pretendendo prestazioni sessuali. Jerelle alla fine riesce a finire nelle galere italiane. “Mi risulta che siano i primi, lui e il suo complice”, non nascondono la loro soddisfazione Alessandra Bocchi e Anna Silvia Zanini, avvocati delle presunte vittime.
Oggi Jerelle attende il processo per il primo stupro, mentre per il secondo è stato condannato (sei anni in primo grado, come il suo presunto complice Darius Mc Cullough). E i casi non si contano. Spesso sono reati di violenza. L’ult imo è di pochi giorni fa: un parà di 22 anni accusato di violenza sessuale nei confronti della figliastra di sette anni. Militari, ma non solo. C’è un civile americano, Mark Gelsinger, tra gli otto indagati nell’inchiesta per reati ambientali relativi alla costruzione del MUOS, l’impianto satellitare della Marina USA di Contrada Ulmo a Niscemi (Caltanissetta). Le autorità americane hanno chiesto subito che sia sottoposto alla loro giurisdizione.
I pm italiani indagano, le autorità americane chiedono di sottoporre i loro cittadini alla giurisdizione statunitense. E la risposta finora era quasi sempre scontata: 91 sì su 113 domande in quindici mesi fino al marzo 2014. Perché? Pesava una sudditanza dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti, ma contano anche i tempi della giustizia.
“Nelle more del processo i militari vengono rispediti a casa. E addio”, racconta l’avvocato vicentino Paolo Mele. Alla base di tutto la Convenzione di Londra ratificata nel 1956, quella chiamata “familiarmente” patto di benevolenza. Prevede che per i reati commessi dai militari NATO si tenda a concedere la giurisdizione del Paese d’origine. In pratica un accordo ricamato addosso ai soldati americani.
Per decenni a migliaia si sono sottratti alla nostra giustizia. Con due casi clamorosi: “Il 3 febbraio 1998″, racconta Mele, “due avieri americani – il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer – volando come Top Gun tranciarono i cavi della funivia del Cermis. Venti persone morirono. I due militari furono sottratti alla giustizia italiana e processati in America dove vennero assolti per l’incidente. Furono radiati e condannati a pochi mesi solo perché distruggendo il video del volo avevano ostacolato la giustizia”, conclude Mele.
Poi ecco il caso Abu Omar, l’imam egiziano sequestrato dalla CIA nel centro di Milano e portato nel suo Paese dove fu incarcerato e torturato. Il pm Armando Spataro e la Digos di Milano arrivarono a identificare i responsabili: 23 agenti condannati in Cassazione. Ma tutti si sottraggono alla giustizia italiana. E il responsabile della struttura Jeff Romano ottiene la grazia dal presidente Giorgio Napolitano. Se non ci pensano gli Americani, facciamo noi. Nessuno dei nostri governi ha mai chiesto l’estradizione per le spie condannate.
Violenze, disastri e spionaggio. Ma anche marines in fuga dai loro impegni familiari. Già, perché in Italia ci sono 59 installazioni militari americane. Solo a Vicenza una persona su dieci vive nella base. Nel 1959 ogni mese si celebravano dieci matrimoni misti. Poi qualcosa è cambiato: divorzi, mariti in fuga, irrintracciabili che lasciano le compagne sole e senza un soldo. Un reato, ma nessun militare paga: l’America li tutela a qualunque costo.
“Qualcosa, però, negli ultimi mesi sembra cambiato, non so se per merito dell’Italia o dell’amministrazione Obama”, sostiene Alessandra Bocchi. Conclude: “Noi non ce l’abbiamo con gli Americani, anzi. Ma dobbiamo tutelare le vittime”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando nel luglio 2014 ha twittato: “I due militari americani accusati di stupro saranno processati in Italia”. Jerelle e Darius per il momento sono in carcere. Si capirà presto se è un primo passo.
Ferruccio Sansa

[Fonte: Il Fatto Quotidiano, 11/7/2015 – i collegamenti inseriti sono nostri]

E se l’F-16 fosse caduto sulla terraferma?

