Buone vacanze a tutti

“A meno di eventi eccezionali al momento del tutto imprevedibili, Matteo Salvini diventerà prima o poi presidente del Consiglio con una maggioranza di destra, Lega, Fratelli d’Italia e frattaglie di Forza Italia. Non essendoci in campo, né all’orizzonte, neppure l’ombra di un’attendibile opzione alternativa, Salvini può aumentare i suoi consensi pescando in tutti i bacini elettorali: a destra come a sinistra, fra i pro-euro e gli anti-euro, fra la tradizionale Lega secessionista del Lombardo-Veneto che vuole più “autonomia” cioè danè, schei, e la nuova Lega clientelare sudista, fra coloro che desiderano tanti immigrati per abbassare sempre più il costo del lavoro e quelli che vorrebbero invece fermare l’invasione…
Insomma, Salvini è in una botte di ferro, magistratura consentendo e nonostante le contraddizioni del composito blocco sociale che lo sostiene. E questo accade perché può godere di un vitalizio politico infinito, frutto della coglionaggine dei suoi “avversari”, la cosiddetta “opposizione” che è diuturnamente impegnata a fornirgli incredibili assist. I più indefessi attivisti leghisti stanno proprio a “sinistra”, e infatti educatamente, con un sorriso, Salvini sovente li ringrazia mandando “bacioni” a chi lo insulta o lo contesta dandogli del “fascista, nazista, razzista, populista, xenofobo …”. Afferma Marco Travaglio: “Ogni volta che si accosta Salvini a Mussolini gli si fa un favore perché l’unico che avrebbe piacere a essere scambiato per Mussolini è Salvini” (Tagadà, 13 giugno). E, come hanno sommessamente notato anche il sociologo Domenico De Masi e l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, ogni ONG che forza il blocco e sbarca immigrati in Italia nel tripudio della “sinistra” regala un punto percentuale in più nei sondaggi alla Lega. Per fermare almeno temporaneamente l’avanzata di Salvini non resta ormai che seguire le previsioni meteo e sperare che il maltempo freni le partenze dalle coste africane.
(…) L’immigrazione non è “un’arma di distrazione di massa”, come si sostiene ancora oggi a “sinistra”, di cui si serve Salvini per nascondere la corruzione nel suo partito, per distogliere l’attenzione dai temi economici e dalle inchieste della magistratura sui finanziamenti alla Lega. Non c’è più bisogno di sotterfugi. Ormai il popolo italiano si è assuefatto all’illegalità, anzi ognuno nel suo piccolo ci sguazza, ha imparato a convivere con la corruzione, con le varie mafie, o con quelle che pudicamente vengono declassate a lobby; non gli importa nulla se i partiti si finanziano con rubli o dollari. Con la fame di lavoro e di salario che c’è, il popolo italiano non sta neppure a sottilizzare se il lavoro creato con fondi pubblici è utile al Paese o no. L’illegalità, la corruzione e le mafie sono il principale motore di sviluppo del Paese. L’avventura di Virginia Raggi a Roma dimostra che inimicandosi le mafie la macchina municipale stenta a funzionare, s’inceppa, fra boicottaggi, piccole e grandi truffe ai danni dell’amministrazione, bandi che vanno deserti , l’esercito che presidia qualche sito della monnezza e la stampa tutta di proprietà delle lobby che spinge per far tornare in Comune i cari vecchi partiti da sempre loro complici. Gli scandali che colpiscono la Lega, dove le varie lobby hanno già spostato i loro uomini, non scalfiscono minimamente la sua lenta, ma inesorabile avanzata nei sondaggi.
L’immigrazione, assieme al lavoro e al welfare, è da tempo, volenti o nolenti, il tema dei temi, non solo in Italia. Le tre materie sono fra loro strettamente collegate. Non sono venute per caso le vittorie del repubblicano Trump negli USA o di Farage (Brexit Party) in Gran Bretagna che, al contrario della “sinistra” che a ogni latitudine vuole accogliere tutti i migranti, promettevano di proteggere la manodopera autoctona. Interessante il caso della Danimarca dove il 5 giugno scorso si è votato per il rinnovo del Parlamento. Un risultato sorprendente, in controtendenza: i cosiddetti “populisti” (Partito del Popolo Danese) perdono la metà dei voti. Vincono i socialdemocratici che in campagna elettorale promettono però “una linea meno permissiva sui migranti”. La vincitrice Mette Frederiksen dichiara: “Al primo posto rimetteremo il welfare, il clima, l’educazione, i bambini, il futuro”; in netto contrasto con le ragioni fondative dell’Europa di Maastricht nata invece per adeguare il capitalismo europeo a quello USA, innanzitutto con il ridimensionamento o l’abolizione del welfare.
Questo rovesciamento della rappresentanza dei ceti sociali – la destra che difende gli interessi dei lavoratori autoctoni (ad esempio Marine Le Pen in Francia), mentre tutta la sinistra (partiti, centri sociali e troika sindacale) è allineata sulle posizioni di mafie e lobby, ne sposa le esigenze di manodopera schiavile a basso costo partecipando attivamente in vario modo alla deportazione dall’Africa – non è una novità delle ultime tornate elettorali.
