Giorgia Meloni è fascista?

Giorgia Meloni è fascista? Se perderemo le nostre libertà, non sarà per il fascismo: sarà per un altro fenomeno politico-culturale di cui nessuno si accorgerà perché tutti saranno impegnati a cercare il fascismo, a osservare il fascismo, a discutere il fascismo, a controllare che il fascismo non si ricostituisca. Questo accade perché la teoria sociologica non è penetrata nel dibattito pubblico in Italia e, pertanto, il pubblico italiano è privo delle categorie concettuali per decifrare le nuove forme di liberticidio che caratterizzano la società complessa nell’epoca del ritorno delle guerre. Aldo Cazzullo, Massimo Gramellini, Paolo Mieli e moltissimi altri, continuano a interpretare il mondo sulla base di libri, concetti, poesie e frasi fatte che risalgono agli anni Cinquanta. L’Italia non ha bisogno di nuovi giornalisti o nuovi conduttori televisivi. Ha bisogno della teoria sociologica. Il fascismo ha conquistato prima la società civile e poi le istituzioni politiche. La Prima Guerra Mondiale è stata fondamentale nella formazione dello spirito fascista poi divenuto movimento organizzato. È impossibile comprendere il fascismo senza avere prima compreso come la guerra e la vita di trincea abbiano cambiato gli Italiani attraverso la normalizzazione della violenza e dell’intolleranza. Allo stesso modo, la guerra in Ucraina e la guerra in Palestina stanno formando una nuova etica liberticida in Italia che ha conquistato il Foglio, il Corriere della Sera, la Repubblica, la Stampa, Zapping Radio Rai, il Giornale, Libero e tanti altri. La guerra, ancora una volta, forgia in Italia una nuova etica dell’intolleranza che ritrae il pensiero critico come il “nemico interno” dell’Italia. Un tempo erano i “socialisti”, oggi sono i “putiniani”. Se l’Italia perderà tutte le proprie libertà (molte le ha già perse), non le perderà dall’alto verso il basso, procedendo dal governo Meloni verso la società civile. Le perderà prevalentemente dal basso verso l’alto, procedendo dalla società civile verso il governo nazionale, con il contributo fondamentale dei quotidiani e delle trasmissioni radiofoniche che cercano il fascismo fuori di sé anziché dentro di sé. Nessuno vedrà il fascismo arrivare da lontano perché il fascismo è molto vicino. Nelle condizioni del tempo presente, non si tratta di avvistare; si tratta di vedere.
Alessandro Orsini
@orsiniufficiale

Lottate contro Mario Draghi

Mario Draghi, intervenendo alla conferenza europea sui diritti sociali a Bruxelles, ha detto che intende rilanciare la competitività dell’Unione Europea. Certo, alimentando una guerra con la Russia in Ucraina che ha mandato la Germania in recessione. Qualcuno può spiegarmi perché l’Italia si è rimbecillita al punto da proporre Mario Draghi come prossimo presidente della Commissione Europea? Mario Draghi, nel caso in cui non fosse chiaro, si è autocandidato alla presidenza della Commissione Europea con il suo discorso delirante, interpretato come un’autocandidatura persino dalla stampa pro-Draghi. Io non so più come dirlo: Mario Draghi è un grandissimo pericolo per la Repubblica Italiana e per il futuro dei nostri figli. Mario Draghi non ha nessuna autonomia; è un politico completamente telecomandato. È un uomo senza nessun contatto con le persone comuni che non pranzino a ostriche e caviale. È un uomo che ha contatti soltanto con la Casa Bianca. È un uomo che ignora completamente le aspirazioni e i bisogni degli Italiani, come dimostrano le sue politiche in Ucraina ai tempi in cui era presidente del Consiglio. Mario Draghi, posto in qualunque posizione di potere, implica un futuro profondamente schifoso per i nostri figli. Mario Draghi significa: 1) asservimento alla Casa Bianca e moltiplicazione delle guerre, come dimostrano le sue politiche verso l’Ucraina; 2) violazione sistematica del diritto internazionale, come dimostra il suo sostegno a Israele; 3) disprezzo dell’articolo 11 della nostra Costituzione, come dimostra il suo invio di armi in Ucraina per alimentare la guerra dall’esterno anziché spegnerla con la diplomazia come prescrive la nostra Costituzione; 4) disprezzo verso la cultura pacifista a fondamento della Costituzione Italiana; 5) insulti violenti contro il movimento pacifista, che è la struttura portante della società civile italiana, come dimostra la sua frase secondo cui l’Italia sarebbe piena di “pupazzi prezzolati” dal Cremlino quando, in realtà, l’Italia è piena di pupazzi prezzolati dalla Casa Bianca. Mario Draghi è semplicemente un leader politico vergognoso che ricopre l’Italia di vergogna senza uno straccio di voto nel nostro Paese. Ecco perché i suoi incarichi non passano mai attraverso libere elezioni. Draghi non viene mai eletto, viene sempre cooptato perché le persone comuni lo stimano come si può stimare una persona disprezzata. Lottate contro Mario Draghi, uomo di guerra, nemico dei nostri figli, nemico della Costituzione Italiana. Avanzi l’Italia, avanzi la pace, risorga il movimento pacifista.
Alessandro Orsini

4 aprile 1949 – 4 aprile 2024

L’Europa è parte di un grande continente, l’Eurasia, all’interno del quale i popoli hanno bisogno di vivere in concordia, nel rispetto reciproco delle proprie identità. Ma per ottenere questo, l’Europa deve essere libera di decidere autonomamente del proprio destino. Come? Tutti i popoli europei devono diventare consapevoli del fatto che per vivere in un’Europa forte sovrana e indipendente è necessario avere la capacità di difendersi da soli con proprie Forze Armate efficienti, moderne, autonome e integrate. Nonostante l’attuale crisi economica, la UE, con il suo mezzo miliardo di persone, contribuisce a produrre un quarto del prodotto interno lordo mondiale, un’enorme ricchezza che ne conferma la potenza economica e industriale. Le manca l’autorevolezza di una capacità difensiva autonoma, ottenibile soltanto uscendo dalla NATO a guida anglo-americana.
Fabio Filomeni

(Tenente colonnello in riserva dell’esercito italiano, Fabio Filomeni,ha partecipato dagli inizi degli anni ’90 a numerose missioni in Africa, Balcani e Vicino Oriente. Successivamente è transitato al Reparto Addestramento Forze Speciali dove ha svolto l’incarico di istruttore; negli ultimi anni di carriera ha ricoperto l’incarico di responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro in Patria e all’estero.
Il 21 novembre 2023 ha rispedito all’Ambasciata degli Stati Uniti la decorazione assegnatagli per meriti di servizio riconosciuti durante l’operazione effettuata in Bosnia Erzegovina sotto egida NATO)
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Essendo militarmente occupata dagli USA e quindi costretta a svolgere il ruolo di portaerei statunitense nel Mare Mediterraneo, l’Italia oggi non è libera di adempiere a quella funzione naturale che la sua stessa posizione geografica le assegna, in direzione del Nordafrica e dell’area balcanico-danubiana. Perciò solo la disarticolazione del sistema occidentale e il conseguente passaggio del mondo ad un assetto multipolare potranno consentire all’Italia, integrata in un’Europa unita e sovrana, di valorizzare il proprio potenziale geopolitico.
Claudio Mutti

4 Aprile 2024: 75 anni sono già abbastanza

Per informazioni e contatti sulla giornata di mobilitazione scrivere a danteali_2021@libero.it.

Ulteriori notizie relative alle iniziative nei diversi territori saranno pubblicate nella pagina dei commenti.

75 anni di NATO sono abbastanza!

Dichiariamo il 4 aprile Giornata contro la NATO e la guerra.

Incontro di coordinamento: domenica 24 marzo 2024, dalle ore 14:30 alle 16:30.

In vista del 75° anniversario della fondazione della NATO invitiamo movimenti, organismi e reti ad un incontro per ragionare sulle possibilità di organizzare in tutti i territori che riusciamo a raggiungere manifestazioni nelle modalità e forme definite nei territori stessi.
L’obiettivo è dare un forte segnale, dalla Lombardia alla Sicilia: vi invitiamo a partecipare all’incontro on line che si svolgerà il 24 marzo dalle ore 14:30 alle 16:30 al collegamento https://meet.jit.si/NoNato2024.