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Avremmo dovuto aggiornare questo lungo elenco.
Senza dimenticare che ad Aviano era di stanza il Grumman EA-6B Prowler che il 3 Febbraio 1998 provocò la tragedia del Cermis e gli armamenti nucleari la cui presenza in loco “resta sottratta alla giurisdizione italiana”

Una subordinazione che si paga con il sangue

Italia, il triste destino di essere una colonia

Doveva essere l’esecutivo in grado di rilanciare l’autorevolezza dell’Italia all’estero ma il Governo Monti si conferma ogni giorno di più incapace anche solo di gestire le difficoltà quotidiane. Il caso diplomatico del sequestro dei marò in India e la drammatica uccisione ieri di un ingegnere italiano in Nigeria durante un blitz delle forze speciali inglesi – assalto condotto senza neanche avvisare la Farnesina – dimostrano l’assoluta inadeguatezza della nostra politica estera.
Certo non si tratta di una novità in un paese in cui i rari personaggi politici di spessore come Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi vengono uccisi per la loro politica filo-araba nel Mediterraneo volta a tutelare gli interessi nazionali italiani.
Una nazione che “sacrifica” una ventina di testimoni della vicenda Ustica per coprire le responsabilità dell’Alleanza Atlantica nel tentativo di eliminare Gheddafi nei cieli italiani. Dove avventurieri come Silvio Berlusconi vengono prima costretti a bombardare il loro migliore alleato in Libia e poi a dimettersi per la loro amicizia personale con Vladimir Putin, utilizzando ricatti e speculazioni finanziarie ormai nemmeno nascosti. Forse qualcuno credeva di aver già pagato abbondantemente il conto durante la “guerra fredda” con le stragi che insanguinarono dal 1969 al 1980 l’Italia, sotto la regia di burattini al servizio della CIA e della NATO.
Ma ovviamente non è così; il problema infatti non consisteva nella rivalità ideologica USA-URSS ma nella condizione di sottomissione dell’Italia alle potenze atlantiste, una condizione coloniale che dura dal 1945 fino ad oggi.
Fanno perciò ridere e pena sia le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che parla di “comportamento inspiegabile degli inglesi” sia la “richiesta di chiarimento” avanzata dal Capo del Governo di Roma Mario Monti.
Il comportamento britannico, così come quello statunitense ad esempio nel caso degli sciatori uccisi al Cermis, sono perfettamente spiegabili e riconducibili alla storica sudditanza dell’Italia a Londra e a Washington, una subordinazione che si paga con il sangue.
Non solo la nostra intelligence ma i nostri stessi vertici militari non possiedono infatti nessuna autonomia di fronte ai servizi segreti angloamericani, così come non esercitano alcuna sovranità nei confronti delle oltre 100 basi militari USA/NATO presenti nella penisola italiana.
Prima perciò di “indignarsi” di fronte ai comportamenti dei finti “alleati” (finti perché i loro interessi nazionali e i nostri non coincidono praticamente mai) si rifletta se siamo davvero liberi: senza sovranità, infatti, non c’è nessuna libertà se non quella di morire, come successo al povero Franco Lamolinara in Nigeria.
Steve Brady

Fonte: statopotenza.eu

La tragedia del Cermis non è mai avvenuta

L’aeronautica “cancella” il Cermis dal libro sui cento anni dell’aeroporto di Aviano,     di Dario Furlan

Clamorosa lacuna: in 464 pagine nemmeno una riga per ricordare la tragedia del 1998 in cui morirono 20 persone

La tragedia del Cermis non è mai avvenuta. Almeno per il libro che celebra il secolo di attività dell’aeroporto “Pagliano e Gori” di Aviano in capo all’Aeronautica italiana, ma di fatto utilizzato dalla Base USAF. Già, perché in quel libro commemorativo non c’è traccia di quanto accaduto in quel febbraio del 1998 quando un velivolo militare USA decollò dalla Base di Aviano alla volta del Trentino dove urtò i cavi di una funivia provocando la caduta di una cabina con 20 civili a bordo, morti nell’impatto col suolo.
Il volume (edito dal locale Comando dell’Aeronautica Militare Italiana) è stato presentato in occasione del convegno (a invito) tenutosi lo scorso novembre. Si tratta di un’opera di grande rigore storico dove è narrato quanto accaduto durante il secolo di servizio dell’aerobase, aperta nel 1911. Un tomo di 464 pagine, pesante quasi 3 chili. Sfogliandolo, però, si scopre una lacuna clamorosa: manca la menzione (nemmeno una riga) della strage del Cermis.
Eppure sono citate tutte le operazioni che hanno visto protagonista l’aeroscalo pordenonese: dalla Prima Guerra Mondiale sino al recente intervento sulla Libia di Gheddafi, passando per i bombardamenti nell’ex Jugoslavia. Nel libro vengono citate (e a volte dettagliate) le tragedie dell’aria come la morte del pilota Mark McCarthy (schiantatosi nell’Adriatico con il suo cacciabombardiere F-16 nel 1995), dell’aviere Antoine Holt (Iraq 2004), dei sei elicotteristi precipitati sul Piave (2008) e di un altro paio periti in Kuwait nel 2003, tutti americani.
Nessuna traccia invece delle 20 persone (civili di varie nazionalità) cadute sul Cermis. Era il 3 febbraio del 1998 quando un velivolo EA-6B dei Marines decollò da Aviano alla volta del Trentino per una missione addestrativa, durante la quale l’equipaggio violò le regole di volo (come appurato e concluso dalla Commissione parlamentare d’inchiesta) finendo per tranciare i cavi di una funivia determinando lo sgancio di una cabina (20 persone a bordo) che cadde da un’altezza di 100 metri. Gli occupanti morirono all’impatto, stritolati fra le lamiere, mentre l’aereo rientrò «ferito» alla Base. Una tragedia entrata di diritto (e a caratteri cubitali) nella storia dell’aeroporto «Pagliano e Gori» di Aviano. Ma non sul volume commemorativo che l’ha cancellata.
«Si tratta di un libro – taglia corto l’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni del Pagliano e Gori – di promozione dell’immagine dell’aeroporto». Nulla di più. Ma non è tutto. Il libro di fatto è introvabile. Gran parte delle copie stampate sono state donate ad amici, autorità, addetti ai lavori e militari in occasione del convegno di novembre in Base. La Provincia ha contribuito con 12 mila euro e dovrebbe dotare le biblioteche, ma sino ad ora non c’è traccia. Da una ricerca risulta invece che una copia si trova nella biblioteca civica di Godega di Sant’Urbano regalata, si presuppone, dalle grafiche De Bastiani che hanno stampato il volume pubblicato dalla Dario De Bastiani Editore di Vittorio Veneto.