(…) Se, invece, si pensa che il fenomeno migrazioni merita complessivamente un giudizio negativo, se si ritiene che la globalizzazione capitalista non è irreversibile, che le migrazioni non sono inarrestabili, che da questi fenomeni c’è chi ci guadagna, ma la stragrande maggioranza delle popolazioni ne esce sconfitta, più povera, allora si aprono praterie politiche sconfinate, territori inesplorati soprattutto per una sinistra che volesse collocarsi a sinistra. Si prenda ad esempio il Mezzogiorno d’Italia, da sempre terra di emigranti, dove oggi si assiste a una fuga di massa soprattutto dei suoi giovani: “Così radicale, estesa, imponente la fuga da poter essere considerata la terza ondata migratoria dopo quella dei primi del ‘900 verso le Americhe, del secondo dopoguerra verso la Germania e Milano del miracolo economico o Torino di mamma FIAT (…) Non più solo cervelli in fuga, la cui formazione è comunque costata 30 miliardi di euro alle casse pubbliche, ma anche camerieri in fuga, dentisti in fuga, tubisti, saldatori, operai generici, infermieri, insegnanti delle elementari, autisti, baristi, pizzaioli. Un intero popolo scomparso così folto che gli arrivi degli immigrati, o di coloro che ritornano a casa, non riescono a compensare. Il saldo demografico è paurosamente negativo. 783.511 italiani (che sono parte di quei quasi due milioni di migranti) che hanno avviato le pratiche per i cambi di residenza o nuovi passaporti, di cui 218.771 in possesso della laurea. Dal Sud è fuggita, persa ai radar, la meglio gioventù: mezzo milione di giovani (564.796 per la precisione) di cui 163.645 laureati. (Antonello Caporale, Quasi due milioni via dal Meridione, e mezza Italia sta diventando un deserto, Millennium, novembre 2018). Un Paese che costringe i suoi giovani più preparati a fuggire all’estero per trovare un lavoro e uno stipensio che consenta di vivere, ma che ha bisogno di importare raccoglitori di pomodori a due euro l’ora, è una colonia, un Paese fallito.
Prosegue Caporale, che si basa sul rapporto SviMez dell’agosto 2018: “Oltre il Garigliano i paesi cadono come foglie in autunno. Scompaiono silenziosamente e nell’indifferenza, il conto lo tiene l’ISTAT che stila periodicamente la lista dei morituri: a oggi sono più di 1.650 i Comuni colpiti da un abbandono che s’annuncia definitivo, una morte triste e non più lenta che nei prossimi anni si gonfierà di altre vittime e presto certificheremo la desertificazione. (…) Un quinto dei Comuni italiani è infatti in cammino verso il nulla, un sesto della superficie nazionale resterà disabitata. Mura cadenti, pietre rotolate giù e rovi, solo rovi. Sarà il cimitero la nuova dimensione di questo svuotamento che infragilisce fino a consumarla tutta la colonna vertebrale del Paese, la linea montuosa centrale costellata fino a due decenni fa di villaggi, di comunità, insomma di vita, che invece cederà alla morte per via della fame che l’attanaglia. (…) Né capannoni né vacche, né sviluppo industriale né agricoltura sostenibile. Né strade, né treni. Tolti, tagliati, inutilizzati più di 6.000 km di ferrovia, il treno, da vettore economico e popolare, si è via via trasformato nel costoso ed efficiente connettore dell’Italia ricca, nella direttrice verticale tra le grandi città. Il Frecciarossa è il simbolo di un’Italia che ha scelto non due, ma una sola velocità. Biglietti alti, ma puntualità quasi sempre garantita per quelli che ce la fanno. Poi la seconda classe nel resto del Paese, specialmente al Nord, un reticolo di tratte per i pendolari mal tenute e mal gestite, mentre al Sud – terza classe – semplicemente il nulla”.
Come facilmente si intuisce, le migrazioni sono un furto. Perpetrato da tutti i Nord del mondo ai danni dei Paesi eternamente in via di sviluppo che permarranno sempre tali se rapinati continuamente delle loro risorse naturali, se privati soprattutto delle migliori risorse umane di cui dispongono. Da decenni l’Africa produce i migliori atleti, i migliori calciatori del mondo di statura fisica e tecnica eccezionale, ai quali però lo Stato colonizzatore offre subito la naturalizzazione: la nazionale francese di calcio è diventata campione del mondo di calcio nel 2018 con più della metà dei titolari di origine africana naturalizzati o diventati francesi attraverso lo ius soli. E così nessun Paese africano, nonostante i suoi ottimi calciatori, è mai riuscito a diventare campione del mondo. Non riesco ad immaginare che succederebbe in Africa se ciò accadesse.
Negli anni 60 e 70 dello scorso secolo c’erano i cosiddetti “movimenti terzomondisti” che appoggiavano le lotte anticoloniali di liberazione nazionale dei popoli del cosiddetto “Terzo Mondo”. Erano l’anima della sinistra. Oggi invece nel pantheon della “sinistra” ci sono Carola e le ONG. Oltre che democristiani, ho la certezza che moriremo anche leghisti. Buone vacanze a tutti.”