Se siete interessati, ma non potete partecipare, scrivete a danteali_2021@libero.it lasciando un vostro recapito. Sarà preparato un breve resoconto dell’incontro per aggiornarvi e tenerci in contatto.

L’Arte è politica

Tatiana Santi, insieme ad Andrea Lucidi, Stefano Orsi, Vincenzo Lorusso e Clara Statello, intervista Ciro Cerullo, in arte Jorit.

L’accordo bilaterale Italia-Ucraina

L’accordo bilaterale firmato da Lady Aspen Giorgia Meloni con l’Ucraina è umiliante ed agghiacciante. Esso è già in vigore e dura 10 anni, comodamente rinnovabili.
Il trattato, scritto non in italiano né in ucraino ma solo in inglese-americano, lascia intendere chi lo abbia realmente dettato:

1. L’Italia si impegna a rifornire l’Ucraina di mezzi militari moderni, di terra, di mare, di cielo e telematici.
2. Il nostro Paese si impegna a dare aiuti economici in base alle esigenze contingenti (quindi senza fondo). Ovviamente, per gli Italiani i soldi non ci sono mai.
3. Si prevedono esercitazioni congiunte in territorio ucraino, esponendo i militari italiani al fuoco dei Russi e il nostro Paese al conflitto aperto con la Russia.
4. L’Italia si impegna a scambiare informazioni di intelligence con Kiev.
5. L’Italia deve intervenire entro 24 ore in caso di nuovo attacco russo in Ucraina.

Lady Aspen, eseguendo ed obbedendo ai diktat USA, espone il nostro Paese a rischi incommensurabili. Questo trattato non rappresenta in nessun modo il pensiero e le idee degli Italiani che ritengono la Russia un Paese amico.
Il primo ministro, in una nazione davvero libera, darebbe le dimissioni seduta stante.
Gilberto Trombetta

[Modificato il 4/3/2024]

Ogni lotta

Ogni lotta è una schermaglia che sonda il nemico e ci dà coscienza della nostra potenzialità; è una finta manovra, un addestramento. E se la lotta vittoriosa frutta quella riserva di entusiasmo a cui si attingono i valori morali per le nuove e maggiori battaglie, la lotta perduta ha anch’essa le sue utilità; acuisce il dissidio sentimentale fra borghesia e proletariato, rinfocola le ire e serve soprattutto ad un esame analitico e critico delle proprie forze e delle proprie facoltà per la ricerca di quei difetti e di quelle lacune che hanno dato alla battaglia un esito negativo. L’entusiasmo della vittoria assopisce le facoltà investigatrici; la mortificazione, il bruciore della sconfitta le fustiga, le eccita ed all’occorrenza le crea. Dopo la vittoria c’è il tripudio, dopo la sconfitta c’è l’esame di coscienza; e non è poco perché vuol dire la tendenza alla perfezione.
Filippo Corridoni

(da Le forme di lotta e di solidarietà, relazione al congresso dell’Azione diretta svoltosi a Modena dal 23 al 25 novembre 1912 da cui si generò l’Unione Sindacale Italiana quale sindacato rivoluzionario scissionista rispetto alla Confederazione Generale del Lavoro, che in quegli anni raggruppava tutti i sindacati che si erano venuti a formare; in “… come per andare più avanti ancora”. Gli scritti di Filippo Corridoni, a cura di Andrea Benzi, Società Editrice Barbarossa, 2001, pp. 81-82)

La vita del tribuno marchigiano fu dedicata interamente alla rivoluzione. Una rivoluzione inseguita sul campo, tanto che vi cadde: egli aprì la strada dove altri, molti purtroppo furbamente ed opportunisticamente come sempre succede, passarono. Gli eroi, verrebbe da dire, servono solo a questo: ma non è così, in quanto è dall’eroismo che sboccia il fiore della rivoluzione.
Ed è proprio questo che manca all’Italia di oggi: non solo la consapevolezza che l’ingiustizia economica e sociale ha raggiunto ormai livelli inaccettabili e che la Patria, minacciata nella sua indipendenza, nella sua integrità e nella sua sovranità, internamente ed esternamente, sta rovinando. Non è solo una questione di consapevolezza: di analisi intellettuali se ne fanno a migliaia. E’ una questione di volontà eroica: volontà di fare il proprio dovere politico e sacrificarsi, di non piegarsi ad una politica senza scopi, volontà che è sola l’anima della rivoluzione per il riscatto sociale e nazionale.
Andrea Benzi

(dalla prefazione a “… come per andare più avanti ancora”. Gli scritti cit., pp. 15-16)

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In questi mesi di genocidio israeliano a Gaza, su pressione diretta di Israele, all’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese –Abspp odv, attiva da 30 anni con documentate missioni umanitarie nella Palestina occupata, sono stati chiusi, uno dopo l’altro, tutti i conti bancari e postali. E’ quanto accaduto, incredibilmente, come fosse un’organizzazione criminale e non un’espressione attiva di solidarietà e sostegno al popolo violentato e massacrato palestinese: le vittime subiscono l’oppressione a tutti i livelli e sono trasformate in colpevoli e penalizzate.
L’Abspp odv sostiene dal 2006 l’associazione InfoPal, editrice della nostra agenzia di notizie, InfoPal.it, che svolge un quotidiano e professionale lavoro di informazione sulla Palestina occupata dal colonialismo sionista.
Non è la prima volta che gli oppressi, oltre al danno, subiscono la beffa del Sistema, fatto a immagine e somiglianza dell’Egemone angloamericano-sionista. Egemone che, speriamo, possa essere a breve spazzato via dall’avanzata inarrestabile del Sud e dell’Oriente Globali e del mondo dei BRICS.
Mentre la geopolitica fa il suo corso e gli avvocati dell’ABSPP provvedono per le vie legali a ripristinare la giustizia in questa colonia chiamata Italia, chiediamo ai nostri lettori di sostenere il nostro lavoro a InfoPal.it con donazioni a:
Banca Etica
IT76X0501801600000011185246
intestato a: ASSOCIAZIONE INFOPAL
Via Bolzaneto 78R, 16162 Genova

[Fonte]

Aritmetica riformista

Le gazzette ci dicono che nella Repubblica di Teddy Roosevelt, 20 Nababbu posseggono la bellezza di 30 miliardi di franchi.
Essi sono i Morgan, i Rockfeller, i Carnegie, gli Schwaab, i Vanderbildt, i Gould ed altra gentuzza di simile conio.
In verità, quando si è senza un soldo, viene una voglia matta di far conti e castelli in aria coi quattrini delle tasche altrui.
Ecco il perché oggi, in cui la mia bohème assume un carattere di grandezza giobbiana, voglio trastullarmi facendo dei calcoli sulle rispettabili ricchezze dei 20 messeri dell’altro continente, convintissimo che il trastullo, se non arrecherà nelle mie vedove scarselle il becco d’un quattrino, darà, però, seriamente a pensare a molti lettori di questo foglio.
E incominciamo.
L’Italia conta, all’incirca, trenta milioni di abitanti. Supponendo che tutti lavorano di un lavoro utile – dicendo lavoro utile voglio significare, attualmente, qualche cosa diverso da ciò che fanno Alberelli, Totonno, ed altri simili Pinetti – e supponendo anche che i produttori, dal frutto di detto lavoro, dopo aver detratto il necessario per sostentarsi, riescano a metter da parte cento franchi all’anno, ne viene di conseguenza che: la popolazione d’Italia dovrebbe lavorare e risparmiare dieci anni di seguito, per accumulare le ricchezze che in America detengono 20 sole persone.
Ciò dimostra come coll’onorato lavoro e col saggio risparmio si possa diventare anche miliardari.
Ma non basta.
Vediamo quanto tempo l’umanità intera deve lavorare, per guadagnare i baiocchi che racchiudon le casse-forti d’una, pur sì esigua, schiera di vampiri del Nuovo Mondo.
Vivacchiano sulla terra circa un miliardo e mezzo di uomini animali bipedi ed implumi, disse Aristotele.
Di questi animali, detratti i bambini e coloro che esercitano il mestiere di non lavorare mai, restano un mezzo miliardo di produttori genuini.
Supponendo che ognuno di essi venga retribuito con due franchi al giorno – resto al disotto del vero se si considera che i coolies cinesi lavorano per 60 centesimi e che i coolies parmensi, volgarmente direbbesi spesati, lavorano per poco più – con delle semplici moltiplicazioni si venne facilmente ad ottenere come resultato, che: tutta l’umanità deve lavorare un mese di seguito per produrre le ricchezze di 20 miserabili.
E’ divertente nevvero? E allora proseguiamo.
Si supponga che ogni disgraziata vittima dello sfruttamento versi 50 centilitri di sudore al giorno: ossia appena la ventesima parte di un litro. In trenta giorni – tempo necessario accioché l’umanità accumuli quanto posseggono i venti nababbi, e tuttociò, per soddisfare i gusti alla direttorio delle vacche d’oro, tipo Miss Elkias – l’umanità verserebbe l’inezia di settecentocinquanta milioni di litri di sudore.
Ah! Cristoforo Colombo che maledetta idea ti passò mai pel capo!
Ma c’è di più.
Supponiamo che il torrente che scorre in mezzo a Parma, nei periodi di piena, versi tre metri cubi, ossia tremila litri d’acqua al minuto secondo.
Ebbene, volete sapere quanti giorni impiegherebbe, il torrente, a trasportare il sudore che l’umanità stillerebbe dai suoi pori nei trenta giorni necessari a carpire alla terra i miliardi delle venti rancide carcasse americane: 75 giorni!!!
Dopo ciò, o colleghi operai, dalla pancia vuota, dai vestiti a brandelli e dalle scarpe sfondate riformiamo, riformiamo pure.
Riformare?!
Dio degli Dei! Ma se c’è da incenerire il creato e, se esistesse, il Creatore!
Leo Celvisio
(pseudonimo di Filippo Corridoni)