Una forma di pressione territoriale

Buona lettura, e buon anno nuovo!

La ricostruzione delle vari fasi nelle quali si è sviluppata la presenza militare estera degli Stati Uniti, e delle motivazioni che ne hanno guidato i cambiamenti, permette di tracciare un quadro delle varie funzioni che le basi militari all’estero hanno svolto.
La presenza militare all’estero, a partire dagli avamposti coloniali degli imperi del XIX secolo, non svolge esclusivamente funzioni belliche. Le basi militari all’estero, che spesso trovano nei conflitti il momento di maggiore incremento, svolgono una funzione di supporto alle attività commerciali e produttive e costituiscono un elemento centrale nelle relazioni diplomatiche tra differenti Paesi.
Il loro utilizzo come sostegno ed assistenza alle rotte commerciali costituisce una delle caratteristiche della presenza militare all’estero della Gran Bretagna che gli Stati Uniti hanno fatto proprie. L’attività di sostegno all’espansione economica svolta dalle basi militari all’estero, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è estesa anche alla creazione di un clima favorevole per le imprese statunitensi all’estero, in particolar modo in Europa.
La presenza militare svolge un ruolo centrale anche nelle relazioni politico/diplomatiche che si instaurano con gli altri Stati necessitando di un corredo di relazioni diplomatiche, in molti casi sancite da specifici accordi, tra i due Paesi. Allo stesso tempo, la presenza di installazioni militari contribuisce al rafforzamento delle relazioni; attraverso la presenza militare, il Paese ospitato mantiene il Paese ospitante all’interno della propria area di influenza.
Le relazioni tra Paesi possono assumere differenti spessori. La presenza di forze armate su un altro territorio può, in molti casi, costituire una forma di pressione territoriale in grado di esercitare influenza nelle politiche interne del Paese ospitante. La presenza militare, oltre alle sue dinamiche a scala locale, plasma i Paesi riceventi, influenzandone cultura e società ed alterandone anche il processo di democratizzazione.
Le basi militari possono svolgere un ruolo di controllo territoriale anche sui Paesi nei quali non sono presenti. Il controllo esercitato a distanza, tramite quindi la creazione di basi e lo stanziamento di truppe ad una distanza che permette il rapido dispiegamento in caso di conflitto, esercita una pressione sui Paesi riceventi anche senza un diretto coinvolgimento.
Il controllo a distanza rende quindi maggiormente complesso per i Paesi che lo subiscono, liberarsene, non essendoci legami diplomatici con il Paese che lo esercita.
La presenza militare estera ha assunto quindi una valenza simbolica che scavalca, ed in alcuni casi esula, la possibilità di un diretto impiego in attività belliche. Il valore simbolico della presenza militare estera, nei confronti dei Paesi ospitanti e di coloro che ne subiscono il controllo indiretto, assume un’importanza maggiore all’interno degli attuali equilibri internazionali e delle odierne metodologie di guerra.
[pp. 100, 101]

