“Col sangue l’Italia è stata avvertita”


“Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire con la strage che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. Un posto di comparsa, di aiutante. Ci hanno fatto sapere col sangue che il nostro Paese non può pensare di muoversi da solo nel Mediterraneo. Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni. E noi non abbiamo un sistema di sicurezza nazionale capace di opporsi a questi avvertimenti. I nostri servizi di sicurezza sono inefficienti perché così li hanno voluti gli accordi internazionali. Non difendono l’Italia perché non debbono difenderla. Sono funzionali alla nostra condizione di inferiorità. Altro che strage fascista: è accaduto qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che pone il problema della nostra autonomia internazionale”.
Rino Formica è capogruppo dei deputati del PSI, il partito del Presidente del Consiglio. E’ stato commissario nell’indagine parlamentare sulla P2. Sa quello che il Parlamento conosce dell’ attività dei nostri servizi segreti. Sa quello che il governo davvero temeva prima della strage e soprattutto quello che il governo teme oggi. Ragiona sul macello del treno 904 e arriva a una conclusione che gli appare ferrea: “La strage è un avvertimento venuto da fuori ma questo non assolve nessuno. Anzi, evidenzia drammaticamente la debolezza del nostro Stato, la precarietà della nostra democrazia, la pigrizia mentale delle nostre forze politiche. Ci hanno avvertito e facciamo finta di non capire”.
Un momento, onorevole, chi ci ha avvertito?
“Da due anni abbiamo una presenza internazionale più autonoma. Con un atto di guerra ci hanno detto di smetterla”.
E’ solo una mezza risposta la sua. Le chiedo: anche lei parla di pista internazionale. Si riferisce alle minacce di vendetta degli estremisti islamici, a Paesi spesso tirati in ballo per atti di terrorismo come la Libia?
“Per carità, le vendette internazionali si consumano in modo mirato. Se qualcuno vuole che l’ Italia liberi i Libanesi che ha messo in carcere sequestra degli Italiani. Se qualcuno volesse punirci per fatti specifici fa presto a far fuori tecnici o diplomatici italiani. La pista internazionale di cui parlo io non è il folklore sui cattivi nel mondo. E’ purtroppo una cosa più seria”.
E allora ci dica dove porta questa pista.
“Voglio partire da quanto ho visto l’altro giorno in Parlamento, mentre si discuteva della strage: uno spettacolo desolante, un’assemblea stordita. Tutti contenti nel dire fascismo contro antifascismo, rifacciamo l’unità e stiamo a posto. Che pochezza emiliana. E allora io provo a ragionare. Abbiamo avuto due fenomeni terroristici: uno rosso che nasce dalla costola dell’ estremismo marxista e cattolico e che è stato qualcosa di carattere sostanzialmente nazionale, un terrorismo che mirava ai simboli, un terrorismo logico. L’altro crea paura di massa. Ma ci domandiamo cosa vuol dire: significa che non dobbiamo compiere passi azzardati, non dobbiamo andare oltre certi confini. Questo è il senso delle stragi. La strage è una decimazione indiscriminata. Può venire dall’interno se si è in presenza di una guerra civile. Altrimenti appartiene a una logica esterna, anche se può trovare pali, manovalanza e supporti in sede locale”.
Questa, onorevole, è la premessa di un ragionamento. Dove sta la conclusione?