[Articolo apparso nel periodico L’Internazionale, 4 novembre 1908, ora in “… il fuoco sacro della rivolta. Articoli di giornale”, di Filippo Corridoni, 2006, Società Editrice Barbarossa, a cura di Andrea Benzi]

27 gennaio, una giornata particolare


Ieri i TG hanno passato la notizia che a Mosca, presso la statua del milite ignoto, una ventina di donne hanno deposto un fiore e chiesto che Putin ritiri l’esercito dall’Ucraina. La notizia è stata “vestita” con abiti foschi e fatta passare come riprova di un grande dissenso nei confronti dell’autocrate del Cremlino.
Contemporaneamente, attraverso agenzie di stampa americana, i canali extra mainstream ci fanno sapere che in USA è scaduto l’ultimatum di Biden allo Stato del Texas con il quale viene intimata la rimozione del filo spinato al confine con il Mexico. La risposta del governatore Abott è stata: “Vieni tu a toglierlo…” affermando che il suo Stato è pronto a un conflitto con le forze federaliste e non si tirerà indietro. Oltre 25 governatori repubblicani e i loro Stati si impegnano a sostenere il diritto del Texas a difendere il proprio territorio a dispetto del governo federale e 10 di loro si impegnano ad inviare in Texas la propria guardia nazionale. In pratica viene dichiarata la disponibilità ad un conflitto armato nel caso Biden invii in Texas le truppe federali per imporre la risoluzione della Corte Suprema USA ispirata da Biden. Insomma, si potrebbe legittimamente pensare al prodomo di una guerra civile dentro i confini dell’Impero del Male. Qualcuno di voi ha visto rilanciare dai media italici questa notizia che a tutti gli effetti è una “notiziona”? No, passa quella di 20 contestatrici moscovite che tra l’altro più che contestare, invocavano un ritorno a casa dei loro uomini. Non sto neppure qui a raccontarvi su chi sta “manipolando” e strumentalizzando il sentimento di queste donne. Diamo il tutto per genuino. Resta il fatto dell’evidente diversità di peso tra quanto sta accadendo in Texas e quanto a Mosca, e resta in tutta evidenza la palese dimostrazione del servilismo mediatico.
Sempre ieri scoppia il caso dei 12 funzionari ONU che secondo Israele avrebbero preso parte attiva all’operazione del 7 ottobre condotta da Hamas. Senza alcuna verifica e vaglio dell’accusa, gli USA subito sospendono i contributi a sostegno dei profughi palestinesi subito imitati dal Canada e a poi da altri Stati del cortile imperiale USA. L’Italia, sfoderando la ruota del pavone, fa sapere che già li aveva già sospesi il 7 ottobre. L’orgoglio del “Italiani prima”. Chiunque abbia un minimo di buon senso, capisce bene che se anche fosse vero che 12 funzionari ONU palestinesi abbiano partecipato all’operazione del 7 ottobre, penalizzare e sabotare l’intera organizzazione ONU è vile e pretestuoso. Sarebbe come se beccati 12 carabinieri a partecipare ad un’operazione mafiosa venissero sospesi i fondi a favore dell’Arma. Ma tant’è.
Ahh, sì, poi c’è anche la “Giornata della Memoria”, talmente sacra da poter interdire qualsiasi altra manifestazione non a tono (e non quindi per motivi di ordine pubblico) manifestazioni che magari si potrebbero svolgere anche a Natale o Pasqua ma non il 27 gennaio. Giornata impegnata da politici, imbonitori e sedicenti storici a strologare su antisemitismo, antisionismo, “nazifascismo” (sic!!!), revisionismo e quant’altro, omettendo accuratamente, per esempio, di segnalare il fatto storico che il 27 gennaio è il giorno in cui le truppe russe facevano ingresso al campo di concentramento di Auschwitz. Innestandosi sulla lezione del film “La vita è bella” di Benigni vorrai mica citare i Russi come liberatori eh? Qui è meglio che mi taccio.
Sì, è stata proprio una giornata particolare quella del 27 gennaio, una giornata nel corso della quale mentre gli oligarchi mediatici e politici si impegnavano nella loro paciosa narrazione, le masse si impegnavano indifferenti nel loro abituale shopping del sabato attestando ancora una volta lo scollamento tra i mezzadri del potere e i loro fondamentali interessi consumistici. Insomma, mentre il Titanic affonda, l’orchestra continua a suonare…
Maurizio Murelli

P.S: Dimenticavo: a Lucca, sempre ieri, è stata interdetta la conferenza organizzata da “Il Vento dell’Est” sul Donbass. Con metodi mafiosi sono state fatte pressioni sull’albergatore che aveva messo a disposizione la sala conferenze affinché l’autorizzazione la ritirasse: “Diversamente troveremo il modo di farti chiudere l’attività”. Complimenti!

(Fonte)