Per quanto riguarda le infrastrutture, il principale accordo bilaterale tra Italia e Stati Uniti è l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA) del 1954. L’accordo venne preceduto da due accordi in materia di difesa nel 1950 e nel 1952 nonché da uno scambio di note del 1952. L’accordo venne firmato dal ministro degli esteri italiano (Giuseppe Pella) e dall’ambasciatrice statunitense in Italia (Clara Booth Luce), non venne mai sottoposto a ratifica parlamentare. Il fondamento giuridico di tale procedura viene fatto risalire alla “procedura semplificata”, un comportamento consuetudinario che prevede l’entrata in vigore di un atto non appena siglato da un rappresentante dell’esecutivo. Questa procedura, di norma utilizzata per accordi di natura tecnica, non si sarebbe potuta applicare anche all’accordo relativo alle installazioni militari. In virtù degli articoli 80 ed 87 della Costituzione, l’accordo circa le installazioni militari, rientrando tra gli accordi di natura politica e non essendo inquadrabile in fattispecie di natura finanziaria, costituisce un caso per il quale la procedura semplificata non potrebbe essere applicata. Il ricorso alla procedura semplificata nella risoluzione delle problematiche connesse alla installazione militare potrebbe configurare l’incostituzionalità dei procedimenti adottati; l’incostituzionalità degli accordi circa le basi militari statunitensi, anche nei casi in cui è stata sollevata, non ha tuttavia sortito conseguenze giuridiche nella validità degli accordi. La volontà politica di mantenere le relazioni con gli Stati Uniti in linea con quanto previsto nel 1954 e di celare alla popolazione italiana la conoscenza del contenuto degli accordi bilaterali prevarica la stessa costituzionalità dell’atto. La segretezza degli accordi con gli Stati Uniti del 1954 ed i successivi accordi, altrettanto segreti, circa le differenti installazioni si è estesa non solo ai contenuti degli accordi, ma alla loro stessa esistenza.
L’esistenza di un accordo con gli Stati Uniti in tema di basi militari venne infatti resa nota in occasione dei fatti del Cermis, quando l’allora presidente del consiglio D’Alema rese pubblica l’esistenza dei memorandum d’intesa con gli Stati Uniti. La segretezza degli accordi, motivata principalmente nel clima di contrapposizione caratteristico del momento della loro stipulazione, lascia tuttavia interrogativi legati principalmente alla necessità di mantenere ancora segreti i contenuti di un accordo risalente ad un’epoca distante, e alla necessità di secretare non solo le informazioni riguardanti i siti, giustificabili da esigenze di difesa, ma anche l’intero quadro delle relazioni. La norma, oltre che dal segreto militare, è coperta da un vincolo di segretezza bilaterale imposto al momento della stipulazione. Il trattato non può infatti essere reso pubblico autonomamente da nessuno dei due Paesi.
Nel 1959 l’Italia siglò con gli Stati Uniti un accordo che garantiva loro la possibilità di impiantare sul territorio italiano missili Jupiter dotati di una potenza nucleare superiore a quella delle bombe sganciate in Giappone. L’accordo, che generò tensioni con l’Unione Sovietica, non venne mai ratificato in parlamento e la sua sottoscrizione appare potesse essere ignota anche all’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Attraverso questo accordo l’Italia utilizzava la possibilità atomica, esponendo i propri cittadini ad un potenziale attacco da parte sovietica, per rinsaldare le interrelazioni economiche con gli Stati Uniti e manifestare con decisione la propria volontà di aderire al patto atlantico.
Gli accordi stipulati dall’Italia con gli Stati Uniti non hanno subito, nel corso della loro evoluzione, una rinegoziazione, come nel caso degli accordi stipulati da Grecia, Turchia e Spagna, per i quali venne richiesta l’approvazione parlamentare e, conseguentemente, venne reso pubblico il contenuto.
La normativa circa la presenza di installazioni militari statunitensi in Italia è stata incrementata nel 1995 dallo Shell Agreement o “Memorandum d’intesa tra il ministero della difesa della Repubblica italiana ed il dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America, relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia”. Questo accordo, ugualmente entrato in vigore attraverso procedura semplificata ed inizialmente secretato, costituisce principalmente un documento di natura tecnica, attraverso il quale viene indicato lo schema necessario alla formulazione degli accordi relativi alle varie installazioni.
[pp. 124-126]