Da Salvini per sempre, di Cesare Alllara.

Forze ed operazioni militari USA in Africa – una rassegna

Di Benjamin Cote in esclusiva per SouthFront

L’importanza delle Forze Militari in Africa
Il 4 ottobre 2017, forze nigerine e Berretti Verdi americani sono stati attaccati da militanti islamici durante una missione di raccolta di intelligence lungo il confine con il Mali. Cinquanta combattenti di una affiliata africana dello Stato Islamico hanno attaccato con armi di piccolo calibro, armi montate su veicoli, granate lanciate con razzi e mortai. Dopo circa un’ora nello scontro a fuoco, le forze americane hanno fatto richiesta di assistenza. I jet Mirage francesi hanno fornito uno stretto supporto aereo e i militanti si sono disimpegnati. Gli elicotteri sono arrivati per riportare indietro le vittime per l’assistenza medica.
Quando la battaglia finì quattro Berretti Verdi sono risultati uccisi nei combattimenti e altri due furono feriti. I sergenti maggiori Bryan Black, Jeremiah Johnson, Dustin Wright e il più pubblicizzato di tutte le vittime il sergente La David Johnson sono stati uccisi in missione. Il presidente Trump si è impegnato in uno scontro politicizzato con la vedova di Johnson e la deputata della Florida Federica Wilson in merito alle parole da lui usate in una telefonata consolante.
La battaglia politica sui commenti del Presidente Trump ha avuto l’effetto non intenzionale di spostare l’attenzione della nazione sulle attività americane in Africa. In precedenza il pubblico americano, e buona parte dell’establishment politico, mostrava scarso interesse o conoscenza delle missioni condotte dai dipartimenti di Stato e della Difesa all’interno delle nazioni africane in via di sviluppo. Il 5 maggio, un Navy SEAL era stato ucciso vicino a Mogadiscio mentre assisteva le forze somale nel combattere al-Shabaab. Questa morte è arrivata un mese dopo che l’amministrazione Trump aveva revocato le restrizioni sulle operazioni di antiterrorismo nelle regioni della Somalia.
Certamente l’evento non ha registrato la stessa attenzione del mainstream come la polemica circa il sergente Johnson; tuttavia, tutto rivela come l’Africa stia lentamente diventando un’area di interesse nazionale cruciale per gli Stati Uniti. Le questioni concernenti le nazioni africane riguardanti le minacce terroristiche sia esterne sia interne, così come i loro problemi economici, servono a garantire che i responsabili politici degli Stati Uniti si concentrino sul continente. Iniziative globali come la Combined Joint Task Force for Operation Inherent Resolve coinvolgono diverse nazioni africane fondamentali per combattere l’ascesa dell’estremismo islamico radicale. L’ascesa di gruppi estremisti coesi insieme all’espansione degli investimenti economici nell’Africa post-coloniale ha comportato un aumento dei dispiegamenti militari stranieri e americani nella regione. Continua a leggere

Intermarium, chi era costui?