La dittatura dell’Inglese

“La notizia che mi ha segnalato ieri l’attivista dell’italiano Marco Zomer riguarda la “svolta” di una scuola secondaria di Torino, l’Istituto Avogadro, che ha deciso di introdurre nella sua offerta formativa i corsi in lingua inglese invece che in italiano. I percorsi di studio sono due: il liceo scientifico dove la biologia, la chimica, la fisica e l’informatica verranno insegnate in inglese; e l’indirizzo tecnico dove l’inglese sarà la lingua di apprendimento “solo” di informatica e fisica. Come se non bastasse, l’insegnamento dell’inglese già previsto e obbligatorio verrà aumentato di due ore.
Il modo in cui l’articolo della Stampa riporta la notizia è il solito, si esaltano queste decisioni in modo acritico per propagandarle, invece di analizzarle, con la volontà di giustificare e diffondere la visione anglomane che la nostra intellighenzia ha fatto sua. E così leggiamo che la scuola “guarda al futuro” (cioè il futuro coloniale dell’Italia), perché dal prossimo anno includerà “i programmi Cambridge”. A dire il vero questi programmi servono per imparare l’inglese, non per insegnare le materie scientifiche, e andrebbe almeno specificato. Ma il pezzo, il cui incipit è un solenne “Torino chiama Cambridge” punta a mostrare che in questo modo la scuola torinese si eleva al prestigio di quella inglese, e sottolinea la grande innovazione per l’indirizzo tecnico, perché avrebbe solo quattro precedenti in tutta Italia, mentre al liceo scientifico è forse una prassi meno rara.
Le argomentazioni didattiche o pedagogiche sottostanti hanno lo spessore di una televendita di cinture dimagranti eccezionali perché vengono dall’America, a partire dai virgolettati della professoressa Elena Vietti che spiega come la “metodologia Cambridge” favorisca lo sviluppo delle tecniche di problem solving “oltre ovviamente un potenziamento della lingua stessa”. E qui infila la prima evidente castroneria, perché se vogliamo imitare il modello di formazione anglosassone dobbiamo appunto capire una cosa molto semplice: lì potenziano la propria lingua, non quella degli altri. Se Torino chiama Cambridge, va detto che Cambridge non chiama né Torino, né Parigi, né Madrid, né Berlino né alcun altro. A Cambridge non si studiano le materie in francese, tedesco o italiano – forse alla prof sfugge questo piccolo trascurabile particolare – e nei sistemi scolastici angloamericani le lingue straniere non sono contemplate, o comunque non sono obbligatorie, e quando sono previste hanno un ruolo marginale. Ma nel processo di alienazione linguistica in atto – l’abbandono dell’italiano per passare all’inglese – non si racconta che mentre tutta l’Europa spende una fortuna per insegnare l’inglese (lingua di fatto extracomunitaria) e formare le nuove generazioni bilingui a base inglese sin dalle elementari, gli inglesi e gli americani non hanno questi costi, visto che preferiscono che tutto il mondo impari e usi la loro lingua naturale.
Ora, per chiamare le cose con il loro nome, tutto ciò avviene all’insegna del colonialismo linguistico. Non stupisce che gli anglofoni, maestri del colonialismo e anche di quello che un tempo si chiamava imperialismo, spingano in questa direzione che comporta interessi economici e strategici per loro spropositati. Quello che stupisce è che in Italia non lo si capisca o si faccia finta di non capirlo. Colpisce il servilismo con cui ci zerbiniamo davanti alla “lingua dei padroni” e alla dittatura dell’inglese in un’alienazione culturale che distrugge la nostra lingua e cultura.
(…) Nei Paesi scandinavi, dove l’anglificazione è stata da tempo introdotta e sperimentata, si assiste a una marcia indietro perché si è visto che insegnare in inglese si trasforma in un processo sottrattivo, non aggiuntivo. Insegnare in un’altra lingua comporta la perdita e la riduzione della terminologia nella lingua nativa, induce alla semplificazione dei concetti e dei ragionamenti perché si esprimono con più difficoltà, spinge a pensare in inglese, che invece di aggiungersi alla lingua di partenza finisce per fagocitarla. Noi, al contrario stiamo andando in questa direzione suicida in modo becero, acritico e coloniale. Le nefaste conseguenze di questi approcci sono state denunciate da autori africani come Ngugi wa Thiong’o che le hanno subite: lì, le scuole coloniali in lingua inglese hanno non solo contribuito all’abbandono delle lingue indigene, ma hanno soprattutto creato barriere culturali: chi non sapeva l’inglese non poteva accedere alle scuole che imponevano quella lingua e in quella lingua insegnavano. L’inglese ha creato una diglossia tra lingua della cultura e lingua del popolo che da noi apparteneva al Medioevo, quando il latino era la lingua appunto della scuola e della scrittura e il volgare delle massi analfabete. E noi, oggi, in nome di un supposto “internazionalismo” che viene fatto coincidere in modo surrettizio con il parlare in inglese, stiamo costruendoci da soli analoghe scuole coloniali per formare le future generazioni. Così, mentre l’itanglese diviene la lingua modello del linguaggio della scuola e del Ministero dell’Istruzione, l’inglese puro diviene la lingua della nuova cultura, in una svolta linguicista che discrimina la nostra storia e cultura.
Ma a raccontare queste cose, o per lo meno a mostrare l’altra faccia della medaglia dell’anglificazione, affinché ognuno possa fare le sue scelte in modo consapevole, non sono i giornali, né i politici, né gli intellettuali (a parte sparute eccezioni di qualche “dissidente”), sono più spesso i lettori. E Marco Zomer, agguerrito attivista dell’italiano, è riuscito a fare arrivare la sua voce al giornale, seppur in un trafiletto in cui le sue riflessioni sono state riassunte e semplificate.
L’anglificazione della scuola è il nuovo terreno di conquista che nei prossimi anni emergerà e si allargherà, ma invece di produrre riflessioni serie e dibattiti, viene dato per scontato come “il futuro” ineluttabile, un futuro dove l’italiano finirà per diventare un dialetto.”

Da Le scuole coloniali prendono piede in Italia, di Antonio Zoppetti.

A proposito di censura e libertà d’espressione

Un bizzarro comunicato dei giornalisti Rai sulla censura

Leggo e ascolto in tutti i Tg Rai il comunicato stampa dei giornalisti dell’Usigrai contro la censura. Finalmente direte voi…
“Care lettrici, cari lettori…
Il 19 dicembre scorso la Camera dei deputati ha approvato una modifica del codice di procedura penale per vietare la pubblicazione delle ordinanze cautelari, integrali o per estratto, fino al termine dell’udienza preliminare.
Per la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, le associazioni regionali di Stampa e i comitati di redazione, il provvedimento in discussione rappresenta l’ennesimo bavaglio all’informazione, oltre che uno squilibrio del nostro sistema giuridico e costituzionale.
Se anche il Senato dovesse approvare il testo, ci troveremmo di fronte a un provvedimento che va al di là delle disposizioni europee, viola l’articolo 21 della Costituzione e compromette l’autonomia dei giornalisti.
Da qui la richiesta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di non firmare una legge con una norma di questo tipo.
Diciamo no alla censura di stato e siamo pronti a mobilitarci con tutta la categoria, fino allo sciopero generale, per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione ma soprattutto per il diritto di cittadine e cittadini di avere una giusta e corretta informazione.”
Bavaglio all’informazione? Non ce ne eravamo accorti, durante tutto il periodo in cui chiunque ponesse dubbi sul lasciapassare per godere dei propri diritti costituzionali era bandito e denigrato dalla Rai….
E non ce ne siamo accorti, quando l’informazione sulla crisi ucraina imponeva e impone ancora il mantra “c’è un aggressore e un aggredito”.
Quando, dalla Rai, è stata bandita qualsiasi analisi storica, è stato censurato qualsiasi tentativo di pensiero critico, laddove lo Storico Barbero, il classicista Canfora, il Professore Orsini, tra gli altri, sono stati trattati come paria, come folli putiniani, se osavano avvisare che non è inviando armi che si agevola la Pace…
E non ce ne siamo accorti neppure adesso, quando tutti i TG Rai aprono soffermandosi solo sulle condizioni degli ostaggi israeliani senza mai, dico mai, informare sul genocidio del popolo palestinese, senza mai condannare lo sterminio di donne e bambini (in questo momento viene ucciso un bambino palestinese al minuto).
Quanto tempo ha dedicato la Rai alla denuncia del Sudafrica contro il genocidio perpetrato da Israele alla Corte Internazionale di Giustizia?
E quanti servizi, invece, ha imbastito sul mandato di arresto del tribunale dell’Aja contro Putin?
Potrei andare avanti all’infinito, ma ogni lettore può riportare esempi e statistiche.
“Diciamo no alla censura di stato e siamo pronti a mobilitarci con tutta la categoria, fino allo sciopero generale, per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione ma soprattutto per il diritto di cittadine e cittadini di avere una giusta e corretta informazione”.
Così si conclude il comunicato rivoluzionario dell’Usigrai di fronte alla regola di non poter pubblicare le ordinanze cautelari prima del termine dell’udienza preliminare.
Sono sbalordita: oltre alle ordinanze cautelari finalmente potremo ascoltare e vedere in Rai, servizio pubblico, anche le testimonianze degli abitanti del Donbass?
Sapremo quali danni reali hanno causato le sanzioni alla Russia?
Conosceremo le condizioni del popolo palestinese e sentiremo parlare di sionismo senza essere accusati di antisemitismo?
Finalmente vedremo le piazze piene in tutto il mondo che chiedono lo stop al genocidio o magari un piccolo accenno alla rivolta degli agricoltori in Germania?
Agata Iacono

(Fonte)