Le problematiche di sovranità si sviluppano anche riguardo alla presenza e la gestione delle armi nucleari. Gli Stati Uniti hanno, nel corso della loro presenza in Italia, utilizzato molte delle installazioni per finalità connesse agli ordigni nucleari. Depositi e basi abilitate all’utilizzo, sia terrestre che aereo, di ordigni nucleari hanno costituito una parte centrale e conclamata, soprattutto dalla letteratura estera, della presenza militare statunitense in Italia.
La prima presenza nucleare statunitense in Italia, risale agli ’50 quando, nella base di Gioia del Colle vennero ospitati 30 missili Jupiter. La presenza di testate nucleari e di missili Jupiter venne mantenuta segreta da parte delle autorità italiane nello stupore delle forze armate statunitensi “Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l’esistenza degli Jupiter ed il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici”. La presenza nucleare degli Stati Uniti in Italia si amplia negli anni ’80, prima attraverso il processo di installazione di ordigni nucleari a Comiso, installazione che portò alla nascita dei principali movimenti anti-nucleare in Italia, e successivamente con lo stanziamento del 401° Squadrone Tattico ad Aviano.
Attualmente 90 ordigni nucleari dovrebbero essere presenti nelle basi di Aviano e di Ghedi Torre. Gli ordigni presenti in Italia potrebbero essere difficilmente utilizzabili, stando ai giudizi di Hans M. Kristensen, ed il loro valore è soprattutto simbolico. La presenza di ordigni nucleari assume quindi un ruolo di deterrenza, nei confronti dei potenziali avversari, ma costituisce allo stesso tempo un elemento di pressione nei confronti del Paese ospitante.
Il tema della presenza di ordigni nucleari in territorio italiano, oltre alle problematiche connesse circa il loro significato in termini di relazioni internazionali e di accettazione da parte dell’opinione pubblica, suscita problematiche connesse alla legittimità della loro presenza. Stati Uniti ed Italia sono entrambi aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare. Il differente status dei due Paesi, in tema di ordigni nucleari li pone in situazioni differenti. Gli Stati Uniti, in quanto Stato detentore di ordigni nucleari è autorizzato a possederne, disporne la collocazione in altri Paesi, ma non a cederne ad altri Stati. L’Italia non può produrre né ricevere armi nucleari.
La presenza di ordigni nucleari in Italia, ed analogamente negli altri Paesi che non rientrano in quelli autorizzati a detenere armi nucleari ma nei cui territori gli Stati Uniti stanziano testate nucleari, porterebbe una violazione da parte di entrambi i Paesi del trattato di non proliferazione. La presenza di ordigni nucleari è dal punto di vista legislativo risolto con il sistema della “doppia chiave” per il quale gli Stati Uniti sono detentori degli ordigni e ne sono autorizzati all’utilizzo ma questo è permesso solo previo autorizzazione italiana, che di per sé non possiede testate nucleari. L’escamotage utilizzato per ovviare alle problematiche giuridiche, connesse alla presenza di testate nucleari, non incide tuttavia sui suoi effetti. L’aderenza al trattato di non proliferazione dovrebbe ricondurre non solo ad un aspetto legale, ma dovrebbe piuttosto essere rappresentativo di una scelta politica definita. La presenza di testate nucleari, la cui effettiva presenza non è mai stata dichiarata dai vertici istituzionali sia militari che civili, costituisce uno degli aspetti della presenza militare maggiormente osteggiati dall’opinione pubblica.
[pp. 127, 128]

Gli effetti economici della presenza militare su un territorio sono in molti casi sopravvalutati. Le odierne basi militari, in particolar modo all’estero, sono costruite cercando di dare ai propri abitanti la disponibilità di beni e servizi anche di rango elevato. Le loro dotazioni non attengono esclusivamente alle attività per le quali vengono costruite, ma sono sviluppate anche al fine di migliorare la vivibilità da parte dei militari stanziati.
Accanto ad attrezzature belliche, è quindi sempre più frequente trovare anche luoghi di incontro e di divertimento, oltre alla disponibilità di negozi e servizi per l’istruzione; le interrelazioni con l’esterno da parte degli abitanti della base sono quindi notevolmente ridotte. Le basi militari tendono ad essere autosufficienti anche per quanto attiene all’approvvigionamento di beni necessari, spesso derivanti da un processo di distribuzione proprio del dipartimento della difesa.
Il contributo che la presenza di un’installazione militare in termini di incremento di consumi appare quindi essere considerato marginale rispetto alle attività che vengono svolte a favore dei residenti; ne discende che i benefici economici tendono ad essere limitati temporalmente al periodo di costruzione, spesso svolto da società appaltatrici del Paese ospitante, e spazialmente alle poche attività localizzate in prossimità della base.
La presenza di installazioni militari, o di servitù militari, può costituire anche un vincolo allo sviluppo economico di un territorio. Essa impedisce infatti lo sfruttamento delle zone in prossimità della base per finalità commerciali. La presenza di basi militari potrebbe inoltre rendere minore la possibilità di sfruttamento a fini turistici del territorio dove la base è impiantata, poiché potrebbero portare a decise modifiche del paesaggio, nonché alla presenza di fattori di disturbo, come ad esempio l’inquinamento sonoro, che potrebbero costituirne elemento deterrente.
L’ostacolo che la presenza militare potrebbe arrecare alla crescita economica di un territorio ha, nel caso italiano, manifestazione evidente nella Sardegna. La presenza di vincoli nell’utilizzo degli spazi a terra, con le relative implicazioni di natura turistica, e gli effetti sulla pesca e sulle varie attività nautiche di zone di sgombero a mare, che si estendono su una superficie maggiore di quella dell’isola stessa, vengono indicate come cause del mancato sviluppo di intere parti dell’isola, maggiormente evidenti nel caso de La Maddalena.
[pp. 136, 137]