“Ci arrivo, ci arrivo. Ma ancora qualche considerazione: la strage di Natale è così perfettamente copiata su quella dell’Italicus da avere dentro di sé le caratteristiche del depistaggio. Ce la prendiamo col fascista assassino così come abbiamo fatto per le altre stragi. E non a caso non abbiamo mai trovato nessun colpevole. Tranne in un caso: il 17 maggio del 1973 in via Fatebenefratelli Gianfranco Bertoli, ex informatore del SIFAR, lancia una bomba contro il presidente del Consiglio Rumor. Quattro morti, decine di feriti. Sedicente anarchico veniva da un kibbutz israeliano. Se lo sono dimenticato tutti, eppure è l’unico filo, l’ unico nome che abbiamo in materia di stragi”.
E allora?
“Allora vuol dire che non sappiamo o non vogliamo indagare e ragionare sulle stragi. Le voglio ricordare un’altra cosa: il 5 novembre del 1972 Forlani, il cauto Forlani, parlava della Rosa dei venti come del tentativo più pericoloso della destra italiana dal dopoguerra e aggiungeva: un tentativo ancora in corso. Un tentativo con collegamenti internazionali. Da allora Forlani non ne ha parlato più. Di Bertoli nessuno ha parlato più”.
E quale sarebbe la verità che nessuno in fondo vuol conoscere?
“Quella per cui le stragi servono per introdurre avvertimenti a fini interni e quella per cui il nostro Paese è troppo debole per difendersi”.
Torniamo alla domanda originaria. Difendersi da chi?
“Non puoi crescere in democrazia, non puoi accettare sfide mondiali, stare al centro di un’area di guerra come il Mediterraneo e avere dei servizi di sicurezza funzionali, nati e cresciuti per la subalternità internazionale. Non puoi essere fino in fondo autonomo all’interno delle alleanze se i nostri servizi di sicurezza nemmeno hanno la parità dei flussi d’informazione con quelli alleati”.
Insomma, qualcuno ci ha avvertito, dall’estero e col sangue, che stavamo diventando troppo autonomi. E i nostri servizi di sicurezza non sono serviti a nulla. E’ così?
“E’ così e io credo che vada rinegoziata l’integrazione dei sistemi di sicurezza con i servizi analoghi dei Paesi alleati”.
Onorevole Formica, l’avvertimento di cui lei parla, la richiesta che i nostri servizi di sicurezza siano messi su un piano di parità con quelli alleati, vogliono dire che quella bomba sul treno è stata messa per iniziativa di qualche servizio segreto straniero. Qualcosa che i nostri avrebbero potuto sapere e non hanno saputo.
“E’ plausibile che sia andata così”.
E quale servizio è plausibile che sia l’ organizzatore dell’ avvertimento?
“Forse l’ uno, forse l’ altro. A certi livelli si scambiano favori. Io questo non lo so ma so che i nostri non funzionano”.
Già, se non sanno quello che fa il KGB o la CIA o altri che ci stanno a fare?
“Le racconterò tra un attimo dei servizi. Ma prima voglio spiegare meglio perché ci mandano questi avvertimenti. A metà e alla fine degli anni Settanta ci dissero che non potevamo procedere speditamente ad un’evoluzione democratica perché questo metteva in circolo forze politiche di cui era discutibile la fedeltà internazionale”.
Si riferisce a quello che fu il tentativo di Moro?
“Anche. Quello che di Moro all’estero non potevano accettare era la sua disponibilità a stare con i comunisti. Potevano accettare dei comunisti al governo, come poi accadrà in Francia. Non potevano accettare una sorta di democrazia popolare in Occidente”.
E anche la morte di Moro fu un avvertimento?
“Questo non posso dirlo. Non posso stabilire rapporti di causa ed effetto. Posso dire che quel tentativo in parte ambiguo di autonomia nazionale fu osteggiato. Oggi però il problema è diverso”.
Oggi per che cosa ci hanno avvertiti?