La totale residualità politica dell’estrema sinistra

“Il marxismo insegna che la verità è da ricercarsi nei fatti. L’idealismo liberale antepone ai fatti le proprie proiezioni ideologiche. L’estrema sinistra, anche in questo, si distacca completamente dal marxismo per approdare tra le braccia della reazione. Ma questo scollamento dalla realtà non sarebbe materialmente possibile se non fosse soddisfatta una condizione necessaria: l’odio per il popolo, il disprezzo per la gente comune, un sentimento d’aristocratico sdegno per tutto ciò che non appartiene alla propria piccola, residuale setta, che non condivide i suoi riti e che non è iniziato ai suoi misteri. Da qui una delle maggiori cause della totale residualità politica dell’estrema sinistra nel nostro paese: è ridicolo, insultante e insensato proporre a un popolo un programma politico e allo stesso tempo affermare un intimo disprezzo per la sua identità, la sua storia, il suo sentirsi nazione. In poche parole: l’estrema sinistra rappresenta un’area sconfitta, collaborazionista e politicamente regressiva (anche) perché odia l’Italia.
Non esiste un Paese al di fuori dell’Occidente in cui sia minimamente concepita questa promiscuità tra i richiami retorici a una politica “popolare” e il rifiuto della simbologia nazionale e di una profonda immedesimazione nel popolo e nei suoi trascorsi storici; non esiste in tutto il mondo un partito comunista che sia minimamente influente e che goda di una certa autorevolezza tra le masse che tolleri una qualsiasi ambiguità sulla doverosa identità tra militanza patriottica, comunista, internazionalista e antimperialista. E’ altresì interessante notare come, non a caso, non esistano formazioni “comuniste” occidentali che godano di particolare rilevanza o prestigio tra la popolazione, con le varie rachitiche formazioni relegate al folklore o al semplice impiccio a passanti ed esercenti.
Da “sinistra” si corre ai ripari davanti a queste accuse, rimaneggiando a piacimento gli autori marxisti, ignorando come Lenin rivendicasse apertamente e in piena Prima Guerra Mondiale il patriottismo e la “fierezza nazionale” dei grandi russi, ignorando completamente la questione nazionale e coloniale, che da Marx a Xi Jinping, passando per Lenin, Stalin e Mao Zedong ha visto enorme interesse e riflessioni teoriche, ignorando soprattutto come sia una contraddizione in termini il proporre una politica socialista, una politica indirizzata agli interessi della stragrande maggioranza della popolazione e, in definitiva, di tutta l’Umanità, senza provare un sentimento di profondo attaccamento a un popolo, alla sua terra, alla sua storia, al suo futuro.
E la “sinistra” continua a difendersi disperatamente, affermando che non sia d’interesse rappresentare “il popolo”, ma unicamente il “proletariato”. Quest’ottica economicista non può essere più giustificata nel 2024 come immaturità politica, come sarebbe stato lecito fare un secolo fa, ma dev’essere impietosamente denunciata per quello che è: una deviazione piccolo borghese, fondamentalmente bottegaia, che rinuncia a qualsiasi volontà d’egemonia politica in nome di un corporativismo da operetta, che per quanto si sforzi d’indossare panni massimalisti ricade nella pratica sistematicamente nelle spicce rivendicazioni sindacali, nella contrattazione pre-novecentesca. Il partito comunista, o meglio quella soggettività politica che dovrebbe rilevarne i compiti in Italia, non può che affermarsi come rappresentante degli interessi di tutta la società, espressi più chiaramente nel loro divenire storico dalle parti più avanzate della società stessa. Deve essere in questo partito completamente nazionale, in cui il trascorso storico della nazione e i suoi destini abbiano pieno riflesso. Deve raccogliere dietro di sé, dietro l’avanguardia della classe lavoratrice, tutte le forze disposte a collaborare alla costruzione socialista.
Al contrario di quello che i comunisti fanno in Cina, in Laos, in Corea o in ogni altra parte del Sud del mondo, i vari “compagni” nostrani guardano al popolino italiano con un sovrano disprezzo per i suoi vincoli comunitari, per il suo ostinato legame alla Storia patria e per la sua visione essenzialmente plurale, egualitaria e filantropica, frutto di più di due millenni ininterrotti di civiltà. Per i cultori dello scontro orizzontale, della caccia alle streghe, del vittimismo come indice di purezza tutto ciò è inaccettabile. La loro visione individualista, fondamentale ostile a qualsiasi dinamica comunitaria perché aprioristicamente scettica di qualsiasi differenza e incapace di inquadrare dialetticamente il rapporto tra tutto e parte, tra singolo e collettività, è opposta al sentire delle grandi masse italiane, al loro retaggio nazionale e alla loro cultura, è completamente aliena dalle condizioni materiali del nostro Paese e compone una inossidabile garanzia antisocialista, non già chissà quale indizio di “purezza” od “ortodossia marxista”.
Una verità fondamentale della nostra epoca, pienamente riscontrabile nei fatti, è che è proprio questo odio aristocratico, reazionario ed anti-italiano a negare qualsiasi ruolo progressivo e attivo all’estrema sinistra. La fase attuale, quella dello scontro per la creazione di un mondo multipolare e del superamento della fase imperialista del capitalismo, dovrà vedere necessariamente in Italia una lotta serrata e aperta contro questo fortino della reazione e dell’imperialismo che è l’estrema sinistra.”

Da Le ragioni più profonde dell’autocolonialismo italiano e come affrontarlo, di Leonardo Sinigaglia.

Pro domo nostra

Proponiamo la seguente intervista a Marco Guzzi, la cui visione andrebbe obbligatoriamente somministrata a certuni (non pochi…) esponenti del cosiddetto mondo del dissenso, al fine di suscitare le conseguenti ed adeguate reazioni finché vi siano le condizioni per agire in senso rivoluzionario, in questo disperato Paese chiamato Italia…

Quando la CIA rapì Moro

A via Fani operò una squadra di forze speciali addestratissime, formatasi in super-scuole militari. Solo due erano allora a quel livello: l’ebraico Mossad e il sovietico Spetsnaz. A via Fani, soprattutto, Aldo Moro non c’era! Prima della strage l’aveva rapito un’eliambulanza. L’unica cosa certa è che poi venne ucciso. Ma non da chi siamo abituati a credere. Questo noir di fantapolitica, appassionante e iperrealistico, risponde a molti interrogativi ancora senza risposta. E ne propone altri inquietanti anche a distanza di quasi mezzo secolo. Il racconto è preceduto da un ampio reportage introduttivo sull’affaire-Moro.

L’autore
Amedeo Lanucara è un giornalista nato sulle aspre Murge pugliesi, con un piede professionale a Roma ed uno a Milano. Giramondo e appassionato di storia del Vicino Oriente. Già inviato e/o capo-servizio al Globo di Antonio Ghirelli e Mario Pirani, a Il Sole-24 Ore, ad Avvenire e ai settimanali ex-Rusconi con Pietro Zullino. Free-lance alla Rai tv. E’ stato direttore di periodici istituzionali e de La Voce del Cittadino. Suo il libro Berlinguer segreto. Vive alle porte di Roma, sul Lago degli Etruschi.

Intelligenza artificiale e sicurezza informatica, le agenzie di intelligence prendono ordini dai giganti dell’Hi-Tech

È una Spectre globale, come nei film di 007. Il suo compito è difendere l’umanità, almeno così dicono, dai rischi dell’intelligenza artificiale.