Le attività militari esercitano un’elevata pressione sul territorio nel quale vengono svolte, in particolar modo per quanto attiene all’utilizzo delle risorse naturali. Il loro consumo ed i danni operati all’ambiente emergono evidenti in occasione dei conflitti che, accanto alla perdita di vite umane, mostrano un deciso impatto sulle risorse naturali. L’impatto ambientale delle guerre, delle quali le immagini della prima guerra del Golfo costituiscono la rappresentazione più nota ed evocativa, hanno costituito oggetto di approfondite analisi. Inoltre le attività militari, nelle loro molteplici forme, provocano decise ripercussioni sull’ambiente anche in momenti di non conflittualità.
L’inquinamento dell’atmosfera e l’inquinamento acustico costituiscono le più evidenti manifestazioni delle conseguenze ambientali ma i principali effetti, in particolar modo a lungo termine, risiedono nella presenza di rifiuti tossici, contaminazioni chimiche e derivanti dall’utilizzo di oli e combustibili.
Come evidenziato da uno studio svolto su siti dimessi da parte del dipartimento difesa statunitense, gran parte dei siti manifestava questa problematica ed in molti casi più forme di inquinamento insistevano sullo stesso territorio.
L’utilizzo e la sperimentazione di materiali tossici, nucleari e radioattivi sono sottoposti a regolamentazioni internazionali; il loro utilizzo e la loro sperimentazione continua ad essere tuttavia diffuso e comune a molti Paesi. A partire dalla seconda guerra mondiale, utilizzo in attività belliche e sperimentazioni in fase di non conflittualità di materiali nucleari, tossici e biologici si sono susseguiti senza soluzione di continuità fino all’utilizzo dell’uranio impoverito nei conflitti in Iraq e nei Balcani.
Le conseguenze ambientali e per la salute dei cittadini non è legata esclusivamente all’utilizzo in conflitto. La presenza di alterazioni nello stato di cittadini prossimi a basi militari, in particolar modo poligoni, mostra la presenza di alterazioni ambientali anche a seguito dell’utilizzo delle basi e delle altre installazioni militari in fase di non conflittualità.
Un caso emblematico legato all’utilizzo di sostanze nucleari/chimiche/battereologiche, anche in fase di non conflittualità è rappresentato dalla Sardegna che costituisce, con i suoi 24.000 ettari di demanio militare, un territorio altamente militarizzato. Tra le varie installazioni presenti, una menzione tristemente particolare deve esser riservata al poligono di Quirra.
[pp. 142, 143]

Da Le basi militari degli Stati Uniti in Europa: posizionamento strategico, percorso localizzativo e impatto territoriale, di Daniele Paragano.
[grassetti nostri]

Memento, Italia!

Caro Ministro Frattini, forse Lei non comprenderà mai, ma noi siamo amici dell’Italia. A noi non piace vedere il Suo paese umiliato, costretto a mettere in atto i diktat di una potenza in declino e di un regime criminale, solo perchè nel 1945 avete perso la guerra.
Non crediamo che rientri nella dignità del paese Italia il fatto che le decisioni vengano prese a Villa Taverna invece che a Montecitorio, al Quirinale, a Palazzo Madama, al Colle ed ecc… .
Non è bello vedere che Calipari muore solo perché “non ha ascoltato gli ordini dei padroni” e ha negoziato con i rapitori della Sgrena per poterla liberare.
Non è bello che Vicenza venga svenduta contro la volontà della sua popolazione per allargare una delle 120 basi militari americane sul vostro territorio dove vi sono, dicono i media italiani, 90 bombe atomiche.
Non è bello che le povere famiglie che hanno perso i loro cari durante la tragedia del Cermis siano rimaste senza giustizia.
L’Italia sta ricommettendo un errore storico: negli anni ’30 si mise con la potenza più forte del momento e sappiamo tutti come andò a finire; oggi si mette con la potenza più forte del momento e anche con Israele, ma vogliamo scommettere che finirà anche peggio?