“Dopo la guerra combattuta tra la Russia e la Polonia e conclusasi il 18 marzo 1921 col trattato di pace di Riga, il Maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935), capo provvisorio del rinato Stato polacco, lanciò l’idea di una federazione di Stati che, estendendosi “tra i mari” Baltico e Nero, in polacco sarebbe stata denominata Międzymorze, in lituano Tarpjūris e in latino, con un neologismo poco all’altezza della tradizione umanistica polacca, Intermarium. La federazione, erede storica della vecchia entità politica polacco-lituana, secondo il progetto iniziale di Piłsudski (1919-1921) avrebbe dovuto comprendere, oltre alla Polonia quale forza egemone, la Lituania, la Bielorussia e l’Ucraina. È evidente che il progetto Intermarium era rivolto sia contro la Germania, alla quale avrebbe impedito di ricostituirsi come potenza imperiale, sia contro la Russia, che secondo il complementare progetto del Maresciallo, denominato “Prometeo”, doveva essere smembrata nelle sue componenti etniche.
Per la Francia il progetto rivestiva un certo interesse, perché avrebbe consentito di bloccare simultaneamente la Germania e la Russia per mezzo di un blocco centro-orientale egemonizzato dalla Polonia. Ma l’appoggio francese non era sufficiente per realizzare il progetto, che venne rimpiazzato dal fragile sistema d’alleanze spazzato via dalla Seconda Guerra Mondiale.
Una più audace variante del progetto Intermarium, elaborata dal Maresciallo tra il 1921 e il 1935, rinunciava all’Ucraina ed alla Bielorussia, ma in compenso si estendeva a Norvegia, Svezia, Danimarca, Estonia, Lettonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Jugoslavia ed Italia. I due mari diventavano quattro, poiché al Mar Baltico ed al Mar Nero si venivano ad aggiungere l’Artico e il Mediterraneo. Ma anche questo tentativo fallì e l’unico risultato fu l’alleanza che la Polonia stipulò con la Romania.
L’idea di un’entità geopolitica centroeuropea compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero fu riproposta nei termini di una “Terza Europa” da un collaboratore di Piłsudski, Józef Beck (1894-1944), che nel 1932 assunse la guida della politica estera polacca e concluse un patto d’alleanza con la Romania e l’Ungheria.
Successivamente, durante il secondo conflitto mondiale, il governo polacco di Władisław Sikorski (1881-1943) – in esilio prima a Parigi e poi a Londra – sottopose ai governi cecoslovacco, greco e jugoslavo la prospettiva di un’unione centroeuropea compresa fra il Mar Baltico, il Mar Nero, l’Egeo e l’Adriatico; ma, data l’opposizione sovietica e la renitenza della Cecoslovacchia a federarsi con la Polonia, il piano dovette essere accantonato.
Con la caduta dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’idea dell’Intermarium ha ripreso vigore, rivestendo forme diverse quali il Consiglio di Cooperazione nel Mar Nero, il Partenariato dell’Est e il Gruppo di Visegrád, meno ambiziose e più ridotte rispetto alle varianti del progetto “classico”.
Ma il sistema di alleanze che più si avvicina allo schema dell’Intermarium è quello teorizzato da Stratfor, il centro studi statunitense fondato da George Friedman, in occasione della crisi ucraina. Da parte sua il generale Frederick Benjamin “Ben” Hodges, comandante dell’esercito statunitense in Europa (decorato con l’Ordine al Merito della Repubblica di Polonia e con l’Ordine della Stella di Romania), ha annunciato un “posizionamento preventivo” (“pre-positioning”) di truppe della NATO in tutta l’area che, a ridosso delle frontiere occidentali della Russia, comprende i territori degli Stati baltici, la Polonia, l’Ucraina, la Romania e la Bulgaria. Dal Baltico al Mar Nero, come nel progetto iniziale di Piłsudski.
Il 6 agosto 2015 il presidente polacco Andrzej Duda ha preconizzato la nascita di un’alleanza regionale esplicitamente ispirata al modello dell’Intermarium. Un anno dopo, dal 2 al 3 luglio 2016, nei locali del Radisson Blue Hotel di Kiev ha avuto luogo, alla presenza del presidente della Rada ucraina Andriy Paruby e del presidente dell’Istituto nazionale per la ricerca strategica Vladimir Gorbulin, nonché di personalità politiche e militari provenienti da varie parti d’Europa, la conferenza inaugurale dell’Intermarium Assistance Group, nel corso della quale è stato presentato il progetto di unione degli Stati compresi tra il Mar Baltico e il Mar Nero.
Nel mese successivo, i due mari erano già diventati tre: il 25-26 agosto 2016 il Forum di Dubrovnik sul tema “Rafforzare l’Europa – Collegare il Nord e il Sud” ha emesso una dichiarazione congiunta in cui è stata presentata l’Iniziativa dei Tre Mari, un piano avente lo scopo di “connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da nord a sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia”. L’Iniziativa dei Tre Mari, concepita dall’amministrazione Obama, il 6 luglio 2017 è stata tenuta a battesimo da Donald Trump in occasione della sua visita a Varsavia. L’Iniziativa, che a detta del presidente Duda nasce da “un nuovo concetto per promuovere l’unità europea”, riunisce dodici paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico e quasi tutti membri dell’Alleanza Atlantica: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria.
Sotto il profilo economico, lo scopo dell’Iniziativa dei Tre Mari consiste nel colpire l’esportazione di gas russo in Europa favorendo le spedizioni di gas naturale liquefatto dall’America: “Un terminale nel porto baltico di Świnoujście, costato circa un miliardo di dollari, permetterà alla Polonia di importare Lng statunitense nella misura di 5 miliardi di metri cubi annui, espandibili a 7,5. Attraverso questo e altri terminali, tra cui uno progettato in Croazia, il gas proveniente dagli USA, o da altri Paesi attraverso compagnie statunitensi, sarà distribuito con appositi gasdotti all’intera ‘regione dei tre mari’” .
Così la macroregione dei tre mari, essendo legata da vincoli energetici, oltre che militari, più a Washington che non a Bruxelles ed a Berlino, spezzerà di fatto l’Unione Europea e, inglobando prima o poi anche l’Ucraina, stringerà ulteriormente il cordone sanitario lungo la linea di confine occidentale della Russia.”