Con questo obiettivo in mente, le agenzie di sicurezza informatica dei cinque continenti si sono prima incontrate a novembre in Gran Bretagna e poi hanno redatto un documento congiunto firmato all’unanimità: “Linee guida per lo sviluppo di sistemi di IA (intelligenza artificiale) sicuri”. Il progetto è stato ideato dal National Cyber ​​Security Centre del governo britannico ma il documento è stato approvato e condiviso dai principali centri di comando della cyber security “atlantici”: Stati Uniti in prima fila con la National Security Agency (NSA) e il Federal Bureau of Investigation (FBI), seguito e accompagnato da Australian Cyber ​​Security Centre, Canadian Centre for Cyber ​​Security, New Zealand National Cyber ​​Security Center, CSIRT del governo del Cile, la National Cyber ​​and Information Security Agency della Repubblica Ceca, la Information System Authority estone, il Centro nazionale per la sicurezza informatica dell’Estonia, l’Agenzia francese per la sicurezza informatica, l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza informatica, la Direzione nazionale informatica israeliana, l’Agenzia nazionale italiana per la sicurezza informatica, il Centro nazionale giapponese per la preparazione agli incidenti e la strategia per la sicurezza informatica, il Segretariato giapponese per la scienza, la tecnologia e le politiche di innovazione, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo della tecnologia informatica della Nigeria, il Centro nazionale norvegese per la sicurezza informatica, il Ministero degli affari digitali polacco, l’Istituto nazionale di ricerca NASK della Polonia, il Servizio di intelligence nazionale della Repubblica di Corea, l’Agenzia per la sicurezza informatica di Singapore. In breve, la crema dell’intelligence occidentale.
A cosa serve quel documento? Quali benefici intende introdurre nel complesso e spesso incomprensibile mondo dell’intelligenza artificiale? E soprattutto, quali limiti le agenzie di intelligence intendono conferire ad una tecnologia che secondo alcuni dei suoi principali ideatori sta per diventare un rischio per l’umanità, grazie a nuovi algoritmi capaci di decidere autonomamente quali calcoli effettuare?
Il documento redatto a Londra spiega che “esso raccomanda linee guida per i fornitori di qualsiasi sistema che utilizzi l’intelligenza artificiale (IA), sia che tali sistemi siano stati creati da zero o costruiti su strumenti e servizi forniti da altri. L’implementazione di queste linee guida aiuterà i fornitori a costruire sistemi di intelligenza artificiale che funzionino come previsto, siano disponibili quando necessario e funzionino senza rivelare dati sensibili a parti non autorizzate. Questo documento è rivolto principalmente ai fornitori di sistemi di intelligenza artificiale che utilizzano modelli ospitati da un’organizzazione o utilizzano interfacce di programmazione di applicazioni esterne. Esortiamo tutte le parti interessate (compresi esperti dei dati, sviluppatori, manager, decisori e proprietari del rischio) a leggere queste linee guida per aiutarli ad assumere decisioni informate su progettazione, sviluppo, implementazione e funzionamento dei loro sistemi di intelligenza artificiale”.
Secondo i guru della sicurezza informatica, ci sono quattro pilastri su cui costruire un mondo digitale ottimale: affidabilità (copre la comprensione dei rischi e la modellazione delle minacce, nonché argomenti specifici e compromessi da considerare nella progettazione di sistemi e modelli); sviluppo che offra certezze (relativo al ciclo di vita, compresa la sicurezza della catena di approvvigionamento, la documentazione, e la gestione dei patrimoniale e del debito tecnico); implementazione efficace (protezione dell’infrastruttura e dei modelli da compromissioni, minacce o perdite, sviluppo di processi di gestione degli incidenti e rilascio responsabile); funzionamento e manutenzione garantiti (fornire linee guida sulle azioni particolarmente rilevanti una volta che un sistema è stato implementato, compresi la registrazione e il monitoraggio, la gestione degli aggiornamenti e la condivisione delle informazioni).
Ciò che più sorprende di questo documento è l’elenco delle aziende e delle istituzioni che hanno contribuito alla sua stesura. In quell’elenco troviamo Amazon, Google, Google DeepMind, IBM, Microsoft, OpenAI, oltre ad alcune istituzioni come la Georgetown University, da sempre fucina di grandi talenti per le agenzie di intelligence statunitensi. Ma non è una buona notizia se il controllato diventa il controllore.
Piero Messina

Fonte – traduzione a cura di Old Hunter

Coccodrillo anomalo

In morte di Henry Kissinger

Quando muore uno degli alti uffici del capitale finanziario a guida USA molti sono obbligati a scrivere un coccodrillo. Altri sono ugualmente obbligati a tacere. Noi invece possiamo parlare sputando il coccodrillo tutto intero.
Muore dopo un secolo un figuro nefasto, odiatore seriale dell’Umanità. E maestro in dissimulazione davanti al proprio spirito e a quelli altrui. Ha fatto decimare popoli sparsi in quasi tutto il globo: l’elenco è tuttora in corso di compilazione. Ha corrotto politici amici e nemici. Si racconta che una volta Mao, vedendolo intento al bicchierino con Chu En Lai, ebbe a dire: “Questo è pericoloso perché anche quando beve ti guarda con l’occhio degli Yaoguai”. Gli Yaoguai sono gli spiriti malefici animali e vegetali del folklore antico cinese – per gli Occidentali un tipo di demoni fanatici che popolano l’inferno – la cui aspirazione più profonda e ingiustificata è quella di raggiungere l’immortalità: farsi dei. Se ne ricordino per primi gli attuali esploratori novelli del pensiero umanistico che vanno in giro cianciando di “uomo divino”.
Ecco cos’era Kissinger, ed ecco perché dai primi anni ‘40 a ieri è stato al servizio dei dirty games e delle politiche imperialiste degli USA. Per limitarci ai crimini politici che più hanno colpito le menti e i cuori in Italia, si deve ricordare il suo ruolo da attore protagonista nel rovesciamento di Salvador Allende e nell’avvento del regime di Pinochet, per non dire della profezia autoavverante che fece ad Aldo Moro nel 1974: “Lei la pagherà cara”
Uno Yaoguai senza scrupoli di sorta, che fu all’origine anche dei piani di affamare e assetare popoli di cui parlano in questi ultimi mesi al WEF e dintorni… Dopo un centinaio d’anni e malefatte ininterrotte, ha dovuto ritirare il suo sogno di immortalità.
I popoli ne serberanno memoria.
Ireneo Corbacci

I grandi pezzi di cabaret non invecchiano mai


Telecom Italia, con l’assenso del governo Meloni, ha deliberato la vendita per 19 miliardi di euro della rete fissa italiana, al gruppo finanziario statunitense KKR (Kohlberg Kravis Roberts).
Il gruppo KKR non è solamente un grande gruppo americano, ma, per comprenderne l’autonomia rispetto al comparto militare-industriale, ha come presidente l’ex generale americano David Petraeus.
L’infrastruttura delle telecomunicazioni è oggi la più importante infrastruttura che definisce le capacità operative di una nazione nel mondo moderno.
Su questa infrastruttura circola:
1) l’informazione pubblica;
2) le transazioni monetarie;
3) qualunque operazione di interesse militare.
Praticamente gli abbiamo dato le chiavi di casa e lo ius primae noctis.
Per chi avesse ancora avuto dei dubbi, la destra italiana è parte del progetto di svendita del Paese agli USA esattamente quanto la sinistra.
Essendo quella italiana la condizione di una colonia, il termine giusto per la nostra classe dirigente è quella di “collaborazionisti con le forze di occupazione coloniale”.
Visto che di questi tempi mancano occasioni di buon umore, non vedo l’ora di arrivare nei pressi delle prossime elezioni in cui assisteremo per la millesima volta allo spassoso gioco delle parti in cui la destra borbotterà seriosamente di “sovranità nazionale” e la sinistra li accuserà per questo di “fascismo”.
I grandi pezzi di cabaret non invecchiano mai.
Eusebio Margara