Da Iran/ Italia: “Alla cortese attenzione del Ministro Frattini”.

Le basi americane in Italia, ieri e oggi

aviano

Sergio Romano risponde ad un lettore de Il Corriere della Sera.
Datato ma sempre attuale.

Il testo del Patto Atlantico, firmato a Washington nell’ aprile 1949, non contiene alcun riferimento a basi militari. Il problema sorse più tardi con la creazione di una organizzazione militare integrata (la NATO, North American Treaty Organization) che rendeva necessaria la dislocazione di truppe americane in Europa. Come ha spiegato Natalino Ronzitti in un buon articolo pubblicato dall’ edizione online di Affari Internazionali (la rivista dell’ Istituto Affari Internazionali), la questione fu risolta con un accordo generale, valido per tutti i membri dell’ Alleanza, e con una serie di accordi bilaterali. L’ accordo generale è la Convenzione multilaterale del 1951 sullo statuto delle forze armate NATO stanziate nei Paesi membri dell’ Alleanza. Gli accordi bilaterali fra gli Stati Uniti e l’ Italia sono un trattato del 1954, un Memorandum d’ Intesa concluso nel 1995 e, secondo Ronzitti, «altri accordi che riguardano lo status dei quartieri generali». Mentre la Convenzione fu ratificata dal Parlamento, gli accordi bilaterali non furono presentati alle Camere e divennero validi al momento della firma. Conosciamo il testo di quello del 1995, pubblicato dopo la tragedia del Cermis, ma non conosciamo l’ accordo del 1954 e non sappiamo se le clausole pattuite in piena guerra fredda, fra la morte di Stalin e la rivoluzione ungherese del 1956, rispondano ancora agli interessi italiani di mezzo secolo dopo. Resta poi il problema dei compiti che queste basi avranno in una situazione interamente diversa da quella di allora. Il Patto Atlantico e la NATO furono concepiti per contrastare il blocco sovietico, ma gli americani insistettero, dopo la rivoluzione iraniana del 1978, perché le sue competenze venissero estese «fuori area»: una richiesta che a molti europei sembrò già allora troppo impegnativa e generica. Oggi, gli attacchi alle Torri Gemelle hanno introdotto nella filosofia militare della NATO il concetto di minaccia terroristica, e si potrebbe effettivamente sostenere, come suggerito nella sua lettera, che il terrorismo abbia preso nell’ Alleanza il posto dell’ Unione Sovietica. Con una importante differenza, tuttavia. L’ America pretende di valutare la minaccia, scegliere il nemico e passare all’ uso delle armi senza interpellare la NATO. La guerra irachena non fu una guerra della NATO e l’ organizzazione venne invocata da Washington soltanto quando in Irak le cose cominciarono ad andare male. Allorché decisero di bombardare le milizie delle Corti Islamiche in Somalia (un’ operazione aerea per cui usarono la base di Gibuti) gli americani non interpellarono l’ Alleanza. Che cosa accadrebbe se decidessero di colpire gli Hezbollah usando la base di Vicenza o quella di Aviano? Ronzitti, professore di diritto internazionale alla Università Luiss di Roma, ricorda un caso di qualche anno fa in cui noi divenimmo corresponsabili di una operazione militare americana. Accadde quando aerei americani decollati da Aviano, durante la guerra del Kosovo, colpirono la sede della televisione di Belgrado. La Jugoslavia accusò allora l’ Italia, insieme ad altri Paesi della NATO, di avere violato il diritto internazionale bellico. «Da tenere presente, inoltre», scrive Ronzitti, «che qualora un’ operazione militare parta dal nostro Stato, la neutralità non può essere mantenuta anche in assenza di una partecipazione italiana all’ operazione». Lei chiede, caro Gloria, quale altra organizzazione migliore della NATO possa difenderci dal terrorismo. Il problema andrebbe piuttosto posto in questi termini: siamo sicuri che le basi americane, in queste nuove circostanze, contribuiscano alla sicurezza dell’Italia?