Da Il cordone sanitario atlantico, editoriale di Claudio Mutti del n. 4/2017 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

Russia Today come Roj TV?

media

“Tenteranno di farvi chiudere”: incontrando Assange & l’ininterrotta “Guerra contro Russia Today”
di Margarita Simonyan, capo redattore di RT

La scorsa settimana, mentre ero a Londra, sono andata a far visita a Julian Assange presso l’ambasciata ecuadoregna. Abbiamo parlato in modo confidenziale ovviamente, perciò non renderò pubbliche troppe cose, ma diffonderò solo ciò che Julian ha insistito che divulgassi. Prima è troppo tardi.
Assange ha condiviso un illuminante racconto su una stazione televisiva curda che è stata chiusa in Danimarca. La storia, come molte altre – dai cablogrammi diplomatici con commenti non diplomatici a centinaia di crimini di guerra non indagati in Irak – è giunta alla sua attenzione mediante una fuga di notizie.
C’era una volta in Danimarca una rete televisiva curda. Altrettanto felicemente avrebbe potuto essere altrove, ma al canale erano interdetti mercati più adeguati. La stazione, Roj TV, si rivolgeva ai Curdi turchi, e ciò rendeva le autorità turche molto arrabbiate.
Funzionari turchi fecero pressioni sulla Danimarca loro alleata nella NATO affinché chiudesse il canale televisivo con qualche scusa plausibile. Ma la Danimarca era riluttante, dicendo che varie ispezioni non avevano riscontrato alcuna incitazione al terrorismo e non c’erano ragioni per chiuderla. Cose simili non si facevano là; dopotutto, la Danimarca è una democrazia.
La “democrazia” non ha prevalso a lungo. Solo fino al momento in cui il Principe di Danimarca Primo Ministro Rasmussen decideva di diventare Segretario Generale della NATO. Ma la Turchia insorse e bloccò la sua candidatura! Sì, riguardo la televisione curda circa la quale la Danimarca era così ostinata. Allora i pezzi grossi si riunirono e decisero che il canale che rappresentava un faro per una intera nazione non fosse un prezzo alto da pagare per una così importante posizione in una tanto importante organizzazione. E hanno cercato di tirar fuori un po’ di estremismo, dannata democrazia. Ancora non riuscivano a trovare alcuna evidenza di ciò, ma sputarono qualche altra spiacevolezza. Wikileaks possiede un cablo nel quale il Presidente USA Barack Obama stesso sollecita i suoi alleati a pensare di risolvere la questione della televisione curda “creativamente”, in modo tale che le nazioni civilizzate non siano accusate di sopprimere la libertà di parola. E così fecero.
“La stessa cosa è in programma per voi”, mi ha detto Julian. Sfortunatamente, ho pochi dubbi che egli sia nel giusto. Ero appena ritornata da Londra quando la Camera dei Rappresentanti statunitense approvava a grande maggioranza una risoluzione che, tra le altre cose, impegnava i funzionari USA in Europa a “valutare l’influenza politica, economica e culturale dei mezzi di informazione russi e finanziati dalla Russia e a coordinarsi con i governi ospitanti circa le adeguate contromosse.”
In altre parole, gli Stati Uniti spingerebbero l’Europa a sbatterci fuori. E ciò che sta già succedendo. Negli anni scorsi abbiamo assistito a una serie di tendenze meno che gradite. Continua a leggere

Il “Grande Gioco” del XXI° secolo

Ripasso di inzio anno: i fronti dell’assalto USA/NATO al mondo, nelle parole di M. D. Nazemroaya.

L’invasione dell’Afghanistan
“L’invasione del 2001 dell’Afghanistan controllato dai talibani, è stata avviata con l’obiettivo di stabilire un punto d’appoggio in Asia centrale e una base di operazioni per isolare l’Iran, dividere gli eurasiatici uno dall’altro, per impedire la costruzione di gasdotti in corso attraverso l’Iran, per allontanare i Paesi dell’Asia centrale da Mosca, per prendere il controllo del flusso di energia dell’Asia Centrale e per soffocare strategicamente i cinesi.
Ma soprattutto, il controllo dell’Asia centrale sconvolgerebbe la “Nuova Via della Seta” in corso di formazione dall’Est asiatico al Medio Oriente ed Europa dell’Est. E’ questa “Nuova Via della Seta” che fa della Cina la prossima superpotenza globale. Così, la strategia degli Stati Uniti in Asia centrale è destinata a impedire, in definitiva, l’emergere della Cina come superpotenza globale, impedendo ai cinesi di avere l’accesso alle risorse energetiche vitali di cui hanno bisogno. La rivalità tra Stati Uniti e Unione europea con la Russia, per le vie di transito dell’energia, deve essere giudicata assieme al tentativo d’impedire la costruzione di un corridoio energetico trans-eurasiatico che congiunga la Cina al Mar Caspio e al Golfo Persico.”

L’instabilità in Pakistan
“L’instabilità in Pakistan è un risultato diretto dell’obiettivo di impedire la creazione di un percorso energetico sicuro della Cina. Gli Stati Uniti e la NATO non vogliono un forte, stabile e indipendente Pakistan. Preferirebbero vedere un Pakistan diviso e debole che possa essere facilmente controllato e che non prenda ordini da Pechino o si allei al campo eurasiatico. L’instabilità in Pakistan e gli attentati terroristici contro l’Iran, che sono originati dal confine con il Pakistan, hanno lo scopo di impedire la creazione di un percorso energetico sicuro per la Cina.”