“Perché stavamo diventando un Paese che cominciava a dire la sua. In campo economico, sullo scacchiere del Mediterraneo. Perché stavamo diventando nazione all’interno delle alleanze. E invece ci ricordano che al massimo possiamo mandare qualche corvetta da qualche parte. Oggi non è problema di questa o quella forza politica al governo. Chiunque comandi in Italia deve ricordarsi di stare al suo posto”.
E deve smettere di far girare ministri degli Esteri e presidenti del Consiglio nel Mediterraneo?
“Deve ricordarsi delle nostre dipendenze internazionali. Questo è l’avvertimento. In quest’area un’Italia protagonista dà fastidio sia ad Est che ad Ovest”.
Dicevamo dei nostri servizi segreti…
“Il giorno 20 dicembre viene Scalfaro in Parlamento. Dice: l’ Italia è un Paese senza frontiere, entra ed esce chi vuole, il libanese ammazzato a Roma non sappiamo come si chiama, come è venuto. Promette: metterò ordine negli stranieri all’Università di Perugia. Gli dico: bravo, ma ricordati che perfino i finti studenti di Perugia sono stati contrattati internazionalmente. Voglio dire che nei nostri servizi la devianza è certamente rilevante ma peggio è la loro inefficienza. Inefficienza voluta al loro atto di nascita sancita negli accordi. E nel buco nero dell’inefficienza nasce la devianza: Non potendo, non dovendo difendere il Paese, s’industriano a spiare i politici, a stendere dossier”.
Che vuol dire inefficienza?
“Vuol dire che quando gli Americani hanno deciso tempo fa di sospendere il flusso delle informazioni in loro possesso, siamo rimasti ad aspettare che cambiassero idea. Vuol dire che i sistemi di reclutamento sono incredibili. Poiché i servizi sono segreti, una delle garanzie di riservatezza è che ognuno tira dentro un parente. Vuol dire che riciclano le informazioni delle Questure. Vuol dire, un esempio: dieci anni fa segnalano Freda in Grecia. Si discute come andarlo a prendere. Si decide: lo rapiamo. Si appalta l’ operazione al camorrista Zaza in cambio di denaro e impunità. Zaza subappalta il rapimento. Il rapimento fallisce. Freda resta libero. Zaza vola via con i soldi. Ecco i nostri servizi”.
Ma non sono gli stessi servizi che avevano detto a Craxi che “signori con la valigia giravano per l’ Italia”?
“Ma quelle sono soffiate che arrivano a centinaia. Col senno di poi ci si ripensa. Ma se volessimo ascoltarle i treni bisognerebbe fermarli tutti ogni giorno. Quando ero ministro dei Trasporti il direttore generale mi diceva: fermiamo solo quando la telefonata arriva ai Carabinieri perché i Carabinieri si presentano in stazione, altrimenti potremmo chiudere tutte le linee per sempre”.
Craxi, perché non è andato a Bologna?
“Sbaglia chi critica la sua assenza. Non ha potuto, ma sarebbe stata una risposta vecchia. Altre sono le risposte: non smettere una politica di pace nel Mediterraneo…”.
Ignorare l’avvertimento?
“Possiamo fare solo due cose: o rientrare nei ranghi o dotare il Paese di sistemi di difesa e di sicurezza adeguati alle nostri ambizioni. Ci sarebbe una terza cosa da fare: diventare una democrazia compiuta, ma altri ci hanno messo secoli, noi ci proviamo da appena due generazioni. E purtroppo, nel dopoguerra si è scelta una democrazia del compromesso, una democrazia lenta”.
Onorevole, che vuol dire non smettere una politica di pace nel Mediterraneo?
“Vuol dire che una volta si sta con Israele e una volta no”.
E che vuol dire capire l’avvertimento senza subirlo?
“Vuol dire sofferenza per tutti i partiti. Perché significa imparare a discriminare il bene e il male sullo schieramento internazionale senza garanzie e certezze. Vuol dire diventare nazione. L’unità antifascista, purtroppo, non basta più né per capire né per fermare le stragi. E’ questo il dramma della pista internazionale, quella vera”.