Shell Agreement

A proposito degli accordi che regolano lo status giuridico ed economico delle installazioni USA/NATO presenti in Italia, scrivevamo:
“Il Memorandum d’intesa tra i governi di Italia e Stati Uniti del 2 febbraio 1995, detto Shell Agreement, si articola in cinque articoli e due annessi che si limitano a ribadire la cooperazione militare con gli Stati Uniti. L’accordo, reso pubblico dopo la strage del Cermis del 1998 su richiesta degli inquirenti, rimanda ogni questione specifica ad “accordi tecnici negoziati per ciascuna installazione e/o infrastruttura”, i cosiddetti technical attachments, e quindi cosa ci sia nelle basi e che attività vi si svolgano sono dati che continuano a rimanere segreti. Infine, sebbene il Memorandum disponga che le strutture delle basi siano ufficialmente sotto controllo italiano, che il Comandante USA informi preventivamente le autorità italiane su ogni movimento di armi e personale e qualunque problema o inconveniente si verifichi, il pieno controllo sul personale, l’equipaggiamento e le operazioni permane in capo agli Stati Uniti, senza che vi siano sanzioni per la violazione di queste disposizioni.”

Il testo dello Shell Agreement si trova sul sito de La Repubblica in una versione malamente scannerizzata. Dopo la paziente trascrizione di A. Marsigliante, ve lo proponiamo ora qui.

Do you remember Cermis?

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Il 3 febbraio 1998 alle ore 15.13 un Grumman EA-6B Prowler, aereo militare statunitense del Corpo dei Marines al comando del capitano Richard Ashby, decollato dalla base aerea di Aviano alle 14.36 per un volo di addestramento, dopo una serie di acrobazie in cui si era prodotto – sotto gli occhi di decine di testimoni – sorvolando a bassissima quota la Pianura Padana, tranciò il cavo della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. Le 20 persone all’interno della cabina caddero per 80 metri, schiantandosi al suolo. Il velivolo, nonostante i gravi danni e la perdita di carburante, fu comunque in grado di far ritorno alla base con l’equipaggio incolume.
Nella strage morirono i 19 passeggeri ed il manovratore della funivia, tutti cittadini europei, tra i quali tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un’olandese. Come a dire, gli Stati Uniti contro l’Europa.
A dieci anni di distanza, i due piloti del Prowler hanno attivato una procedura di appello. Richard Ashby e Joseph Schweitzer furono infatti scagionati dalla Corte marziale per l’accusa di omicidio colposo ma vennero però radiati con disonore dalle forze armate per avere interferito con la giustizia. I due avevano nascosto un video che testimoniava le manovre spericolate di quel giorno e lo avevano poi distrutto gettandolo in un falò. Tutto sommato una punizione all’acqua di rose, per Ashby sei mesi di reclusione poi ridotti a quattro per buona condotta, mentre Schweitzer non passò neppure un giorno in carcere.
Andando in appello, i due marines vorrebbero vedere rovesciata la sentenza per non perdere il diritto alla pensione ed altri benefici economici. La richiesta si basa su un presunto vizio delle procedure giuridiche: Ashby sostiene che ai tempi del processo ci fu un accordo segreto tra accusa e difesa per scagionarli dalle accuse più gravi riservando però loro una bacchettata sulle mani, come contentino per le proteste dell’Italia. La loro radiazione con disonore ha comportato la perdita non solo della pensione ma anche di varie altre agevolazioni riservate ai militari di carriera quali mutui a tassi di favore, assicurazione mediche e sulla vita a basso costo, l’accesso a prodotti bancari particolarmente attraenti offerti dalle banche solo ai militari. E sappiamo bene che aria tira oggi, per il cittadino statunitense medio, sotto questi versanti.
Per quanto concerne Schweitzer, il generale Joseph Weber ha deciso che la procedura fu corretta e che non c’è ragione di cambiare il verdetto; per Ashby, invece, la questione è ancora aperta.
William Raney e Chandler Seagraves, gli altri due marines presenti sull’aereo senza però essere ai comandi, al processo furono giudicati non colpevoli anche perché avevano “scarsa visibilità delle manovre”. Nonostante questo, sorprende persino gli esperti di giustizia militare che Seagraves abbia continuato a volare, diventando addirittura pilota d’èlite con i cosiddetti “Angeli Azzurri” ed ottenendo tre medaglie e vari riconoscimenti.
Ma che bravi ragazzi…


N.B.: Giorgio Lunelli, ex giornalista Rai autore della prima diretta radiofonica in loco, in occasione del decennale della strage ha raccontato il seguente episodio al quotidiano “l’Adige”: “Stavo per andare in onda ma un caposervizio di Roma mi aveva ordinato di non dire che la responsabilità era di un aereo americano perché dalla base di Aviano era arrivata un’agenzia che parlava dello scarrucolamento della cabina.
Ma io ero lì a pochi passi ed avevo visto chiaramente che la fune era tranciata. E così cominciai il mio servizio…”.