L’Italia tradisce la Palestina e la propria tradizione filo-araba

“Le immagini che abbiamo visto mostrano qualcosa di più di una semplice guerra, mostrano il desiderio di cancellare gli Ebrei da questa regione ed è un atto di antisemitismo. E noi dobbiamo combatterlo, oggi come ieri. Difendiamo il diritto di Israele di esistere, di difendere la sicurezza dei suoi cittadini. Siamo assolutamente consapevoli che si tratta di un atto di terrorismo che deve essere combattuto. Pensiamo e crediamo che siate in grado di farlo nel modo migliore, perché siamo diversi da quei terroristi. Dobbiamo sconfiggere questa barbarie: è una battaglia tra le forze della civiltà e mostri barbari che hanno ucciso, mutilato, stuprato, decapitato, bruciato persone innocenti. È una prova, una prova di civiltà. E noi la vinceremo”.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non perde occasione per dimostrarsi la più atlantista tra gli atlantisti. In missione a Tel Aviv per incontrare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, la Presidente del Consiglio italiana ha recitato più o meno lo stesso copione già recitato quando incontrò Zelensky all’epoca della SMO russa in territorio ucraino. È un modello che funziona molto bene per il mainstream italiano.
Certo, poi, partecipando alla Conferenza del Cairo – il cui risultato è stato uno zero assoluto – ha dovuto cambiare tono e registro, invitando Israele a non cercare “vendetta”. Ma l’effetto cane da guardia era già arrivato sulle prime pagine di tutti i giornali. Nemmeno una parola sui quasi cinquemila Palestinesi uccisi dal fuoco dell’IDF. Per il governo italiano, quelli sono solo danni collaterali.
La politica estera italiana si riduce a una finta esibizione di globalismo filo-Washington, senza alcuna attenzione per la storia italiana e la sua lunga tradizione filo-araba e filo-palestinese. Perché l’Italia non è stata così. Negli ultimi sessant’anni, le relazioni politiche tra Italia e Palestina sono cambiate, parallelamente a cambiamenti più profondi nella politica italiana e palestinese. Per decenni, l’Italia è stata considerata il Paese dell’Europa occidentale più favorevole ai Palestinesi.
Tutto è cambiato all’inizio degli anni Novanta. L’ennesimo cadeau della fine della Guerra Fredda. Il sostegno politico italiano ai Palestinesi ha subito un graduale ma costante cambiamento. L’Italia, infatti, è oggi uno dei più stretti “amici” europei di Israele. Due sono i fattori principali alla base di questo riposizionamento politico. Uno è la trasformazione politica e sociale dell’Italia – il lungo processo di “integrazione” culturale, economica e politica nelle politiche neoliberali globalizzate, strettamente legate all’agenda neo-imperialista – che ha portato ad una drastica revisione degli affari esteri italiani.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha prestato grande attenzione al mondo arabo. Il governo ha cercato di avere un ruolo attivo nella regione, ben consapevole della necessità di stabilire relazioni forti e durature, sfruttando la sua posizione favorevole di “ponte” tra il Medio Oriente e l’Europa. L’Italia ha storicamente cercato di trarre vantaggio dalla sua vicinanza geografica alla regione per stabilire una presenza economica nell’area mediterranea. Ciò è stato evidente nei tentativi di espansione coloniale diretta. In effetti, anche se la politica estera italiana è stata decisamente limitata nel mezzo della crescente polarizzazione tra gli Stati Uniti e la sfera sovietica negli anni ’50, i suoi interessi nel Mediterraneo sono rimasti.
Mentre negli anni Cinquanta e Sessanta ci furono solo timidi tentativi di giocare un ruolo attivo nella questione arabo-israeliana, negli anni Settanta l’Italia deviò verso una posizione più decisamente filo-palestinese. Sotto la guida dell’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro, l’Italia promosse diverse iniziative a favore della causa palestinese. Ad esempio, insieme alla Francia, sostenne la partecipazione di Arafat all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974. Anche il governo italiano dell’epoca espresse solidarietà per il dramma palestinese, non solo con dichiarazioni e comunicati, ma anche al punto da consentire la presenza ufficiale dell’OLP in Italia nel 1974.
La diplomazia nazionale mirava a garantire che la tensione tra i militanti palestinesi e l’intelligence israeliana non si acuisse in Italia. Con un patto segreto, noto come “Lodo Moro”, l’Italia assicurava ad alcuni gruppi palestinesi la libertà di coordinare e organizzare le loro attività sul territorio italiano in cambio della garanzia che le azioni non si sarebbero poi svolte in Italia. Tuttavia, nel corso degli anni sono emerse molte ricostruzioni secondo le quali sembra che la stessa politica del “far finta di non vedere” fosse rivolta al Mossad.
Sappiamo cosa è successo ai politici italiani che hanno sostenuto la causa araba e palestinese. Aldo Moro (1978) fu rapito dalle Brigate Rosse e ucciso in circostanze non ancora del tutto chiarite. Bettino Craxi fu travolto dall’ondata moralizzatrice di Tangentopoli, lo scandalo che cancellò l’intera classe politica italiana in coincidenza con la fine della Guerra Fredda, e morì esule in Tunisia. Ora la politica estera italiana non è altro che una dipendenza di Washington.

Fonte, tradotto in Italiano da comedonchisciotte.org

Pulire i vetri dell’ambasciata americana

Cara Elly Schlein, hai presente la Francia in Algeria ai tempi del colonialismo? Ecco, Israele è la stessa cosa in Palestina. Israele è uno Stato coloniale che brutalizza e disumanizza i dominati. E i dominati si ribellano. Soltanto un sistema stracorrotto dell’informazione come quello italiano può far iniziare la storia del conflitto israelo-palestinese dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023. Le potenze coloniali, cioè Israele e Stati Uniti, fanno sempre iniziare la storia del conflitto israelo-palestinese dall’ultimo attentato terroristico in opposizoone alla logica dell’indagine scientifico-sociale che suggerisce ben altra impostazione metodologica. Però l’informazione sulla politica internazionale in Italia funziona come nelle dittature quindi, purtroppo per noi, quasi tutti i conduttori televisivi, gli speaker radiofonici e i direttori di giornali, sono corrotti perché tradiscono la loro missione professionale che prevede di non ingannare le persone mentendo spudoratamente e distorcendo i fatti. Quindi, per favore, non venirmi a dire che la soluzione è di rilanciare il dialogo per avere due Stati. La soluzione è sbattere Israele fuori dai territori che occupa illegalmente colpendo Netanyahu con le sanzioni e chiedendo alla corte penale internazionale che spicchi un mandato di cattura contro questo criminale di guerra per i crimini disumani che sta commettendo a Gaza.
Un tempo i leader di sinistra dicevano queste cose perché si battevano per un mondo migliore.
Oggi la cosa più rivoluzionaria che sappiano fare i leader di sinistra è pulire i vetri dell’ambasciata americana.
Pulisci oggi pulisci domani, ti ritrovi tutta sporca.
Alessandro Orsini

Fonte

Un po’ di cosine poco simpatiche

Sapete che c’è? C’è che ora dico un po’ di cosine poco simpatiche. Mi dispiace se ci sarà qualcuno che si sentirà toccato, ma questo è quanto sto riscontrando in questi ultimi giorni.
La prima è che c’è tanta, ma tanta, ignoranza in Italia, e nello specifico nell’area del dissenso… Gente che non sa nemmeno in quale parte del mondo si trovi la Palestina che si permette di pontificare contro un popolo oppresso sotto assedio che subisce pulizia etnica, apartheid, torture, espropri da 80 anni.
La seconda è che ancora troppa gente pensa di essersi “risvegliata” solo perché negli ultimi 3 anni ha intuito che ci fosse qualcosa che non andava sulla gestione delle nostre vite, poi, per quanto riguarda quello che succede nemmeno troppo lontano da noi (l’altra sponda del Mediterraneo), si trova a sostenere lo stesso potere che è stato combattuto qui, a casa nostra, cos’è… dissonanza cognitiva?
Gente che non ha mai approfondito alcunché, si trova a parlare di Islam come se fosse satanismo, consapevole o no, che è esattamente ciò che l’Occidente imperial-sionista vuole, e si trova a criminalizzare un intero gruppo religioso perché il potere, lo stesso che gli voleva infilare a forza un ago nella pelle con una sostanza tossica e sperimentale, impone questa narrazione, la stessa gente che non conosce nemmeno la differenza tra la parola “arabo” e la parola “musulmano” e li confonde bellamente utilizzando uno come sostituto dell’altro, ignorando che gli Arabi possono essere musulmani, ebrei, atei, cristiani etc e che i musulmani non sono necessariamente arabi.
Gente che ha avversato il “potere” contro il green pass e ora si trova a fiancheggiarlo nella lotta combattuta dall’alto verso il basso, perché il potere stesso negli anni ha fatto in lavaggio del cervello in questo senso: il tuo nemico è quello che decidiamo noi per te, è chi sta peggio di te, che è diverso da te e in qualche modo ti fa paura. Gente che ha paragonato Hamas agli Azov, così, a caso, dimostrando di non conoscere un beneamato fico secco della storia. Canali e personaggi della contro – informazione che hanno preso ad abbeverarsi da fonti tipo New York Times, Corriere, BBC, etc, anche questo in palese dissonanza cognitiva. Questa cosa è avvilente.
Qui non bastano le notizie, bisognerebbe creare delle scuole e iniziare dalle basi, facendo i disegnini…
Ma se proprio costa fatica dover studiare e capire per poter leggere gli eventi che si susseguono ad una velocità impressionante, c’è un altro modo, una cartina al tornasole, ed è come tratta una notizia la stampa occidentale/italiana: dal momento in cui hanno sparato a zero in questi 4 anni contro chi divergeva dal pensiero dominante (dalla farsa pandemica, passando dalla guerra della NATO contro il Donbass per arrivare al cambiamento climatico)… come fate ancora a credere alle cazzate che dicono?
Ma le bastonate prese non sono bastate?
Ma quando pensate sia il caso di risvegliarsi anche da questo torpore?
Francesca Quibla