Intervista di Mino Fuccillo, 29 dicembre 1984

“Lei la pagherà cara”


Col sottotitolo Cabina di regia USA, Vaticano e apparati di Stato dietro l’affare Moro, “Lei la pagherà cara” (Edizioni Pendragon, Bologna, 380 pagine) è il secondo volume che noi di Faremondo dedichiamo ad uno dei tornanti decisivi della storia contemporanea del nostro Paese: in precedenza (2014), ci eravamo già occupati di questi ed altri aspetti dirimenti dell’operazione Moro attraverso lo scritto di un nostro collaboratore tanto prezioso quanto schivo ad apparire: Aurelio Macedonio Aldrovandi, il cui studio (353 pagine) venne allora pubblicato a nostra cura col titolo Friendly fire. Il sequestro Moro come false flag operation orchestrata dagli USA.
Nel 2019, appena doppiato il quarantennale dell’agguato militare di via Fani, ulteriori infauste vicende (in primis la parabola e gli esiti nefandi dell’ultima “commissione d’inchiesta” parlamentare), diverse importanti acquisizioni documentali e nuove ricerche di rilievo uscite nel frattempo, ci hanno spinto a rivolgere nuovamente lo sguardo verso questa cospicua e crucialissima parte del nostro presente su cui i mainstream media continuano a stendere pesanti inganni, false bandiere e plurimi veli di silenzio…
Non a caso la nostra disgraziatissima penisola era e rimane per i dominanti un laboratorio di manipolazione politica di prima grandezza a livello planetario. Per questo, nello scorrere dei decenni, dentro questo tipo specifico di presente l’affare Moro si conferma sempre più nitidamente quale vero pivot ineludibile e “punto più alto” di tutte le strategie psicologiche, politiche e criminali messe in campo a danno delle italiche genti dall’intero establishment (occidentale), con tutto il suo nutrito stuolo di perpetratori, la gerarchia dei suoi agenti, le schiere dei fiancheggiatori e degli esecutori ai vari livelli: un affare oggi più attuale e più significativo che mai, a riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, della longeva continuità dei disegni di potere dei dominanti di allora e di oggi, uniti in profondo dal loro “essere” funzionari del capitale.
Ad inizio 2020, proprio mentre stavamo mettendo in programma una serie di presentazioni del libro in diverse città, una rinnovata cabina di regia degli stessi dominanti ha preso a muovere i suoi innumerevoli asset subordinati sparsi per il mondo, inscenando le prime stanze della cosiddetta pandemia e promuovendo la prima incarcerazione domiciliare su scala globale che la storia della specie ricordi.
Saltate o congelate sine die le presentazioni del volume, ci siamo impegnati per mesi nell’analisi dei fatti e nella decifrazione degli eventi di quello che, mano a mano che si srotolano i papiri dell’agenda dei dominanti, si rivela essere, dopo e oltre l’11 settembre 2001, un inedito azzardo di portata planetaria volto alla risistemazione globale del mondo secondo i desiderata dei funzionari del capitale.
In una temperie di specie come questa, ci siamo detti, un nostro rinnovato e ancor meglio consapevole ritorno di attenzione sul “caso Moro” non potrebbe mai essere vissuto come un’operazione di depistaggio intellettuale. Τutto il contrario, semmai, se è vero come è vero, in profondità, che il pulviscolo di senso fatto alzare durante il sequestro dell’esponente democristiano (ma già in aria all’epoca dell’assassinio di J.F. Kennedy), è, pur nella differenza di scala fra gli eventi, fatto esso stesso della medesima grana di quello fatto spargere su Manhattan la mattina dell’11 settembre, che a sua volta è il diretto antecedente storico di quello attuale seminato in aria col nome di “nuovo coronavirus”.
Qui di seguito ci permettiamo quindi di proporre per la prima volta all’attenzione dei frequentatori del nostro sito-rivista una breve traccia che dia almeno una sommaria idea dei contenuti del volume, che può essere ordinato tanto sul sito dell’editore quanto sui portali di vendita dedicati.
«Lei la pagherà cara»: questo è il succo del sinistro avvertimento di Kissinger a Moro durante una sua visita negli Stati Uniti del 1974, quando era ministro degli esteri: la politica di avvicinamento al PCI e il recupero parziale di indipendenza da parte dell’Italia, pur sotto l’ombrello NATO e occidentale, son cose che non s’han da fare…
La macchina del “lucido superpotere” (Pecorelli) che porterà al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro è già in pista da tempo. Le sue componenti “operative” rispondono ed una mente, a registi made in USA che hanno a loro completa disposizione i grandi mezzi degli arcana imperii (la rete della loro Intelligence Community, CIA in testa), l’obbedienza cieca dei loro funzionari in loco (i servizi segreti italiani) e la manovalanza fabbricata ad arte (i brigatisti).
Se a questo si aggiungono la fedeltà atlantica di tutti gli apparati dello Stato e la subalternità collaborante dei principali partiti politici (DC, PCI, PSI), vediamo come nulla sia stato lasciato al caso nell’affare che più di tutte le altre stragi ha impresso il suo marchio funesto sulla storia del nostro Paese…
Dalla potenza sterminatrice del commando di professionisti in azione in via Fani – che non fu composto da brigatisti, relegati a comparse dell’agguato – all’esfiltrazione da manuale del sequestrato da via Casale de Bustis, con ogni probabilità via elicottero; dalla permanenza del prigioniero in due location in riva al mare, superprotette e off limit per gli investigatori (Palo Laziale e Fregene), all’epilogo macabro della sua lenta esecuzione maturata nel perimetro di palazzi nobiliari ad alta intensità di intelligence (palazzo Antici-Mattei e palazzo Caetani), da dove la famosa R4 rossa col cadavere di Moro percorse appena 50 metri prima di essere abbandonata in via Caetani…