La Somalia e la pirateria
“Guardando alla Somalia, le condizioni che hanno portato al problema della pirateria, sono state nutrite per dare agli Stati Uniti e alla NATO un pretesto per militarizzare le vie navigabili strategiche della regione. Gli Stati Uniti e la NATO non hanno voluto nulla, tranne che la stabilità nel Corno d’Africa. Nel dicembre 2006, l’esercito etiope invase la Somalia e rovesciò il governo della Somalia dell’Unione delle Corti Islamiche (ICU). L’invasione etiope della Somalia, ha avuto luogo in un momento in cui il governo ICU stava stabilizzando relativamente la Somalia ed era vicino a portare uno stato di pace e ordine duraturi all’intero Paese africano.
L’US Central Command (CENTCOM) aveva coordinato nel 2006 l’invasione della Somalia. L’invasione etiope fu sincronizzata con i militari USA, e vide l’intervento congiunto delle forze armate degli Stati Uniti a fianco degli etiopi, attraverso le Forze Speciali e gli attacchi aerei degli Stati Uniti. Il generale John Abizaid, comandante del CENTCOM, andò in Etiopia e tenne un incontro di profilo basso con il Primo Ministro Meles Zenawi, il 4 dicembre 2006, per pianificare l’attacco alla Somalia. Circa tre settimane dopo, gli Stati Uniti e l’Etiopia attaccarono e invasero la Somalia.
Il governo somalo dell’ICU fu sconfitto e rimosso dal potere, e al suo posto si pose il governo di transizione somalo (STG), un governo impopolare asservito ai diktat di Stati Uniti e UE fu portato al potere con l’intervento militare degli Stati Uniti e dell’Etiopia.”

I problemi interni del Sudan
“Il petrolio sudanese sbarca in Cina e le relazioni commerciali di Khartoum sono legate a Pechino. Questo è il motivo per cui Russia e Cina si oppongono a statunitensi, britannici, francesi e agli sforzi per internazionalizzare i problemi interni del Sudan presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Inoltre, è dovuto ai legami affaristici del Sudan con la Cina, che i leader sudanesi sono stati presi di mira dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea come violatori dei diritti umani, mentre i crimini contro i diritti umani compiuti dai dittatori loro clienti e alleati, vengono ignorati.
Sebbene la Repubblica del Sudan non è tradizionalmente considerata parte del Medio Oriente, Khartoum si è impegnato come membro del Blocco della Resistenza. Iran, Siria e Sudan hanno rafforzato i loro legami e la cooperazione dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. La guerra israeliana contro il Libano e il dispiegamento successivo delle forze militari internazionali, prevalentemente dei Paesi della NATO, sul suolo e acque libanesi, non è passata inosservata neanche in Sudan. È in tale contesto di resistenza che il Sudan sta anche approfondendo i suoi legami militari con Teheran e Damasco.”

La militarizzazione dell’Africa Orientale
“Gli eventi in Sudan e in Somalia sono legati alla sete e la rivalità internazionali per il petrolio e l’energia, ma sono anche parte dell’allineamento della scacchiera geo-strategica, che ruota attorno al controllo dell’Eurasia. La militarizzazione dell’Africa Orientale fa parte dei preparativi per un confronto con la Cina e i suoi alleati. L’Africa orientale è un fronte importante che si riscalderà nei prossimi anni.”

Xinjiang e Tibet
“Nel Turkestan cinese, dove si trova la regione autonoma di Xinjiang, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto il separatismo uiguro, basato sul nazionalismo uiguro, sul panturchismo e l’Islam, per indebolire la Cina. In Tibet, gli obiettivi sono gli stessi che in Xinjiang, ma lì gli Stati Uniti e i loro alleati sono stati coinvolti in operazioni di intelligence molto più intensa.
Separare Xinjiang e Tibet dalla Cina, ostacolerebbe pesantemente la sua ascesa come superpotenza. La separazione di Xinjiang e Tibet sottrarrebbe le ampie risorse di questi territori alla Cina e all’economia cinese. Negherebbe anche l’accesso diretto della Cina alle Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale. Questo potrebbe effettivamente distruggere le vie terrestri in Eurasia e complicherebbe la creazione di un corridoio energetico verso la Cina.”
Qualsiasi governo futuro in uno Xinjiang o un Tibet indipendenti, potrebbe agire come l’Ucraina sotto gli arancioni, interrompendo le forniture di gas russo verso l’Unione Europea per le differenze politiche e i dazi di transito. Pechino come consumatore di energia, può essere tenuto in ostaggio, come i Paesi europei lo sono stati nel corso delle dispute ucraino-russe sul gas. Questo è precisamente uno degli obiettivi degli Stati Uniti, allo scopo di arrestare la crescita cinese.”