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Ucramina

Caro Ministro Antonio Tajani, noto che ha pubblicato le foto del premio ricevuto da Zelensky per avere dato il suo contributo alla distruzione dell’Ucraina. Siccome la controffensiva ucraina – invocata, armata e finanziata anche da lei – è un fallimento spaventoso, volevo chiederle, gentilmente e rispettosamente, quando pensa di dare questo annuncio ufficiale agli italiani.
Caro Tajani, in quale data il ministro degli Esteri italiano annuncerà che la controffensiva ucraina è stata il più grande fallimento della storia universale con decine di migliaia di giovanissimi ucraini morti per non conquistare niente mentre la Russia diventa sempre più ricca grazie al petrolio ed equipaggiata con armi sofisticatissime che sopravanzano persino quelle della NATO, e l’Unione Europea in recessione?
Caro Tajani, mi auguro di non averla disturbata troppo. Ma sono certo che avrà la sensibilità di capire che, a causa della guerra che lei sta alimentando senza fare niente per la pace, l’Ucraina è diventata un cimitero a cielo aperto e che l’Italia ha un piede nella fossa.
So che lei non è avvezzo a ricevere queste domande perché il sistema dell’informazione sulla politica internazionale in Italia è corrotto fino al midollo, ma capirà che, nelle democrazie liberali, le domande che il giornalismo mainstream sarebbe tenuto a fare sono proprio queste.
Grato dell’attenzione, le giunga la bella notizia che Mario Draghi l’ha candidata al premio finale per la distruzione totale dell’Ucraina. Il premio si chiama: “Ucramina” ed è stato progettato per ricordare tutti i bambini ucraini e russi uccisi anche grazie all’ottavo invio di armi da lei orgogliosamente sbandierato in queste ore.
Bravo, Tajani, continui così.
Alessandro Orsini

Fonte

Strage di Ustica e strage di Bologna

L’ipotesi del collegamento

“Troppe coincidenze, troppi indizi, troppi nessi legano i missili che il 27 giugno 1980 hanno abbattuto il DC9 Itavia e la bomba che il 2 agosto, appena 36 giorni dopo, esplode alla stazione di Bologna. L’accanimento con cui i servizi segreti hanno cercato di sviare le indagini sull’eccidio alla stazione si spiegherebbe con una sola ipotesi: chi ha messo o ha favorito che venisse messa la bomba a Bologna sapeva esattamente ciò che era avvenuto nei cieli del Tirreno appena un mese prima. Dal momento che prima o poi la tesi del cedimento strutturale dell’aereo Itavia sarebbe (per forza di cose) venuta meno, meglio far credere che il disastro del DC9 decollato da Bologna ed esploso in volo fosse dovuto a un attentato dinamitardo, proprio come poi avvenne alla stazione della medesima città.
Se lo scopo era quello di nascondere un complotto internazionale di cui il DC9 era rimasto vittima, una strage, magari soltanto dimostrativa (gli atti hanno dimostrato che non fu l’esplosivo a provocare l’orrenda carneficina, ma l’onda d’urto che, rimbalzando su un convoglio fermo sul primo binario, provocò il crollo di parte del tetto della stazione e quindi la tragedia; senza quell’accidentale circostanza, l’attentato si sarebbe ridotto ad un atto pressoché dimostrativo, come le bombe del luglio 1993 – per intenderci), che invece ebbe effetti terrificanti, poteva essere messa nel conto per convincere l’opinione pubblica che un gruppo di maniaci bombaroli, con epicentro a Bologna, stava attentando ai trasporti aerei e ferroviari italiani.
Pochi giorni dopo la strage di Ustica, ma prima di quella alla stazione di Bologna, un alto ufficiale del SISMI, il colonnello Giuseppe Belmone, su incarico del generale Pietro Musumeci si reca a Vieste, in Puglia. La sua, in apparenza, è una visita di cortesia a un vecchio amico, il maresciallo Francesco Sanapo, a cui propone di collaborare con il servizio segreto militare. Subito dopo la strage di Bologna, Belmonte torna di nuovo a Vieste e consegna a Sanapo un’informativa preconfezionata, ovviamente falsa, che il maresciallo deve recapitare alla magistratura di Bologna come se fosse farina del suo sacco. L’informativa parla di una base del gruppo neofascista dei NAR a Taranto, dove in effetti Giusva Fioravanti, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini hanno un alloggio. La base, che dal maggio del 1980 era già stata individuata dai servizi, non viene trovata ma qualche mese dopo, nel gennaio del 1981, sul treno Taranto-Milano, quando il convoglio si ferma alla stazione di Bologna, viene scoperta una valigia piena di armi e di esplosivo. Nella valigia ci sono anche due biglietti aerei che conducono la magistratura proprio sulle tracce dei neofascisti e di altri terroristi stranieri. Quel misterioso trasporto dovrebbe fare parte dell’operazione “terrore sui treni” ordita da gruppi armati di estrema destra. La valigia, in realtà, come poi nel 1984 scoprirà il giudice romano Domenico Sica, era stata messa sul treno dagli stessi uomini del SISMI.
Perché?
Per due scopi: far imboccare ai magistrati bolognesi la pista del neofascismo e stabilire, attraverso l’esplosivo (il T4), una contiguità fra l’esplosione del DC9 e quella alla stazione di Bologna.
Ma anche questa volta i Servizi commettono degli errori: innanzitutto fanno partire l’operazione da Taranto, dove, caso quasi unico nel Meridione, esiste un deposito di armi di Gladio; poi, appena trovata la valigia, si affrettano a far sapere alla magistratura che l’esplosivo contenuto nella valigia è uguale a quello usato per la strage di Bologna; circostanza, questa, che i periti del tribunale accerteranno, è vero, ma solo il 6 dicembre del 1981. Come facevano i servizi segreti a conoscere con quasi un anno di anticipo sui periti di Bologna e con più di due anni su quelli dell’inchiesta di Ustica che era proprio il T4 l’esplosivo utilizzato per la strage di Bologna e che compariva anche nella strage di Ustica?
Ma quale movente avrebbero avuto i Servizi per prefigurarsi e realizzare la strage di Bologna? L’unico movente possibile può essere ricercato in un fatto altrettanto grave: la neceesità di nascondere la verità su Ustica.
Per nascondere ciò che realmente accadde al DC9 Itavia occorreva in qualunque modo e a qualsiasi costo sostenere e confermare la tesi della bomba sull’aereo.
Tesi che diveniva verosimile solo se inserita in un contesto stragista voluto ed attuato da quegli stessi ambienti ai quali, da Piazza Fontana in poi, furono sempre attribuite le stragi – peraltro mai rivendicate dai loro presunti autori.
Questo potrebbe spiegare la morte, in circostanze strane, di numerose persone in qualche modo collegate a Ustica e a Bologna.”

Da Strage di Ustica e strage di Bologna: e se fossero collegate?, a cura del Centro Studi Orion, Società Editrice Barbarossa, 1997, pp. 55-57 (il collegamento inserito è a cura della redazione).

Il generale Roberto Vannacci e la Task Force 45 in Afghanistan


Per documentarsi in merito alla Task Force 45, della quale il generale è stato comandante, sono disponibili diversi testi consultabili qui (scorrendo la pagina dal basso in alto per osservare l’ordine cronologico di pubblicazione).
In particolare, si consigliano gli articoli scritti dal compianto Giancarlo Chetoni, forse il primo autore in Italia ad averne parlato con cognizione di causa.