Fonte

“Una strategia fallita ma che ha lasciato un effetto duraturo”

L’intervento del dott. Guido Salvini, magistrato presso il Tribunale di Milano, presentato al convegno “La rete eversiva di estrema destra in Italia e in Europa (1964-1980)”, svoltosi a Padova l’11 novembre 2016.

“Il quinquennio 1969-1974 rappresenta il periodo cruciale e più sanguinoso, l’apice di quella che è stata chiamata la strategia della tensione: in Italia si verificano ben cinque stragi, un’altra mezza dozzina di stragi almeno, soprattutto su linee ferroviarie, falliscono per motivi tecnici perché l’ordigno non esplode o il convoglio riesce a superare il tratto di binario divelto, vi è il tentativo di colpo di Stato del principe Valerio Borghese seguito da altri progetti che durano fino al 1974, vi è infine un attentato in danno dei Carabinieri quello di Peteano, con tre vittime, del maggio ‘72 caratterizzato, come vedremo, da una propria specificità.
Già l’anno 1969 in Italia anno è denso di avvenimenti politici.
In quel momento il governo è un debole monocolore guidato dall’on. Rumor che si muove in una situazione incandescente per il rinnovo dei più importanti contratti e la mobilitazione quindi di centinaia di migliaia di operai; inizia la protesta studentesca nei licei e nelle università con un anno di ritardo rispetto al 1968 francese. Sono poi in discussione in quella fase politica riforme decisive sul piano strutturale e culturale come lo Statuto dei Lavoratori, l’approvazione del sistema delle Regioni, la legge sul divorzio.
Nixon è presidente gli Stati Uniti e sono gli anni della dottrina Kissinger, quella secondo cui i governi italiani e i partiti politici di centro dovevano respingere ogni ipotesi di accordo e di compromesso con il PCI e le forze di sinistra, scelta facilitata in passato, come ha ricordato anche Aldo Moro nel suo memoriale scritto dalla prigionia, da continui flussi di finanziamenti distribuiti nascostamente dall’amministrazione americana a partiti e organizzazioni di centrodestra talvolta tramite il SID del gen. Miceli. Il 27 febbraio 1969 il presidente della Repubblica americano fa una visita in Italia ed incontra al Quirinale il presidente Saragat. Vi è stata da poco la scissione del PSI e attorno al PSDI, cui Saragat appartiene, si radunano le correnti più determinate in senso filo-atlantico e più contrarie al mantenimento dell’esperienza di centro-sinistra.
Secondo un dossier contenuto negli archivi di Washington e desecretato il Presidente italiano concorda con quello americano sul “pericolo comunista” e afferma che agli occhi degli italiani il PCI si fa passare per un partito rispettabile ma è dedito agli interessi del Cremlino.
Il giorno della visita del presidente Nixon a Roma la città è blindata e scoppiano gravissimi incidenti tra la polizia ed extraparlamentari di sinistra cui seguono nell’Università scontri tra questi ultimi e militanti dell’estrema destra: vi è la prima vittima di quell’anno Domenico Congedo, uno studente anarchico, Congedo che durante un attacco dei fascisti alla facoltà di Magistero precipita da una finestra.
Del resto a livello internazionale la situazione è critica per il blocco occidentale in quanto molti Paesi afro-asiatici sotto la spinta della decolonizzazione entrano nell’orbita dei Paesi socialisti e alcuni passaggi di campo vengono impediti solo attraverso guerre civili o colpi di Stato molto sanguinosi da quello in Indonesia nel 1965 a quello in Cile nel 1973.
Non sembra un caso che la stagione delle stragi si collochi all’interno di questo quadro internazionale e coincida quasi perfettamente con la durata della presidenza Nixon e declini nel 1974 dopo la crisi del Watergate e lo sfaldarsi dei regimi dittatoriali in Europa, la Grecia, la Spagna, il Portogallo con il conseguente venir meno dell’ipotesi di un colpo di Stato anche in Italia che s’ispiri a quelle esperienze.”