Il controllo delle Americhe
“Gli Stati Uniti stanno militarizzando i Caraibi e l’America Latina per riguadagnare il controllo delle Americhe. Il Pentagono sta armando e approfondisce i suoi legami militari con la Colombia, per contrastare il Venezuela e i suoi alleati. Il 30 ottobre 2009 i governi colombiano e statunitense firmarono anche un accordo che consentirà agli USA di usare le basi militari colombiane.
Haiti, occupata dagli statunitensi, serve anche al più vasto programma emisferico degli USA di sfida al blocco bolivariano, utilizzando la parte occidentale dell’isola di Hispaniola. Haiti si trova a sud di Cuba. Geograficamente è situata nella posizione migliore per un assalto simultaneo a Cuba, Venezuela e Stati del Centro America, come il Nicaragua. Il catastrofico terremoto del 2010, e l’instabilità che gli Stati Uniti hanno creato in Haiti, attraverso invasioni multiple, rendono molto meno evidente il progetto di sovvertire i Caraibi e l’America Latina. Guardando la cartina e la militarizzazione di Haiti, è inequivocabile che gli Stati Uniti prevedano di utilizzare Haiti, Colombia e Curaçao, come un hub per le operazioni militari e di intelligence. Haiti potrebbe anche rivelarsi una base preziosa, nello scenario di un conflitto più ampio, condotto dagli Stati Uniti e dai loro alleati contro Caracas e i suoi alleati regionali.
E’ chiaro che Stati Uniti stanno perdendo la loro presa in America. Non solo il Governo degli Stati Uniti vuole impedire tutto questo, ma vuole anche far sì che non perda le riserve energetiche di Paesi come Venezuela, Ecuador e Bolivia, a vantaggio dei cinesi affamati di energia. Con una leale concorrenza globale, non c’è modo che gli Stati Uniti siano in grado di corrispondere ciò che Pechino è disposta ad offrire alle nazioni dell’America Latina e dei Caraibi, nelle loro esportazioni di energia e risorse.”

Il fronte dell’Artico
“L’ordine del giorno della NATO, nella regione artica, inizia già nel 2006, quando la Norvegia ha invitato tutta la NATO ed i suoi collaboratori alle esercitazioni ‘Cold Response’. Anche il Canada ha costantemente tenuto nell’Artico esercitazioni, per dimostrare la sua sovranità nella regione artica, ma a partire dal 2010, soldati statunitensi e danesi sono stati coinvolti nell’Operation Nanook 10. Questo è un segno della cooperazione NATO contro la Russia. Secondo un comunicato militare canadese le esercitazioni militari sono destinate “a rafforzare la preparazione, l’interoperabilità e aumentare la capacità di una risposta collettiva alle sfide emergenti nella regione artica.” A parte la richiesta russa sulla Cresta Lomonosov, non c’è altra situazione che potrebbe essere vista come una sfida emergente che giustifica una reazione militare collettiva da parte del Canada, degli Stati Uniti e della Danimarca.
La battaglia per l’Artico è ben avviata.”

[Dello stesso autore:
La globalizzazione del potere militare: l’espansione della NATO]

Diserzioni alleate

Doveva rappresentare l’elemento chiave per le operazioni di guerra globale del XXI secolo della NATO, ma l’Alliance Ground Surveillance – AGS, il multimilionario sistema di sorveglianza terrestre, rischia di accentuare le divisioni all’interno dell’Alleanza Atlantica.
Il tormentato progetto che prevede l’acquisto di otto velivoli senza pilota Global Hawk e l’utilizzo di Sigonella (Sicilia) quale principale base di stazionamento e controllo aereo, subisce un nuovo stop con l’inattesa decisione del governo danese di tagliare dal proprio budget della difesa i 50 milioni di euro destinati a cofinanziare lo sviluppo e l’implementazione del nuovo sistema NATO.
La revoca del sostegno danese all’AGS è stata duramente criticata dal Segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen. “L’uscita della Danimarca dal programma di vigilanza terestre NATO invia un segnale errato alle nostre forze e ai nostri alleati”, afferma Fogh Rasmussen. “L’AGS è stato disegnato per far sì che i militari di tutti i Paesi della NATO operino con maggiore sicurezza ed efficacia durante i loro interventi. Il sistema contempla un’ampia varietà di possibili usi, tra i quali quelli di contrarrestare gli attacchi con esplosivi in Afghanistan e combattere le operazioni di pirateria di fronte alla Somalia”.
Anche se il contributo della Danimarca è solo il 3% circa dell’ammontare totale del progetto, c’è forte preoccupazione che altri paesi dell’Alleanza possano seguire Copenaghen sull’onda della complessa crisi finanziaria internazionale e delle difficoltà di bilancio statali. “Il ritiro danese dal progetto potrebbe avere un effetto paralizzante nell’odierno clima finanziario in cui i bilanci della difesa vengono via via ridotti”, ha dichiarato all’agenzia Reuters una fonte interna del Comando militare di Bruxelles. “La NATO sperava di completare il programma prima del vertice di Lisbona del prossimo novembre. Ma le revisioni che potrebbero essere richieste da altri Paesi partecipanti all’AGS potrebbero causare dei ritardi. Se le nazioni restanti non saranno disponibili a coprire il vuoto lasciato dalla Danimarca o ce ne saranno altre che decideranno di seguire i suoi passi, potrebbero essere previsti delle limitazioni e dei risparmi allo sviluppo del programma. Ma è sempre meglio mantenere un 80% delle potenzialità previste che nessuna in assoluto”.
Originariamente, il piano di sviluppo del sistema AGS vedeva associate 23 nazioni dell’Alleanza Atlantica. La scelta unilaterale di Washington, nel novembre 2007, di assegnare l’intera commessa dei velivoli spia e delle stazioni di rilevamento terrestre ad un consorzio costituito prevalentemente da industrie belliche USA e canadesi (Northrop Grumman, General Dynamics Canada, Raytheon e Rolls Royce), fece scoppiare però la rabbia tra alcuni dei principali partner. Belgio, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Grecia e Spagna decisero di ritirare il proprio appoggio finanziario ed industriale all’AGS.
Così, alla firma del Programme Memorandum of Understanding (PMOU) che ha delineato i confini legali, organizzativi e finanziari del sistema d’intelligence, si sono presentati solo 15 dei Paesi membri dell’organizzazione nord-atlantica. Oltre a Stati Uniti, Canada e Danimarca, Bulgaria, Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia.
La diserzione alleata ha avuto come prima conseguenza l’aumento dell’onere finanziario a carico dell’Italia per la realizzazione delle attrezzature e delle infrastrutture di sorveglianza.
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Da Perde pezzi l’AGS, nuovo sistema di sorveglianza NATO, di Antonio Mazzeo.