Gli anni 1969-1974 in Italia: stragi, golpismo, risposta giudiziaria continua qui.

I panni sporchi della sinistra

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La cosiddetta superiorità morale della sinistra non esiste più?
Sulla base delle inchieste giornalistiche condotte in questi anni e del quadro organico che abbiamo assemblato ci siamo persuasi che, nei fatti, questa diversità non esiste più.

La struttura del vostro libro sembra suggerire che il padre di questa mutazione della sinistra sia Giorgio Napolitano. È così?
Napolitano è un garante dei poteri forti. È il comunista borghese collaterale al PSI di Craxi e favorevole, già negli anni Ottanta, ai rapporti con Berlusconi. Trovo significativa una sua frase, pronunciata quando si insediò al ministro degli Interni nel primo governo di centrosinistra della Seconda Repubblica, nel 1996. “Non sono venuto qui per aprire gli armadi del Viminale”, disse Napolitano facendo intendere di non voler indagare sui tanti segreti italiani irrisolti. Una dichiarazione che è tutta un programma.

Nel libro viene citata tra l’altro una fonte anonima che sostiene l’appartenenza di Napolitano alla massoneria…
L’appartenenza di Napolitano alla massoneria non è provata. E’ l’opinione della nostra fonte, noto avvocato figlio di un esponente del PCI, il quale riconduce le famiglie Amendola e Napolitano, interpreti della corrente di pensiero partenopea “comunista e liberale”, alla massoneria atlantica. Anche l’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ipotizza per il presidente della Repubblica l’affiliazione ad ambienti massonici atlantici. Ma siamo nell’ambito delle opinioni. E’ invece emerso da un documento datato 1974, l’Executive Intelligence Review, che Giorgio Amendola, il mentore di Napolitano, era legato alla CIA. Napolitano fu il primo dirigente comunista ad essere invitato negli Stati Uniti. Andò in visita negli USA al posto di Berlinguer, a tenere confererenze nelle università più prestigiose: proprio nei giorni del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Un episodio che chiarisce quanto Napolitano fosse, sino da allora, il più affidabile per i poteri atlantici e che spiega almeno in parte la sua ascesa.

Insomma, Napolitano grimaldello degli USA per portare il PCI a posizioni più allineate al potere atlantico?
Napolitano ha saputo muoversi perfettamente. A livello pubblico e ufficiale è sempre stato fedele al partito, sostenendo la causa di Togliatti persino nella difesa dell’invasione sovietica di Budapest nel 1956, poi come “ministro degli Esteri” del PCI. In maniera sommersa ha coltivato relazioni dall’altra parte della barricata, accreditandosi a più livelli di potere, italiani e internazionali.”

Da un’intervista di Lorenzo Lamperti a Stefano Santachiara, autore insieme a Ferruccio Pinotti del libro I panni sporchi della sinistra. I segreti di Napolitano e gli affari del PD, edito da Chiarelettere.

Ferruccio Pinotti è autore di molti libri-inchiesta che hanno smascherato le trame e gli interessi dei poteri forti. Lavora al “Corriere della Sera” e ha scritto per “MicroMega”, “l’Espresso”, “Il Sole 24 Ore”, “la Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano”.
Stefano Santachiara, giornalista d’inchiesta, dal 2009 è corrispondente de “il Fatto Quotidiano”, dalle cui colonne ha svelato il primo caso accertato di rapporti tra ’ndrangheta e PD al Nord, nel comune appenninico di Serramazzoni, in provincia di Modena.

Il rispetto della CIA per Napolitano e D’Alema

“Pentapartito addio”, disse la CIA di Ennio Caretto.

[Aggiornamento del 26/4/2013: l’articolo adesso è leggibile qui]

L’Iniziativa di Sicurezza della Proliferazione (PSI) ed il controllo degli oceani

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Il controllo degli oceani del mondo. Preludio alla guerra?
L’Iniziativa di Sicurezza della Proliferazione (PSI) e la flotta USA da 1.000 navi

di Rick Rozoff, Global Research, 30 gennaio 2009

Fra i più monumentali ed ampi sforzi, benché frequentemente ignorati, da parte dell’ex amministrazione Bush di pianificare il dominio militare su scala planetaria e così facendo inoltre alterare le relazioni internazionali, c’è quello che il suo iniziatore, John Bolton, nel suo ruolo di Sottosegretario di Stato per il Controllo degli Armamenti e la Sicurezza Internazionale, all’epoca chiamò l’Iniziativa di Sicurezza della Proliferazione (PSI – Proliferation Security Iniziative).
Avviata ufficialmente il 31 maggio 2003, la PSI era la più ampia applicazione della proiezione internazionale di potere da parte degli USA nell’epoca post-Guerra Fredda, implicando niente meno che la capacità di esercitare controllo navale, interdizione ed eventualmente azione militare autonoma in tutti gli oceani del mondo.
Seguendo e rinforzando l’operazione Enduring Freedom e le sue sei aree di responsabilità dall’Asia meridionale al Corno d’Africa e dall’Oceano Indiano al Mar dei Caraibi, e il preludio e prototipo della NATO all’Iniziativa di Sicurezza della Proliferazione, la cosiddetta Operazione Active Endeavour che ha posto per oltre 7 anni tutto il mar Mediterraneo sotto il suo controllo, la PSI è un’operazione militare concepita ed implementata unilateralmente da Washington senza aver consultato le nazioni ed i popoli delle aree interessate. E come l’operazione Enduring Freedom e l’operazione Active Endeavour (nella seconda categoria che segue) la sua autoproclamata missione è illimitata come area d’azione e durata nel tempo.
La PSI venne annunciata con l’obiettivo asserito di, secondo il sempre compiacente New York Times, “interdire i materiali nucleari ed il contrabbando”. Un’immunità abbastanza ampia da includere la maggior parte delle operazioni navali ovunque e per ogni attuale proposito Washington voglia ampliarla.
Qualcosa che, nondimeno, senza esitazioni affiancasse la ricerca manipolata di armi di distruzione di massa da parte di Washington con il “terrorismo globale”, come si vedrà più avanti. E semplicemente estendere la presenza navale USA ed alleata e la capacità di fare guerra su rotte marine geostrategicamente vitali ed agognate, regioni costiere, canali di transito energetici e militari ed in qualsiasi mare in qualsiasi momento, così facendo incontrare le attuali esigenze politiche e strategiche. Continua a leggere