L’eredità di Jaap

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Il Segretario Generale uscente della NATO, l’olandese Jaap De Hoop Scheffer, è in procinto di lasciare il posto ad Anders Fogh Rasmussen, che si è dimesso da Primo Ministro danese per subentrare nell’incarico il prossimo 1 agosto.
Durante le ultime settimane, De Hoop Scheffer ha tributato una serie di visite d’addio nei Paesi membri NATO di recente acquisizione (Bulgaria, Romania, Slovenia, Albania e Croazia) e presso altri che sono tuttora sulla soglia di ingresso (Macedonia e Finlandia). Durante il suo mandato quale rappresentante dell’unico blocco militare esistente nel mondo, la NATO ha ingrossato le proprie file con 9 nuovi Stati (oltre a quelli citati appena sopra, anche le tre repubbliche baltiche e la Slovacchia), pari a tre quarti dei Paesi fondatori sessant’anni fa.
Tutte le nuove acquisizioni sono in Europa orientale, tre confinano con la Russia e due terzi di esse erano precedentemente parte dei tre Paesi multietnici dell’Europa (e nei primi due casi, anche multiconfessionali) disgregatisi nel periodo 1991-1993: Unione Sovietica, Jugoslavia e Cecoslovacchia. I bocconi piccoli sono più facili da ingoiare.
In coerenza con ciò, lo scorso 9 maggio De Hoop Scheffer ha reso pubblica la propria soddisfazione circa il fatto delle nove adesioni realizzatesi durante il suo mandato, auspicando che la Macedonia diventi presto la decima, una volta che sia risolto il contenzioso in corso con la Grecia sul nome da assegnare costituzionalmente all’ex territorio jugoslavo.
Si tenga presente che il fattore determinante nella designazione di De Hoop Scheffer quale Segretario Generale della NATO fu il suo sostegno all’invasione dell’Iraq quando era Ministro degli Esteri dell’Olanda ed il suo impegno per il dispiegamento di truppe olandesi in quel Paese. Il suo successore, Rasmussen, ha svolto un ruolo simile come capo del governo in Danimarca a partire dal 2003.
Si noti, inoltre, che tutte le nove nazioni che De Hoop Scheffer ha contribuito a portare dentro la NATO hanno inviato i propri soldati sia in Iraq che in Afghanistan, in diversi casi prima del loro ingresso nell’Alleanza Atlantica e come precondizione per l’adesione alla stessa.
E’ stato sempre durante il suo mandato che la NATO ha lanciato l’Iniziativa per la Cooperazione di Istanbul, per aumentare la cooperazione e il dislocamento di militari con gli Stati partecipanti al Dialogo Mediterraneo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) ed alla Cooperazione del Golfo (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), rafforzando così la presa dell’alleanza dalla costa atlantica dell’Africa al Golfo Persico.
Il suo canto del cigno è rappresentato dal consolidamento dell’integrazione militare di quella zona dell’Europa sudorientale dove, al termine della Guerra Fredda, iniziò l’espansione della NATO: i Balcani. Quale sia il grado di sovranità dei nuovi membri dell’alleanza e degli attuali canditati ad entrarvi, è ben delineato dalla notizia di stampa dello scorso 7 maggio secondo cui il governo albanese sta svolgendo negoziati con la NATO affinché essa prenda pieno controllo dello spazio aereo dell’Albania.
Al che, viene in mente la favola di Esopo del lupo che si offre di liberare la pecora dalla rude guida del cane pastore.